Pubblicazione legale:
Il 9 febbraio 2022, le sezioni unite hanno enunciato due
importanti principi in tema di produzione e messa in circolazione di materiale
pedopornografico.
Secondo il primo dei due enunciati, si ha utilizzazione del
minore, rilevante ai sensi del secondo comma dell’art. 600 ter c.p., allorquando , all’esito di un accertamento
complessivo che tenga conto del contesto di riferimento, dell’età, maturità,
esperienza, stato di dipendenza del minore, si appalesino forme di
coercizione o di condizionamento della
volontà del minore stesso, restando escluse dalla rilevanza penale solo
condotte realmente prive di offensività rispetto all’integrità psico-fisica
dello stesso.
Con il secondo principio le sezioni unite hanno dichiarato
che la diffusione verso terzi del materiale pornografico realizzato con un
minore degli anni diciotto integra il reato di cui all’art. 600 ter, terzo e
quarto comma c.p. ed il minore non può prestare il consenso ad essa.
La vicenda da cui è scaturita la decisione delle sezioni
unite è imperniata sulla relazione sentimentale dell’imputato con una minorenne
nel corso della quale l’uomo aveva realizzato un filmato che ritraeva la minore
nel compimento di atti sessuali, filmato che successivamente era stato inviato
al nuovo fidanzato della ragazza sul suo account facebook.
I giudici di merito avevano entrambi ritenuto la sussistenza
della fattispecie delittuosa di cui all’art. 600 ter primo comma n. 1 e quarto comma ritenendo irrilevante, ai fini
dell’esclusione del reato, la circostanza che la produzione del materiale
pedopornografico fosse avvenuta nell’ambito di una relazione sentimentale c.d.
“paritaria”, nel cui contesto la minore
aveva potuto prestare il proprio consenso sia all’atto sessuale che alla sua
ripresa e successiva divulgazione senza subire alcun condizionamento o
coercizione.
Secondo i giudici del primo e del secondo grado, infatti, il consenso del minore ultraquattordicenne non
avrebbe alcuna efficacia scriminante nella c.d. pornografia domestica in
ragione della sua impossibilità di prestare un valido consenso alla
realizzazione, cessione e divulgazione di tale materiale.
Il percorso argomentativo seguito dalle sezioni unite per
giungere all’elaborazione dei due principi sopra riferiti appare di particolare
importanza perché, da un lato, contribuisce a ridefinire la sfera
applicativa dell’art. 600 ter co. 1 n. 1 c.p.
- individuando con precisione i limiti del consenso del minore e
chiarendo il concetto di utilizzazione -, mentre, dall’altro, fornisce una
definizione precisa del rapporto sussistente tra il primo comma dell’art. 600
ter c.p. ed i successivi commi secondo, terzo e quarto.
Ma procediamo con ordine.
Quanto alla sfera applicativa della fattispecie contemplata
nel n. 1 dell’art. 600-ter, la Suprema Corte elenca una serie di casi che
esulano dal suo campo d’azione, primo
tra tutti il caso di autoproduzione del materiale da parte del minore; infatti,
secondo il giudice di legittimità, il
reato in questione presuppone che il minore sia filmato da qualcun altro.
Oltre il raggio d’azione del co. 1, n. 1 dell’art. 600-ter
restano anche le riprese realizzate tra minori, qualora tra gli stessi non
intercorra una differenza di età superiore ai tre anni e non sia ravvisabile
una ipotesi di violenza. In tal caso, infatti, si rientra nell’ambito di un
rapporto paritario in cui il minore, si ritiene, possa liberamente esprimere il
proprio consenso.
Parimenti restano fuori dalla previsione di cui al co. 1, n.
1 dell’art. 600-ter le fattispecie in cui il minore non sia stato “utilizzato”
ossia asservito per un vantaggio altrui.
Quanto ai limiti del consenso del minore, le sezioni unite chiariscono che ai fini della loro individuazione occorre
far riferimento all’art. 609 quater c.p.
Dunque, in primis, il consenso del minore alla produzione di
materiale pedopornografico deve ritenersi escluso in chi, al momento del fatto,
non abbia compiuto gli anni quattordici.
Inoltre, sempre in conseguenza del rimando all’art. 609
quater c.p., non può ritenersi
sussistente il consenso del minore in presenza di condotte connotate da
violenza, minaccia, abuso di autorità, abuso delle condizioni di inferiorità
psichica o fisica e l’inganno, o nel caso in cui il colpevole dell’abuso sia
l’ascendente , il genitore, anche adottivo, o il di lui convivente, o il
tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di
istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato o che abbia con
quest’ultimo, una relazione di convivenza.
Il consenso del minore deve ritenersi altresì viziato
qualora risulti condizionato dalla dazione di denaro ciò, secondo la corte, sul
presupposto della incapacità del minore ad opporsi validamente alla offerta di
denaro o di altre utilità per la condizione di particolare fragilità in cui
versa.
Infine, anche l’induzione, dalla suprema corte descritta
come “quell’attività coscientemente finalizzata, di persuasione, di
convincimento, di determinazione, di eccitamento, di rafforzamento della
decisione, esercitata anche mediante offerta di doni, con lusinghe, promesse,
preghiere” esclude la ricorrenza del consenso del minore alla produzione del
materiale pedopornografico.
Le ipotesi appena elencate non sono affatto esaustive, ed
anzi la suprema corte evidenzia come, al fine di valutare la validità del
consenso espresso dal minore, occorra verificare specificamente che l’adulto
non abbia vinto le resistenze del minore tramite tecniche di manipolazione
psicologica e di seduzione affettiva.
Sempre in riferimento al consenso, il supremo consesso
precisa che il consenso all’atto sessuale non include il consenso alla sua
rappresentazione documentale né, tantomeno, alla sua conservazione. Pertanto,
anche nel caso in cui il minore si sia liberamente determinato a compiere
l’atto sessuale ma non abbia acconsentito alla sua documentazione o alla sua
conservazione , dovrà ritenersi sussistente il requisito della utilizzazione di
cui al n. 1 dell’art. 600 ter e, per contro, escluso, quello del consenso.
Il consenso, infine,
non ha alcuna rilevanza in caso di divulgazione del materiale pedopornografico;
infatti, come precisato dalla Corte, il presupposto necessario della
“pornografia domestica” è che il
materiale realizzato sia destinato a rimanere nella disponibilità esclusiva
delle parti coinvolte nel rapporto.
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