Avvocato Romina Anichini a Formigine

Romina Anichini

Avvocato di Famiglia e Mediatrice Familiare

Informazioni generali

Mi chiamo Romina Anichini, mi occupo prevalentemente di diritto di famiglia. Sono anche mediatrice familiare, socia di A.i.me.f. (Associazione Italiana Mediatori Familiari) nonché curatrice speciale per i minori, presso il Tribunale di Modena e presso il Tribunale dei Minorenni di Bologna. Da oltre venti anni gestisco casi di diritto civile, con una particolare predilezione per il diritto di famiglia e delle persone. Precisione, attenzione e contatto diretto con il cliente sono le caratteristiche principali del mio modo di lavorare.

Esperienza


Diritto di famiglia

Ritengo che l'Avvocato di Famiglia debba avere specifiche competenze, ma anche capacità di empatizzare con chi chiede aiuto e necessita di essere non solo assistito, ma anche accompagnato nel percorso di gestione e di soluzione della criticità familiare. Affronto con lo stesso approccio anche le altre problematiche di diritto civile, convinta che il miglior accordo lo possano trovare le parti in conflitto. Il mio studio si avvale anche di esperti in coordinazione genitoriale, per i casi di elevata conflittualità.


Separazione

Ogni separazione rappresenta un caso specifico e va trattata con estrema attenzione ai bisogni sottesi da soddisfare, specialmente quando sono coinvolti figli minori. Solo i genitori conoscono e sono in grado di sapere, se adeguatamente assistiti, di quali risorse, economiche e personali, possono disporre per costruire il miglior assetto per i loro figli dopo la crisi familiare.


Eredità e successioni

Subito dopo la laurea, ho collaborato e svolto tirocinio presso uno studio notarile di Roma dove ho affrontato spesso le tematiche del diritto ereditario e dove ho potuto acquisire dimestichezza e particolare competenza della materia.


Altre categorie

Divorzio, Diritto civile, Tutela dei minori, Contratti, Licenziamento, Unioni civili, Matrimonio, Affidamento, Recupero crediti, Pignoramento, Diritto del lavoro, Diritto condominiale, Locazioni, Sfratto, Mediazione, Negoziazione assistita, Gratuito patrocinio, Domiciliazioni e sostituzioni.



Credenziali

Pubblicazione legale

Genitorialita’ e crisi familiare

Pubblicato su IUSTLAB

Fare il genitore è un “mestiere” che si impara facendo . Chi ha più di un figlio può concordare con me che certe difficoltà incontrate con il primo figlio, non si presentano con il secondo o vengono gestite con minore apprensione e maggiore disinvoltura. Si diventa più esperti, più abili ad affrontare le complessità della vita da genitore, pur essendo ogni figlio diverso e quindi differentemente reattivo alle modalità relazionali del genitore. Ciò che non si impara facendo , come genitori, è affrontare con i figli il tema della separazione: su questo aspetto non si può vantare un’esperienza a cui appellarsi per trovare un’indicazione o un consiglio, perché la crisi di coppia può insorgere e quando insorge è la prima volta e va affrontata, anche con i figli. Poiché, in senso pedagogico, la genitorialità è in sintesi la capacità di rispondere ai bisogni del figlio , nel caso di crisi familiare si delinea il bisogno del figlio di conoscere quello che sarà il futuro della sua famiglia e, soprattutto, il bisogno del figlio di essere protetto e preservato dalle conseguenze negative della crisi familiare . Da qui la considerazione che la genitorialità si debba declinare anche nella fase patologica della vita di coppia al fine di evitare scompensi nel rapporto dei genitori con i figli. L’avvocato di famiglia, un faro che deve far luce su tutto Non è raro che il cliente chieda al suo avvocato come e quando deve comunicare al figlio della separazione, soprattutto quando il cliente si sente accolto, anche emotivamente, dal professionista cui si è rivolto per la gestione della sua separazione. Perché l’ avvocato di famiglia fa anche questo. L’avvocato di famiglia non può e non deve limitarsi a raccogliere gli elementi per preparare il ricorso di separazione, ma deve preparare un terreno che sia il più possibile “arato” affinché la separazione sia gestita proficuamente sotto ogni profilo, incluso il profilo della genitorialità . Diversamente il lavoro dell’avvocato sarebbe parziale e poco efficace, perché non realizzerebbe pienamente l’interesse del cliente e di chi gravita attorno al cliente- genitore, ovvero i figli. L’avvocato di famiglia, quindi, deve informare il suo cliente dell’esistenza di strumenti e percorsi utili a gestire nella sua complessità la separazione, a sviscerarne ogni profilo, per fornire al cliente un’assistenza il più possibile completa e che tenga conto di tutti gli interessi da tutelare. Come comportarsi quindi? Come e quando spiegare al figlio o ai figli che i genitori si separano? La separazione rappresenta un momento di passaggio o di conclusione della coppia, ma riverbera inevitabilmente i suoi effetti anche sui figli. E tali effetti sono estremamente tangibili perché riguardano la quotidianità più elementare dei figli, a partire dal fatto che da un certo momento in poi non avranno più una sola casa ma due, non più una cameretta ma (forse) due, non più un unico tavolo attorno al quale sedersi a pranzo o cena, ma due. L’esercizio della genitorialità durante la crisi familiare è senza dubbio e - diremmo - ovviamente più difficile perché i genitori, coppia in crisi o in procinto di separarsi, devono fare lo sforzo di riconoscersi coppia genitoriale e quindi di co-gestire rispetto ai figli il momento della separazione . Ciò significa che, a prescindere dall’età dei figli, l’esercizio consapevole della genitorialità richiede che l’argomento della separazione sia affrontato in modo congiunto dai genitori, in modi consoni all’età degli interlocutori (figli) ed in tempi adatti alla situazione concreta. Questa non è una frase vuota o generica, ma vuole essere una frase aperta all’interpretazione che il caso specifico richiede. Infatti ogni separazione è diversa dall’altra, perché ogni crisi di coppia è particolare e deve essere gestita dai genitori in modo coerente alle peculiarità del caso. Può infatti accadere che la convivenza e la coabitazione cessino prima del provvedimento di separazione, per scelta di uno o di entrambi i genitori o per la necessità di proteggere i figli dalle tensioni presenti in casa: in questi casi, a prescindere e anche prima dell’intervento del giudice, i genitori devono affrontare l’argomento con i figli i quali altrimenti resterebbero senza risposte e senza alcuna certezza di fronte ad un cambiamento significativo. Non servono competenze in psicologia per ritenere che i figli hanno il diritto di sapere che i genitori non hanno più una relazione affettiva e che, ciononostante, il loro rapporto con i genitori continuerà in tempi e in modi adattati alla nuova situazione, nel rispetto dei loro interessi e delle loro esigenze. Al contrario, ci sono casi in cui la coabitazione permane fino al provvedimento del giudice che stabilisce a quale dei due genitori viene assegnata la casa familiare; in taluni altri casi la coabitazione cessa solo dopo qualche mese dal provvedimento del giudice in quanto può accadere che il genitore non collocatario (ovvero il genitore al quale non è stata assegnata la casa familiare) abbia difficoltà a reperire un alloggio. In questi casi i genitori devono comprendere quando affrontare l’argomento della separazione con i figli e, peraltro, sono costretti a farlo in un momento nel quale devono elaborare anche il momento dell’uscita dalla casa familiare, passaggio fisico ed emotivo di grande sofferenza sia per il genitore che deve uscire che per i figli che vedono uscire il genitore dalla casa familiare. La coabitazione “forzata”, in questa ipotesi per nulla rara, rende la comunicazione della verità ai figli ancora più difficoltosa, ma assolutamente necessaria affinché siano rassicurati sulla continuità della relazione con il genitore “uscente”. In questi momenti la genitorialità viene messa a dura prova, sia per il genitore che deve uscire dalla casa familiare sia per il genitore che resta, con il figlio, nella casa familiare. In queste situazioni è molto difficile che il risentimento, inevitabilmente presente, consenta ai genitori di dare al figlio informazioni allineate e scevre da condizionamenti personali o dalla tensione tra i genitori. Se da una parte è necessario normalizzare le difficoltà che i genitori possono incontrare nell’informare i figli della separazione, soprattutto quando è in corso una causa, dall’altra può essere opportuno chiedere un supporto a livello personale per evitare che una cattiva comunicazione o una mancata comunicazione ingeneri nei figli incertezza sul futuro, sensi di colpa e frustrazione, senso di abbandono e, talvolta, rabbia verso il genitore che è uscito di casa o verso il genitore che è rimasto e che può essere visto dal figlio come “fortunato” rispetto all’altro, viceversa ritenuto bisognoso di protezione. STRUMENTI UTILI ALLA GENITORIALITA’ DURANTE LA CRISI FAMILIARE Essere, anzi fare il genitore in tempo di crisi richiede un’attenzione diversa ed ulteriore affinché il cambiamento che la separazione determina sia vissuto dai figli nella certezza che i genitori continueranno ad esserci e a condividere le scelte riguardanti la loro vita, senza coinvolgerli in tensioni e conflitti personali. Per giungere a questo obiettivo è consigliabile migliorare e talvolta recuperare una comunicazione efficace tra i genitori affinché la genitorialità, intesa come esercizio della relazione tra genitore e figlio e come capacità di rispondere ai bisogni del figlio in ogni fase della sua vita, si esprima in maniera appropriata e funzionale. A tale scopo la mediazione familiare si presenta come lo strumento più adatto al recupero o alla ottimizzazione della comunicazione tra i genitori perché permette, attraverso la manifestazione ed il riconoscimento reciproco delle emozioni, di far emergere i bisogni autentici delle parti in conflitto e di incanalarli nella stessa direzione, rendendo i genitori consapevoli del fatto che tale direzione è comune, pur nella differenza delle posizioni, perché riguarda il benessere dei figli e non l’interesse individualistico di ciascuno di loro. Su questo tema, la mediazione familiare, come strumento che aiuta a riattivare un dialogo costruttivo tra i genitori, è utile ad individuare la modalità più appropriata per informare i figli della separazione e per comunicare loro, sempre congiuntamente, la riorganizzazione della vita familiare: due genitori che sanno comunicare bene tra loro e che fanno fronte comune nel trasmettere ai figli una novità così significativa, come la separazione, determinano un effetto rassicurante negli stessi, contribuendo a ridimensionare il senso di disorientamento e le paure che possono emergere nei figli a fronte di eventi familiari obiettivamente destabilizzanti. D’altro canto, mentre il mediatore familiare si rivolge e lavora necessariamente con entrambi i genitori, può accadere che la disfunzione riguardi il rapporto del singolo genitore con il figlio o il figlio stesso che non accetta la separazione dei genitori o che non è stato adeguatamente rassicurato dagli stessi sulla continuità del rapporto genitoriale, sviluppando malessere e disagio. In questi casi il supporto psicologico o psicoterapeutico è fondamentale e quando non è possibile perché manca la volontà del figlio (o, ancor peggio, di uno dei genitori) il genitore può ricorrere a professionisti, privati o pubblici, per iniziare un percorso di sostegno alla genitorialità , lavorando su sé stesso e fruendo di competenze specifiche per poter aiutare e quindi rispondere efficacemente al bisogno di protezione del figlio in un momento così delicato come quello della separazione dei genitori. Riconoscere il bisogno di chiedere un supporto esterno per acquisire la capacità di relazionarsi con il figlio nella fase della crisi familiare è espressione di una genitorialità consapevole ed attenta che dovrebbe costituire un modello di esempio per evitare i potenziali effetti deleteri della crisi familiare sui figli. A MALI ESTREMI, ESTREMI RIMEDI Mi pare utile concludere questo articolo accennando ad un ulteriore strumento che, come provocatoriamente si vuol far intendere dal titolo, è da ritenersi un rimedio estremo. Mi riferisco alla coordinazione genitoriale , strumento sensibilmente diverso dalla mediazione familiare, dalla quale si distingue per il carattere direttivo e propulsivo del soggetto che la esercita, il coordinatore genitoriale appunto. Questa figura, implicitamente riconosciuta dalla Riforma Cartabia (art. 473 bis n. 26 c.p.c.), è rappresentata da un professionista, specificamente formato, che in casi di grave conflittualità orienta fattivamente i genitori indicando loro proposte o modalità di esercizio della genitorialità al fine di sbloccare situazioni di stallo che potrebbero pregiudicare il benessere dei minori coinvolti e necessitano quindi di un intervento concreto ed immediato che colmi le lacune presenti nelle condotte dei genitori in estremo conflitto. I punti di scontro dei genitori riguardano questioni eminentemente pratiche ma centrali nella vita di un minore, come la scelta della scuola, della religione, dello sport, se frequentare o meno il catechismo, aspetti che attengono allo sviluppo della personalità del figlio e che se restano irrisolti possono comprometterne la sereno ed equilibrata crescita. Mentre il mediatore familiare aiuta le parti a comunicare efficacemente affinché, ritrovato il dialogo, siano loro stesse a trovare le soluzioni pratiche necessarie per la riorganizzazione familiare dopo la separazione, incoraggiandole ad autodeterminarsi e a riconoscersi reciprocamente in grado di prendere una decisione comune, il coordinatore genitoriale indirizza specificamente i genitori in conflitto ad assumere decisioni o a mettere in atto proposte educative al fine di rispondere al bisogno emergente del minore al quale essi, a causa della grave conflittualità, non sono in grado di rispondere in autonomia e tempestivamente. Si tratta di una figura che può essere nominata dal giudice nell’ambito di un procedimento, eventualmente su richiesta delle parti, o può essere direttamente designata dai genitori, al di fuori di un giudizio, eventualmente su consiglio di un professionista, come l’avvocato o lo psicologo o l’assistente sociale. **** Lo studio legale dell’avvocato Anichini mette a disposizione tutte le figure citate nel presente articolo per garantire un’assistenza completa e la tutela di tutte le persone coinvolte nella crisi familiare.

Titolo professionale

"Screening e valutazione della violenza in mediazione familiare"

APS Mediamente - 11/2024

Attraverso l'esperienza di Lisa Parkinson, una delle massime esponenti di mediazione familiare, ho appreso l'importanza di intercettare i segnali della violenza in ambito familiare e come offrire un contesto protetto alla "vittima" presente nella stanza di mediazione

Pubblicazione legale

Chi e’ e cosa fa l’avvocato di famiglia?

Pubblicato su IUSTLAB

CHI E’ E COSA FA L’AVVOCATO DI FAMIGLIA? Sentiamo parlare di “avvocato divorzista”, di “avvocato familiarista” o “matrimonialista”. Io preferisco parlare di “avvocato di famiglia”. Innanzitutto perché l’avvocato che si occupa di diritto di famiglia non si occupa solo di divorzi o di matrimoni e sarebbe riduttivo, pertanto, definirlo “avvocato divorzista o matrimonialista”. Inoltre un aggettivo non definisce bene il raggio d’azione del professionista, quanto il suo oggetto di interesse, ovvero, in questo caso, la “famiglia”. L’avvocato di famiglia è il professionista che si occupa, in generale, della crisi delle relazioni familiari , non limitandosi alle crisi di coppia, coniugale o non coniugale, ma rivolgendosi anche alla tutela dei minori nei casi di negligenza genitoriale o alle conflittualità nell’ambito della famiglia parentale per motivi ereditari. L’avvocato di famiglia si occupa anche di adozione e di tutela legale delle persone fragili (ad es. chi è affetto da una qualsiasi forma di infermità e necessita della nomina di un amministratore di sostegno) AVVOCATO DI FAMIGLIA: COMPETENZA E ATTITUDINE In tutti questi casi l’avvocato di famiglia si trova davanti una persona, che sta attraversando un momento di sofferenza, di frustrazione, di debolezza e che quindi non presenta soltanto un problema giuridicamente rilevante, ma anche una situazione soggettiva estremamente delicata. L’avvocato di famiglia si trova infatti di fronte a chi, a differenza del cliente che vanta un credito e o che si lamenta dell’inquilino moroso, presenta una condizione personale che richiede un approccio più profondo in quanto il suo problema legale ha anche ricadute emotive e psicologiche importanti. Per questo l’avvocato di famiglia deve avere, oltre alle competenze giuridiche, anche un’attitudine speciale. L’avvocato di famiglia deve tener conto del fatto che la relazione in crisi di cui si sta occupando è una relazione familiare che, in quanto tale, richiede un supporto non soltanto legale. Per questa ragione l’avvocato che si occupa di diritto di famiglia deve avere non soltanto una vasta e completa preparazione giuridica, ma anche una competenza multidisciplinare che lo aiuti a comprendere tutte le sfaccettature non giuridiche della problematica sottopostagli. Ciò richiede delicatezza, sensibilità ed anche umiltà, soprattutto laddove quanto emerge dall’ascolto del cliente evidenzi l’opportunità di consigliare anche altri tipi di valutazione o di supporto (ad es. lo psicologo, il mediatore familiare , il coordinatore genitoriale). Questa riflessione suscita ulteriori considerazioni sulle peculiarità dell’avvocato di famiglia e sul fatto che chi si occupa di relazioni familiari in crisi (di coppia, per questioni ereditarie) o di soggetti da tutelare (minori, disabili) debba avere un quid pluris rispetto all’avvocato in generale. LA DEONTOLOGIA DELL’AVVOCATO DI FAMIGLIA La deontologia è la cornice di regole che il professionista deve rispettare nell’esercizio della sua attività. La violazione di tali regole comporta l’applicazione di sanzioni, più o meno gravi, da parte di organismi preposti alla loro osservanza. L’art. 14 del codice deontologico forense prescrive all’avvocato di NON ACCETTARE incarichi se non è in grado di svolgerli con adeguata competenza . E per “adeguata competenza”, con riferimento all’avvocato che si occupa di crisi familiare, si intende non soltanto il possesso di conoscenze giuridiche e di un’etica inappuntabile. L’avvocato di famiglia deve anche possedere la capacità individuare l’interesse autentico del cliente, aiutando quest’ultimo a decantarlo da tutte le appendici emotive che lo offuscano e che rischiano di condurlo ad una lite giudiziale estremamente faticosa dal punto di vista psicologico, oltre che costosa (togliendo quindi risorse personali ed economiche a chi in primis le merita, come i figli). Il lavoro dell’avvocato di famiglia deve essere pertanto orientato a identificare, sotto le manifestazioni emotive, i reali bisogni di chi è coinvolto nella relazione familiare e a raggiungere soluzioni condivise del conflitto, che scongiurino il più possibile (e quando possibile) la fase giudiziale, attenuando così l’impatto negativo della crisi familiare sui soggetti più deboli, quali i figli. Pertanto è compito dell’avvocato di famiglia raggiungere il massimo equilibrio tra il dovere di fedeltà al cliente (art. 10 del codice deontologico), l’ indipendenza nell’esercizio della sua professione (art. 9 del codice deontologico) ed il dovere di esercitare la professione anche a tutela degli altri interessi partecipi della relazione familiare, ovvero l’interesse dei figli minori, se ve ne siano. Da questo punto di vista, si può notare che anche il profilo deontologico dell’avvocato di famiglia si differenza rispetto a quello dell’avvocato in generale, rivelandosi più complesso nella misura in cui non è soltanto l’interesse individuale (se non individualistico) del suo cliente a fare da faro nell’espletamento dell’incarico legale, ma è un insieme di posizioni cui sono sottesi bisogni diversi che l’avvocato di famiglia, con le sue competenze multidisciplinari, deve saper cogliere, individuare e ben rappresentare al suo cliente (spesso “preso” o concentrato su altro nel momento della crisi) Per questo l’avvocato di famiglia deve prestare attenzione a non lasciarsi travolgere dai sentimenti di rabbia e dalla voglia di vendetta espressi dal cliente, restando indipendente ed autonomo nella scelta della strategia di difesa e delle relative modalità di estrinsecazione. L’avvocato di famiglia non deve alimentare il conflitto e, se mai, deve ricondurlo ad una forma gestibile in modo da poter individuare, nel confronto con l’altra parte, i reali bisogni ed interessi in gioco. In sintesi l’avvocato di famiglia deve lavorare mantenendo la propria autonomia e indipendenza professionale, nella fedeltà al mandato conferitogli dal cliente, ma con un’obiettività ed un approccio etico tesi a perseguire un interesse che potremmo definire “superiore”, l’interesse alla cura della relazione familiare. In questo senso l’avvocato di famiglia svolge una funzione sociale perché non circoscrive il suo sguardo e la sua azione al perimetro disegnato dal suo cliente, ma va oltre, spronandolo ad approfondire le sue reali esigenze, dopo avere accolto la sua sofferenza e la delusione, per portarlo a riflettere sulla necessità di preservare la relazione familiare e di tutelare quindi anche l’interesse di chi, nell’imperversare di sentimenti di frustrazione, rabbia e rancore, non ha voce in quel momento, come i figli. Tale funzione sociale è, del resto, riflessa dalle stesse norme deontologiche laddove prescrivono che il mandato ricevuto dal cliente deve essere espletato nel rispetto del rilievo costituzionale e sociale della difesa . Ed è naturale che la difesa del genitore debba riflettere quella dei propri figli. Contemporaneamente l’avvocato di famiglia svolge anche una funzione preventiva perché se il conflitto è stato ben gestito ed ha condotto ad una soluzione ponderata e condivisa, previene ulteriore contenzioso giudiziale, promuovendo la stabilità degli accordi, nell’interesse di quella famiglia, sia pure divisa, ma anche nell’interesse della collettività (che non dovrà sostenere i costi sociali dell’ulteriore conflittualità). Sotto questo profilo è significativo quanto espresso dal Parlamento Europeo nella risoluzione del 23 marzo 2006 quando ha attribuito alla professione dell’avvocato il valore precipuo di “ garantire la qualità dei servizi a beneficio dei clienti e della società in generale e di salvaguardare l’interesse pubblico ”. In una significativa ordinanza del 2016, un illuminato giudice del Tribunale di Milano ha riconosciuto l’avvocato come parte del “servizio pubblico di Giustizia” e come professionista che ha “ non solo il dovere ma invero l’obbligo di svolgere un ruolo protettivo del minore , arginando il conflitto invece che alimentarlo ” (dr. Giuseppe Buffone, ordinanza del 23.03.2016). Ciò richiama quanto raccomandato nelle Linee Guida del Consiglio d’Europa sulla Giustizia a misura di minore dove è chiaramente indicata la necessità che in tutti i procedimenti giudiziari i minori siano protetti da eventuali pregiudizi, come intimidazioni, rappresaglie, vittimizzazione secondaria ed in generale ogni genere di strumentalizzazione del minore, indicazione che non può essere ignorata dall’avvocato che si occupa di diritto di famiglia. Approfondendo la tematica della deontologia dell’avvocato di famiglia, è corretto richiamare alcune norme del codice deontologico forense che definiscono ancor meglio le sue peculiarità. L’art. 56 del codice deontologico VIETA all’avvocato del genitore di ascoltare o di avere qualsiasi forma di contatto con il figlio minore sulle circostanze relative alle controversie familiari o minorili, manifestando quindi il chiaro intento di proteggere il minore da qualsiasi tipo di condizionamento che naturalmente subirebbe in un simile frangente. L’art. 68, ultimo comma, del codice deontologico VIETA inoltre all’avvocato che ha assistito il minore in una controversia familiare di prestare assistenza in favore di uno dei genitori in controversie successive della stessa natura. Così come è vietato, senza alcun limite di tempo, assumere incarico da uno dei coniugi o dei conviventi, congiuntamente assistiti in precedenza, in controversie successive sorte tra loro, norma che presume, in via assoluta, la sussistenza di un conflitto di interesse e la conseguente incompatibilità dell’avvocato di famiglia rispetto al coniuge già assistito, del quale conosce informazioni che, se utilizzate, potrebbero arrecare gravi danni costituendo peraltro una condotta sleale. Il divieto di assumere incarichi in favore di uno dei coniugi o conviventi già assistito in precedenza ha carattere assoluto e permanente a differenza del divieto di assumere incarichi contro la parte già assistita in una controversia non familiare, divieto che ha durata biennale. Questa differenza di trattamento specifica in maniera significativa la particolare posizione dell’avvocato di famiglia rispetto all’avvocato che non si occupa della materia familiare, sottolineandone i limiti nell’esercizio della propria attività e rendendo particolarmente rigorosa l’osservanza dei principi di lealtà, indipendenza e autonomia intellettuale. In conclusione si può sottolineare che chi sceglie di esercitare la professione forense nell’ambito, prevalente o esclusivo, del diritto di famiglia deve seguire ancor più severamente le regole deontologiche avendo riguardo ai particolari interessi che, attraverso la loro osservanza, devono essere tutelati, tra cui l’interesse del minore. È chiaro che questa considerazione dovrebbe aiutare anche l’utenza nella scelta del professionista, orientandola verso chi, per esperienza, formazione e competenze acquisite nel tempo, sia in grado di garantire assistenza legale mirata, continua e diretta, ma anche capacità di consigliare in maniera obiettiva e razionale, oltre l’onda emotiva del momento di chi attraversa la crisi in famiglia. QUANTO COSTA L’AVVOCATO DI FAMIGLIA Non esiste una risposta univoca perché ogni caso è particolare e richiede assistenza specifica e, come tale, variabile con conseguente naturale ricaduta sui compensi dovuti al professionista. Esistono i parametri ministeriali , disciplinati dal DM 55/2014 recante: "Determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense ai sensi dell'art. 13 comma 6 della legge 31 dicembre 2012 n. 247" , aggiornati al DM 147/2022 che definiscono un range nell’ambito del quale il professionista può fissare il suo compenso, che non può essere inferiore al valore minimo dei parametri stabiliti per cause di valore indeterminabile, come quelle in esame. Ciò non impedisce al professionista di concordare liberamente i compensi con il cliente (art. 25 codice deontologico): in tal caso l’accordo dovrà essere scritto ed i compensi non dovranno comunque essere sproporzionati rispetto all’attività da svolgere. L’indicazione che ci si sente di dare per la valutazione della congruità di un preventivo – che il cliente ha sempre il diritto di pretendere dall’avvocato – è considerare il complesso lavoro che l’avvocato di famiglia è chiamato a fare e che non si limita né, anzi, deve limitarsi ad essere la traduzione letterale delle volontà del cliente in un atto giudiziario. Come ampiamente scritto nei paragrafi precedenti, l’avvocato di famiglia è chiamato a svolgere un lavoro più profondo e più ampio con il cliente, che può richiedere tanti incontri e varie sessioni telefoniche, che può prevedere la formulazione di diverse ipotesi di soluzione o la necessità di testarle con l’altra parte per verificarne l’efficacia e la potenziale tenuta anche dopo la separazione. L’analisi di una controversia familiare può richiedere lo studio della giurisprudenza per capire come sono orientati a decidere i giudici su casi analoghi a quello sottoposto dal cliente, ma anche l’esame di copiosa documentazione (basti pensare alle controversie ereditarie) che può essere anche complicata da comprendere o richiedere addirittura il supporto tecnico di altre figure professionali (es. un commercialista o un geometra) che avranno un costo distinto da quello dell’avvocato, spesso necessario da sostenere per valutare le proprie ragioni e capire se sia opportuno o meno affrontare una lite giudiziale. Anche il confronto con altri professionisti rappresenta per l’avvocato di famiglia un’attività importante, perché dalla interazione sinergica con altre figure professionali deriva una prestazione completa e mirata, precipuamente focalizzata sul bisogno del cliente. Pertanto, il costo dell’avvocato di famiglia non è determinabile a priori e non è fisso perché dipende dalle attività che in concreto saranno necessarie nel caso sottoposto dal cliente. La predisposizione di un preventivo sarà possibile solo dopo la conoscenza del caso e la consapevolezza, anche da parte del cliente, delle attività che saranno necessarie per rispondere al suo bisogno. A parere di chi scrive anche l’utente che, apparentemente, non presenta particolari criticità deve essere specificamente seguito dall’avvocato di famiglia il quale può rilevare questioni da discutere, cui il cliente non aveva prestato attenzione e che probabilmente emergerebbero in futuro, o proporre soluzioni diverse e maggiormente funzionali al caso in esame. In questo senso l’avvocato di famiglia svolge anche una funzione preventiva. In conclusione, chi propone tariffe fisse per una controversia familiare fornirà di conseguenza un servizio standardizzato e necessariamente “basico”, senza alcun riguardo alla specificità del caso e giungerà a dare una prestazione parziale e difficilmente soddisfacente per il cliente. Per questa ragione il consiglio è affidarsi ad un professionista specificamente competente in diritto di famiglia che ascolti con attenzione il caso portato dal cliente e che, sulla base delle peculiarità e delle probabili attività necessarie per quel caso , fornisca una protezione “su misura” ed un preventivo di costi coerente rispetto a tali attività.

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