Avvocato Nicoletta Genovese a Rivello

Nicoletta Genovese

Avvocato civilista, giuslavorista e immigrazionista

Informazioni generali

Sono un avvocato che grazie alla collaborazione con diversi studi legali ha maturato una consolidata esperienza sia nel settore giudiziale che stragiudiziale in materia di diritto civile, diritto dell'immigrazione e diritto del lavoro. In particolare nel settore del diritto civile mi occupo di separazioni, divorzio, contrattualistica, responsabilità civile, infortunistica, infortunistica stradale, recupero crediti, diritto condominiale et al. Mi occupo inoltre di diritto del lavoro e diritto dell'immigrazione. Lo studio è in Basilicata a Rivello in provincia di Potenza, ma fornisco assistenza in tutto il territorio nazionale.

Esperienza


Malasanità e responsabilità medica

Impegnata in materia di responsabilità del medico e da somministrazione di vaccini. Ho assistito clienti per la richiesta di indennizzo a seguito del verificarsi di eventi avversi subiti dalla somministrazione di vaccini, trasfusioni ed emoderivati, sia durante la fase amministrativa di richiesta di indennizzo che nella fase giudiziale, oltreché che nelle controversie relative alla richiesta del risarcimento dei danni. In particolare fornisco un assistenza e consulenza il più possibile personalizzata, sin dalla raccolta e valutazione iniziale della documentazione.


Diritto civile

Ho fatto una pratica nel settore del diritto civile che mi ha permesso di approfondire le tematiche proprie del diritto civile. In particolare, attualmente mi sto dedicando alla tematica del risarcimento danni da somministrazione di vaccini-vaccini covid 19, nonché risarcimento danni da somministrazioni di trasfusione ed emoderivati e, in generale, malasanità. Mi occupo inoltre di diritto di famiglia ( separazione e divorzi sia consensuali che giudiziali, anche internazionali), responsabilità civile (infortunistica stradale- infortunistica-), contrattualistica, recupero crediti, diritto condominiale, diritto del lavoro.


Diritto del lavoro

Mi occupo di assistenza e consulenza in diritto del lavoro, sia in sede giudiziale che stragiudiziale. Aiuto i lavoratori a far valere i loro diritti in diverse situazioni, tra cui Impugnazione di licenziamenti illegittimi, dimissioni per giusta causa, richieste di differenze retributive (ad esempio, straordinari non pagati), controversie per mobbing, straining e stalking sul luogo di lavoro, infortuni sul posto di lavoro. Fornisco inoltre assistenza per l'accesso al fondo di garanzia INPS per il TFR e i crediti di lavoro. Il mio obiettivo è tutelare i lavoratori, offrendo supporto per affrontare e risolvere le ingiustizie subite.


Altre categorie

Immigrazione e cittadinanza, Diritto di famiglia, Diritto condominiale, Separazione, Divorzio, Incidenti stradali, Risarcimento danni, Negoziazione assistita, Domiciliazioni e sostituzioni, Mobbing, Sicurezza ed infortuni sul lavoro, Diritto assicurativo, Recupero crediti, Contratti, Licenziamento, Diritto amministrativo, Matrimonio, Diritto militare, Diritto tributario, Diritto bancario e finanziario, Pignoramento, Diritto penale.



Credenziali

Pubblicazione legale

La responsabilità del medico derivante dalla violazione del consenso informato: il nuovo rapporto medico-paziente

Pubblicato su IUSTLAB

Il con(senso) informato è attuazione del diritto alla salute nella sua globalità, finalizzato a garantire l’autodeterminazione del singolo individuo in merito alla propria salute. La nozione di consenso informato si inserisce in un’ottica personalista del rapporto medico paziente e non più paternalista; una nozione che pone al centro la persona in linea con l’articolo 2 della costituzione e la sua autonomia e libertà (art.13 cost.). L’istituto del consenso informato è attuazione del principio di autodeterminazione , volto a consentire a ciascun individuo di compiere scelte consapevoli in merito alla propria salute, ed il più possibile conformi al proprio stile di vita, alle proprie convinzioni etico-sociali e alla propria cultura. Non a caso, il principio di autodeterminazione trova le sue radici nel secondo comma dell’articolo 32 della costituzione: (che disciplina il diritto alla salute) “ Nessun trattamento sanitario può essere imposto se non per disposizione di legge ”. Nessuna legge può costringere un individuo a sottoporsi a un determinato trattamento sanitario. Salvo nei casi in cui sia previsto un Trattamento Sanitario Obbligatorio, in quanto non esiste un obbligo giuridico di tutelare la propria salute. In tal senso, il consenso informato, disciplinato dalla legge 219 del 2017 (Consenso informato e direttive anticipate di trattamento) è fonte di responsabilità medica, anche penale. Alla base del consenso informato vi è un diritto riconosciuto al paziente: il diritto all'informazione . I medici sono tenuti a fornire una chiara ed esaustiva informazione ai pazienti. Informazione che deve essere adatta ad un malato concreto, con una propria esperienza e cultura. Si deve, in altre parole, instaurare un dialogo aperto e sincero. Un dialogo che permetta al paziente di porre tutte le domande che ritiene necessarie (in merito agli aspetti tecnici, strutturali e alle possibili alternative terapeutiche). Il paziente deve essere in grado di comprendere la natura del trattamento sanitario cui si sottopone, i possibili sviluppi del percorso terapeutico, nonché le eventuali terapie alternative. Da ciò, ne discende, che per un valido consenso la legge prevede determinati requisiti. E’ necessario che esso sia libero , informato , attuale e revocabile in ogni momento. Deve essere espresso nelle forme richieste dalla legge, solitamente in forma scritta. La forma verbale può essere utilizzata solo se esiste un rapporto di fiducia tra medico e paziente. Tuttavia, se si tratta di un esame clinico o di una terapia che può comportare gravi conseguenze per la salute e l’incolumità della persona, è necessaria la forma scritta, come accade ad es. nell’assunzione di un farmaco in via sperimentale. Il consenso solitamente è personale, salvo i casi di minore età o di incapacità . Nel primo caso (salvo il diritto del minore a essere informato e a esprimere anche in relazione all’età i suoi desideri) è espresso dai genitori esercenti la responsabilità genitoriale, nel secondo (a seconda del tipo di incapacità) dal: tutore , curatore o amministratore di sostegno . Fatto sempre salvo, il diritto della persona incapace a essere informata. Vi sono casi in cui l’obbligo del consenso informato viene meno, come nel caso di necessità ed urgenza, nei casi di TSO o ancora di vaccinazioni obbligatorie (n.d.r solo per queste). Nel caso in cui il consenso non venga prestato vi è il rifiuto al trattamento. Un dissenso informato-consapevole. Pertanto il medico ha obbligo di non eseguire o di interrompere l’esame clinico o la terapia. Violazioni del consenso informato e responsabilità La violazione del consenso è fonte di responsabilità , anche penale dei medici, chiamati a rispondere, per aver estorto o non raccolto il consenso dei propri pazienti. Il medico e gli esercenti le professioni sanitarie per non incorrere in responsabilità devono verificare che vi sia una valida manifestazione del consenso informato da parte dei propri pazienti. Il non corretto adempimento dell’obbligo informativo, anche a fronte di un trattamento sanitario corretto ma non voluto, espone il professionista e la struttura sanitaria a eventuali richieste risarcitorie da parte del paziente, qualora a seguito di un deficit informativo subisca un pregiudizio. Oneri probatori in capo al paziente La legge impone al paziente di provare che se fosse stato in possesso di una compiuta informazione non avrebbe prestato il consenso all’intervento. Onere della prova che può essere assolto con qualsiasi mezzo, anche il notorio. Il paziente, in definitiva può chiedere il risarcimento per: omessa o insufficiente informazione in relazione a un intervento al quale, se debitamente informato, avrebbe scelto di non sottoporsi. In questo caso oltre al risarcimento per eventuali danni alla salute, sarà dovuto anche un risarcimento per la lesione del diritto all’autodeterminazione del paziente; omessa o insufficiente informazione in relazione a un intervento che ha cagionato un danno alla salute senza alcuna colpa del medico, a cui il paziente, se debitamente informato , non si sarebbe sottoposto. In questo caso il paziente avrà diritto a un risarcimento per la violazione del diritto all’autodeterminazione oltre al risarcimento per il danno alla salute . omessa o incompleta attività diagnostica che, pur non avendo cagionato un danno alla salute del paziente, gli ha precluso l’accesso a più accurati accertamenti e trattamenti. In questo caso, il danno da lesione del diritto all’autodeterminazione sarà risarcibile qualora il paziente dimostri che dal deficit informativo siano derivate conseguenze pregiudizievoli, sia in termini di sofferenza soggettiva che di diminuzione della propria libertà di scelta. La liquidazione del danno In merito alla liquidazione del danno , l’Osservatorio del Tribunale di Milano ha individuato 4 ipotesi: per un pregiudizio di lieve entità la liquidazione è compresa tra € 1.000 e € 4.000; per un pregiudizio di media entità si può arrivare sino a € 9.000; per un pregiudizio di grave entità si può arrivare a € 20.000; per un pregiudizio di eccezionale entità si va oltre gli € 20.000.

Pubblicazione legale

Risarcimento del Danno per Morte a Seguito di Somministrazione di Sangue Infetto. Il risarcimento del Danno Parentale: Profili Giuridici e Giurisprudenziali.

Pubblicato su IUSTLAB

Abstract La somministrazione di sangue infetto, con conseguente decesso del paziente, rappresenta una delle più gravi violazioni del diritto alla salute e all'integrità fisica. In ambito giuridico, il risarcimento del danno si articola su due livelli principali: il danno subito direttamente dalla vittima in vita e il danno parentale, riconosciuto ai familiari superstiti. L'obiettivo del presente articolo è analizzare i profili giuridici e giurisprudenziali relativi alla responsabilità per trasfusione di sangue infetto e le modalità di risarcimento del danno ai congiunti della vittima. 1. Introduzione La trasfusione di sangue infetto è una problematica di rilevanza medica e giuridica che ha dato origine a numerose controversie giudiziarie. Tale evento lesivo può derivare da omissioni o negligenze nella raccolta, conservazione e somministrazione del sangue, con gravi ripercussioni sulla salute del paziente e sulla sua famiglia. La giurisprudenza italiana ha delineato specifici criteri di responsabilità e risarcibilità del danno, anche alla luce di avvenimenti storici che hanno caratterizzato il nostro Paese. 2. Responsabilità per la somministrazione di sangue infetto La responsabilità per danni da trasfusione infetta può essere ricondotta a due principali figure giuridiche: - Responsabilità contrattuale, nei casi in cui la prestazione sanitaria sia stata fornita nell'ambito di un rapporto di cura e assistenza; - Responsabilità extracontrattuale, nei casi in cui il danno derivi da comportamenti omissivi o negligenti, anche in assenza di un rapporto diretto tra paziente e struttura sanitaria. Il principio di riferimento è l'art. 2043 del Codice Civile, che sancisce l'obbligo di risarcire il danno ingiusto, nonché l’art. 1218 per la responsabilità contrattuale delle strutture sanitarie. La giurisprudenza ha inoltre riconosciuto la responsabilità dello Stato per omessa vigilanza e controllo sulla qualità del sangue e degli emoderivati (Cass. Civ., sez. III, n. 576/2020). 3. Il danno risarcibile alla vittima e ai familiari La vittima della trasfusione infetta può richiedere il risarcimento del danno biologico, morale ed esistenziale subito prima del decesso. Tuttavia, in caso di morte del paziente, sorgono ulteriori profili risarcitori in favore dei familiari superstiti, tra cui: - Danno iure hereditatis: rappresenta il risarcimento che spetta agli eredi per le sofferenze patite dalla vittima fino al momento della morte; - Danno iure proprio (danno parentale): consiste nel pregiudizio morale ed esistenziale subito dai congiunti per la perdita del rapporto affettivo con la vittima. Secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione (Cass. Civ., sez. III, n. 29789/2020), il danno parentale deve essere valutato in base a criteri quali l'intensità del legame affettivo, l’età della vittima e del superstite, nonché le ripercussioni sulla vita quotidiana. 4. La quantificazione del danno parentale La quantificazione del danno parentale avviene secondo parametri equitativi, con riferimento alle tabelle elaborate dai Tribunali (es. le Tabelle di Milano). I criteri di liquidazione considerano sia il danno non patrimoniale (dolore morale, sofferenza interiore) sia le conseguenze esistenziali nella vita del superstite (alterazione della qualità della vita, perdita di supporto morale e affettivo). 5. Giurisprudenza rilevante Negli ultimi anni, la giurisprudenza ha rafforzato il diritto al risarcimento dei familiari delle vittime di trasfusioni infette, riconoscendo l'autonoma rilevanza del danno parentale. Tra le sentenze più significative si annoverano: - Cass. Civ., sez. III, n. 11609/2019, che ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno morale ed esistenziale dei congiunti; - Cass. Civ., sez. Un., n. 26972/2008, che ha delineato i confini tra danno patrimoniale e non patrimoniale. Ma vi è di più, di particolare rilevanza sono le sentenze della Corte di Cassazione in merito alla decorrenza del termine di prescrizione, in particolare grazie al contributo del formante giurisprudenziale, si è riconosciuta la possibilità di ottenere oggi il risarcimento del danno per emotrasfusioni subite ad esempio nel 1976. Il principio di diritto elaborato dalla giurispdurenzade, è quello secondo il quale, in tema di danni lungolatenti il “dies a quo” a partire dal quale decorrono in termini di prescrizione è quello della effettiva conoscenza del nesso di causalità tra la somministrazione del sangue infetto e il danno cagionato, e non quello in cui si è verificato il danno conseguente alla somministrazione stessa. Quello che cioè rileva è il danno giuridicamente rilevante. Pertanto la Cassazione in molteplici pronunce ha affermato il principio secondo il quale: “ deve ritenersi che per un paziente privo di conoscenze mediche, la mera diagnosi di positività al Virus HCV non integri di per sé sola-ovvero in difetto di ulteriori e più specifiche informazioni fornite da parte del personale sanitario o comunque altrimenti acquisiti la consapevolezza e percezione della riconducibilità casuale della patologia epatica alla trasfusione di sangue (cfr. Cassazione Civile n. 25472/2024; Cassazione Civile n. 36548/2023; Cassazione Civile n. 2375/2024). 6. Conclusioni Il risarcimento del danno derivante dalla somministrazione di sangue infetto rappresenta un tema complesso che coinvolge aspetti di responsabilità sanitaria e diritti dei familiari superstiti. La giurisprudenza si è evoluta nel riconoscere un ristoro adeguato sia per la vittima in vita sia per i congiunti, sottolineando l'importanza di una valutazione caso per caso del danno subito.

Pubblicazione legale

La responsabilità civile del medico. Evoluzione normativa

Pubblicato su IUSTLAB

La responsabilità del medico e dell'esercente le professioni sanitarie è stato oggetto di una continua evoluzione normativa. Partendo dalla diatriba obbligazioni di mezzi, obbligazioni di risultato, si è cercato di individuare, nel corso del tempo, una disciplina che riuscisse da un lato a garantire una tutela effettiva al paziente dalla cd malpractice, dall'altro una tutela del medico, garantendo una evoluzione del rapporto medico paziente armonioso, tale da mettere al riparo dalla malpractice e dalla medicina difensiva . Fino al 2012 , anno di emanazione del decreto Balduzzi , la materia della responsabilità del medico era disciplinata applicando i principi generali dell’ordinamento. Il riferimento era agli artt. 2230 e seg. del c.c .. In particolare si inquadrava la responsabilità del medico nell’alveo delle norme dedicate all’esercizio dell’attività professionale e delle obbligazioni. Partendo dal presupposto che la professione medica è una professione intellettuale, al fine di circoscrivere la responsabilità del medico si invocava l’applicazione dell’articolo 2236 del c.c. ai sensi del quale: “ Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni ,se non in caso di dolo o colpa grave ”, limitando così l’attribuzione di responsabilità in capo al medico al solo dolo o alla colpa grave. Le richieste della medicina moderna Ben presto, la medicina moderna ha rilevato la fallacia di un simile sistema normativo . Nuove esigenze della medicina e lo sviluppo di una nuova considerazione di esito (la cui incertezza si è sempre meno disposti ad accertare), hanno fatto avvertire la necessità di individuare regole e linee guida che riducessero al massimo la discrezionalità del medico. Così, si è assistito ad un vivace dibattito dottrinale e giurisprudenziale, alla luce delle nuove esigenze avvertitesi a seguito della ormai accertata complessità dell’attività medica e del suo specializzarsi; oltrechè del mutato rapporto medico-paziente in un’ottica sempre più individualista, in cui l’interesse del paziente non è solo alla conservazione delle proprie condizioni di salute ma al loro miglioramento. In tale contesto, la prestazione del medico per poter essere diligente oltre ad essere conforme agli standard scientifici propri della prestazione medica, deve adempiere anche ad una serie di obblighi accessori, la cui violazione è fonte di responsabilità , quali quelli: informativi; di controllo e di vigilanza. La dottrina e la giurisprudenza hanno dovuto elaborare concetti nuovi, mettendo in dubbio istituti, nozioni, assiomi sulle quali si era basata per anni la disciplina della responsabilità del medico. La malasanità e il ricorso alla medicina difensiva Passando dalla teoria alla pratica, nell’ambito di un contesto socio-sanitario caratterizzato dall’esplosione di casi di malasanità e dalla rincorsa alle responsabilità, da un lato si è enfatizzata la posizione di garanzia del medico nei confronti del paziente, portando alla elaborazione della teoria del contatto sociale , dall’altro si è assistito all’attuazione di pratiche di medicina difensiva attuate dal medico per difendere sé stesso contro eventuali azioni di responsabilità. Questo modo di operare, ha finito con il mettere a serio rischio la salute dei pazienti, oltrechè arrecare ingenti costi per le casse dello Stato. Basti pensare ai costi a carico del servizio sanitario nazionale per la prescrizione anche non necessaria di analisi. Finendo così, con l’allontanarsi, dall’obbiettivo prioritario di tutelare il malato: soggetto debole per antonomasia. Il decreto Balduzzi, aporie e questioni irrisolte Ben presto, si è avvertita l’esigenza di una disciplina ad hoc della responsabilità del medico, che tenesse conto della peculiarità del rapporto medico-paziente e che innovasse la disciplina della responsabilità dei medici e delle strutture sanitarie pubbliche e private. Così si è giunti all’emanazione del Decreto Balduzzi (dl. 158 del 2012 convertito in l. 189/2012) , con il quale si è cercato di arginare il problema della medicina difensiva, partendo dall’assunto che l’obbligazione del medico è una obbligazione di mezzi e non di risultato . Ragion per cui, il medico ha l’obbligo di impiegare tutti i mezzi necessari e adeguati, di cui abbia o possa acquisire la disponibilità per la tutela della salute del paziente. Per meglio esercitare la sua attività dovrà attenersi alle linee guida e alla buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, attivandosi per eseguire la propria prestazione, osservando uno standard di diligenza professionale secondo il criterio generale: “ dell’homo eiusdem professionis et condicionis “. Decreto Balduzzi: responsabilità contrattuale o extracontrattuale? Tuttavia, il decreto Balduzzi, non ha avuto grande successo in merito alla disciplina della responsabilità civile, anzi ha alimentato notevolmente i dubbi e le perplessità esistenti circa l’esatta qualificazione da attribuire alla responsabilità medica. Ci si è chiesto, se la responsabilità del medico dovesse essere considerata contrattuale (come asseriva la preminente giurisprudenza) o extracontrattuale (come aveva fatto presumere il richiamo all’articolo 2043 del codice civile dall’articolo 3 del decreto 158/2012 rubricato “ Responsabilità dell’esercente le professioni sanitarie”. I primi commentatori hanno ritenuto che fosse intenzione del legislatore ricondurre la responsabilità del medico entro il regime della responsabilità aquiliana, quindi della responsabilità per fatto illecito. Una tale lettura, comportava che il medico potesse essere considerato responsabile civilmente ex art 2043, esclusivamente nei casi in cui si fosse verificata una violazione del principio del c.d. alterum non laedere . Principio che sarebbe configurabile unicamente quando: per effetto dell’intervento del sanitario, il paziente si trovasse in una posizione peggiore rispetto a quella precedente. Se, invece, il paziente non realizza il risultato positivo che si potrebbe legittimamente aspettare dalle ordinarie tecniche sanitarie, non sarebbe configurabile una responsabilità extracontrattuale del medico, per il semplice fatto che il paziente non ha subito un danno rispetto alla situazione quo ante. Il contributo della giurisprudenza e la teoria del contatto sociale Gli stessi sono stati subito smentiti dalla giurisprudenza di legittimità che è giunta ad individuare quale figura unitaria della responsabilità, quella contrattuale, sulla base dell’assunto che sebbene si dovesse distinguere tra responsabilità personale del medico e responsabilità della struttura sanitaria, la responsabilità del medico personale o operante in una struttura sanitaria pubblica o privata, doveva essere qualificata sempre come responsabilità contrattuale, sebbene si dovesse distinguere la fonte di tale responsabilità. Per quanto riguarda la responsabilità del medico, essa deriverebbe dalla posizione di garanzia che il professionista ricopre nei confronti del paziente. In poche parole, dal momento in cui il medico prende in carico il paziente, si instaura un rapporto sociale qualificato che comporta obblighi in capo al medico analoghi a quelli previsti dal contratto d’opera professionale. Obblighi che deriverebbero dal semplice contatto che si instaura tra il medico e il paziente ( Teoria del contatto sociale ). Viceversa, per quanto concerne la responsabilità della struttura sanitaria, sia essa pubblica o privata, essa troverebbe origine nella stipula del contratto atipico di spedalità . Con l’accettazione del paziente, la struttura sanitaria si impegna a mettere a disposizione del malato non solo le prestazioni dei medici, paramedici e ausiliari, ma anche i farmaci, gli ambienti idonei e le attrezzature moderne necessarie per la terapia e la degenza. La disciplina attuale: la Legge Gelli-Bianco Il quadro normativo così delineato dalla giurisprudenza, è completamente mutato nell’aprile del 2017 con la legge Gelli-Bianco (L. n.24/2017): ” recante norme in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché’ in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie “, che ha completamente innovato il quadro normativo della responsabilità del medico, cercando di superare le aporie e le questioni irrisolte del decreto Balduzz i, prendendo una posizione chiara circa l’inquadramento sistematico della natura giuridica della responsabilità medica. Il sistema binario della responsabilità civile del medico e della struttura sanitaria Al fine porre fine all’antica diatriba responsabilità contrattuale-responsabilità extracontrattuale, l’articolo 7 della legge Gelli-Bianco introduce un sistema binario della responsabilità civile medica, che prevede un trattamento diverso dell’esercente la professione sanitaria e la struttura sanitaria sia essa pubblica o privata. La responsabilità della struttura sanitaria è disciplinata dal comma 1 dell’art.7: “La struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che, nell’adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell’opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del codice civile, delle loro condotte dolose o colpose ”. Ai sensi del comma 3 dello stesso articolo , la disciplina della responsabilità dell’esercente le professioni sanitarie viene così regolata: “ L’esercente la professione sanitaria di cui ai commi 1 e 2, risponde del proprio operato ai sensi dell’art. 2043 del codice civile, salvo abbia agito nell’adempimento di una obbligazione contrattuale assunta con il paziente[…] ”. Dal dettato normativo dell’art. 7 emerge un doppio binario della responsabilità civile medica: l’esercente le professioni sanitarie che esercita la propria attività a qualsiasi titolo all’interno della struttura sanitaria, risponderà della propria condotta ex art. 2043; invece la struttura ospedaliera risponderà dei danni cagionati dal medico ex art. 1218, quindi a titolo di responsabilità contrattuale. Onere probatorio e termine prescrizionale alla luce delle novità introdotte con la legge Gelli Bianco Il regime binario introdotto con la legge Gelli-Bianco comporta delle notevoli differenze , sul piano dell’onere probatorio e del termine prescrizionale . Nel caso di azione di responsabilità nei confronti dell’esercente la professione sanitaria, il quale risponderà a titolo di responsabilità extra contrattuale, dovrà essere il paziente a dimostrare l’intero danno subito e l’elemento soggettivo. Il paziente inoltre è obbligato a rispettare il termine prescrizionale quinquennale ex art. 2947 c.c. Viceversa, la responsabilità della struttura sanitaria, posta nell’alveo della responsabilità contrattuale, soggiace a regole diverse: in tal caso l’onere della prova è posto a carico della struttura sanitaria, dovendo, il paziente, dimostrare solamente la prova del titolo contrattuale e dell’inadempimento; inoltre il termine dell’azione sarà quello ordinario, cioè quello decennale previsto dall’art. 2046 c.c. In definitiva, salvo il caso in cui, paziente e medico abbiano stipulato uno specifico contratto ( in tal caso si applicherà la disciplina del contratto d’opera intellettuale e il medico risponderà, in caso di inadempimento, ai sensi dell’articolo 1218 del cc), la responsabilità del medico avrà natura extracontrattuale. Fermo restando che le due responsabilità (contrattuale della struttura sanitaria e aquiliana del medico) possono concorrere, secondo il principio generale desumibile dall’articolo 2055 del codice civile. Evidenti sono, in ultima istanza, gli scopi che il legislatore intende perseguire mediante una tale disciplina. Differenziare le posizioni risarcitorie della struttura sanitaria e del medico, ha come effetto quello di trasferire gran parte del rischio sulla struttura sanitaria, consentendo al medico di esercitare la propria professione con maggiore tranquillità. Così il legislatore prova a porre un argine alle condotte di medicina difensiva che rischiano di porre il malato in una posizione secondaria rispetto alla condotta del medico, preoccupato più di non subire conseguenze penali e/o civili che curare il proprio paziente. L’apertura della legge Gelli-Bianco alle ADR ” Alternative dispute resolution” e la riduzione del contenzioso L’obbiettivo prioritario della Gelli-Bianco è la riduzione del contenzioso da responsabilità medica prevedendo la sostenibilità del sistema attraverso strumenti assicurativi. Infatti, tra le novità più significative sono annoverabili l’obbligo di assicurazione sia per il professionista che per la struttura (articolo 10), la previsione della possibilità per il danneggiato di agire direttamente nei confronti dell’assicuratore ( articolo 12) e l’istituzione di un fondo di garanzia nel caso di superamento del massimale ( articolo 14). Inoltre, dal punto di vista processuale, proprio al fine di ridurre il numero dei contenziosi per malasanità, l’articolo 8 della legge Gelli-Bianco prevede, quale condizione di procedibilità della domanda di risarcimento, l’espletamento della consulenza tecnica preventiva , in funzione conciliativa, di cui all’articolo 696 bis c.p.c, al quale sono obbligate a partecipare tutte le parti, ivi incluse le imprese di assicurazione coinvolte. Alternativamente alla consulenza tecnica preventiva, potrà essere esperito il procedimento di mediazione, ai sensi del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28. Questo permette di evitare i costi del processo e di ridurre i tempi della trattazione e della decisione della controversia.

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