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La pensione di reversibilità spetta al coniuge divorziato? E in caso di nuove nozze cosa accade?

Scritto da: Riccardo Ventura - Pubblicato su IUSTLAB

Pubblicazione legale:

Pensione di reversibilità e criteri di determinazione tra coniuge divorziato e coniuge superstite.

La pensione di reversibilità rappresenta un assegno erogato dall'Inps a favore dei familiari dell'assicurato o pensionato iscritto in una delle gestioni previdenziali del predetto istituto. Tale erogazione è riconosciuta al coniuge, anche se legalmente separato, mentre viene riconosciuta al coniuge divorziato solo nel caso in cui si beneficiario dell'assegno periodico divorzile giudizialmente riconosciuto e non sia passato a nuove nozze.

Cosa accade, invece, alla pensione di reversibilità se il defunto contrae nuove nozze?

La questione è stata affrontata più volte dalla giurisprudenza e recentemente la Suprema Corte di Cassazione ha espresso un principio di diritto, concorde con i precedenti orientamenti. Secondo il Supremo Consesso “La ripartizione del trattamento di reversibilità tra coniuge divorziato e coniuge superstite, entrambi aventi i requisiti per la relativa pensione, va effettuata, oltre che sulla base del criterio della durata dei matrimoni, ponderando ulteriori elementi correlati alla finalità solidaristica dell’istituto, tra i quali la durata delle convivenze prematrimoniali – dovendosi riconoscere alla convivenza more uxorio non una semplice valenza “correttiva” dei risultati derivanti dall’applicazione del criterio della durata del rapporto matrimoniale, bensì un distinto ed autonomo rilievo giuridico, ove il coniuge interessato provi stabilità ed effettività della comunione di vita prematrimoniale – senza mai confondere, però, la durata della convivenza con quella del matrimonio, cui si riferisce il criterio legale, né individuare nell’entità dell’assegno divorzile un limite legale alla quota di pensione attribuibile all’ex coniuge, data la mancanza di qualsiasi indicazione normativa in tal senso.” (Cass. Civ. 13 novembre2020, n. 25656). Secondo la Cassazione al fine di quantificare la ripartizione della detta pensione a favore del coniuge divorziato e del coniuge superstite, ovviamente laddove sussistano i requisiti da parte di entrambi, si dovrà tenere in considerazione non solo la durata del rapporto matrimoniale, ma anche la durata del rapporto prematrimoniale. Quindi, secondo la Corte, per effettuare la ripartizione della pensione di reversibilità tra più ex coniugi aventi diritto si dovrà prendere in considerazione, oltre alla durata del matrimonio e della convivenza more uxorio, anche le condizioni economiche del richiedente nonché l'entità dell'assegno di mantenimento riconosciuto all'ex coniuge, senza però individuare in tale importo un limite legale alla determinazione della quota di pensione da riconoscere all'ex coniuge.

Sempre la Cassazione ha recentemente stabilito che non tutti tali elementi devono necessariamente concorrere né essere valutati in egual misura, rientrando nell'ambito del prudente apprezzamento del giudice di merito la determinazione della loro rilevanza in concreto (Cass., 28 aprile 2020, n. 8263).   Infine, si ricorda che la pensione di reversibilità non è attribuibile al coniuge divorziato titolare di un assegno di mantenimento simbolico, in quanto la ratio della pensione di reversibilità è individuabile nel sostegno economico prestato in vita dall'ex coniuge non potendo la stessa realizzare un miglioramento delle condizioni economiche del coniuge divorziato (Cass., 28 settembre 2020, n. 20477).


Avv. Riccardo Ventura - Avvocato a Crema e Treviglio

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Riccardo Ventura

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Referenze

Pubblicazione legale

Dichiarazione di successione ed accettazione tacita di eredità

Pubblicato su IUSTLAB

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21006/2021 ribadisce il principio secondo il quale il chiamato all'eredità non risponde dei debiti (tributari) se abbia appositamente rinunciato all'eredità ad esso devoluta, nemmeno per il periodo intercorrente tra la la presentazione della dichiarazione di successione e l'atto di rinuncia. Prima di esaminare l'iter giuridico seguito dalla Suprema Corte è utile richiamare sinteticamente gli aspetti salienti della rinuncia all'eredità. Tale istituto è ricompreso nei negozi giuridici unilaterali non recettizi e consente al chiamato all'eredità di manifestare la propria volontà di non acquisire l'eredità ad esso spettante. Trattasi di un negozio solenne per il quale è prevista ad substantiam la forma dell'atto pubblico, non potendo lo stesso rivestire la forma della scrittura privata autenticata. A fini pubblicitari, per rendere edotti i terzi della rinunzia all'eredità, la medesima deve essere inserita nel registro delle successioni, rendendola così opponibile ai terzi. Con riferimento al termine prescrizionale del diritto a rinunciare all'eredità si fa presente che vale lo stesso termine decennale previsto per l'accettazione di eredità, precisando che detto termine può subire modifiche per esempio nel caso in cui sia proposta un'actio interrogatoria da parte del creditore particolare del defunto, oppure nel caso in cui il chiamato sia nel possesso dei beni ereditari è necessario che lo stesso copia nel termine di tre mesi l'inventario o pur avendolo compiuto non dichiari di accettare l'eredità con beneficio di inventario nei quaranta giorni successivi; in quest'ultimo caso l'erede sarà considerato puro e semplice (art. 485); con la conseguenza che il chiamato dunque, divenuto erede, non può più dichiarare di voler rinunziare all'eredità. Nella sentenza in esame la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso presentato dall'agenzia delle entrate con il quale si insisteva per il recupero di Ires, Irap e Iva relative all'attività imprenditoriale del de cuius svolta nell'anno 2005. L'Agenzia sosteneva che il chiamato all'eredità, che non abbia accettato e che vi rinuncia, potesse essere considerato titolare della soggettività passiva rispetto ai debiti del de cuius. Tuttavia la Cassazione ha sancito il principio di diritto condiviso in modo unanime dalla giurisprudenza secondo cui: “ Il chiamato all'eredità, che abbia ad essa validamente rinunciato, non risponde nemmeno dei debiti tributari del "de cuius", neppure per il tempo intercorrente tra l'apertura della successione e la relativa rinuncia, nemmeno se i chiamati all'eredità abbiano presentato la denuncia di successione - che non costituisce accettazione-, in quanto, avendo la rinuncia effetto retroattivo ex art. 521 c.c., egli è considerato come mai chiamato alla successione e non deve più essere annoverato tra i successibili ”.

Titolo professionale

Corso di Specializzazione in diritto successorio

Ordine degli Avvocati di Cremona - 1/2021

Ho acquisito nuove competenze in materia successoria sia in tema di impugnazioni testamentarie sia in tema di successione legittima e divisioni ereditarie.

Pubblicazione legale

Il pagamento di un debito ereditario comporta accettazione di eredità?

Pubblicato su IUSTLAB

Accettazione tacita di eredità e debiti del defunto Quando un soggetto muore si apre la successione ereditaria, sia essa legittima o testamentaria, in forza della quale il patrimonio ereditario, se esistente, si trasferisce agli eredi legittimi o testamentari. In ogni caso per poter assumere la qualifica di erede è necessario da parte del soggetto chiamato una manifestazione di volontà in tal senso. Tale manifestazione può essere espressa, per esempio mediante una dichiarazione resa in atto pubblico alla presenza di un Notaio, oppure tacita, attraverso un comportamento che implica la volontà di accettare il lascito ereditario. L'art. 476 c.c. prevede che “l'accettazione è tacita di eredità quando il chiamato compie un atto che presuppone necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella sua qualità di erede”. Quali comportamenti implicano accettazione tacita di eredità? I tribunali sono spesso chiamati ad accertare l'avvenuta accettazione (tacita) di eredità soprattutto nel caso in cui il de cuius abbia lasciato delle passività per le quali i creditori intendono rivalersi sull'erede del medesimo. E' di particolare importanza distinguere gli atti/comportamenti che determinano l'accettazione tacita di eredità da quelli che, invece, non configurano accettazione. In particolare, secondo la giurisprudenza si ha accettazione tacita di eredita ogni volta in cui vengono esperite azioni volte al reclamo o alla tutela dei beni ereditari, oppure nel caso di incasso dell'assegno intestato al de cuius, o ancora quando si ha una voltura catastale da parte del chiamato. Diversamente, non implicano accettazione tacita di eredità i seguenti atti: il pagamento delle spese funerarie del defunto, la presentazione della denuncia di successione con il relativo pagamento delle imposte di successione, attività conservative sui beni ereditarie. Il pagamento di un debito ereditario implica accettazione tacita di eredità? Dipende. Il pagamento di un debito ereditario non è detto che comporti accettazione tacita di eredità. E' necessario, tuttavia, affinché non vi sia accettazione che l'estinzione del debito avvenga con fondi propri del chiamato, senza intaccare il patrimonio ereditario. Di recente anche la Cassazione ha avvallato tale impostazione: nello specifico il chiamato all'eredità aveva pagato un solo verbale di accertamento dei numerosi emessi per violazione di norme del codice della strada nei confronti del defunto, e su tale presupposto il Comune di Roma riteneva vi fosse accettazione tacita di eredità in capo al chiamato. Tuttavia la Corte ha rigettato il ricorso presentato alla pubblica amministrazione stabilendo che: “ Per aversi accettazione tacita dell'eredità non basta che un atto sia compiuto dal chiamato all'eredità con l'implicita volontà di accettarla, ma è necessario, altresì, che si tratti di un atto che egli non avrebbe diritto di porre in essere se non nella qualità di erede. Il pagamento di un debito del de cuius, che il chiamato all'eredità effettui con denaro proprio, non è un atto dispositivo e comunque suscettibile di menomare la consistenza dell'asse ereditario, cioè tale che solo l'erede abbia diritto di compiere. In esso, pertanto, difetta il secondo dei suddetti requisiti, richiesti in via cumulativa enon disgiuntiva per l'accettazione tacita ." (Cass. Civ. 30 settembre 2020, n. 20878).

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Lo studio

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