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Avvocato Nicoletta Genovese a Rivello

Nicoletta Genovese

Avvocato

Informazioni generali

Sono un avvocato che grazie alla collaborazione con diversi studi legali ha maturato esperienza sia nel settore giudiziale che stragiudiziale in materia di diritto civile, diritto del lavoro e previdenziale, contrattualistica, responsabilità civile et al, diritto dell'immigrazione, diritto tributario e ancora assistenza in materia di diritto penale e dell'esecuzione penale.

Esperienza


Matrimonio

Mi occupo di crisi coniugale, sono esperta in separazione e divorzio sia giudiziale che consensuale. Nella crisi matrimoniale, analizzando tutti gli aspetti oggetto di discussione sia dal punto di vista patrimoniale che personale, cerco sempre una risoluzione condivisa della controversia, al fine di rendere il più indolore possibile il momento della separazione.


Separazione

Ho seguito casi complessi di separazioni consensuali e giudiziali anche con figli minori o non autosufficienti. Il mio obiettivo è quello di cercare di trovare una strada conciliativa, al fine di rendere il momento della separazione il più indolore possibile, in tal senso ho maturato particolare esperienza nella negoziazione per le soluzioni consensuali di separazione personale, divorzio e modifica delle condizioni di separazione o divorzio.


Divorzio

Ho seguito casi complessi di divorzi consensuali e giudiziali anche con figli minori o non autosufficienti. Il mio obiettivo è quello di cercare di trovare una strada conciliativa, auspicando ad una tutela effettiva dei diritti dei singoli membri della famiglia. Cerco sempre di privilegiare la negoziazione in ambito familiare, e di proporre soluzioni consensuali nella fase del divorzio o di modifica delle condizioni di divorzio.


Altre categorie

Malasanità e responsabilità medica, Immigrazione e cittadinanza, Incidenti stradali, Risarcimento danni, Negoziazione assistita, Mobbing, Diritto civile, Diritto assicurativo, Recupero crediti, Contratti, Diritto tributario, Licenziamento, Domiciliazioni, Diritto amministrativo, Diritto militare, Pignoramento, Diritto del lavoro, Previdenza, Diritto penale, Ricorso al TAR, Diritto immobiliare, Multe e contravvenzioni, Tutela del consumatore.



Credenziali

Pubblicazione legale

Le "ADR" ( le alternative dispute resolution) nel diritto di famiglia: la negoziazione assistita nella crisi coniugale

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Nel diritto di famiglia, o meglio nel sistema di tutela della famiglia, sono stati introdotti nuovi mezzi per la risoluzione delle controversie. Da tempo, si è iniziato a parlare dell'apertura delle "ADR" ( Alternative dispute resolution) in ambito familiare, ed in particolare con il decreto legge 132/2014 si è prevista la possibilità di utilizzare lo strumento della negoziazione assistita nella crisi coniugale. Grazie a questa apertura, oggi è possibile utilizzare questo strumento più soft, più flessibile per separarsi, divorziare o modificare le condizioni della separazione e del divorzio, in via del tutto stragiudiziale, senza adire la giustizia tradizionale, evitando in altri termini di andare in tribunale, con un risparmio sia in termini di costi che di tempi, oltrechè di stress. Fornendo in questo modo una risoluzione alla crisi coniugale più umana, fondata su un dialogo, che permette ai coniugi, assistiti dai propri avvocati, di negoziare e di concludere una " convenzione di negoziazione assistita", quindi di separarsi o di divorziare per il tramite di un accordo condiviso. In altri termini si permette ai coniugi in crisi, attraverso un iter procedimentale semplificato, di esaltare la loro autonomia privata nell'ambito famigliare, ed di svecchiare gli istituti della separazione e del divorzio, esaltando il momento del matrimonio non come semplice atto, ma come rapporto. Significa cioè riconoscere al " consortio" familiare quella natura di rapporto giuridico ove si sviluppa la personalità dei propri membri anche nella fase finale della rottura, esaltandone l'aspetto personale, permettendo di non considerare il momento della rottura, della separazione, come un momento meramente burocratico. Centrale è il ruolo dell'avvocato, che ispirandosi e facendo propri i principi nord-americani di " collaborative law", di un diritto collaborativo, non si limita solo a difendere, a battagliare le ragioni del proprio assistito, ma si fa da paciere, da conciliatore e, applicando concretamente le proprie capacità di negoziazione e di mediazione, aiuta a trovare alla coppia in crisi una soluzione efficiente ed efficace per porre fine alla crisi coniugale e addivenire alla separazione, allo scioglimento del rapporto matrimoniale nella maniera più indolore possibile.

Pubblicazione legale

Il riconoscimento della cittadinanza ius sanguinis/ iure sanguinis

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Nel nostro ordinamento la cittadinanza si acquista prioritariamente per nascita : è considerato cittadino italiano il figlio di padre e di madre cittadini per discendenza diretta dall’avo cittadino italiano . La legge di riferimento è la legge 91/1992, in virtù della quale, il discendente emigrato italiano che non abbia conseguito la cittadinanza straniera, può rivendicare il riconoscimento della cittadinanza italiano iure sanguinis . Ragion per cui, anche i discendenti di seconda, terza e quarta generazione, ed oltre, (all'infinito) di emigrati italiani possono essere dichiarati cittadini per filiazione, cioè per cittadinanza ius sanguinis, purché non vi sia stata una interruzione nella trasmissione della cittadinanza. Per ottenere la cittadinanza iure sanguinis occorrono due requisiti: la discendenza da soggetto italiano ( l’avo emigrato); l’ assenza di interruzioni nella trasmissione della cittadinanza. È quindi necessario per il richiedente dare prova della mancata naturalizzazione straniera , non solo dell’avo italiano, ma anche dei suoi discendenti in linea retta, prima della nascita della successiva generazione, fino ad arrivare al richiedente. Il problema della naturalizzazione si è avvertito in particolar modo in Brasile, tra il 1889 e 1891 a seguito della grande naturalizzazione. Il Governo Brasiliano, in virtù del decreto 58 A del 1889, stabiliva che gli Italiani presenti in territorio Brasiliano alla data del 15.11.1889 avrebbero ottenuto la “naturalizzazione automatica” brasiliana a meno che non avessero manifestato dinanzi ai propri consolati la volontà di permanere cittadini della nazione di origine, entro sei mesi dalla data di pubblicazione del decreto. La grande naturalizzazione veniva utilizzata dal Ministero dell’Interno per contestare la trasmissione dello "status civitatis" per supposta automatica perdita della cittadinanza italiana dell’avo italiano che in quel periodo storico era emigrato in Brasile. La sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite il 24.08.2022, n. 25318 ha definitivamente ritenuto illegittima tale norma. In particolare ha ritenuto che la norma straniera deve essere messa in stretta correlazione con le disposizioni del codice civile all'epoca vigente, ergo, il codice civile del 1865. L’art. 11, n. 2, cod. civ. 1865, nello stabilire che la cittadinanza italiana è persa da colui che abbia “ottenuto la cittadinanza in paese estero”, sottintende, per gli effetti sulla linea di trasmissione iure sanguinis ai discendenti, che si accerti il compimento, da parte della persona all’epoca emigrata, di un atto spontaneo e volontario finalizzato all’acquisto della cittadinanza straniera in applicazione del principio secondo il quale: "le norme del diritto internazionale e le leggi estere, non possono essere contrastanti con le leggi del nostro stato afferenti alle persone, all’ordine pubblico e al buon costume". Ragion per cui , in materia di cittadinanza non è previsto alcun automatismo , in quanto per la perdita della cittadinanza italiana è necessaria una esplicita rinuncia . La trasmissione della cittadinanza iure sanguinis La trasmissione della cittadinanza iure sanguinis può avvenire in linea maschile ( paterna) o in linea femminile ( materna). Il riferimento normativo è l'art. 1 della legge 91/1992, ai sensi del quale: " è cittadino per nascita: il figlio di padre o di madre cittadini ". Questo significa che colui che è nato in uno stato straniero ha diritto ad essere riconosciuto cittadino italiano se dimostra di avere un avo italiano senza limiti generazionali , purché la catena di trasmissione della cittadinanza non si sia interrotta per naturalizzazione o per rinuncia di uno degli ascendenti prima della nascita del figlio cui si vorrebbe trasmettere la cittadinanza. La trasmissione può quindi avvenire in linea femminile-materna e in linea maschile-paterna. Se per la trasmissione in linea maschile-paterna non vi sono limiti, nel passato si riscontravano dei limiti per la trasmissione in via materna della cittadinanza. Infatti, l’articolo 10 della legge 555/1912 stabiliva la perdita della cittadinanza italiana per la donna che si univa in matrimonio con un cittadino straniero. Tuttavia, la legge 555/1912 è stata considerata costituzionalmente illegittima in applicazione del principio di uguaglianza e della parità dei coniugi, quindi la possibilità della trasmissione della cittadinanza italiana anche per linea materna. Principio oggi ribadito anche dalla Suprema Corte di Cassazione. Gli Ermellini hanno affermato che: “ per effetto delle sentenze della Corte Costituzionale, deve essere riconosciuto il diritto allo status di cittadino italiano al richiedente nato all’estero da figli di donna italiana coniugata con cittadino straniero nel vigore della L. 555/1912 che sia stata, di conseguenza, privata della cittadinanza italiana a causa del matrimonio ”. Come ottenere il riconoscimento della cittadinanza italiana iure sanguinis Il riconoscimento della cittadinanza italiana iure sanguinis può avvenire attraverso due procedure: la procedura giudiziale e la procedura amministrativa. La procedura giudiziale La procedura giudiziale, è la procedura che permette di ottenere il riconoscimento della cittadinanza iure sanguinis in maniera più celere , in quanto i tempi per ottenere il riconoscimento della cittadinanza in via amministrativa, attraverso il Consolato, sono molto lunghi. Basti pensare che i tempi per essere chiamati al consolato possono superare i 10 anni. È preferibile, allora la via giudiziale. Il Tribunale Roma con la sentenza n. 2055/ 2019 ha riconosciuto la problematica delle lunghissime liste di attesa e le ha considerate un diniego di riconoscimento del diritto vantato dai richiedenti, giustificando così il loro accesso alla via giurisdizionale. Sulla scia di tale orientamento, recenti sentenze del Tribunale di Roma hanno previsto che non è necessario attendere 730 giorni prima di iniziare l’azione giudiziaria. Singoli passaggi della procedura giudiziale Innanzitutto bisogna premettere, che dal 2021 è cambiata la legge, e pertanto, la competenza a decidere la domanda di cittadinanza iure sanguinis non è più il Tribunale di Roma, ma è il Tribunale del foro di nascita dell’avo italiano . Il procedimento è disciplinato dalla legge delega 206/2021 la quale prevede al comma n. 36: “ quando l’attore risiede all’estero le controversie di accertamento dello stato di cittadinanza italiana sono assegnate avendo riguardo al comune di nascita del padre, della madre o dell’avo cittadini italiani ”. Quindi, la competenza in materia di domanda di cittadinanza ius sanguinis è delle Sezioni Specializzate in materia di immigrazione e cittadinanza del tribunale del luogo del comune di nascita dell’avo cittadino italiano . Il procedimento, oggi, a seguito della cd Riforma Cartabia si svolge secondo le norme del rito semplificato di cognizione, di cui all’articolo 281 decies e ss c.p.c. È necessaria l’assistenza di un legale, ed è necessaria la procura notarile per la rappresentanza in giudizio. All'uopo è opportuno dotarsi di una procura redatta da un notaio e successivamente tradotta, e in alcuni casi apostillata. Non è necessaria la presenza dei ricorrenti in Italia. Per poter presentare la domanda giudiziale di riconoscimento della cittadinanza iure sanguinis, di particolare importanza è la raccolta della documentazione . I documenti raccolti, formati all’estero, devono ai sensi del DPR. 445/2000, essere tradotti in lingua italiana e muniti di legalizzazione consolare . La validità dei certificati è disciplinata dall’ art. 41 del DPR 445/2000 che stabilisce la validità illimitata dei certificati rilasciati dalle pubbliche amministrazioni attestanti stati, qualità personali e fatti non soggetti a modificazione. Le restanti certificazioni hanno invece validità di sei mesi. La stessa legge si applica anche ai documenti prodotti in Italia. Nell’ambito del processo giudiziale incombe l’onere sulla parte che richiede il riconoscimento della cittadinanza italiana di fornire la prova del suo diritto , quindi la prova della filiazione da discendente italiano per cui, di fondamentale importanza è la raccolta della documentazione, che costituirà prova del rapporto di filiazione . Ottenuto il riconoscimento della cittadinanza italiana, l’avvocato provvederà a richiedere, all’ufficio anagrafico del comune italiano di nascita dell’avo, la trascrizione degli atti nel registro dello stato civile. Con l’avvenuta trascrizione la procedura si intende conclusa. Il riconoscimento della cittadinanza italiana opera con effetto retroattivo alla nascita della persona. I richiedenti possono recarsi personalmente presso gli Uffici Consolari di residenza per richiedere l’iscrizione all’AIRE (Anagrafica italiani residenti all’estero) nonché il rilascio del passaporto italiano. La via amministrativa Come anzidetto, in alcuni casi è possibile anche scegliere la procedura amministrativa. La procedura amministrativa permette il riconoscimento della cittadinanza iure sanguinis senza instaurare un giudizio. Tuttavia, i tempi per ottenere il riconoscimento della cittadinanza sono più lunghi. La procedura amministrativa può svolgersi in due modalità, a seconda che il richiedente risieda all’estero o in Italia. Se risiede in Italia è possibile esperire la procedura amministrativa tramite il comune di residenza del richiedente, quindi è necessaria preliminarmente ottenere l’iscrizione anagrafica, ed è necessario avere ottenuto la residenza nel Comune in cui si intende esperire il procedimento amministrativo di riconoscimento della cittadinanza iure sanguinis, oltre ad avere preliminarmente, regolare permesso di soggiorno. Invece, per i residenti all’estero possono proporre istanza all’autorità consolare. I tempi di attesa per ottenere la cittadinanza iure sanguins in via amministrativa sono più lunghi. Se la procedura viene avviata personalmente in Italia, l’attesa varia in base al Comune, nel caso in cui la domanda è presentata all’estero, l’attesa varia in base al Consolato. Proprio per abbattere i tempi di attesa, e permettere al richiedente di continuare a risiedere all’estero è sempre consigliabile la via giudiziale . Di particolare importanza è la raccolta della documentazione e il rispetto della normativa di riferimento. A tal proposito importante è la circolare del ministero dell’interno la K.28.1 del 1992 che rappresenta una sorta di “vademecum” delle procedure da seguire per i cittadini stranieri che vogliono ottenere il riconoscimento della cittadinanza italiana. Naturalmente al fine di poter richiedere il riconoscimento della cittadinanza iure sanguinis, è necessario ricostruire la discendenza della cittadinanza italiana. Quindi è necessario partire dall’avo italiano, e verificare, attraverso la preliminare raccolta della documentazione che non vi sono stati processi di naturalizzazione o interruzione nella trasmissione della cittadinanza.

Pubblicazione legale

L'apertura del nostro sistema alle " ADR" ( Alternative dispute resolution): lo strumento della negoziazione assistita

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Da tempo si parla di una crisi dei sistemi giuridici tradizionali e della loro incapacità di rispondere alle esigenze di giustizia che la società moderna reclama. La giustizia tradizionale risente di un eccessivo carico di lavoro che comporta un insostenibile dilatazione dei tempi del processo ed un irragionevole aumento dei costi, anche per le cause-controversie di minor valore. In questo quadro si inserisce l'apertura alle “ ADR” Alternative dispute resolution e al diritto collaborativo. L’obiettivo è superare la stagnazione del processo civile odierno, grazie allo sviluppo di strumenti di risoluzione alternative delle controversie. Tecniche di risoluzione stragiudiziale delle controversie, al fine di prevenire le liti, decongestionare la giustizia ordinaria, rimediare ai conflitti in modo semplificato, poco costoso e rapido, così permettendo, da un lato una deflazione del carico dei processi pendenti dinnanzi ai tribunali, e dall’altro addivenire ad una risoluzione della controversia, nel minor tempo possibile, e con meno costi economici. Si annoverano, tra tali strumenti alternativi, la mediazione, l’arbitrato e la negoziazione assistita, di cui si ci occupa La negoziazione assistita è disciplinata dall’intero Capo II del decreto legislativo 132/2014 convertito, con modifiche, dalla legge 162 del 10 novembre 2014 , ed è finalizzata alla risoluzione stragiudiziale di una controversia tramite l’assistenza di avvocati iscritti all’albo, espressione di un diritto cd collaborativo, di “collaborative law” di esperienza nordamericana, nonché alla “procédure patecipative” regolata nel codice civile e di procedura civile francese, che si svolge completamente nell’ambito dell’autonomia privata, in cui occupa un ruolo centrale l’avvocato, il quale da semplice “ litigator” che affini le sua armi per sbaragliare l’avversario e vincere la causa per il cliente, vede esaltata la sua figura di consulente, di paciere che, svolge la sua attività volta a pacificare, a conciliare, a mediare, affinché si riesca ad individuare una soluzione, o meglio una risoluzione della controversia, che possa essere efficiente e soddisfacente, anziché alimentare e protrarre a lungo un litigio. In altre parole, il diritto collaborativo è un processo volontario e riservato in cui le parti coinvolte in una controversia lavorano insieme con l'aiuto di avvocati collaborativi e, se necessario, di altri professionisti neutrali (come consulenti finanziari, terapisti, ecc.) per negoziare un accordo legalmente vincolante. Questo metodo si basa su principi di comunicazione aperta, rispetto reciproco e impegno a risolvere le controversie in modo costruttivo. Un metodo più umano e costruttivo per gestire le dispute. il diritto collaborativo può essere visto come complementare ad altri metodi alternativi di risoluzione delle controversie (ADR), tra questi rientra la negoziazione assistita. La negoziazione assistita, è una ADR, basata sulla procedura di “convenzione di negoziazione assistita. La convenzione di negoziazione assistita, descritta dalla legge 132/2014, non è altro che un accordo sottoscritto dalle parti mediante le quale le stesse convengono di “cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole una controversia. L’obbiettivo della cooperazione è quello di raggiungere un soddisfacente accordo conciliativo volto ad evitare il ricorso alla giurisdizione e a consentite la rapida formazione di un titolo esecutivo in via del tutto stragiudiziale. La convenzione è redatta a pena di nullità in forma scritta e deve contenere: a) Il termine concordato delle parti per l’espletamento della procedura, in ogni caso non inferiore ad un mese e non superiore a tre mesi, prorogabile per ulteriori trenta giorni su accordo tra le parti; b) L’oggetto della controversia che non può riguardare diritti indisponibili. La convenzione è conclusa con l’assistenza di uno o più avvocati, che certificano le sottoscrizioni apposte ad essa (art. 2 c.6). È peraltro un dovere deontologico per gli avvocati quello di informare l’assistito all’atto di conferimento dell’incarico, della possibilità di ricorrere alla convenzione di negoziazione. Ma oltre ad essere un dovere deontologico, ritengo che lo strumento delle negoziazione assistita, sia per l’avvocato un’opportunità tentare di derimere la controversia mediante la stipula di una negoziazione assistita, questo infatti, permette allo stesso di addivenire ad una risoluzione nel minor tempo possibile e di non dover attendere i tempi della giustizia tradizionale, al contempo, offre un notevole vantaggio per il proprio assistito, il quale nel minor tempo riesce ad ottenere un soluzione alla propria causa e al contempo a ridurre i costi economici. Allo stesso tempo, gli effetti benefici si riflettono anche sull’intero sistema riducendo il carico dei giudizi pendenti dinnanzi all’autorità giudiziaria, quindi si riflette positivamente anche in termini di economia processuale, fermo restando i casi in cui la legge, prevede quale condizione di procedibilità la negoziazione assistita obbligatoria. Di particolare favore è la negoziazione assistita in ambito familiare, grazie al quale oggi è possibile la negoziazione per le soluzioni consensuali di separazione personale, di cessazione degli effetti civili o di scioglimento di matrimonio, di modifica delle condizioni di separazione e divorzio. Quindi, in conclusione, il dl. 132/82021 prevede tre diverse forme di negoziazione assistita: 1. La negoziazione assistita obbligatoria; 2. la negoziazione assistita volontaria; 3. la negoziazione per le soluzioni consensuali di separazione personale, di cessazione degli effetti civili o di scioglimento di matrimonio, di modifica della condizioni di separazione e divorzio. Nelle negoziazione assistita obbligatoria, la legge individua una serie di controversie per le quali la negoziazione assistita costituisce una condizione di procedibilità. Più precisamente, chi intende esercitare in giudizio un’azione in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti o proporre in giudizio una domanda di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti 50.000 euro, ad eccezione delle controversie assoggettate alla disciplina della mediazione obbligatoria, deve esperire tramite il suo avvocato un procedimento di negoziazione assistita quale condizione di procedibilità. La negoziazione assistita volontaria La procedura di negoziazione volontaria presuppone l’intenzione comune delle parti di addivenire ad una risoluzione stragiudiziale della controversia tra loro pendente, espressione di autonomia privata, in cui le parti negoziazione le proprie ragioni e spontaneamente addivengono ad una soluzione amichevole della controversia, cioè ad un accordo. La negoziazione assistita in ambito familiare. La negoziazione assistita per le soluzioni consensuali di separazione personale, di cessazione di cessazione degli effetti civili o di scioglimento di matrimonio, di modifica della condizioni di separazione e divorzio, di affidamento e mantenimento dei figli nati fuori del matrimonio, e loro modifica, e di alimenti, costituisce una ipotesi di negoziazione volontaria, in ambito familiare. La negoziazione assistita in ambito familiare, permette attraverso l’utilizzo di un’istituto più flessibile dell’intervento del giudice di separarsi, divorziare o modificare le condizioni della separazione e del divorzio, riconoscendo alle coppie in crisi un rimedio alternativo alla tutela giurisdizionale di addivenire ad una separazione e/o divorzio in via stragiudiziale, con una notevole riduzione dei tempi e dei costi inerenti alla separazione e/o divorzio tradizionale. Il diritto collaborativo e lo sviluppo delle adr nel nostro ordinamento può essere davvero un’opportunità, tant’è che L’art. 11, comma secondo, del decreto-legge n. 132/2014 dispone che “con cadenza annuale il Consiglio nazionale forense provvede al monitoraggio delle procedure di negoziazione assistita e ne trasmette i dati al Ministero della giustizia”, pertanto sul sito del ministero della giustizia è disponibile un report dell’utilizzo dello strumento della negoziazione assistita nei vari tribunali e nei singoli settori.

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Nicoletta Genovese
C/da Vignale N.12
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