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Avvocato Pierfrancesco Buttafuoco a Catania

Pierfrancesco Buttafuoco

Avvocato esperto in diritto penale e responsabilità medica professionale

Informazioni generali

Nessuno creda che i titoli da prima pagina riguardino altri, spesso si diventa protagonisti non per scelta. Taluni, temeriariamente, hanno preso strade infauste, poi i nodi son venuti al pettine. Lo studio offre aiuto all’indagato sin dal primo momento del suo dramma, assistendo in primo luogo i familiari coinvolti, indi presentando le pertinenti istanze difensive. Purtroppo, altre volte, si viene coinvolti anche proprio malgrado: il reato offende sempre qualcuno, ora lo Stato, ora l’Ente pubblico, ora il privato cittadino

Esperienza


Separazione

L’uomo e la donna – a leggere le impetose statistiche - non son fatti l’un per l’altro: si esemplifichi per eccesso: il primo è sommamente interessato allo sport, la seconda freneticamente allo shopping; in eccezionali casi, le due peculiari esigenze trovano ideale viatico verso un comune pecorso di vita, in tutti gli altri casi incomprensioni e litigi rendono la convivenza un inferno, sino alla drastica decisione finale. Lo studio, in occasione della prima consulenza, si preoccupa, in primis, di tutelare la donna in caso essa sia vittima di violenza coniugale, attivando i relativi canali di protezione...


Violenza

Nessuno creda che i titoli da prima pagina riguardino altri, spesso si diventa protagonisti non per scelta. Taluni, temeriariamente, hanno preso strade infauste, poi i nodi son venuti al pettine. Lo studio offre aiuto all’indagato sin dal primo momento del suo dramma, assistendo in primo luogo i familiari coinvolti, indi presentando le pertinenti istanze difensive. Purtroppo, altre volte, si viene coinvolti anche proprio malgrado: il reato offende sempre qualcuno, ora lo Stato, ora l’Ente pubblico, ore il privato cittadino.


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Credenziali

Pubblicazione legale

Faber est suae quisque fortunae e le responsabilità del sanitario

Pubblicato su IUSTLAB

Faber est suae quisque fortunae e le responsabilità del sanitario Né Appio Claudio Cieco, né qualche tempo più tardi Giordano Bruno – in una visione di contrapposizione dell'uomo romano e rinascimentale all'idea del fato – potevano immaginare che pur, essendo Vai a: navigazione , cerca ”ciascuno artefice della propria sorte ", l’individuo (sanitario) potesse concentrare attorno a se tante, e variegate, responsabilità nel caso si fosse profuso nell’esercizio della professione medica. L’ overture del mio intervento (a “ La prescrizione degli Antipsicotici Atipici nel mondo reale” , Palermo 30.10.2012 ), rischiava di segnarmi d’antipatia: mi pregiai di essere sinceramente solidale con la categoria; mi parve di esser sfacciato, poi, allorquando mi tacciai (quale appartenente alla classe forense) di miglior sorte per non essere coinvolto (o facilmente coinvolgibile) in procedimenti giudiziari (civili o penali) giudiziari, quanto piuttosto lo fosse il medico. Eloquenti le rilevazioni statistiche: l’Osservatorio presso l’Università di Napoli in materia di responsabilità civile, ha rilevato che, nell’oltre il 70% dei casi segnalati, è stata riconosciuta la responsabilità del professionista; quasi il 50% delle azioni giudiziarie risarcitorie viene trattato in sede penale, il 36% in sede civile e il 14% in via stragiudiziale. Meno emozionato, quivi ribadisco: malgrado un numero imprecisato di quotidiani orrori giudiziari (a cura di disinvolti colleghi), i citati dati statistici sembrerebbero dipingere una inadeguata classe medica in favore di una più professionale classe forense. Niente di più ingannevole. La spiegazione e semplice (e cinica). L’incremento delle azioni giudiziarie si spiega con la maggior garanzia risarcitoria che l’ente pubblico (o privato) alle spalle del medico sembra assicurare; quanto al maggior ricorso alla sede penale, esso si spiega con la corsia preferenziale accordata a tali procedimenti che, di fatto, garantiscono risultati in tempi relativamente accettabili (2/3 anni per un condannatorio, a fronte dei 6/7 con procedure civilistiche). Ciò posto, esigenze di sintesi inducono a cristallizzare le tipologia di responsabilità e i concetti giuridici ad esse sottesi. La responsabilità può essere di tipo penale : il fatto ipotizzato dalla norma consiste in una condotta o in un evento detto reato, che produce, in capo a determinati organi dello Stato, il dovere di comminare, ai soggetti cui condotta od evento sono attribuiti, le sanzioni, dette pene (ammenda e arresto per le contravvenzione; multa, reclusione od ergastolo per i delitti); ovvero non–penale : da cui deriva la costituzione - a carico dei soggetti autori di condotte od eventi, o che si trovano in determinate situazioni, non necessariamente autore di tali fatti - del dovere di compiere prestazioni di dare o di fare o altre conseguenze negative, diverse dalle sanzioni penali. Il termine “non penale” vuole in linea di massima comprendere la 1) responsabilità civile da fatto illecito, 2) la responsabilità contrattuale, 3) quella amministrativa e contabile dell’investito di pubbliche funzioni. Quanto alla responsabilità penale, essa si caratterizza per un’immediata peculiarità: è squisitamente personale , nel senso che può riguardare solo la persona fisica effettivamente autrice della condotta commissiva od omissiva punita in quanto tale o perché causa dell’evento previsto come reato. La responsabilità civile, che non è strettamente personale e ha, quale conseguenza più rilevante, l’obbligo di risarcire il danno, può definirsi contrattuale , dunque a seguito di violazioni di obblighi scaturenti da un accordo contrattuale, extra-contrattuale , ossia direttamente ancorabile all’art. 2043 c.c., secondo cui “ Qualunque fatto doloso o colposo arrechi ad altri un danno ingiusto, obbliga chi ha commesso il fatto, a risarcire il danno ”. A partire dagli anni ’70 si è verificato un progressivo incremento delle azioni giudiziarie dei paziente nei confronti dei medici, a cui ha fatto seguito una crescente tendenza della giurisprudenza a considerare nuove fattispecie di danno riconducibili a malpractice da parte dei professionisti sanitari.L’area della responsabilità professionale del medico si è quindi sensibilmente estesa, con un conseguente aumento del rischio professionale e del ricorso alla copertura assicurativa da parte del professionista. In questo contesto, tuttavia, a fronte dell’aumento dell’entità dei risarcimenti liquidati, le imprese di assicurazione hanno aumentato i premi, o hanno addirittura rinunciato ad operare nel mercato (nel corso degli ultimi 10 anni sono aumentate del 184% le denunce per errori medici, attestandosi a 150.000 all’anno; contestualmente, i premi per la responsabilità civile delle strutture sanitarie hanno subito un incremento del 121%). Scattato l’allarme, si è cercato di correre ai ripari importando dagli Stati Uniti il concetto di “medicina difensiva”, per cui, a seguito di diversi casi di malpractice , con conseguente proliferazione del numero delle denunce da parte dei pazienti nei confronti delle strutture sanitarie e/o del singolo medico, il professionista medico è portato ad adottare delle scelte diagnostico-terapeutiche finalizzate non tanto alla erogazione della migliore prestazione sanitaria , quanto alla riduzione delle possibili cause di denunce e, quindi, dei contenziosi giudiziari . Spesso gli specialisti per eccesso di zelo prescrivono farmaci in modo inappropriato , oppure procedure diagnostiche a volte inutil i, oppure preferiscono interventi da realizzarsi con strumentazioni tecnologicamente non avanzate (poiché meno costose) E, secondo il nemico da evitare, si distinguono due tipologie di Medicina Difensiva a): da paziente , a sua volta sottoclassificata in “assicurativa/rassicurativa” - che consiste nel prescrivere farmaci o procedure di valore marginale al fine di ridurre il rischio di una denuncia, e comunque di evitare eventi avversi – nonchè (probabilmente, sacrificando gli antichi impegni presi con Ippocrate) “ di evitamento ”, che consiste nell’evitare i pazienti difficili o le situazioni di rischio; b) da Ente: il medico è sempre più esposto ad un rischio nuovo, che in gran parte prescinde dalle eventuali conseguenze negative delle scelte terapeutiche nei confronti del malato. In particolare è sempre più concreta la possibilità che un comportamento professionale appropriato per il paziente, possa originare un rischio per il medico in ragione del costo che determina a carico del SSN , determinando così una responsabilità di tipo “erariale” a carico del medico . Si è profilato, dunque, una responsabilità del medico per danno erariale, cui è seguita una giurisprudenza punitiva ( Sent. n. 275/E.L./04 la Corte dei Contim Sez. Guurisd. Umbria, condanna due medici di medicina generale per ‘iperprescrizione’ di farmaci . Nell’occasione la Corte ha chiarito che “…secondo i normali criteri del buon senso comune, non risponde ad alcun criterio di utilità reale e concreta prescrivere ulteriori dosi dello stesso farmaco che vanno oltre la possibile consumabilità in base alle prescrizioni contenute nelle schede del Ministero della Salute , per cui - quando si è in presenza di iperprescrittività di un farmaco - si verifica o uno “spreco tout court” (per non uso) ovvero uno “spreco per uso improprio” (come nel caso di utilizzazione per un valore terapeutico minore rispetto a quello per il quale il farmaco in questione è stato prodotto[ omissis ] )”; nonché, per certi aspetti, persino qualche battuta di caccia alle streghe ( nel Marzo 2006 la Guardia di Finanza ha denunciato alla Corte dei Conti oltre 560 MMG lombardi per presunta iperprescrizione di farmaci, ipotizzando un danno per il SSN di oltre 25 Milioni di Euro tra il 2002-2004) . In un contesto così complesso e articolato il medico può essere esposto a due tipologie di rischi contrapposti. L’azione legale per responsabilità professionale nel caso in cui egli compia una scelta più conservativa per il SSN e di cui il paziente in un secondo momento si possa dolere. L’azione legale per responsabilità erariale , in caso di scelta più cautelativa per il paziente e di cui il SSN si possa dolere. Tra il martello del paziente e l’incudine del SSN come può il medico minimizzare il proprio rischio? La soluzione potrebbe arrivare da un sapiente bilanciamento di ingredienti che mirino all’ appropriatezza prescrittiva , da un lato e sulla pianificazione di strumenti organizzativi finalizzati al contenimento e alla gestione del rischio clinico, dall’altro Lo scenario normativo e regolatorio (nazionale e regionale), purtroppo non è caratterizzato da semplicità. Punto di partenza è sicuramente l’art. 3 del d.l. 23/1998, convertito nella l. 94/1998 (osservanza delle indicazioni terapeutiche autorizzate) , a mente del quale “..Fatto salvo il disposto dei commi 2 e 3, il medico nel prescrivere una specialità medicinale o altro medicinale prodotto industrialmente, si attiene alle indicazioni terapeutiche, alle vie e alle modalità di somministrazione previste dall’autorizzazione all’immissione in commercio rilasciata dal Ministero della Sanità.”. In linea di massima, l’attività curativa attraverso il farmaco può reputarsi giuridicamente appropriata, e quindi pienamente legittima , soltanto qualora il medicinale sia stato preventivamente autorizzato in sede ministeriale , per le medesime modalità di somministrazione, dosaggi o indicazioni terapeutiche per le quali è effettivamente prescritto al paziente, così come l’ammissione del farmaco all’interno del regime di rimborsabilità stabilito dall’AIFA può avvenire soltanto in relazione alle modalità di somministrazione, dosaggi o indicazioni terapeutiche per le quali si sia rilevato un comprovato beneficio in un numero statisticamente significativo di destinatari, per patologie di rilevante interesse sociale, secondo criteri di evidenza scientifica. In sintesi, l ’appropriatezza prescrittiva costituisce il presupposto sul quale il medico fonda la correttezza delle proprie scelte farmacologiche, limitando il rischio di responsabilità professionale ed erariale per : a) utilizzo del farmaco inappropriato; b) abuso del farmaco appropriato; c) non uso del farmaco appropriato e, infine, d) uso appropriato del farmaco non autorizzato, ma senza gli adempimenti previsti per l’uso off label Intanto va ricordato come, qualora il medicinale venga prescritto al paziente non per le medesime indicazioni, modalità di somministrazione e dosaggi per i quali sia stato preventivamente autorizzato in sede ministeriale, sarà esclusa l’ammissione del farmaco dal regime di rimborsabilità da parte del SSN. Il farmaco pertanto diventa a carico del paziente. La norme di riferimento in materia di utilizzo dei farmaci off label sono sintetizzate nel combinato disposto di cui agli artt. 3, comma 2, del decreto-legge 17 febbraio 1998, n. 23 , convertito, con modificazioni, dalla legge 8 aprile 1998, n. 94, e 1, comma 796 lett.z) l.296/2006 , a mente del quale la prima norma – cioè la disposizione di cui all‘articolo 3, comma 2, del decreto-legge 17 febbraio 1998, n. 23 (prassi off label) - non è applicabile al ricorso a terapie farmacologiche a carico del Servizio sanitario nazionale, che, nell'ambito dei presìdi ospedalieri o di altre strutture e interventi sanitari, assuma carattere diffuso e sistematico e si configuri, al di fuori delle condizioni di autorizzazione all'immissione in commercio, quale alternativa terapeutica rivolta a pazienti portatori di patologie per le quali risultino autorizzati farmaci recanti specifica indicazione al trattamento. Il ricorso a tali terapie è consentito solo nell'ambito delle sperimentazioni cliniche dei medicinali di cui al decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 211 , e successive modificazioni. In caso di ricorso improprio si applicano le disposizioni di cui all‘ articolo 3, commi 4 e 5, del citato decreto-legge 17 febbraio 1998, n. 23 , cioè il medico che viene sottoposto a procedimento disciplinare , In definitiva il bilancio sulla pratica del “ off label ” è inesorabilmente magro: invero, la disciplina normativa è – forse troppo prudenzialmente – restrittiva, anche perché inevitabilmente inspirata a criteri e obiettivi economici, e in ultima analisi risente della difficoltà di individuare il corretto punto di equilibrio tra innovazione terapeutica e necessità di verifica regolatoria. Quanto alla repressione di estrose sperimentazioni, la giurisprudenza sembra essersi inspirata a rigorosi criteri che portano alla configurazione, ora del dolo, ora ella colpa ( 1 - In una fattispecie relativa alla prescrizione di un antiepilettico per favorire il dimagrimento di un adolescente, a fronte dei gravi disturbi determinatisi, nel gennaio 2006, il Tribunale di Pistoia ha ravvisato il reato di lesioni aggravate dolos e: l’uso off-label, “in astratto ammissibile”, è stato però rilevato del tutto inappropriato nel caso concreto perché: alla madre della bambina non erano state date adeguate informazioni; erano disponibili altre terapie; non sussistevano pubblicazioni per suffragare l’uso off-label; la dose iniziale era comunque eccessiva; non erano stati effettuati i necessari controlli sui possibili effetti collaterali. 2 - Dopo che una Corte d’Appello della Repubblica aveva escluso il dolo del medico, nel novembre 2008 la Corte di Cassazione ha confermato l’esistenza di un comportamento colposo , da individuare: nella mancata verifica della correttezza della prescrizione iniziale, pur a fronte di taluni eventi avversi, ma ha ritenuto che: la finalità curativa escludesse il dolo; l’esistenza di alcune pubblicazioni sostenesse in parte l’uso off-label, senza configurarlo come “sperimentazione pura”; la mancanza di consenso informato non avesse influito sulla colpevolezza per lesioni. 3 - Nell’Aprile 2008, la Corte di Cassazione ha stabilito che si può rilevare la fattispecie di omicidio colposo, con colpa medica commissiva , qualora venga prescritto un farmaco altamente tossico senza un’attenta valutazione e comparazione del rischio/beneficio, e con colpa medica per omissione , in caso di mancato controllo delle condizioni del paziente, nel corso della cura (nel caso concreto era stato prescritto ad un’adolescente affetta da ovaio policistico con alterazioni estetiche un farmaco per la cura delle neoplasie della prostata). Legittime esigenze di sperimentazione devono, comunque, essere blindate dalla “polizza” del consenso informato. La condivisione dell’approccio terapeutico, soprattutto in circostanze che esulano dalla prassi consolidata (ad es., prescrizione off-label), richiede l’acquisizione del consenso informato da parte del paziente. Fa bene – alla singola coscienza, e alla responsabilità del sanitario – condividere la consepovolezza dei rischi connaturati ad un salto nel vuoto. Dunque, chi mi legge sa bene che è necessario fornire al paziente la più idonea informazione , commisurata alle capacità di comprensione del paziente per promuovere la massima adesione alle diverse opzioni : diagnosi, prognosi, eventuali prospettive, alternative diagnostico-terapeutiche, prevedibili conseguenze delle scelte operate. E, il risultato del colloquio, deve fornire un consenso personale : (niente mogli e/o figli), in forma espressa , (niente comportamenti concludenti), dall’avente diritto, maggiore di età, capace di intendere e di volere (c.d. diritto personalissimo). Ma deve essere anche preventivo - prestato, dunque, prima dell’atto medico - specifico - rispetto al trattamento medico cui si riferisce - consapevole – dunque, basato su una completa e preventiva informazione – gratuito, libero - non viziato da errore (se dall’informazione derivi una travisazione al punto che se avesse compreso l’informativa non avrebbe dato il consenso), dolo (artifizi o raggiri del sanitario) o violenza – attuale – perdurante per tutta la durata del trattamento medico. Recenti sentenze in materia di consenso informato ( Cassazione Penale, marzo 2008 ), sottolineano come il consenso eventualmente invalido, perché non consapevolmente prestato, non può di per sé importare l’addebito a titolo di dolo . – dunque configurare sempre, dall’intervento effettuato in assenza di consenso o con un consenso prestato in modo invalido , la responsabilità a titolo di omicidio preterintenzionale , in caso di esito letale, ovvero a titolo di lesioni volontarie ., ma il comportamento abusivo rileverà, comunque, sotto il profilo della colpa; ovvero, come il la responsabilità da consenso invalido possa essere scriminata ( Cassazione Sezioni Unite, dicembre 2008 ): ove il medico sottoponga il paziente ad un trattamento chirurgico diverso da quello in relazione al quale era stato prestato il consenso informato , e tale intervento, eseguito nel rispetto dei protocolli e delle “ leges artis ”, si sia concluso con esito fausto, con miglioramento delle condizioni di salute, e senza che ci fossero indicazioni contrarie da parte del paziente medesimo, tale condotta è priva di rilevanza penale, sia rispetto alla fattispecie della lesione personale, che della violenza privata. In conclusione, allora, si può affermare che – sotto il profilo giuridico – il medico può mitigare il proprio rischio professionale quando riesce a conciliare gli interessi del paziente e del SSN, attraverso un comportamento che può essere definito “appropriato” sulla base di criteri regolatori e legali. Tuttavia, in taluni casi, la necessità di contenere la spesa sanitaria (diagnostica, farmaceutica, etc.) potrebbe comportare una divaricazione tra i precetti normativi nazionali e regionali e l’esigenza di garantire al paziente il migliore trattamento terapeutico. In questo caso, il comportamento secondo scienza e coscienza continua a rappresentare il principale criterio guida per il medico. D’altra parte, l’osservanza di protocolli che indirizzino le scelte terapeutiche nei casi particolarmente difficili può garantire un valido supporto per il medico, consentendo di individuare quali misure “codificate” seguire nei casi critici previamente catalogati: si determina così una linea di comportamento omogenea, che costituisce espressione di diligenza e perizia professionale, con conseguente riduzione dei contenziosi per malpractice e per responsabilità erariale . Avv. Pierfrancesco Buttafuoco

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