Avvocato Silvia Lecca a Cagliari

Silvia Lecca

Avvocato a Cagliari


Informazioni generali

L'avv. Lecca opera presso lo studio Atzeni & Fortunato di Cagliari da oltre cinque anni nel settore del diritto del lavoro. L'avv. Lecca svolge la propria attività in favore di imprese e privati fornendo un'analisi completa della controversia e predilige, laddove possibile, strumenti di risoluzione stragiudiziale delle vertenze. Lo Studio unitamente agli incontri in presenza fornisce assistenza telematica con facoltà di accesso diretto al proprio fascicolo digitale.

Esperienza


Diritto del lavoro

L'avv. Lecca ha fornito assistenza sia nei procedimenti giudiziali che extragiudiziali quali Ispettorato Territoriale del Lavoro e Sindacati in favore di imprese e lavoratori. In particolare, l'avv. Lecca ha approfondito la materia giuslavoristica conseguendo un Master di II Livello presso l'Università degli Studi di Cagliari e due Master di I livello presso la Scuola di Formazione Ipsoa e Altalex tra Roma e Milano.


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Referenze

Pubblicazione legale

Il rifiuto del lavoratore di adempiere alle mansioni assegnate dal datore di lavoro. Limiti e poteri in capo al datore di lavoro.

Pubblicato su IUSTLAB

Il rifiuto del lavoratore di adempiere alle mansioni assegnate dal datore di lavoro. Limiti e poteri in capo al datore di lavoro. Nota a Cass Civ. Sez Lav. n.24118 del 3 ottobre 2018 La sentenza in commento traccia i limiti riferiti al rifiuto del lavoratore di svolgere i compiti impartiti dal datore di lavoro laddove ritenga che gli stessi siano illegittimi poichè non compresi nella propria qualifica contrattuale. Per contro permette di identificare i rimedi posti a favore del datore di lavoro e le eventuali azioni esperibili dal lavoratore. Quadro normativo. Prima di procede all'analisi della decisione della Suprema Corte è opportuno tracciare il quadro normativo di riferimento. art 2103 c.c. “ Prestazioni di lavoro” Tale norma detta il principio generale per cui il lavoratore debba essere assegnato alle mansioni per le quali è stato assunto, o a quelle di livello superiore che abbia acquisito successivamente (con contestuale diritto al trattamento retributivo superiore ex comma 7, salvo diversa volontà del lavoratore e salvo che l'assegnazione sia dipendente da ragioni temporanee sostitutive entro il termine di sei mesi consecutivi) o a quelle riconducibili allo stesso livello e categoria legale di quelle effettivamente svolte. L'assegnazione a mansioni inferiori (rientranti nella stessa categoria legale), per quanto qui rileva è ammessa solo nelle ipotesi in vi sia una modifica degli assetti organizzativi, oppure se previste dai contratti collettivi o a seguito di accordo concluso in sede protetta e nell'interesse del lavoratore al mantenimento del posto di posto di lavoro, all'acquisizione di nuove professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita. In ipotesi di assegnazione a mansioni inferiori il lavoratore mantiene il diritto al trattamento retributivo previsto per la mansione superiore per cui è stato assunto (ex comma 5) artt 2104, 2105 e 2106 c.c.. Le norme citate dettano gli obblighi in capo al lavoratore nell'esercizio della prestazione. Segnatamente l'obbligo di diligenza connesso alla prestazione svolta e nell'interesse dell'impresa, l'obbligo di fedeltà. L'art 2106 c.c., invece, individua i presupposti del potere gerarchico esercitabile dal datore di lavoro in ipotesi di violazione delle suddette norma. art 2086 c.c. “Direzione e gerarchia dell'impresa” L'esercizio del potere di direzione e gerarchico è esclusivamente in capo al datore di lavoro che lo esercita nei limiti assegnati dalla legge. art 1460 c.c. “Eccezione di inadempimento”. Nei contratti a prestazioni corrispettive l'inadempimento di una parte (ancorchè grave e tale da ledere il principio di corrispettività) giustifica il consequenziale inadempimento dell'altra. Il secondo comma dell'art 1460 c.c. dispone però che la parte (anche a fronte dell'inadempimento dell'altra) non possa rifiutarsi di adempiere laddove ciò sia contrario a buona fede. Ne segue, in via generale che il Giudice adito sulla questione debba effettuare procedere ad una valutazione comparativa degli interessi di entrambe le parti avuto riguardo alla proporzionalità degli inadempimenti anche rispetto alla funzione economico – sociale del contratto e all'equilibrio sinallagmatico tra le prestazioni. L'eccezione di inadempimento potrà essere legittimamente sollevata solo e laddove il rifiuto a rendere la propria prestazione sia diretta conseguenza dell'inadempimento altrui di tale gravità da configurare uno sbilanciamento del sinallagmatico. In materia giuslavoristica è un dato certo che il rapporto di lavoro sia connotato da prestazioni corrispettive, ma il sinallagma contrattuale non potrà prescindere dalla valutazione che la prestazione del lavoratore coinvolga aspetti non meramente professionali, bensì connessi alla tutela della salute e della vita dello stesso. In tale ottica, occorre domandarsi se ed in che termini il lavoratore possa rifiutarsi di svolgere la propria prestazione ritenendola non compresa nelle proprie mansioni e se in tali casi il datore di lavoro possa esercitare il potere disciplinare anche nella misura massima del licenziamento. CCNL di settore . Il CCNL applicabile al settore di riferimento detta le norme specifiche in tema di inquadramento del lavoratore a norma dell'art 2103 c.c. e del potere disciplinare esercitabile dal datore di lavoro. Il caso analizzato dalla Corte di Legittimità. Fatte le opportune premesse relative al quadro normativo generale, andiamo ad analizzare il caso offerto alla Suprema Corte. Tizia, lavoratrice dipendente con mansioni di cuoca IV livello del CCNL Turismo si è rifiutata di svolgere le ulteriori mansioni assegnate dal datore di lavoro (segnatamente svolgere servizio di distribuzione vassoi nei locali mensa) sul presupposto che le stesse non rientrassero nella propria qualifica contrattuale ma fossero ricomprese nel livello inferiore. La società datrice di lavoro, a fronte del rifiuto, ha comminato il licenziamento per giustificato motivo soggettivo, impugnato dalla lavoratrice. Nel definire i contorni della vicenda, il Supremo Collegio ha precisato come il lavoratore possa avvalersi del principio dettato dall'art 1460 c.c. e dunque rifiutarsi di svolgere la propria prestazione solo se tale reazione risponda ai requisiti di proporzionalità e di buona fede. La valutazione dei suddetti requisiti spetta al Giudice di merito che dovrà valutare le condotte di entrambe le parti e realizzare un contemperamento di interessi tra l'esercizio dello ius variandi in capo al datore di lavoro e l'autotutela del lavoratore che si sia avvalso dell'eccezione di inadempimento. Nel caso di cui si tratta la Corte di Cassazione, benchè abbia ritenuto che le mansioni richieste alla lavoratrice fossero effettivamente riconducibili ad un livello inferiore, ha altresì statuito come “ ...l'eventuale adibizione a mansioni non rispondenti alla qualifica rivestita può consentire al lavoratore di richiedere giudizialmente la riconduzione della prestazione nell'ambito della qualifica di appartenenza, ma non autorizza lo stesso a rifiutarne aprioristicamente l'adempimento in quanto egli è tenuto ad osservare le disposizioni per l'esecuzione del lavoro impartito dall'imprenditore, ex artt. 2086 e 2104 c.c. , da applicarsi alla stregua del principio sancito dall'art. 41 Cost....” Dunque, il lavoratore che ritenga che gli ordini impartiti dal datore di lavoro siano illegittimi in quanto non rientranti nelle mansioni assegnategli non potrà rifiutarsi prima facie di svolgere la prestazione. Potrà, invece, agire in giudizio per vedere accertato il proprio diritto ad essere assegnato alla mansioni per le quali è stato assunto. Sul punto è opportuno richiamare anche il disposto di cui alla sentenza 836/2018 che ribadisce come il lavoratore possa ottenere la collocazione nelle qualifiche contrattualmente previste anche in via d'urgenza, ossia mediante procedimento ex art 700 c.p.c. 1 Per contro il datore di lavoro, a fronte del rifiuto del lavorate, potrà certamente esercitare il potere disciplinare a norma dell'art 2106 c.c. e nei termini dettati dall'art 7 dello Statuto dei Lavoratori e delle disposizioni previste dal CCNL di categoria. Ciò sino alla sanzione più grave del licenziamento laddove ne ricorrano i presupposti. Le ipotesi di rifiuto legittimo. Prosegue la Corte nello statuire come: “..... il lavoratore (n.d.r.) può legittimamente invocare l'art. 1460 c.c., rendendosi inadempiente, solo in caso di totale inadempimento dell'altra parte ” Occorre domandarsi dunque in quali casi il datore di lavoro possa incorrere in un totale inadempimento della prestazione tale da giustificare il venir meno della prestazione da parte del lavoratore. La sentenza in commento offre una prima risposta statuendo come il rifiuto sia legittimo “ nel caso in cui l'inadempimento del datore di lavoro sia tanto grave da incidere in maniera irrimediabile sulle esigenze vitali del lavoratore medesimo o da esporlo a responsabilità penale connessa allo svolgimento delle nuove mansioni”. Procedendo con ordine, il rifiuto di svolgere la prestazione lavorativa è legittimo laddove le condizioni di lavoro o le nuove mansioni possano ledere le esigenze vitali del lavoratore (vita e salute) . Un esempio in tal senso lo offre la sentenza n. 836/2016 del Supremo Collegio che ha ritenuto legittimo il rifiuto di svolgere la prestazione lavorativa laddove il datore di lavoro non abbia garantito le misure di di sicurezza idonee a garantire la salute e l'incolumità dei lavoratori. Analoghe conclusioni debbono ravvisarsi nell'ipotesi di mobbing esercitato dal datore di lavoro, condotta che mina la salute del lavoratore e legittima l'inadempimento del lavoratore (Cass. Civ. Sez Lav. 22684/2018). Altro esempio di legittimità del rifiuto a svolgere la prestazione lavorativa è da ravvisarsi nel caso in cui il datore di lavoro, in deroga alle disposizioni tassative in materia, intenda offrire un 'indennità monetaria per sostituire il periodo di ferie di cui il lavoratore debba obbligatoriamente fruire durante l'anno. Ciò in quanto il godimento delle ferie risponde alle esigenze di tutela della salute del lavoratore. (Cass. Civ. Sez. lav 23697/2017). Quanto alla seconda ipotesi di legittimità del rifiuto del lavoratore, ciò il caso in cui lo stesso possa incorrere in responsabilità penale connessa all'esercizio delle nuove mansioni. Il caso di specie è stato affrontato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 17713 del 2013, la quale ha trattato il caso di un lavoratore adibito a responsabile di un punto vendita alimentare con annesso ruolo di verifica e controllo sugli alimentari in vendita. Nel caso di specie la Corte ha ritenuto legittimo il rifiuto del lavoratore a svolgere le mansioni annesse laddove anche solo potenzialmente possano determinare una responsabilità penale per le quali non risulta adeguatamente formato. 2 L'ipotesi del trasferimento a nuova sede di lavoro. Spunti di riflessione offre l'ipotesi in cui il lavoratore si rifiuti di rendere la prestazione presso la nuova sede di lavoro a cui è stato assegnato a seguito di trasferimento che presuppone illegittimo ai sensi dell'art 2103 c.c.. Sul punto si riscontrano due orientamenti contrapposti della Corte di Cassazione. Ed infatti, con la sentenza n 11408/2018 il Supremo Collegio ha affermato come “In tema di provvedimento di trasferimento adottato in violazione dell'articolo 2103 c.c. , l'inadempimento datoriale non legittima in via automatica il rifiuto del lavoratore ad eseguire la prestazione lavorativa in quanto, vertendosi in ipotesi di contratto a prestazioni corrispettive, trova applicazione il disposto dell'articolo 1460 c.c. , comma 2, alla stregua del quale la parte adempiente puo' rifiutarsi di eseguire la prestazione a proprio carico solo ove tale rifiuto, avuto riguardo alle circostanze concrete, non risulti contrario alla buona fede". Con tale decisum la Corte ribalta l'orientamento precedente secondo cui poiché il trasferimento illegittimo a norma dell'art 2103 c.c. è nullo dunque improduttivo di effetti e poiché non sussiste una presunzione di legittimità dei provvedimento datoriali che impone la verifica degli stessi in giudizio, allora il lavoratore è automaticamente legittimato a negare la propria prestazione. 3 Sul punto la Corte ha precisato come, l'accertamento dei reciproci inadempimenti debba essere valutato dal Giudice di merito sulla base delle concrete circostanze. Vero anche che il rifiuto del lavoratore non debba necessariamente essere oberato dall'avvallo del Giudice ancorchè chiamato a decidere in via cautelare. Ciò che aggraverebbe la posizione del lavoratore. Certamente, però, la circostanza che il trasferimento sia illegittimo e dunque privo di effetti non può essere di per se sufficiente a giustificare de plano il rifiuto del lavoratore. Anzi, la Corte ritiene che tale visione del rapporto sia “atomistica” poiché non tiene conto di entrambi gli interessi delle parti. Conclude il Collegio che “il provvedimento datoriale affetto da nullita', per violazione dell'articolo 2103 c.c. , deve essere ricondotto all'ambito dell'inadempimento parziale per il quale valgono i principi ora affermati in tema di necessita' di verifica, ai sensi dell'articolo 1460 c.c. , della non contrarieta' alla buona fede del rifiuto del lavoratore di rendere la propria prestazione.” Ad offrire un discrimine nel caso in esame v'è la possibilità per il lavoratore di offrire la propria prestazione lavorativa presso la sede originaria, con ciò contestando il trasferimento, come prospettato dalla sentenza 29054/2017. Conclusioni. In conclusione dunque, il rifiuto del lavoratore di svolgere le proprie mansioni non può essere valutato a priori presupponendo l'illegittimità della condotta datoriale. Questo dovrà essere sottoposto al vaglio del Giudice che in relazione alle circostanza di merito dovrà verificare se ed in che termini il datore di lavoro sia incorso in inadempimento e, laddove ciò sia accertato, se tale inadempimento sia tale da pregiudicare il sinallagma contrattuale tenendo conto degli interessi di entrambe le parti e della tutela garantita al diritto alla salute ed alla vita del lavoratore. 19.11.2018 1 Cass. Civ. Sez lavoro n 836/2018 “L'adibizione a mansioni non rispondenti alla qualifica rivestita puo', difatti, consentire al lavoratore di richiedere giudizialmente la riconduzione della prestazione nell'ambito della qualifica di appartenenza, ma non lo autorizza a rifiutarsi aprioristicamente, e senza un eventuale avallo giudiziario che, peraltro, puo' essergli urgentemente accordato in via cautelare, di eseguire la prestazione lavorativa richiestagli, in quanto egli e' tenuto ad osservare le disposizioni per l'esecuzione del lavoro impartito dall'imprenditore, ex articoli 2086 e 2104 c.c. , da applicarsi alla stregua del principio sancito dall'articolo 41 Cost. e puo' legittimamente invocare l'articolo 1460 c.c. , rendendosi inadempiente, solo in caso di totale inadempimento dell'altra parte (cfr. Cass. 29.1.2013, n. 2033 ; Cass. 20.7.2012 n. 12696 ; Cass. 19.12.2008 n. 29832 , Cass. 5.12.2007 n. 25313 ).” 2 Cass Civ Sez Lavoro 17713/2013. “Il rifiuto, da parte del lavoratore subordinato, di essere addetto allo svolgimento di mansioni non spettanti puo' essere legittimo e quindi non giustificare il licenziamento in base al principio di autotutela nel contratto a prestazioni corrispettive enunciato dall'articolo 1460 c.c. , sempre che il rifiuto sia proporzionato all'illegittimo comportamento del datore di lavoro e conforme a buona fede (Cass. 26 giugno 1999 n. 6663, 1 marzo 2001 n. 2948, 7 novembre 2005 n. 21479, 8 giugno 2006 n. 13365, 27 aprile 2007 n. 10086; Cass. 12 febbraio 2008, n. 3304 ). Ne consegue che deve considerarsi legittimo il rifiuto opposto da un dipendente di una societa' che si occupa del commercio e della vendita di alimenti e bevande, e che e' articolata sul territorio in piu' punti vendita, di svolgere il servizio di permanenza di direzione di uno di questi punti vendita -servizio che comporta l'assunzione del ruolo di responsabile del punto vendita stesso, nei suoi riflessi anche penalistici - se non e' dimostrato che si tratta di un compito rientrante nella qualifica di competenza del lavoratore e che questi ha conoscenze adeguate per il relativo svolgimento". 3 Cass Civ. Sez. Lav. 18178/2017

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