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La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21006/2021 ribadisce il principio secondo il quale il chiamato all'eredità non risponde dei debiti (tributari) se abbia appositamente rinunciato all'eredità ad esso devoluta, nemmeno per il periodo intercorrente tra la la presentazione della dichiarazione di successione e l'atto di rinuncia.
Prima di esaminare l'iter giuridico seguito dalla Suprema Corte è utile richiamare sinteticamente gli aspetti salienti della rinuncia all'eredità. Tale istituto è ricompreso nei negozi giuridici unilaterali non recettizi e consente al chiamato all'eredità di manifestare la propria volontà di non acquisire l'eredità ad esso spettante. Trattasi di un negozio solenne per il quale è prevista ad substantiam la forma dell'atto pubblico, non potendo lo stesso rivestire la forma della scrittura privata autenticata. A fini pubblicitari, per rendere edotti i terzi della rinunzia all'eredità, la medesima deve essere inserita nel registro delle successioni, rendendola così opponibile ai terzi. Con riferimento al termine prescrizionale del diritto a rinunciare all'eredità si fa presente che vale lo stesso termine decennale previsto per l'accettazione di eredità, precisando che detto termine può subire modifiche per esempio nel caso in cui sia proposta un'actio interrogatoria da parte del creditore particolare del defunto, oppure nel caso in cui il chiamato sia nel possesso dei beni ereditari è necessario che lo stesso copia nel termine di tre mesi l'inventario o pur avendolo compiuto non dichiari di accettare l'eredità con beneficio di inventario nei quaranta giorni successivi; in quest'ultimo caso l'erede sarà considerato puro e semplice (art. 485); con la conseguenza che il chiamato dunque, divenuto erede, non può più dichiarare di voler rinunziare all'eredità.
Nella sentenza in esame la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso presentato dall'agenzia delle entrate con il quale si insisteva per il recupero di Ires, Irap e Iva relative all'attività imprenditoriale del de cuius svolta nell'anno 2005. L'Agenzia sosteneva che il chiamato all'eredità, che non abbia accettato e che vi rinuncia, potesse essere considerato titolare della soggettività passiva rispetto ai debiti del de cuius.
Tuttavia la Cassazione ha sancito il principio di diritto condiviso in modo unanime dalla giurisprudenza secondo cui: “Il chiamato all'eredità, che abbia ad essa validamente rinunciato, non risponde nemmeno dei debiti tributari del "de cuius", neppure per il tempo intercorrente tra l'apertura della successione e la relativa rinuncia, nemmeno se i chiamati all'eredità abbiano presentato la denuncia di successione - che non costituisce accettazione-, in quanto, avendo la rinuncia effetto retroattivo ex art. 521 c.c., egli è considerato come mai chiamato alla successione e non deve più essere annoverato tra i successibili”.