L’effettiva conoscenza del processo non è una chimera

Scritto da: Saschia Soli -




Pubblicazione legale: Un condannato ha presentato nel 2024 istanza di rescissione del giudicato derivante da una sentenza divenuta irrevocabile il 3 marzo 2020 a seguito della conferma della Corte di appello di Perugia della pronuncia resa dal giudice di prime cure e dopo la dichiarazione di inammissibilità del gravame da parte della Corte di cassazione. Il fatto di reato era stato commesso a novembre 2012 e il condannato ha avuto conoscenza della condanna solo il 15 maggio 2024 allorché gli è stata rilasciata “visura senza valore di certificazione delle iscrizioni nel casellario giudiziale” da cui, appunto, si evinceva l’esistenza del suddetto giudicato. Il condannato, a mezzo del proprio difensore, ha fatto quindi accesso agli atti per verificare la regolarità delle notifiche degli atti procedimentali ed è emerso che nel verbale di identificazione redatto a novembre 2012 dalla Guardia di Finanza si era dato atto che l’indagato era “senza fissa dimora” – non si indicava neanche il numero della utenza cellulare – e che il medesimo avrebbe richiesto che ogni notificazione gli fosse inviata “presso lo studio del difensore di ufficio che mi sarà assegnato”, senza fare riferimento al nominativo del difensore che sarebbe stato poi nominato. Solo in calce al verbale veniva indicato il nominativo del difensore d’ufficio. La Corte di appello ha accolto l’istanza di rescissione ritenendola tempestiva, in quanto depositata entro i trenta giorni dal rilascio della certificazione del casellario giudiziale, seppur si procedesse per un fatto di reato commesso nel 2012 rispetto al quale la condanna era divenuta definitiva nell’anno 2020. La Corte, accogliendo le deduzioni dell’istanza (la sentenza è allegata alla fine del post in versione anonimizzata), ha affermato che “sussistono dubbi sulla consapevolezza” del condannato che gli fosse stato nominato un difensore di ufficio e, soprattutto di aver eletto domicilio presso lo studio del predetto con “tutte le conseguenze che tale scelta comportava” e ciò senza “che fosse emersa la minima prova” che il difensore d’ufficio “avesse avuto la possibilità di mettersi in contato con il proprio assistito” che infatti, come emergeva nel verbale di identificazione, era senza fissa dimora. La Corte ha ritenuto, pertanto, che l’istante si “trovasse in una situazione di inconsapevole ignoranza del processo a suo carico”.

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Saschia Soli

Avvocato a Perugia




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