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Avvocato Nicoletta Genovese a Rivello

Nicoletta Genovese

Avvocato

Informazioni generali

Sono un avvocato che grazie alla collaborazione con diversi studi legali ha maturato esperienza sia nel settore giudiziale che stragiudiziale in materia di diritto civile e diritto dell'immigrazione. In particolare mi occupo di diritto di famiglia, separazioni, divorzio, contrattualistica, responsabilità civile et al, recupero crediti, negoziazione assistita, diritto del lavoro e diritto dell'immigrazione. Lo studio è in Basilicata a Rivello in provincia di Potenza, ma fornisco assistenza in tutto il territorio nazionale.

Esperienza


Diritto amministrativo

Fornisco assistenza a persone che hanno subito espropri per pubblica utilità dalla fase stragiudiziale alla fase giudiziale, cercando di predisporre degli accordi stragiudiziali soddisfacenti per l'assistito, fornendo assistenza e consulenza in tutte le fasi del procedimento espropriativo.


Diritto civile

Ho fatto una pratica nel settore del diritto civile che mi ha permesso di approfondire le tematiche proprie del diritto civile. In particolare, attualmente mi sto dedicando alla tematica del risarcimento danni da somministrazione di vaccini-vaccini covid 19, nonché risarcimento danni da somministrazioni di trasfusione ed emoderivati e, in generale, malasanità. Ma seguo anche casi che spaziano dal diritto di famiglia ( separazione e divorzi sia consensuali che giudiziali) alla responsabilità civile (infortunistica stradale- infortunistica), alla contrattualistica, al recupero crediti e al diritto del lavoro.


Diritto del lavoro

Mi occupo di assistenza e consulenza in diritto del lavoro, sia in sede giudiziale che stragiudiziale. Aiuto i lavoratori a far valere i loro diritti in diverse situazioni, tra cui Impugnazione di licenziamenti illegittimi,dimissioni per giusta causa, richieste di differenze retributive (ad esempio, straordinari non pagati) Controversie per mobbing, straining e stalking sul luogo di lavoro Il mio obiettivo è tutelare i lavoratori, offrendo supporto per affrontare e risolvere le ingiustizie subite.


Altre categorie

Immigrazione e cittadinanza, Malasanità e responsabilità medica, Separazione, Divorzio, Incidenti stradali, Risarcimento danni, Negoziazione assistita, Mobbing, Diritto assicurativo, Recupero crediti, Contratti, Licenziamento, Domiciliazioni, Matrimonio, Diritto di famiglia, Diritto militare, Ricorso al TAR, Pignoramento, Diritto penale.



Credenziali

Pubblicazione legale

Espropriazione per pubblica utilità per la realizzazione dell’alta velocità nel sud Italia. Tutela del cittadino tra strumenti stragiudiziali e giudiziali.

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L'esproprio per pubblica utilità rappresenta uno strumento attraverso il quale la pubblica amministrazione (PA) acquisisce, in modo coattivo-autoritativo, la proprietà di beni per realizzare opere di interesse pubbliche, quali infrastrutture strategiche come l’alta velocità ferroviaria. Nel contesto del Sud Italia, dove si registra un forte ritardo infrastrutturale rispetto al resto del Paese, la realizzazione di linee ferroviarie ad alta velocità assume una valenza cruciale per lo sviluppo economico e sociale del territorio. Tuttavia l’esproprio, solleva questioni rilevanti in termini paesaggistici e di tutela dei diritti dei cittadini, tanto sul piano amministrativo quanto su quello giudiziario. 1. Quadro normativo sull’esproprio per pubblica utilità Per un corretto inquadramento della questione è necessario soffermarsi sul quadro normativo di riferimento. Il procedimento espropriativo in Italia è regolato dal DPR n 327 del 8 giugno 2021 (Testo unico sugli Espropri). Tale normativa prescrive, tra le altre, le modalità procedurali per dichiarare la pubblica utilità di un’opera, determinare l’indennità espropriativa e individua gli strumenti volti a garantire la tutela del cittadino. Innanzitutto per la dichiarazione di pubblica utilità è necessario che l’opera sia previsto un atto di programmazione pubblica, come un piano urbanistico o un progetto approvato da un’autorità competente. Nel caso dell’alta velocità ferroviaria, la pubblica utilità deriva dal riconoscimento dell’opera come intervento strategico di interesse nazionale, ai sensi del codice degli appalti DLGS 50/216, e del Piano Nazionale di Ripresa e Resilenza ( PNRR), che destina i fondi specifici alla modernizzazione infrastrutturale del mezzogiorno. 2. Fasi del procedimento espropriativo Il procedimento espropriativo si articola in diverse fasi che sono dettagliatamente individuate dalla legge citata: a) Dichiarazione di pubblica utilità. È l’atto fondamentale che legittima l’esproprio e delimita l’area interessata; b) Determinazione dell’indennità. L’indennità espropriativa deve garantire un giusto ristoro al proprietario, ai sensi dell’articolo 42 della costituzione e viene calcolata tenendo conto del valore venale del bene e di eventuali maggiorazioni; c) Emanazione del decreto di esproprio, è l’atto mediante il quale si trasferisce il bene alla p.a. 3. Strumenti di tutela del cittadino stragiudiziali La normativa prevede alcuni strumenti stragiudiziali a disposizione del cittadino per contestare o negoziare i termini dell’esproprio, nel rispetto del principio secondo il quale la partecipazione del proprietario deve essere garantito in tutte le diverse fasi del procedimento. Tra i rimedi stragiudiziali si annoverano: a) Osservazioni preliminari. Durante la fase di adozione della dichiarazione di pubblica utilità, i proprietari possono presentare osservazioni o opposizioni, soprattutto per dimostrare che il bene non è indispensabili per la realizzazione dell’opera e che esistono alternative progettuali meno impattanti; b) Accordi bonari: la normativa incentiva soluzioni consensuali tra la Pubblica amministrazione e i proprietari soprattutto nella fase di determinazione dell’indennità. Gli accordi bonari consentono di evitare conflitti e accelerare i tempi; c) Istanza di revisione dell’indennità: se il proprietario non accetta l’indennità proposta, può richiedere una revisione tramite una commissione provinciale o un perito nominato dalla P.A.; 4. strumenti di tutela del cittadino giudiziali Se la tutela stragiudiziale non permette di ottenere una risoluzione soddisfacente, il cittadino può ricorrere al giudice per ottenere il riconoscimento dei propri diritti, tra questi si annoverano: ricorsi e impugnazioni: a) Ricorso al TAR: il cittadino può impugnare la dichiarazione di pubblica utilità o il decreto di esproprio dinnanzi al Tribunale Amministrativo. Le principali motivazioni di impugnazione riguardano vizi procedurali, carenza di motivazione, mancata valutazione delle osservazioni presentate; b) Opposizione alla stima dell’indennità. La contestazione dell’indennità può essere presentata dinnanzi alla Corte d’Appello competente nel cui distretto si trova il bene espropriato , in funzione di giudice ordinario. Il cittadino può richiedere in altri termini, un riesame del calcolo effettuato, soprattutto se si ritiene che il valore del bene non sia stato adeguatamente considerato, entro il termine perentorio di 30 giorni dalla notifica del decreto di esproprio o dalla notifica della stima peritale, se quest'ultima sia successiva al decreto di esproprio. Il termine è di sessanta giorni se il ricorrente risiede all'estero. c) Azione risarcitoria. In caso di esproprio illegittimo o ritardi nell’erogazione dell’indennità il proprietario può chiedere un risarcimento dei danni subiti. 5. Criticità nell’esproprio per l’alta velocità nel sud Italia Nel contesto specifico del sud Italia, l’esproprio per l’alta velocità, a mio modesto parere, incontra ulteriori complessità: a) Conflitti sociali e ambientali: le comunità locali spesso si oppongono agli espropri, percepiti come invasivi e non rispettosi del tessuto socio-economico del territorio. Alla perdita subita a seguito dell’espropriò non corrisponde per il cittadino espropriato un vantaggio equivalente alla perdita subita, e forse non corrisponde un vantaggio neppure per l’intera comunità! Con una netta sproporzione in termini di costi-benefici; b) Disparità di trattamento: si registrano differenze significative nella valutazione delle indennità espropriative rispetto al valore effettivo del bene, che possono penalizzare i proprietari. 6. Conclusioni L’esproprio per pubblica utilità finalizzata alla realizzazione dell’alta velocità nel Sud Italia rappresenta una sfida cruciale per il bilanciamento di due interessi contrapposti: interesse pubblico e tutela dei cittadini. Mentre gli strumenti stragiudiziali offrono la possibilità di negoziazione e partecipazione, la tutela giudiziale costituisce un presidio fondamentale per garantire che il procedimento espropriativo rispetti i principi di legalità, e soprattutto giusto ristoro, e al contempo permettere, in ultimo ma non per importanza, anche una tutela del territorio.

Pubblicazione legale

Il riconoscimento della cittadinanza ius sanguinis/ iure sanguinis

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Nel nostro ordinamento la cittadinanza si acquista prioritariamente per nascita : è considerato cittadino italiano il figlio di padre e di madre cittadini per discendenza diretta dall’avo cittadino italiano . La legge di riferimento è la legge 91/1992, in virtù della quale, il discendente emigrato italiano che non abbia conseguito la cittadinanza straniera, può rivendicare il riconoscimento della cittadinanza italiano iure sanguinis . Ragion per cui, anche i discendenti di seconda, terza e quarta generazione, ed oltre, (all'infinito) di emigrati italiani possono essere dichiarati cittadini per filiazione, cioè per cittadinanza ius sanguinis, purché non vi sia stata una interruzione nella trasmissione della cittadinanza. Per ottenere la cittadinanza iure sanguinis occorrono due requisiti: la discendenza da soggetto italiano ( l’avo emigrato); l’ assenza di interruzioni nella trasmissione della cittadinanza. È quindi necessario per il richiedente dare prova della mancata naturalizzazione straniera , non solo dell’avo italiano, ma anche dei suoi discendenti in linea retta, prima della nascita della successiva generazione, fino ad arrivare al richiedente. Il problema della naturalizzazione si è avvertito in particolar modo in Brasile, tra il 1889 e 1891 a seguito della grande naturalizzazione. Il Governo Brasiliano, in virtù del decreto 58 A del 1889, stabiliva che gli Italiani presenti in territorio Brasiliano alla data del 15.11.1889 avrebbero ottenuto la “naturalizzazione automatica” brasiliana a meno che non avessero manifestato dinanzi ai propri consolati la volontà di permanere cittadini della nazione di origine, entro sei mesi dalla data di pubblicazione del decreto. La grande naturalizzazione veniva utilizzata dal Ministero dell’Interno per contestare la trasmissione dello "status civitatis" per supposta automatica perdita della cittadinanza italiana dell’avo italiano che in quel periodo storico era emigrato in Brasile. La sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite il 24.08.2022, n. 25318 ha definitivamente ritenuto illegittima tale norma. In particolare ha ritenuto che la norma straniera deve essere messa in stretta correlazione con le disposizioni del codice civile all'epoca vigente, ergo, il codice civile del 1865. L’art. 11, n. 2, cod. civ. 1865, nello stabilire che la cittadinanza italiana è persa da colui che abbia “ottenuto la cittadinanza in paese estero”, sottintende, per gli effetti sulla linea di trasmissione iure sanguinis ai discendenti, che si accerti il compimento, da parte della persona all’epoca emigrata, di un atto spontaneo e volontario finalizzato all’acquisto della cittadinanza straniera in applicazione del principio secondo il quale: "le norme del diritto internazionale e le leggi estere, non possono essere contrastanti con le leggi del nostro stato afferenti alle persone, all’ordine pubblico e al buon costume". Ragion per cui , in materia di cittadinanza non è previsto alcun automatismo , in quanto per la perdita della cittadinanza italiana è necessaria una esplicita rinuncia . La trasmissione della cittadinanza iure sanguinis La trasmissione della cittadinanza iure sanguinis può avvenire in linea maschile ( paterna) o in linea femminile ( materna). Il riferimento normativo è l'art. 1 della legge 91/1992, ai sensi del quale: " è cittadino per nascita: il figlio di padre o di madre cittadini ". Questo significa che colui che è nato in uno stato straniero ha diritto ad essere riconosciuto cittadino italiano se dimostra di avere un avo italiano senza limiti generazionali , purché la catena di trasmissione della cittadinanza non si sia interrotta per naturalizzazione o per rinuncia di uno degli ascendenti prima della nascita del figlio cui si vorrebbe trasmettere la cittadinanza. La trasmissione può quindi avvenire in linea femminile-materna e in linea maschile-paterna. Se per la trasmissione in linea maschile-paterna non vi sono limiti, nel passato si riscontravano dei limiti per la trasmissione in via materna della cittadinanza. Infatti, l’articolo 10 della legge 555/1912 stabiliva la perdita della cittadinanza italiana per la donna che si univa in matrimonio con un cittadino straniero. Tuttavia, la legge 555/1912 è stata considerata costituzionalmente illegittima in applicazione del principio di uguaglianza e della parità dei coniugi, quindi la possibilità della trasmissione della cittadinanza italiana anche per linea materna. Principio oggi ribadito anche dalla Suprema Corte di Cassazione. Gli Ermellini hanno affermato che: “ per effetto delle sentenze della Corte Costituzionale, deve essere riconosciuto il diritto allo status di cittadino italiano al richiedente nato all’estero da figli di donna italiana coniugata con cittadino straniero nel vigore della L. 555/1912 che sia stata, di conseguenza, privata della cittadinanza italiana a causa del matrimonio ”. Come ottenere il riconoscimento della cittadinanza italiana iure sanguinis Il riconoscimento della cittadinanza italiana iure sanguinis può avvenire attraverso due procedure: la procedura giudiziale e la procedura amministrativa. La procedura giudiziale La procedura giudiziale, è la procedura che permette di ottenere il riconoscimento della cittadinanza iure sanguinis in maniera più celere , in quanto i tempi per ottenere il riconoscimento della cittadinanza in via amministrativa, attraverso il Consolato, sono molto lunghi. Basti pensare che i tempi per essere chiamati al consolato possono superare i 10 anni. È preferibile, allora la via giudiziale. Il Tribunale Roma con la sentenza n. 2055/ 2019 ha riconosciuto la problematica delle lunghissime liste di attesa e le ha considerate un diniego di riconoscimento del diritto vantato dai richiedenti, giustificando così il loro accesso alla via giurisdizionale. Sulla scia di tale orientamento, recenti sentenze del Tribunale di Roma hanno previsto che non è necessario attendere 730 giorni prima di iniziare l’azione giudiziaria. Singoli passaggi della procedura giudiziale Innanzitutto bisogna premettere, che dal 2021 è cambiata la legge, e pertanto, la competenza a decidere la domanda di cittadinanza iure sanguinis non è più il Tribunale di Roma, ma è il Tribunale del foro di nascita dell’avo italiano . Il procedimento è disciplinato dalla legge delega 206/2021 la quale prevede al comma n. 36: “ quando l’attore risiede all’estero le controversie di accertamento dello stato di cittadinanza italiana sono assegnate avendo riguardo al comune di nascita del padre, della madre o dell’avo cittadini italiani ”. Quindi, la competenza in materia di domanda di cittadinanza ius sanguinis è delle Sezioni Specializzate in materia di immigrazione e cittadinanza del tribunale del luogo del comune di nascita dell’avo cittadino italiano . Il procedimento, oggi, a seguito della cd Riforma Cartabia si svolge secondo le norme del rito semplificato di cognizione, di cui all’articolo 281 decies e ss c.p.c. È necessaria l’assistenza di un legale, ed è necessaria la procura notarile per la rappresentanza in giudizio. All'uopo è opportuno dotarsi di una procura redatta da un notaio e successivamente tradotta, e in alcuni casi apostillata. Non è necessaria la presenza dei ricorrenti in Italia. Per poter presentare la domanda giudiziale di riconoscimento della cittadinanza iure sanguinis, di particolare importanza è la raccolta della documentazione . I documenti raccolti, formati all’estero, devono ai sensi del DPR. 445/2000, essere tradotti in lingua italiana e muniti di legalizzazione consolare . La validità dei certificati è disciplinata dall’ art. 41 del DPR 445/2000 che stabilisce la validità illimitata dei certificati rilasciati dalle pubbliche amministrazioni attestanti stati, qualità personali e fatti non soggetti a modificazione. Le restanti certificazioni hanno invece validità di sei mesi. La stessa legge si applica anche ai documenti prodotti in Italia. Nell’ambito del processo giudiziale incombe l’onere sulla parte che richiede il riconoscimento della cittadinanza italiana di fornire la prova del suo diritto , quindi la prova della filiazione da discendente italiano per cui, di fondamentale importanza è la raccolta della documentazione, che costituirà prova del rapporto di filiazione . Ottenuto il riconoscimento della cittadinanza italiana, l’avvocato provvederà a richiedere, all’ufficio anagrafico del comune italiano di nascita dell’avo, la trascrizione degli atti nel registro dello stato civile. Con l’avvenuta trascrizione la procedura si intende conclusa. Il riconoscimento della cittadinanza italiana opera con effetto retroattivo alla nascita della persona. I richiedenti possono recarsi personalmente presso gli Uffici Consolari di residenza per richiedere l’iscrizione all’AIRE (Anagrafica italiani residenti all’estero) nonché il rilascio del passaporto italiano. La via amministrativa Come anzidetto, in alcuni casi è possibile anche scegliere la procedura amministrativa. La procedura amministrativa permette il riconoscimento della cittadinanza iure sanguinis senza instaurare un giudizio. Tuttavia, i tempi per ottenere il riconoscimento della cittadinanza sono più lunghi. La procedura amministrativa può svolgersi in due modalità, a seconda che il richiedente risieda all’estero o in Italia. Se risiede in Italia è possibile esperire la procedura amministrativa tramite il comune di residenza del richiedente, quindi è necessaria preliminarmente ottenere l’iscrizione anagrafica, ed è necessario avere ottenuto la residenza nel Comune in cui si intende esperire il procedimento amministrativo di riconoscimento della cittadinanza iure sanguinis, oltre ad avere preliminarmente, regolare permesso di soggiorno. Invece, per i residenti all’estero possono proporre istanza all’autorità consolare. I tempi di attesa per ottenere la cittadinanza iure sanguins in via amministrativa sono più lunghi. Se la procedura viene avviata personalmente in Italia, l’attesa varia in base al Comune, nel caso in cui la domanda è presentata all’estero, l’attesa varia in base al Consolato. Proprio per abbattere i tempi di attesa, e permettere al richiedente di continuare a risiedere all’estero è sempre consigliabile la via giudiziale . Di particolare importanza è la raccolta della documentazione e il rispetto della normativa di riferimento. A tal proposito importante è la circolare del ministero dell’interno la K.28.1 del 1992 che rappresenta una sorta di “vademecum” delle procedure da seguire per i cittadini stranieri che vogliono ottenere il riconoscimento della cittadinanza italiana. Naturalmente al fine di poter richiedere il riconoscimento della cittadinanza iure sanguinis, è necessario ricostruire la discendenza della cittadinanza italiana. Quindi è necessario partire dall’avo italiano, e verificare, attraverso la preliminare raccolta della documentazione che non vi sono stati processi di naturalizzazione o interruzione nella trasmissione della cittadinanza.

Pubblicazione legale

Le "ADR" ( le alternative dispute resolution) nel diritto di famiglia: la negoziazione assistita nella crisi coniugale

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Nel diritto di famiglia, o meglio nel sistema di tutela della famiglia, sono stati introdotti nuovi mezzi per la risoluzione delle controversie. Da tempo, si è iniziato a parlare dell'apertura delle "ADR" ( Alternative dispute resolution) in ambito familiare, ed in particolare con il decreto legge 132/2014 si è prevista la possibilità di utilizzare lo strumento della negoziazione assistita nella crisi coniugale. Grazie a questa apertura, oggi è possibile utilizzare questo strumento più soft, più flessibile per separarsi, divorziare o modificare le condizioni della separazione e del divorzio, in via del tutto stragiudiziale, senza adire la giustizia tradizionale, evitando in altri termini di andare in tribunale, con un risparmio sia in termini di costi che di tempi, oltrechè di stress. Fornendo in questo modo una risoluzione alla crisi coniugale più umana, fondata su un dialogo, che permette ai coniugi, assistiti dai propri avvocati, di negoziare e di concludere una " convenzione di negoziazione assistita", quindi di separarsi o di divorziare per il tramite di un accordo condiviso. In altri termini si permette ai coniugi in crisi, attraverso un iter procedimentale semplificato, di esaltare la loro autonomia privata nell'ambito famigliare, ed di svecchiare gli istituti della separazione e del divorzio, esaltando il momento del matrimonio non come semplice atto, ma come rapporto. Significa cioè riconoscere al " consortio" familiare quella natura di rapporto giuridico ove si sviluppa la personalità dei propri membri anche nella fase finale della rottura, esaltandone l'aspetto personale, permettendo di non considerare il momento della rottura, della separazione, come un momento meramente burocratico. Centrale è il ruolo dell'avvocato, che ispirandosi e facendo propri i principi nord-americani di " collaborative law", di un diritto collaborativo, non si limita solo a difendere, a battagliare le ragioni del proprio assistito, ma si fa da paciere, da conciliatore e, applicando concretamente le proprie capacità di negoziazione e di mediazione, aiuta a trovare alla coppia in crisi una soluzione efficiente ed efficace per porre fine alla crisi coniugale e addivenire alla separazione, allo scioglimento del rapporto matrimoniale nella maniera più indolore possibile.

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