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Quando si configura la c.d. sindrome da alienazione parentale?
La sindrome da alienazione parentale ricomprende tutte quelle condotte poste in essere da un genitore (alienante) per screditare, emarginare e denigrare l'altro genitore (alienato). Tali comportamenti, oltre ad influenzare negativamente il minore, minano la presenza del genitore alienato nella vita del proprio figlio, compromettendo altresì il diritto di quest'ultimo ad una crescita serena e bilanciata. Spesso la genesi di siffatte condotte è da ricercarsi non tanto nel cattivo svolgimento dei doveri connessi alla figura genitoriale quanto ad una punizione diretta al genitore alienato per non essere stato, in pendenza del rapporto affettivo, un buon partner. E' evidente come i sentimenti rancorosi di un genitore nei confronti dell'altro possano causare la lesione del rapporto genitore-figlio. Il termine alienazione genitoriale (c.d. Parental Alienation Syndrome) non integra una nozione di patologia clinicamente accertabile, bensì un insieme di comportamenti posti in essere dal genitore collocatario per emarginare o neutralizzare l'altra figura genitoriale (Tribunale di Milano 11 marzo 2017). La giurisprudenza ha più volte sottolineato l'importanza della tutela alla bigenitorialità del minore anche nei casi in cui il minore si oppone (Trib. Brescia 19 novembre 2018). Proprio la capacità da parte del genitore affidatario di mantenere e preservare il rapporto affettivo del minore con l'altro genitore rappresenta un requisito dell'idoneità genitoriale (Cass. n. 6919/2016). Infatti, nel caso in cui il genitore affidatario ponga in essere condotte alienanti nei confronti dell'altro genitore il Tribunale, potrà, se sussistono risultanze peritali chiare, convergenti e motivate, disporre l'affidamento super-esclusivo in favore del genitore alienato, ovviamente se quest'ultimo dimostri di possedere la sufficiente capacità genitoriale (Corte Appello Venezia 16 dicembre 2019 n. 8607). Del medesimo avviso è la Cassazione secondo cui: “Qualora un genitore denunci comportamenti dell'altro genitore, affidatario o collocatario di un figlio di età minore, rivolti ad allontanare da sé il bambino ed indicati come significativi di una sindrome di alienazione parentale (PAS), ai fini della modifica delle condizioni di affidamento del minore, il giudice è tenuto ad accertare l'effettiva sussistenza di tali comportamenti ed a valutarne la rilevanza per l'equilibrio psichico del minore, al fine di esprimere un corretto ed informato giudizio in materia di adeguatezza genitoriale, indipendentemente dalla qualifica che si intenda attribuire ai comportamenti alienanti” (Cass. n. 21215/2017). Tali approdi giurisprudenziali diretti alla tutela della bigenitorialità postulano l'identica importanza che le due figure genitoriali hanno nel percorso di crescita del minore, soprattutto nel momento di disgregazione della famiglia, con conseguente obbligo del genitore collocatario di favorire il rapporto con l'altro genitore, evitando condotte lesive di tale interazione affettiva. Nemmeno la resistenza del minore manifestata nei confronti del genitore non collocatario risulta sufficiente ad evitare la frequentazione di quest'ultimo, proprio in virtù di quanto sopra affermato circa la tutela della bigenitorialità.
Si ricorda sul punto la recente decisione del Tribunale dei Minori di Perugia in data 2 aprile 2020, a seguito di una CTU disposta in un procedimento introdotto con ricorso del PM ex art. 333 c.c. e segg., per far cessare le condotte poste in essere da entrambi i genitori di una minore, ritenute pregiudizievoli per un suo sano sviluppo, ha così pronunciato: “Il trasferimento temporaneo della bambina (n.d.r.in una struttura protetta), pur rappresentando l'extrema ratio, al Collegio l'intervento più efficace, il cui vantaggio è rappresentato dal fatto che, da un lato permette di interrompere il legame disfunzionale della minore con la madre e, dall'altro, consente alla bambina uno spazio intermedio tra i due genitori”. Secondo il Tribunale Umbro, dalle evidenze emerse in sede di CTU, non vi erano valide alternative al collocamento della minore in una struttura protetta, in quanto la madre collocataria poneva in essere condotte alienanti nei confronti del padre, mentre quest'ultimo durante la consulenza si era sottratto alla stessa impedendo la valutazione delle sue capacità genitoriali. Si ricorda, infine, il provvedimento emesso dal Tribunale dei Minorenni di Roma in data 5 luglio 2019, con il quale, espletata la CTU, riteneva che il “figlio fosse prigioniero di una relazione assolutizzante con la madre, che gli negava ogni rapporto con il padre e gli forniva una comunicazione strutturalmente incongrua e disorganizzante, clinicamente associata ad un funzionamento psicotico, con il serio rischio psicopatologico di sviluppare negativamente la propria personalità e l'identità del proprio sé, con possibile sostituzione della figura paterna e, disposto, l'allontanamento coatto del minore dall'abitazione della madre ed il suo collocamento presso il padre”.
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