Avvocato Riccardo Ventura a Crema

Riccardo Ventura

Avvocato a Crema e Treviglio


Informazioni generali

Mi chiamo Riccardo Ventura, sono specializzato prevalentemente in diritto civile, commerciale e diritto successorio. Ogni pratica è svolta con la massima professionalità e serietà, dedicando il tempo necessario allo studio della controversia in modo da offrire al cliente un servizio completo e puntuale. Opero prevalentemente in provincia di Cremona, Lodi, Bergamo, Brescia e Milano. Sono iscritto alle liste del Gratuito Patrocinio.

Esperienza


Gratuito patrocinio

Sono iscritto alle liste del gratuito patrocinio potendo pertanto offrire assistenza legale a soggetti che soddisfano i requisiti stabiliti di volta in volta da Legislatore, in particolare per l'anno 2021 il limite di reddito è pari ad euro 11.746,68 e potrà, quindi, essere ammesso al gratuito patrocinio chi ha percepito un reddito imponibile ai fini delle imposte sui redditi, risultante dall’ultima dichiarazione, non superiore a questo importo, tenendo conto tutti i componenti del nucleo familiare. In caso di prima consulenza gratuita verranno analizzati i requisiti previsti dalla normativa attuale per l'ammissione al GP.


Eredità e successioni

Nel corso degli anni mi sono specializzato nella materia successoria frequentando corsi di specializzazione nonché assistendo diverse clienti in tale ambito. In particolare, offro assistenza legale per impugnazioni di testamento, divisioni giudiziali, azioni di riduzione nonché attività di consulenza in generale.


Diritto commerciale e societario

Offro assistenza sia giudiziale che stragiudiziale in materia di diritto commerciale (costituzioni di società di persone o di capitali, cessioni di azienda, trasferimenti di partecipazioni, operazioni straordinarie) nonché in tutte le fasi patologiche del rapporto societario (recesso, esclusione, ecc.) garantendo inoltre una consulenza trasversale con altri professionisti quali commercialisti e notai.


Altre categorie:

Pignoramento, Diritto civile, Diritto immobiliare, Recupero crediti, Diritto condominiale, Domiciliazioni.


Referenze

Pubblicazione legale

Alcoltest invalido se non preceduto dall'avviso di farsi assistere dal difensore

Pubblicato su IUSTLAB

Sono diverse le ipotesi di invalidità della misurazione del tasso alcolemico effettuata dagli organi della polizia mediante utilizzo di etilometro. In particolare, la nullità dell'accertamento effettuato mediante alcoltest può essere rilevata, tra l'altro, nei casi in cui l'organo accertatore non abbia avvisato la persona sottoposta ad indagini preliminari della facoltà di farsi assistere dal difensore. Come noto il diritto alla difesa è un diritto inviolabile che deve essere riconosciuto in ogni stato e grado del procedimento (art. 24 Cost.) e, pertanto, deve essere garantito sin dai primi accertamenti preliminari e meramente esplorativi di cui all'art. 186, comma 3, Codice della Strada. Si ricorda sul punto l'art. 114 disp. att. c.p.p. il quale impone alla polizia giudiziaria l’obbligo di avvertire la persona sottoposta a indagini di farsi assistere da un avvocato in sede di tali accertamenti. In assenza di tale avviso l'accertamento etilico svolto dalla polizia giudiziaria non potrà essere utilizzato in giudizio in quanto assunto in palese violazione del diritto alla difesa della persona sottoposta all'accertamento. La Corte di Cassazione ha più volte confermato la nullità dell'accertamento alcolemico in assenza dell'avviso della facoltà di farsi assistere dal difensore. Sul punto si richiama la recente massima che precisa anche l'ultimo momento per rilevare tale nullità: “In tema di guida in stato di ebbrezza, la violazione dell'obbligo di avviso, al conducente da sottoporre all'esame alcolimetrico, della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia, determina una nullità di ordine generale, deducibile nei termini di cui agli artt. 180 e 182, comma 2, c.p.p., con la conseguenza che, in caso di procedimento per decreto, il momento ultimo entro cui la nullità può essere dedotta va individuato nella deliberazione della sentenza di primo grado, e non nella presentazione dell'atto di opposizione al decreto stesso, essendo le norme sulla nullità di stretta interpretazione, e non contenendo l'art. 180 alcun riferimento al decreto penale di condanna e al relativo atto di opposizione” (Cassazione penale sez. IV, 10/12/2019, n.52085). Giova precisare, tuttavia, che gli organi della polizia giudiziaria non devono attendere che l'interessato sia in uno stato psicofisico tale da comprendere il contenuto dell'avviso della possibilità di farsi assistere da un difensore, in quanto trattasi di un accertamento urgente ed indifferibile (Cassazione penale sez. fer., 02/09/2020, n.27538). Anche in caso di rifiuto di sottoporsi all'alcol test da parte della persona sottoposta all'etilometro il mancato avvisto di cui sopra non comporterà la nullità dell'accertamento (Cassazione penale sez. IV, 16/01/2020, n.4896). Si ricorda, infine, che la prova dell'avvenuto avviso può risultare sia dal verbale di accertamento nonché dalla deposizione orale dell'agente di polizia che ha seguito l'esame alcolimetrico (Cassazione penale sez. IV, 10/09/2019, n.3725).

Pubblicazione legale

Il socio di s.r.l può essere anche dipendente?

Pubblicato su IUSTLAB

Con riferimento alla possibilità per un medesimo soggetto di rivestire contestualmente la qualifica di socio e quella di dipendente di una s.r.l. si fa presente che tale ipotesi è ammessa dalla giurisprudenza in materia. Per far sì che venga a configurarsi un effettivo rapporto di lavoro subordinato è necessario che tra il datore di lavoro ed il dipendente si instauri un vincolo di subordinazione in forza del quale al primo è attribuito il potere organizzativo e disciplinare caratterizzato dall'emanazione di ordini specifici oltre che dall'esercizio di un'assidua attività di vigilanza e di controllo dell'esecuzione delle prestazioni lavorative del secondo (Tribunale di Firenze 21 gennaio 2016). In conformità al citato principio deve escludersi la configurazione di un rapporto di lavoro subordinato in tutti quei casi in cui la figura amministrativa della s.r.l. (ossia il datore di lavoro) coincida con quella del dipendente, per esempio nel caso di una società in cui l’amministratore unico sia anche socio e dipendente della medesima non venendo ad esistenza il vincolo di subordinazione. Diversamente, qualora il socio non rivesta cariche amministrative lo stesso può anche rivestire la qualifica di dipendente essendo sottoposto al potere direttivo dell’amministratore della società. Oltre a queste casistiche per così dire pacifiche è inoltre opportuno ricordare come vi siano alcuni precedenti giurisprudenziali in cui viene ammesso che il socio-dipendente sia anche membro del consiglio di amministrazione purché le attribuzioni amministrative del medesimo siano ben delimitate senza possibilità di interferire nella gestione di quel poter direttivo/disciplinare tipico del datore di lavoro. In altri termini, dovrà essere documentata in concreto la subordinazione del socio-dipendente-amministratore rispetto all’organo amministrativo che sarà per forza di cose collegiale e non unipersonale. Per tali ragioni sarebbe opportuno evitare che il socio-dipendente della s.r.l. rivesta anche la qualifica di amministratore (ipotizziamo membro del C.d.a.) in quanto potrebbe verificarsi un concreto pericolo di accertamento ispettivo da parte della preposta autorità, a meno che non vi siano delle specifiche deleghe limitative dei poteri in modo che la costituzione e la gestione del rapporto di lavoro siano ricollegabili ad una volontà della società distinta da quella del singolo amministratore. E' inoltre utile esaminare anche le conseguenze di eventuali dimissioni del dipendente/recesso del socio. Infatti, durante la vita della società, un dipendente potrebbe rassegnare le proprie dimissioni oppure essere licenziato per vari motivi. In tali casi, senza la specifica previsione di clausole statutarie, si determinerebbe una situazione paradossale nella quale l’ex dipendente (licenziato o dimesso) abbia ancora la titolarità di una quota di partecipazione nella società e possa comunque accedere a tutte quelle informazioni sociali a cui ogni socio ha diritto ad accedervi, con potenziale danno alla segretezza di informazioni riservate e strategiche per l’attività sociale; oltre al fatto che avrebbe diritto alla quota di utili allo stesso spettanti. Per evitare tale complicata situazione sarebbe opportuno prevedere già nello statuto sociale delle clausole che rendano obbligatoria per il dipendente la dismissione della propria quota di partecipazione, in modo da coordinare sia gli aspetti legati al rapporto di lavoro sia quelli relativi al rapporto sociale. Sul punto si richiama la recente sentenza della Corte d’Appello di Torino del 30 giugno 2021, nella quale è stata esaminata la validità di una clausola di “riscatto” della quota di partecipazione del socio-dipendente nel caso di interruzione del rapporto di lavoro. Tali clausole possono riguardare sia il socio-dipendente sia l’amministratore-dipendente e si possono suddividere in due macro categorie a seconda dell’effettiva causa che sta alla base dell’interruzione del rapporto di lavoro: il c.d. "good-leaver": per il dipendente, il licenziamento giustificato da motivi di carattere oggettivo o ingiustificato, le dimissioni per giusta causa, oltre alla risoluzione consensuale del rapporto, morte o invalidità permanente il cui avverarsi lascia immutato il diritto a conservare le partecipazioni sociali rivenienti dal loro esercizio in capo all'ex-dipendente (o amministratore); e il c.d. "bad-leaver" ("cattivo-partente"): es., con riferimento al dipendente, il licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, nonché le dimissioni volontarie il cui accadimento determina la decadenza dei diritti connessi alle partecipazioni sociali. Sarà opportuno prevedere nel testo dello statuto sociale clausole di questo tenore al fine di meglio disciplinare tuttei vari scenari verificabili durante la vita della società.

Sentenza giudiziaria

Revocato il fallimento a ditta individuale

Sentenza del 17 febbraio 2022 - Corte d'Appello di Milano

La Corte d'Appello di Milano ha accolto il reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento in quanto non rispettati i requisiti di cui all'art. 1 L.F. In particolare, trattandosi di ditta individuale, non soggetta all'obbligo di tenuta delle scritture contabili obbligatorie, la Corte ha ammesso come prova circa la carenza dei requisiti di cui all'art. 1 L.F. le certificazioni uniche dell'ultimo triennio.

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Lo studio

Riccardo Ventura
Via Albarella
Crema (CR)

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