Avvocato dal 2004, Stefano presta consulenza e assistenza in svariati settori del diritto d'impresa, anche in ambito internazionale con una fitta rete di corrispondenti. Si occupa in particolare di diritto civile, commerciale, societario, 231, antitrust, e-commerce, sicurezza alimentare e turismo, nonché di contenzioso e recupero credito nazionale e internazionale. Ha ricoperto incarichi di arbitro in controversie societarie, di curatore fallimentare ed è legale di fiducia di altri fallimenti. Parla correntemente inglese e francese ed è referente della Camera di Commercio Italiana a Dubai e della Cámara de Comercio del Caribe.
La consulenza e l'assistenza corporate, giudiziale e stragiudiziale, in ambito internazionale ed UE, rappresenta la principale area di attività dell'Avv. Angione, nella quale si avvale anche di una collaudata rete di corrispondenti stranieri operativi in tutte le aree del diritto d'impresa e nei principali mercati del mondo. Tra le esperienze maturate si segnalano procedure arbitrali presso la CCI di Parigi e giudiziali presso Corti straniere, l'esecuzione all'estero di lodi e sentenze straniere, nonchè operazioni di costituzione all'estero di JV e branches di società italiane.
La materia commerciale rappresenta la naturale area di competenza dell'Avv. Angione, anche in ambito internazionale, essendosi occupato, in via stragiudiziale e giudiziale, di contratti di vendita, fornitura, distribuzione, fanchising, appalto, subappalto, d'opera, consulenza, somministrazione, e-commerce, licenza, NDA, due diligence e altro ancora. In ambito societario, oltre ad avere trattato la materia come arbitro e curatore fallimentare, ha altresì acquisito familiarità con i principi di altri ordinamenti grazie al suo convolgimento nelle citate operazioni straordinarie transfrontaliere.
L'Avv. Angione si è spesso occupato di tematiche antitrust e di concorrenza sleale, nelle loro diverse declinazioni e sfaccettature, quando impegnato nella consulenza contrattuale o nel patrocinio dei suoi clienti. Si tratta delle materie nelle quali ha mosso i primi passi come praticante e poi avvocato, già durante gli studi post-laurea al Collegio Europeo di Parma e poi negli anni bruxellesi all'interno dell'ufficio locale di un primario Studio Legale milanese: esperienze che hanno lasciato in eredità una considerevole esperienza, accresciuta negli anni successivi, che ancora oggi coltiva e mette al servizio della clientela.
Diritto civile, Fallimento e proc. concorsuali, Contratti, Diritto e sicurezza alimentare, Diritto del turismo, Usura, Diritto di famiglia, Eredità e successioni, Fusioni e acquisizioni, Proprietà intellettuale, Brevetti, Marchi, Franchising, Recupero crediti, Pignoramento, Diritto del lavoro, Mobbing, Sicurezza ed infortuni sul lavoro, Licenziamento, Diritto immobiliare, Diritto condominiale, Locazioni, Diritto ambientale, Diritto dell'informatica, Arbitrato, Risarcimento danni.
Consulenza e assistenza legale, giudiziale, arbitrale e stragiudiziale a favore di PMI e grandi società, anche quotate. Gestione dei Clienti dello Studio attivi nel commercio con l’estero, con prestazioni in materia di contrattualistica nazionale e internazionale (redazione di contratti di distribuzione, agenzia, licenza, consulenza, vendita e fornitura, appalto, NDA), internazionalizzazione delle imprese (assistenza alla costituzione di società e JV all’estero e predisposizione dei necessari set contrattuali, coordinamento degli avvocati corrispondenti esteri), pareristica in diritto commerciale, societario, fallimentare, industriale, del lavoro, UE e antitrust. Patrocinio in svariate cause civili e commerciali, anche all’estero. Curatore in diversi fallimenti dichiarati dal Tribunale di Reggio Emilia. Arbitro in procedure arbitrali italiane e consulente in arbitrati internazionali.
La Fondazione Collegio Europeo di Parma è un istituto post-universitario specializzato in studi europei e avente l’obiettivo di preparare giovani laureati provenienti da tutto il mondo nel campo del diritto, dell’economia e delle politiche dell’Unione europea. Il Collegio Europeo è nato nel 1988 sotto forma di Consorzio grazie all’Università di Parma (Dipartimento di Giurisprudenza); nel 1° luglio 2004 è stato trasformato in Fondazione Collegio Europeo di Parma. La formazione interdisciplinare conseguita dagli Allievi del Collegio Europeo consente, in particolare, di seguire con efficacia la concezione e l’attuazione delle politiche dell’Unione in percorsi di carriera sia all’interno di istituzioni europee, nazionali e locali, sia in associazioni di categoria, uffici di rappresentanza, imprese e libere professioni. Il percorso didattico della Fondazione Collegio Europeo di Parma, accolto con favore in ambito europeo, si avvale di un corpo docente costituito alti dirigenti di Istituzioni europee e nazionali, docenti universitari ed esperti in tematiche europee. Oltre al percorso formativo post-laurea, finalizzato al conseguimento del Diploma e Master universitario in Alti Studi Europei, la Fondazione ha anche promosso corsi di formazione specialistica in diritto, economia e politiche europee a favore di enti locali (Regioni, Province, Comuni, ecc.), dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) avente sede a Parma, nonché corsi di specializzazione in europrogettazione, seminari specifici sui programmi europei, workshop e attività formative e informative su tematiche europee.
Avvocato collaboratore (business lawyer). Consulenza e assistenza legale, giudiziale, arbitrale e stragiudiziale a favore di PMI e grandi società, anche quotate. Contrattualistica nazionale e internazionale, internazionalizzazione delle imprese, pareristica in diritto commerciale, societario, fallimentare, industriale, UE e antitrust, nonché in materia di D.Lgs. 231/01. Curatore in diversi fallimenti dichiarati dal Tribunale di Reggio Emilia. Arbitro in procedure arbitrali italiane e consulente in arbitrati internazionali.
La disciplina del commercio online nel Regno dell'Arabia saudita
Si tratta di una breve descrizione del ruolo e delle funzioni dell'OFAC e di come le imprese che operano a livello internazionale debbano tenere in considerazione le sue decisioni
COVID-19 E FORZA MAGGIORE: L’IMPATTO SU CONTRATTI E OBBLIGAZIONI Il COVID-19 (acronimo di Coronavirus Disease 2019 ) o più comunemente “nuovo Coronavirus” è ormai tristemente noto a tutti. Nella speranza che la sua forza infettiva e dilagante possa presto cessare, sappiamo già che le sue ricadute politiche, sociali, economiche e giuridiche saranno molteplici e durature nel tempo. Sul piano giuridico che qui interessa, gli operatori economici potrebbero trovarsi a dovere fare i conti con ritardati o impossibilitati adempimenti delle obbligazioni contrattuali gravanti sui loro fornitori o su loro stessi, causati proprio dal sopraggiungere e dilagare della malattia e dalle restrizioni imposte a livello globale per contenere il contagio. Nei rapporti contrattuali tra parti italiane gli strumenti di difesa sono molteplici. Senza pretesa di esaustività e completezza, si tratta: - dell’ eccessiva onerosità sopravvenuta ex art. 1467 c.c. che consente la risoluzione giudiziale del contratto a esecuzione continuata o periodica, ovvero a esecuzione differita, qualora la prestazione di una delle parti sia divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, sempreché l’altra parte non si offra di rinegoziare e modificare equamente le condizioni del contratto; - dell’ impossibilità sopravvenuta, parziale o totale, ex artt. 1218, 1256, 1463 e 1464 c.c. che comporta l’estinzione dell’obbligazione (e quindi dell’intero contratto) quando essa è divenuta totalmente o parzialmente impossibile per causa pure straordinaria, sopravvenuta, imprevedibile, inamovibile, durevole e non imputabile al debitore, fermo restando che l’impossibilità parziale può determinare l’estinzione dell’obbligazione solo quando perdura fintantoché il debitore non possa più essere ritenuto obbligato ad eseguire la prestazione oppure il creditore non abbia più interesse a conseguirla nemmeno parzialmente; - della teoria giurisprudenziale della c.d. “presupposizione” e della perdita di efficacia del contratto per sopravvenuta mancanza della sua “causa in concreto” elaborata dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione in particolare per il settore turistico. Il Governo, con decretazioni di urgenza, ha già qualificato la sopravvenienza del “Coronavirus” come causa di impossibilità sopravvenuta ex artt. 1256 e 1463 c.c. (ad es., con l’art. 28 D.L. 2.3.2020, n. 9 per i pacchetti turistici), introdotto scusanti per eventuali ritardi nell’adempimento delle obbligazioni contrattuali causati da o connessi a tale malattia, nonché neutralizzato decadenze, prescrizioni, penali o scadenze contrattuali riconducibili al COVID-19 (art. 91 c.1 D.L. 17.3.2020, n. 18). Queste disposizioni generali possono poi essere integrate o derogate dalle specifiche pattuizioni contrattuali eventualmente previste dalle parti. Nei rapporti contrattuali transnazionali, invece, la gestione delle problematiche connesse al COVID-19 è più complessa. Il primo passo da compiere in proposito è verificare cosa prevede il contratto per i casi di forza maggiore e eccessiva onerosità sopravvenuta ed agire conseguentemente, secondo i termini, i passaggi e gli adempimenti prescritti dalle clausole negoziali (tempestiva comunicazione scritta dell’insorgenza della causa di forza maggiore/impossibilità sopravvenuta, indicando la tipologia di evento impeditivo, la data di insorgenza dell’impedimento, le ragioni che rendono definitivamente o temporaneamente impossibile l’esecuzione della prestazione, nonché gli sforzi compiuti per evitare, superare o mitigare l’impedimento ad eseguire correttamente la prestazione; produzione di prove e certificati richiesti da tali clausole per documentare l’effettiva ricorrenza dell’impedimento; ecc.). Se il contratto non è stato redatto o non prevede nulla in proposito e in ogni caso per verificare che non vi siano disposizioni negoziali contrarie alla legge, il passaggio successivo è quello di individuare la legge applicabile al contratto e conseguentemente delle norme internazionali e nazionali che disciplinano istituti analoghi a quelli sopra illustrati. Va da sé che qualora la legge applicabile sia quella italiana, troveranno applicazione le anzidette regole e prima ancora, se non escluse per espressa volontà delle parti, le norme della Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di merci. L’art. 79 della Convenzione di Vienna, che prevale sulla disciplina nazionale (fatte ovviamente salve le sue disposizioni imperative interne), prevede che “ Una parte non è responsabile dell'inadempienza di uno qualsiasi dei suoi obblighi se prova che tale inadempienza è dovuta ad un impedimento indipendente dalla sua volontà e che non ci si poteva ragionevolmente attendere che essa lo prendesse in considerazione al momento della conclusione del contratto, che lo prevedesse o lo superasse, o che ne prevedesse o ne superasse le conseguenze. Se l'inadempienza di una delle parti è dovuta all'inadempienza di un terzo che ha incaricato di eseguire tutto o parte del contratto, tale parte è esonerata dalla sua responsabilità solo se: a) la parte ne sia esonerata in virtù delle disposizioni del paragrafo precedente; e b) la terza parte ne sarebbe anch'essa esonerata qualora le disposizioni di tale paragrafo le venissero applicate. L'esonero previsto dal presente articolo produce effetto per tutta la durata dell'impedimento. La parte che non dà esecuzione al contratto, deve avvisare l'altra parte dell'impedimento e delle sue conseguenze sulla sua capacità di esecuzione. Se l'avviso non giunge a destinazione in un termine ragionevole a partire dal momento in cui la parte che non ha dato esecuzione era a conoscenza o avrebbe dovuto essere a conoscenza dell'impedimento, quest'ultima è tenuta a dare danni-interessi a causa della mancata ricezione. Le disposizioni del presente articolo non vietano ad una parte di esercitare tutti i suoi diritti, oltre quelli di ottenere danni-interessi in virtù della presente convenzione. ”. In caso di esclusione dell’applicabilità della Convenzione di Vienna o sua non applicazione tout court , si guarderà a quanto previsto dalla legge interna applicabile al contratto (per scelta delle parti oppure secondo le regole generali di diritto internazionale privato) come eventualmente integrata o derogata, ove possibile, dalle disposizioni contrattuali: così, ad esempio, in Francia la “ force majeure en matière contractuelle ” è disciplinata dall’art. 1218 del Code Civil , in Belgio dall’art. 1148 del Code Civil , in Spagna dall’art. 1105 del Código Civil , in Olanda dagli artt. 6:74 e 6:75 del Burgerlijk Wetboek , in Germania dagli artt. 206, 313 e 651 BGB (quest’ultimo espressamente dettato per i pacchetti di viaggio) e così, generalmente, nelle varie leggi nazionali c.d. di “ civil law ”. E, si badi bene, non sempre la medesima causa di forza maggiore è disciplinata allo stesso modo nei sistemi interni dei vari Paesi UE. Nei paesi di “ common law ”, invece, come Regno Unito e USA, non esiste una disciplina che regolamenti le cause di forza maggiore o di eccessiva onerosità sopravvenuta, dovendosi pertanto fare riferimento a istituti di formazione giurisprudenziale come la “ hardship ” per ipotesi di eccessiva onerosità sopravvenuta, o come la “ force majeure ” per le ipotesi di impossibilità sopravvenuta; solo residualmente sarà possibile il ricorso alla teoria della “ frustration ” o “ frustration of purpose ” o “ impracticability ”. Proprio perché i sistemi di common law non disciplinano l’eccessiva onerosità o l’impossibilità sopravvenuta con regole automaticamente applicabili ai contratti a loro assoggettati, hardship e force majeure potranno essere validamente invocati solamente se il contratto li prevede e li disciplina con specifiche clausole (si tratta di quelle disposizioni lunghissime e solitamente posizionate in coda al contratto, alle quali prima del COVID-19 nessuno o quasi nessuno prestava attenzione), che pertanto dovranno essere attentamente redatte per ricomprendere il più elevato numero di eventi di forza maggiore, ma con elencazione sempre e solo esemplificativa. L’analiticità di queste clausole è dovuta alla tendenza dei giudici di common law ad interpretare assai restrittivamente le singole fattispecie; diventa pertanto cruciale la previsione di tutte le possibili cause di forza maggiore, potendo risultare insufficiente il semplice e generico richiamo ad eventi come, ad esempio, “ Act of God ” o “ factum principis ”. Le clausole di forza maggiore e eccessiva onerosità sopravvenuta possono anche essere inserite nel contratto mediante rinvio alle clausole standard predisposte da organizzazioni transnazionali, come la Camera di Commercio Internazionale (ICC) o la FIDIC ( Fédération Internationale Des Ingénieurs-Conseils ). E ciò sia per i contratti assoggettati a norme di common law , sia per quelli di civil law . Anche se la soluzione preferibile è sempre quella di inserire la clausola per intero ed eventualmente adattarla alle specifiche esigenze delle parti. Residualmente, come detto, anche in caso di omessa contrattualizzazione delle ipotesi di eccessiva onerosità/impossibilità sopravvenuta, nei contratti assoggettati alla common law si potrà invocare la teoria della “ frustration ” o “ impracticability ” per la risoluzione contrattuale (analogamente, in Italia si potrebbe invocare la teoria della presupposizione e della perdita della “causa in concreto”). Chiarito il quadro normativo applicabile alla singola fattispecie di “ force majeure ” e verificata la ricorrenza di ciascuna delle condizioni richieste per validamente invocarla (sopravvenienza, imprevedibilità, inevitabilità, effetto impossibilitante totale o parziale, durevolezza dell’impossibilità, non imputabilità della stessa al debitore, ecc.), sorgono in capo alla parte interessata dall’impedimento precisi obblighi informativi alla controparte contrattuale, onde invocare tempestivamente l’esimente collegata a tali situazioni straordinarie e fornirne tutti i dovuti elementi probatori ed esplicativi. Non sarà infatti sufficiente invocare una generica causa di forza maggiore per beneficiare della sua efficacia esimente: bisognerà fornire alla controparte, e questa dovrebbe pretendere, tutte le prove dell’effettiva esistenza di tale causa impossibilitante e di avere fattto quanto ragionevolmente possibile per evitare o superare tale causa impedente. Allo stesso modo sorgeranno obblighi di mitigazione degli effetti negativi dell’impossibilità, vale a dire fare quanto ragionevolmente possibile per ridurre o mitigare gli effetti o la durata dell’impossibilità. Il mancato o tardivo rispetto delle obbligazioni di comunicazione e mitigazione potrebbe pregiudicare l’intero effetto esimente della causa di forza maggiore. Da qui lo scenario successivo potrebbe essere il più vario: dalla rinegoziazione dei termini contrattuali per superare o aggirare l’impossibilità, alla sospensione temporanea dell’esecuzione; oppure dall’attivazione di fonti alternative di fornitura/consegna, all’attivazione di eventuali coperture assicurative, fino ad arrivare alla risoluzione contrattuale, senza dimenticare i possibili e spesso inevitabili strascichi giudiziari connessi a tali situazioni di emergenza. In conclusione, i passaggi da compiere per invocare l’esimente della causa di forza maggiore potrebbero essere i seguenti: - verificare o fare verificare il contenuto dei contratti per i quali si intende invocare la forza maggiore e a gire subito in conformità a quanto in esso previsto; - informare tempestivamente la controparte contrattuale per avvisarla e avviare discussioni per provare a trovare una soluzione condivisa; - mantenere sempre un approccio improntato a ragionevolezza e etica; - in caso di dubbi, rivolgersi al proprio legale; - solo se non è possibile alcuna soluzione amichevole, considerare l’opzione della via giudiziale, a seconda di quanto previsto nel contratto anche per quanto riguarda legge applicabile e giudice competente. Si badi bene che il COVID-19 costituisce senz’altro causa di forza maggiore o eccessiva onerosità sopravvenuta per quei contratti conclusi quando l’emergenza epidemiologica non era ancora scoppiata e rispetto ai quali costituisce indubbiamente evento sopraggiunto, imprevedibile, inevitabile e non imputabile; tuttavia lo stesso non si può dire per i contratti sottoscritti in piena emergenza da Coronavirus. Per simili contratti si dovranno prevedere e adottare specifiche cautele e pattuizioni volti a chiarire che al momento della sottoscrizione del contratto il COVID-19 ancora non impedisce la sua regolare esecuzione, ma che l’evoluzione della pandemia potrebbe pregiudicarla e costituire causa sopraggiunta di forza maggiore o eccessiva onerosità sopravvenuta. Reggio Emilia, 18.4.2020 (AGSZ Studio di Avvocati)
Si tratta di una veloce disamina di quelle che in prima battuta sono sembrate le principali ricadute della crisi da Coronavirus sui modelli organizzativi adottati dalle società ai sensi del D.Lgs. 231/2001.
Con questo articolo si forniscono alcune indicazioni su come evitare la responsabilità penale e civile in capo al datore di lavoro e amministrativa per l'azienda, derivante dall'equazione "infezione da Covid-19 sul lavoro = infortunio".
Veloce analisi della Circolare INAIL n. 22 del 20.5.2020, che contribuisce a chiarire ulteriormente come non esista alcun automatismo tra accertamento dell’infezione da Covid-19 in occasione di lavoro e responsabilità penale o civile del datore di lavoro o amministrativa della società.
Si offre, senza pretesa di completezza e esaustività, una disamina dei riflessi della crisi da Covid-19 sul settore turistico e del business travel, coi possibili rimedi a favore dei viaggiatori.
Alcuni consigli pratici su come affrontare e possibilmente prevenire i disagi connessi alla cancellazione o al rinvio di un evento internazionale a causa della pandemia da Coronavirus, con le conseguenti ricadute su voli, prenotazioni alberghiere, cene, happenings e altri eventi accessori alla fiera.
ETICHETTATURA ALIMENTI Dall’1.4.2020 in vigore le regole UE sulla indicazione d’origine degli ingredienti primari; ma causa Covid-19 si potranno ancora usare le vecchie scorte di etichette e imballaggi Dallo scorso 1.4.2020 è operativo il Regolamento di esecuzione (UE) n. 2018/775 recante modalità di applicazione dell’art. 26, par. 3, del Regolamento (UE) n. 1169/2011 relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, per quanto riguarda le norme sull’indicazione del paese d’origine o del luogo di provenienza dell’ingrediente primario di un alimento. Ai sensi dell’art. 26, par. 3, Reg. 1169/2011, “Quando il paese d’origine o il luogo di provenienza di un alimento è indicato e non è lo stesso di quello del suo ingrediente primario: a) è indicato anche il paese d’origine o il luogo di provenienza di tale ingrediente primario; oppure b) il paese d’origine o il luogo di provenienza dell’ingrediente primario è indicato come diverso da quello dell’alimento”. L’applicazione di questa disposizione è rimasta fino ad oggi sospesa perché si attendeva l’adozione del regolamento di esecuzione, solo ora intervenuto col citato Reg. 2018/775: conclude infatti la norma in esame, che “L’applicazione del presente paragrafo è soggetta all’adozione degli atti di esecuzione di cui al paragrafo 8”. Ai sensi dell’art. 2 del Reg. di esecuzione 2018/775, “L’indicazione del paese d’origine o del luogo di provenienza di un ingrediente primario, che non è lo stesso paese d’origine o luogo di provenienza indicato per l’alimento, viene fornita: a) con riferimento a una delle seguenti zone geografiche: i) «UE», «non UE» o «UE e non UE»; o ii) una regione o qualsiasi altra zona geografica all’interno di diversi Stati membri o di paesi terzi, se definita tale in forza del diritto internazionale pubblico o ben chiara per il consumatore medio normalmente informato; o iii) la zona di pesca FAO, o il mare o il corpo idrico di acqua dolce se definiti tali in forza del diritto internazionale o ben chiari per il consumatore medio normalmente informato; o iv) uno o più Stati membri o paesi terzi; o v) una regione o qualsiasi altra zona geografica all'interno di uno Stato membro o di un paese terzo, ben chiara per il consumatore medio normalmente informato; o vi) il paese d'origine o il luogo di provenienza, conformemente alle specifiche disposizioni dell'Unione applicabili agli ingredienti primari in quanto tali; b) oppure attraverso una dicitura del seguente tenore: «(nome dell'ingrediente primario) non proviene/non provengono da (paese d'origine o luogo di provenienza dell'alimento)» o una formulazione che possa avere lo stesso significato per il consumatore”. Ma cosa si intende per “ingrediente primario”? Ai sensi dell’art. 2 par. 1 lett. q) Regolamento (UE) 1169/2011, si tratta dell’ingrediente o degli ingredienti che rappresentano più del 50% di un alimento o che sono associati abitualmente alla sua denominazione dal consumatore e per i quali nella maggior parte dei casi è richiesta un’indicazione quantitativa. Il Reg. 2018/775 non si applica alle indicazioni geografiche protette a norma dei Regolamenti (UE) n. 1151/2012, (UE) n. 1308/2013, (CE) n. 110/2008 o (UE) n. 251/2014 o protette in virtù di accordi internazionali, né ai marchi d’impresa, registrati, laddove questi ultimi costituiscano un’indicazione dell’origine, in attesa dell’adozione di norme specifiche riguardanti l’applicazione dell’articolo 26 par. 3 a tali indicazioni. La Commissione Europea ha pubblicato sulla GUUE C/32 del 31.1.2020, la Comunicazione sull’applicazione delle disposizioni dell’art. 26, par. 3, Reg. 1169/2011 continente alcuni chiarimenti e indicazioni operative. Si precisa che per effetto di decreti interministeriali adottati in Italia a marzo 2020 dai Ministri delle Politiche Agricole e dello Sviluppo Economico in considerazione dei disagi causati dalle misure di contenimento del Coronavirus, l’entrata in vigore del nuovo obbligo di etichettatura è stato prorogato al 31.12.2021 nei soli settori del latte e dei formaggi, della pasta, del riso e dei derivati del pomodoro. In pratica si è prorogata la validità dei Decreti interministeriali 9.12.2016 sull’indicazione di origine della materia prima di latte e prodotti lattiero-caseari, 26.7.2017 sull’indicazione di origine del grano duro per paste di semola di grano, 26.7.2017 sull’indicazione di origine del riso e 16.11.2017 sull’indicazione di origine del pomodoro per salse, sughi et similia, la cui efficacia, comunque da più parti contestata per contrarietà al diritto UE, era destinata a cessare il 31.3.2020 con l’entrata in vigore del Regolamento UE 2018/775. Successivamente, con la sua circolare 23.4.2020 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 109 del 28.4.2020, il MISE, sempre in considerazione dei disagi causati dalle misure di contenimento del Covid-19, ha permesso a tutte le aziende italiane del settore alimentare di utilizzare, entro il 31.12.2020, le scorte di etichette e di imballaggi già ordinati prima dell’1/4 nonché prima della data di pubblicazione degli anzidetti Decreti interministeriali. Infatti, “E’ consentito lo smaltimento, entro il corrente anno, delle scorte di imballaggi ed etichette che risultino nella disponibilità delle imprese a seguito di contratti stipulati prima del 1° aprile, data di applicazione del regolamento dell’Unione n. 2018/775, nonché prima della data di pubblicazione dei decreti di proroga dei decreti nazionali in materia di indicazione obbligatoria in etichetta dell’origine del grano nella pasta, del riso, del pomodoro e del latte, in corso di adozione”.
Alla fine dello scorso mese di marzo la Camera di Commercio Internazionale ha pubblicato i suoi nuovi modelli di clausole per disciplinare eventi di forza maggiore ed eccessiva onerosità sopravvenuta ( Hardship ) Il concetto di forza maggiore è noto alla maggior parte dei sistemi giuridici, ma le varie discipline nazionali possono comportare differenze sostanziali. Per ovviare a questo problema, la CCI suggerisce l’uso di clausole di forza maggiore contenenti soluzioni che non dipendono dalle particolarità delle leggi nazionali, proponendo a tal fine due clausole modello, la c.d. “ long form ” e la più essenziale “ short form ”. Di seguito si darà conto della “long form”, indubbiamente più completa perché tratta anche questioni sulle quali la “ short form ” rimane silente. La clausola di forza maggiore proposta dalla CCI può essere inclusa nel contratto, oppure incorporata per rinvio prevedendo nel contratto che “ La clausola di forza maggiore della CCI (long form) si applica al presente contratto ”. Le parti possono anche modificare o integrare la clausola standard a seconda delle loro reciproche esigenze, per creare una clausola “su misura”. Questo anche per integrare la lista di eventi che si presumono di forza maggiore e adottare quegli opportuni correttivi volti a rendere applicabile la clausola all’attuale crisi da Coronavirus ed ai suoi sviluppi futuri, onde chiarire che, benché la diffusione del virus non possa più considerarsi evento sopravvenuto e imprevedibile, lo saranno certamente tali sviluppi futuri. Questa la clausola “ long form ” proposta dalla CCI: 1. Definition. “Force Majeure” means the occurrence of an event or circumstance (“Force Majeure Event”) that prevents or impedes a party from performing one or more of its contractual obligations under the contract, if and to the extent that the party affected by the impediment (“the Affected Party”) proves: a) that such impediment is beyond its reasonable control; and b) that it could not reasonably have been foreseen at the time of the conclusion of the contract; and c) that the effects of the impediment could not reasonably have been avoided or overcome by the Affected Party. 2. Non-performance by third parties. Where a contracting party fails to perform one or more of its contractual obligations because of default by a third party whom it has engaged to perform the whole or part of the contract, the contracting party may invoke Force Majeure only to the extent that the requirements under paragraph 1 of this Clause are established both for the contracting party and for the third party. 3. Presumed Force Majeure Events. In the absence of proof to the contrary, the following events affecting a party shall be presumed to fulfil conditions (a) and (b) under paragraph 1 of this Clause, and the Affected Party only needs to prove that condition (c) of paragraph 1 is satisfied: a) war (whether declared or not), hostilities, invasion, act of foreign enemies, extensive military mobilisation; b) civil war, riot, rebellion and revolution, military or usurped power, insurrection, act of terrorism, sabotage or piracy; c) currency and trade restriction, embargo, sanction; d) act of authority whether lawful or unlawful, compliance with any law or governmental order, expropriation, seizure of works, requisition, nationalisation; e) plague, epidemic, natural disaster or extreme natural event; f) explosion, fire, destruction of equipment, prolonged break-down of transport, telecommunication, information system or energy; g) general labour disturbance such as boycott, strike and lock-out, go-slow, occupation of factories and premises. 4. Notification. The Affected Party shall give notice of the event without delay to the other party. 5. Consequences of Force Majeure. A party successfully invoking this Clause is relieved from its duty to perform its obligations under the Contract and from any liability in damages or from any other contractual remedy for breach of contract, from the time at which the impediment causes inability to perform, provided that the notice thereof is given without delay. If notice thereof is not given without delay, the relief is effective from the time at which notice thereof reaches the other party. The other party may suspend the performance of its obligations, if applicable, from the date of the notice. 6. Temporary impediment. Where the effect of the impediment or event invoked is temporary, the consequences set out under paragraph 5 above shall apply only as long as the impediment invoked prevents performance by the Affected Party of its contractual obligations. The Affected Party must notify the other party as soon as the impediment ceases to impede performance of its contractual obligations. 7. Duty to mitigate. The Affected Party is under an obligation to take all reasonable measures to limit the effect of the event invoked upon performance of the contract. 8. Contract termination. Where the duration of the impediment invoked has the effect of substantially depriving the contracting parties of what they were reasonably entitled to expect under the contract, either party has the right to terminate the contract by notification within a reasonable period to the other party. Unless otherwise agreed, the parties expressly agree that the contract may be terminated by either party if the duration of the impediment exceeds 120 days. Le stesse ragioni che hanno suggerito l’adozione della clausola standard di forza maggiore, hanno portato la CCI a formulare anche un modello di clausola di Hardship per disciplinare uniformemente le ipotesi di eccessiva onerosità sopravvenuta. Anche in questo caso le parti sono libere di modificare o integrare la clausola a seconda delle loro rispettive esigenze, in particolare scegliendo ed eventualmente integrando una delle tre possibili conseguenze previste dal paragrafo 3. 1. A party to a contract is bound to perform its contractual duties even if events have rendered performance more onerous than could reasonably have been anticipated at the time of the conclusion of the contract. 2. Notwithstanding paragraph 1 of this Clause, where a party to a contract proves that: a) the continued performance of its contractual duties has become excessively onerous due to an event beyond its reasonable control which it could not reasonably have been expected to have taken into account at the time of the conclusion of the contract; and that b) it could not reasonably have avoided or overcome the event or its consequences, the parties are bound, within a reasonable time of the invocation of this Clause, to negotiate alternative contractual terms which reasonably allow to overcome the consequences of the event. La clausola si completa con una delle seguenti tre opzioni: 3A Party to terminate Where paragraph 2 of this Clause applies, but where the parties have been unable to agree alternative contractual terms as provided in that paragraph, the party invoking this Clause is entitled to terminate the contract, but cannot request adaptation by the judge or arbitrator without the agreement of the other party. 3B Judge adapt or terminate Where paragraph 2 of this Clause applies, but where the parties have been unable to agree alternative contractual terms as provided for in that paragraph, either party is entitled to request the judge or arbitrator to adapt the contract with a view to restoring its equilibrium, or to terminate the contract, as appropriate. 3C Judge to terminate Where paragraph 2 of this Clause applies, but where the parties have been unable to agree alternative contractual terms as provided in that paragraph, either party is entitled to request the judge or arbitrator to declare the termination of the contract.
Con la sentenza n. 7969 del 20.4.2020, la Corte di Cassazione ha affermato il seguente principio in materia di responsabilità della P.A. per i danni cagionati dalla fauna selvatica: “ ai fini del risarcimento dei danni cagionati dagli animali selvatici appartenenti alle specie protette e che rientrano, ai sensi della legge n. 157 del 1992, nel patrimonio indisponibile dello Stato, va applicato il criterio di imputazione della responsabilità di cui all’art. 2052 c.c. e il soggetto pubblico responsabile va individuato nella Regione (…) ; la Regione potrà eventualmente rivalersi (anche chiamandoli in causa nel giudizio promosso dal danneggiato) nei confronti degli altri enti ai quali sarebbe spettato di porre in essere in concreto le misure che avrebbero dovuto impedire il danno, in quanto a tanto delegati, ovvero trattandosi di competenze di loro diretta titolarità ”. La sentenza merita di essere segnalata per almeno due motivi. Innanzitutto, perché in tempi di COVID-19 e conseguente quarantena, la fauna selvatica si è velocemente riappropriata degli spazi lasciati vuoti dall’uomo e non sono mancati avvistamenti di animali selvatici, anche di grosse dimensioni, nel pieno centro dei borghi montani o collinari o in aperta campagna. Quindi sono sensibilmente aumentate le probabilità di contatto con tali animali e di possibile danno a persone o cose. E prima ancora dell’emergenza da Coronavirus, si era registrato un aumento della presenza di animali selvatici, ad es. cinghiali, nelle periferie delle città perché attirati dai depositi di rifiuti. In secondo luogo, perché la sentenza n. 7969/2020 costituisce un revirement della giurisprudenza di legittimità, che fino all’arresto in commento fondava la responsabilità della P.A. per danni da fauna selvatica sull’art. 2043 c.c. e non su quella oggettiva ex art. 2052 c.c. Inoltre, rispetto a precedenti orientamenti, tra loro nemmeno univoci e spesso contraddittori, la sentenza individua definitivamente in capo alla Regione il soggetto responsabile al quale indirizzare la domanda di risarcimento, salva la sua facoltà di regresso verso altri enti pubblici. Qualificare la responsabilità ex art. 2052 c.c. anziché ex art. 2043 c.c. semplifica notevolmente la vita al soggetto danneggiato, che non dovrà più dimostrare la “colpa” della P.A. come doveva fare sotto il regime dell’art. 2043 c.c., essendo sufficiente allegare e dimostrare il danno, che tale danno è stato cagionato dalla circolazione di fauna selvatica, il nesso causale tra la condotta dell’animale e il danno e che l’animale rientra tra quelli che ai sensi della Legge 157/1992 o per effetto di altre disposizioni di legge fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato attribuito alla gestione delle Regioni. Adempiuto questo onere probatorio, la “colpa” della Regione si presume e spetterà a questa dimostrare il caso fortuito per liberarsi dalla responsabilità risarcitoria. Se l’animale provoca un incidente stradale con danno a persone o cose, spetterà in capo al danneggiato l’ulteriore prova, ex art. 2054 c.1 c.c., di avere fatto tutto il possibile per evitare l’animale e ciò per superare la presunzione di concorso di colpa prevista dalla citata normativa codicistica. La sentenza, particolarmente chiara ed analitica nel ricostruire il variegato, non univoco e spesso contraddittorio orientamento giurisprudenziale di legittimità formatosi in proposito nei decenni, semplifica la vita del danneggiato anche nell’individuazione del soggetto responsabile, ovvero nella Regione; i precedenti giurisprudenziali hanno invece individuato il responsabile a volte nella Provincia, mentre altre volte hanno individuato un complesso di responsabilità solidali o concorrenti tra enti pubblici non sempre di facile individuazione. Quindi, come si legge tra le righe della sentenza, si restituisce al danneggiato l’effettività della tutela dei propri diritti ex artt. 3 e 24 Cost. Si vedrà se la sentenza n. 7969/2020 resterà isolata oppure se il nuovo orientamento da essa inaugurato sarà seguito da altre pronunce di legittimità, ferma comunque restando, a questo punto, l’opportunità di un intervento delle Sezioni Unite.
Crisi da materie prime, rincaro di energia e trasporti, sanzioni internazionali: in un quadro politico, sanitario e commerciale in continuo mutamento e sempre più complicato, diventa cruciale per le imprese italiane impegnate nei mercati internazionali e in quello interno, sapere come e quando invocare cause di forza maggiore, hardship, impossibilità o eccessiva onerosità sopravvenuta o altre circostanze esimenti manifestatesi durante l’esecuzione del contratto e quali precauzioni, invece, doverosamente adottare durante le trattative contrattuali per prevenire simili eventi impeditivi o sbilancianti, soprattutto quando già palesatisi. Programma: - Apertura lavori e saluti istituzionali - Force Majeure e Hardship nel commercio internazionale; impossibilità ed eccessiva onerosità sopravvenute in quello nazionale: breve premessa e analisi delle condizioni di applicabilità; - Le trattative contrattuali in piena crisi: quali cautele adottare per prevenire le problematiche attuali? - Azioni e strumenti per la gestione del rapporto contrattuale dopo l’insorgenza di una causa di forza maggiore o di alterazione dell’equilibrio contrattuale; - Domande e risposte.
Avvocato collaboratore (business lawyer). Consulenza e assistenza legale stragiudiziale a favore di PMI e istituti di credito. Redazione di contratti di distribuzione, agenzia, licenza di marchi e know-how, in italiano, inglese e francese, pareristica in diritto UE, antitrust e industriale, assistenza in svariate cause societarie e bancarie. Pubblicazioni su riviste specialistiche.
Commento all'ordinanza n. 21622 del 19.9.2017 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione in materia di applicabilità delle condizioni generali pubblicate su sito internet
Ricerche giuridiche e redazione di memorandum interni. Ricerche in materia di diritto UE ed in particolare libera circolazione di beni, servizi e capitali, diritto di stabilimento, diritto antitrust, M&A, nonché redazione di memorandum interni allo Studio nelle anzidette materie, anche per segnalare le novità normative europee per i vari dipartimenti dello Studio ed i rispettivi clienti. Collaborazione in procedimenti avanti il Tribunale di Primo Grado UE e la Corte di Giustizia UE, in particolare nella causa Gambelli e a. (causa C-243/01).
Con l’entrata in vigore della Legge 4 agosto 2006 n. 248, ovvero della legge di conversione del Decreto Legge 4 luglio 2006 n. 223, meglio noto come “Decreto Bersani”, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’“AGCM” o l’“Autorità”) si è vista finalmente riconoscere quei poteri cautelari, istruttori e sanzionatori che da tempo sono attribuiti alla Commissione europea (nell’ambito delle sue funzioni di organo preposto alla tutela della normativa antitrust comunitaria) e alle autorità antitrust dei principali paesi europei ed extracomunitari.
Stefano Angione
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