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Avvocato Riccardo Ventura a Crema

Riccardo Ventura

Avvocato a Crema e Treviglio

Informazioni generali

Mi chiamo Riccardo Ventura, sono specializzato prevalentemente in diritto civile, commerciale e diritto successorio. Ogni pratica è svolta con la massima professionalità e serietà, dedicando il tempo necessario allo studio della controversia in modo da offrire al cliente un servizio completo e puntuale. Opero prevalentemente in provincia di Cremona, Lodi, Bergamo, Brescia e Milano. Sono iscritto alle liste del Gratuito Patrocinio.

Esperienza


Recupero crediti

Ho maturato esperienza nell'ambito del recupero crediti sia nella fase stragiudiziale che nella fase giudiziale ed esecutiva. Mi occupo sia della fase stragiudiziale mediante invio di diffide di pagamento sia della fase giudiziale predisponendo decreti ingiuntivi o altri atti similari volti alla tutela del credito.


Eredità e successioni

Nel corso degli anni mi sono specializzato nella materia successoria frequentando corsi di specializzazione nonché assistendo diverse clienti in tale ambito. In particolare, offro assistenza legale per impugnazioni di testamento, divisioni giudiziali, azioni di riduzione nonché attività di consulenza in generale.


Diritto commerciale e societario

Offro assistenza sia giudiziale che stragiudiziale in materia di diritto commerciale (costituzioni di società di persone o di capitali, cessioni di azienda, trasferimenti di partecipazioni, operazioni straordinarie) nonché in tutte le fasi patologiche del rapporto societario (recesso, esclusione, ecc.) garantendo inoltre una consulenza trasversale con altri professionisti quali commercialisti e notai.


Altre categorie

Gratuito patrocinio, Pignoramento, Diritto civile, Diritto immobiliare, Diritto condominiale, Domiciliazioni.



Credenziali

Sentenza giudiziaria

La prescrizione del contratto di finanziamento decorre dalla decadenza del beneficio del termine

Sentenza Trib. Cremona n. 348-2023

Il termine di prescrizione dell’obbligazione nascente dal contratto di mutuo decorre dalla data di comunicazione al debitore della decadenza del beneficio del termine La comunicazione della decadenza del beneficio del termine da parte dell’istituto di credito nei confronti del debitore/mutuatario determina il decorrere del termine decennale di prescrizione. Questo è il principio affermato dal Tribunale di Cremona (sentenza n. 348/2023) posto a fondamento della decisione di revocare il decreto ingiuntivo opposto da due debitori della società di cartolarizzazione. Pur essendo il mutuo un contratto di durata il cui debito può considerarsi scaduto solo dal termine previsto per l’ultima rata in caso di comunicazione di decadenza dal beneficio del termine ai sensi dell’art. 1186 c.c. è da tale momento che decorre il termine prescrizionale come ribadito dal citato Tribunale: “Per tali ragioni complessive si deve dunque ritenere che, nel caso di decadenza dal beneficio del termine, poiché il mutuante può pretendere il pagamento immediato dell’intera prestazione, venendo meno la precedente contrattazione relativa alla rateizzazione del debito, il termine di prescrizione debba essere fatto decorrere dal momento in cui il creditore comunica la decadenza dal beneficio del termine, ossia, nel caso di specie, dal 17 marzo 2020.”

Pubblicazione legale

Il socio di s.r.l può essere anche dipendente?

Pubblicato su IUSTLAB

Con riferimento alla possibilità per un medesimo soggetto di rivestire contestualmente la qualifica di socio e quella di dipendente di una s.r.l. si fa presente che tale ipotesi è ammessa dalla giurisprudenza in materia. Per far sì che venga a configurarsi un effettivo rapporto di lavoro subordinato è necessario che tra il datore di lavoro ed il dipendente si instauri un vincolo di subordinazione in forza del quale al primo è attribuito il potere organizzativo e disciplinare caratterizzato dall'emanazione di ordini specifici oltre che dall'esercizio di un'assidua attività di vigilanza e di controllo dell'esecuzione delle prestazioni lavorative del secondo (Tribunale di Firenze 21 gennaio 2016). In conformità al citato principio deve escludersi la configurazione di un rapporto di lavoro subordinato in tutti quei casi in cui la figura amministrativa della s.r.l. (ossia il datore di lavoro) coincida con quella del dipendente, per esempio nel caso di una società in cui l’amministratore unico sia anche socio e dipendente della medesima non venendo ad esistenza il vincolo di subordinazione. Diversamente, qualora il socio non rivesta cariche amministrative lo stesso può anche rivestire la qualifica di dipendente essendo sottoposto al potere direttivo dell’amministratore della società. Oltre a queste casistiche per così dire pacifiche è inoltre opportuno ricordare come vi siano alcuni precedenti giurisprudenziali in cui viene ammesso che il socio-dipendente sia anche membro del consiglio di amministrazione purché le attribuzioni amministrative del medesimo siano ben delimitate senza possibilità di interferire nella gestione di quel poter direttivo/disciplinare tipico del datore di lavoro. In altri termini, dovrà essere documentata in concreto la subordinazione del socio-dipendente-amministratore rispetto all’organo amministrativo che sarà per forza di cose collegiale e non unipersonale. Per tali ragioni sarebbe opportuno evitare che il socio-dipendente della s.r.l. rivesta anche la qualifica di amministratore (ipotizziamo membro del C.d.a.) in quanto potrebbe verificarsi un concreto pericolo di accertamento ispettivo da parte della preposta autorità, a meno che non vi siano delle specifiche deleghe limitative dei poteri in modo che la costituzione e la gestione del rapporto di lavoro siano ricollegabili ad una volontà della società distinta da quella del singolo amministratore. E' inoltre utile esaminare anche le conseguenze di eventuali dimissioni del dipendente/recesso del socio. Infatti, durante la vita della società, un dipendente potrebbe rassegnare le proprie dimissioni oppure essere licenziato per vari motivi. In tali casi, senza la specifica previsione di clausole statutarie, si determinerebbe una situazione paradossale nella quale l’ex dipendente (licenziato o dimesso) abbia ancora la titolarità di una quota di partecipazione nella società e possa comunque accedere a tutte quelle informazioni sociali a cui ogni socio ha diritto ad accedervi, con potenziale danno alla segretezza di informazioni riservate e strategiche per l’attività sociale; oltre al fatto che avrebbe diritto alla quota di utili allo stesso spettanti. Per evitare tale complicata situazione sarebbe opportuno prevedere già nello statuto sociale delle clausole che rendano obbligatoria per il dipendente la dismissione della propria quota di partecipazione, in modo da coordinare sia gli aspetti legati al rapporto di lavoro sia quelli relativi al rapporto sociale. Sul punto si richiama la recente sentenza della Corte d’Appello di Torino del 30 giugno 2021, nella quale è stata esaminata la validità di una clausola di “riscatto” della quota di partecipazione del socio-dipendente nel caso di interruzione del rapporto di lavoro. Tali clausole possono riguardare sia il socio-dipendente sia l’amministratore-dipendente e si possono suddividere in due macro categorie a seconda dell’effettiva causa che sta alla base dell’interruzione del rapporto di lavoro: il c.d. "good-leaver": per il dipendente, il licenziamento giustificato da motivi di carattere oggettivo o ingiustificato, le dimissioni per giusta causa, oltre alla risoluzione consensuale del rapporto, morte o invalidità permanente il cui avverarsi lascia immutato il diritto a conservare le partecipazioni sociali rivenienti dal loro esercizio in capo all'ex-dipendente (o amministratore); e il c.d. "bad-leaver" ("cattivo-partente"): es., con riferimento al dipendente, il licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, nonché le dimissioni volontarie il cui accadimento determina la decadenza dei diritti connessi alle partecipazioni sociali. Sarà opportuno prevedere nel testo dello statuto sociale clausole di questo tenore al fine di meglio disciplinare tuttei vari scenari verificabili durante la vita della società.

Sentenza giudiziaria

Revocato il fallimento a ditta individuale

Sentenza del 17 febbraio 2022 - Corte d'Appello di Milano

La Corte d'Appello di Milano ha accolto il reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento in quanto non rispettati i requisiti di cui all'art. 1 L.F. In particolare, trattandosi di ditta individuale, non soggetta all'obbligo di tenuta delle scritture contabili obbligatorie, la Corte ha ammesso come prova circa la carenza dei requisiti di cui all'art. 1 L.F. le certificazioni uniche dell'ultimo triennio.

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Crema (CR)