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Stefano Brustia

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L'applicazione della buona fede nell'esecuzione dei contratti di franchising e distribuzione e il divieto di abuso di dipendenza economica ex art. 9 della Legge n. 192/1998

Scritto da: Stefano Brustia - Pubblicato su IUSTLAB

Pubblicazione legale:

Introduzione

La buona fede è un principio cardine del diritto contrattuale italiano, sancito dagli articoli 1175 e 1375 del Codice Civile, che impone alle parti di comportarsi con lealtà e correttezza durante tutte le fasi del contratto, dalla sua formazione alla sua esecuzione. Questo principio trova applicazione in particolare nei contratti di franchising e distribuzione, dove le relazioni tra le parti possono essere caratterizzate da un significativo squilibrio di potere contrattuale. Inoltre, l'art. 9 della Legge n. 192/1998 introduce il divieto di abuso di dipendenza economica, che rappresenta una tutela specifica per la parte più debole del rapporto contrattuale, come il franchisee o il distributore.

La buona fede nell'esecuzione dei contratti di franchising e distribuzione

  • Contratti di franchising: Nei contratti di franchising, la buona fede impone al franchisor e al franchisee di collaborare in modo leale e trasparente per il successo dell'attività. Il franchisor ha l'obbligo di fornire al franchisee il supporto necessario, come formazione, assistenza e aggiornamenti, affinché quest'ultimo possa operare in modo efficiente. D'altro canto, il franchisee deve rispettare gli standard operativi e le direttive del franchisor. Un comportamento contrario alla buona fede potrebbe verificarsi, ad esempio, se il franchisor impone condizioni contrattuali eccessivamente onerose o modifica unilateralmente le condizioni economiche del contratto senza giustificazione.
  • Contratti di distribuzione: Nei contratti di distribuzione, la buona fede si traduce nell'obbligo di cooperazione tra il fornitore e il distributore. Il fornitore deve garantire la continuità delle forniture e non deve ostacolare il distributore nell'esercizio della sua attività, mentre il distributore deve promuovere i prodotti del fornitore con diligenza. Una violazione della buona fede potrebbe verificarsi, ad esempio, se il fornitore interrompe ingiustificatamente le forniture o impone condizioni commerciali svantaggiose al distributore.

Il divieto di abuso di dipendenza economica ex art. 9 della Legge n. 192/1998

L'art. 9 della Legge n. 192/1998 introduce il divieto di abuso di dipendenza economica, che si verifica quando una parte sfrutta la propria posizione di forza economica per imporre condizioni contrattuali ingiustificate o gravose all'altra parte, che si trova in una situazione di dipendenza economica. La dipendenza economica si verifica quando una parte, pur essendo formalmente autonoma, non dispone di alternative commerciali soddisfacenti e, quindi, è costretta ad accettare condizioni contrattuali sfavorevoli.

Come dimostrare la dipendenza economica

Per dimostrare una situazione di dipendenza economica, è necessario provare che una parte non ha alternative commerciali valide sul mercato. Gli indici sintomatici della dipendenza economica includono:

  • Elevati oneri di investimento iniziale: Se il franchisee o il distributore ha sostenuto investimenti significativi per avviare l'attività, potrebbe trovarsi in una situazione di dipendenza economica dal franchisor o dal fornitore.
  • Obbligo di esclusiva: Se al franchisee o al distributore viene imposto di interrompere rapporti con altri fornitori o marchi, ciò potrebbe limitare la sua libertà contrattuale e creare una situazione di dipendenza.
  • Impossibilità di reperire alternative soddisfacenti sul mercato: Se il franchisee o il distributore non ha accesso a fornitori o marchi alternativi che possano garantire condizioni simili, potrebbe trovarsi in una situazione di dipendenza economica.

Casi di abuso di dipendenza economica

L'abuso di dipendenza economica si verifica quando una parte sfrutta la situazione di dipendenza dell'altra per imporre condizioni contrattuali ingiustificate o gravose. Alcuni esempi di abuso includono:

  • Imposizione di condizioni contrattuali eccessivamente onerose: Ad esempio, il franchisor che impone al franchisee di acquistare beni o servizi a prezzi superiori a quelli di mercato, sfruttando la sua posizione dominante.
  • Rifiuto ingiustificato di rinnovare il contratto: Se il franchisor o il fornitore rifiuta di rinnovare il contratto senza una valida ragione, sapendo che il franchisee o il distributore non ha alternative commerciali, si potrebbe configurare un abuso di dipendenza economica.
  • Interruzione arbitraria delle forniture: Nel caso dei contratti di distribuzione, il fornitore che interrompe le forniture senza giustificato motivo, lasciando il distributore senza prodotti da vendere, potrebbe essere accusato di abuso di dipendenza economica.

L'imposizione di modifiche unilaterali peggiorative: abuso di dipendenza economica?

L'imposizione di modifiche unilaterali peggiorative da parte del franchisor o del fornitore può certamente configurare un abuso di dipendenza economica, soprattutto se tali modifiche sono imposte senza giustificato motivo e in un contesto in cui il franchisee o il distributore non ha alternative commerciali valide. Ad esempio, il franchisor che modifica unilateralmente le condizioni economiche del contratto, imponendo al franchisee di sostenere costi aggiuntivi o riducendo i margini di profitto, potrebbe essere accusato di abuso di dipendenza economica, se il franchisee si trova in una situazione di dipendenza economica e non può facilmente recedere dal contratto o trovare alternative sul mercato.

Conseguenze legali della violazione della buona fede e dell'abuso di dipendenza economica

La violazione della buona fede nell'esecuzione di un contratto può avere conseguenze legali significative. La parte che subisce la violazione può chiedere la risoluzione del contratto per inadempimento, qualora la violazione sia grave e comprometta l'equilibrio contrattuale. Inoltre, la parte lesa può richiedere il risarcimento dei danni subiti a causa del comportamento scorretto dell'altra parte.

Nel caso di abuso di dipendenza economica, la parte lesa può chiedere la nullità delle clausole contrattuali che risultano abusive e il risarcimento dei danni. La giurisprudenza ha chiarito che l'abuso di dipendenza economica può anche configurarsi come una violazione del principio di buona fede, quando una parte sfrutta la propria posizione dominante per imporre condizioni contrattuali ingiustificate o gravose.

Conclusione

La buona fede è un principio fondamentale che permea l'esecuzione dei contratti di franchising e distribuzione, imponendo alle parti di agire con lealtà e correttezza. L'art. 9 della Legge n. 192/1998, che introduce il divieto di abuso di dipendenza economica, rappresenta una tutela aggiuntiva per le parti più deboli, impedendo che una parte possa sfruttare la propria posizione dominante per imporre condizioni contrattuali ingiustificate o gravose. L'imposizione di modifiche unilaterali peggiorative può certamente configurare un abuso di dipendenza economica, soprattutto se il franchisee o il distributore si trova in una situazione di dipendenza economica e non ha alternative commerciali valide.

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Le informazioni contenute nel presente articolo hanno carattere generale e non costituiscono un parere legale. Si consiglia di consultare un professionista per una valutazione specifica del proprio caso.


Stefano Brustia - Avvocato del foro di Roma


Avv. Stefano Brustia - "Avvocato di diritto commerciale", "Avvocato franchising", "Avvocato dello sport"

L'avvocato Brustia si è laureato con pieni voti presso l'Università degli Studi di Pavia nel 2000. È iscritto all'Albo degli Avvocati di Roma dal 2004. Opera prevalentemente nell'ambito del diritto commerciale, immobiliare e del diritto dello sport. Ha inoltre maturato una significativa esperienza nel settore degli arbitrati, assistendo come avvocato clienti italiani e stranieri in procedimenti arbitrali internazionali (ICC, TAS e CAM).




Stefano Brustia

Esperienza


Franchising

In ambito giudiziale, fornisco soprattutto assistenza a ex franchisee; in ambito stragiudiziale, ho pure curato la predisposizione di contratti di affiliazione commerciale per imprese operanti nei settori della ristorazione, abbigliamento ed intermediazione immobiliare.


Diritto immobiliare

Fornisco assistenza e consulenza legale a privati e/o imprese su questioni relative all'ambito immobiliare. In questo specifico settore, nel corso dell'ultimo anno, sono stato coinvolto soprattutto nel contenzioso legato ai c.d. bonus edilizi sto assistendo assistendo soprattutto privati e condomini nelle dispute contro "general contractor", imprese edili e professionisti che non hanno correttamente adempiuto agli impegni contrattuali da loro assunti verso la committenza.


Diritto dello sport

Come avvocato, note personalità del mondo dello sport e primarie istituzione sportive in contenziosi davanti al Tribunale Arbitrale dello Sport di Losanna e altri importanti organi di giustizia delle federazioni sportive internazionali (la International Court of Appeal della FIA, il Basketball Arbitral Tribunal della FIBA, la International Court of Appeal della UIM, ecc.).


Altre categorie:

Antitrust e concorrenza sleale, Marchi, Contratti, Tutela del consumatore, Diritto condominiale, Sfratto, Locazioni, Diritto civile, Diritto di famiglia, Eredità e successioni, Separazione, Divorzio, Diritto commerciale e societario, Proprietà intellettuale, Recupero crediti, Diritto internazionale ed europeo, Incidenti stradali, Malasanità e responsabilità medica, Diritto ambientale, Arte e beni culturali, Industria dell'intrattenimento, Diritto dell'informatica, Risarcimento danni.



Referenze

Pubblicazione legale

La convocazione dell’assemblea condominiale tramite posta elettronica ordinaria: Normativa e possibili implicazioni

Pubblicato su IUSTLAB

Introduzione La Convocazione dell’Assemblea Condominiale tramite E-mail: Normativa e Possibili Implicazioni La convocazione dell’assemblea condominiale è un momento fondamentale per la gestione del condominio. La legge italiana stabilisce requisiti rigidi per assicurare che ogni condomino sia informato in tempo utile e possa partecipare alle decisioni comuni. Tuttavia, con l'avvento delle nuove tecnologie, è emerso il quesito se sia possibile utilizzare l’e-mail ordinaria per convocare l’assemblea condominiale, uno strumento rapido ma la cui validità giuridica è controversa. Le modalità di convocazione previste dalla legge L’art. 66 delle disposizioni di attuazione del Codice Civile, al terzo comma, indica in modo tassativo le modalità con cui deve avvenire la convocazione dell’assemblea condominiale: raccomandata, PEC (Posta Elettronica Certificata), fax o consegna a mano. Questi strumenti garantiscono la certezza della ricezione da parte del destinatario, un elemento essenziale per la validità della convocazione. Non viene invece menzionata la e-mail ordinaria, il che rende il suo utilizzo, in linea di principio, non conforme alla normativa. La validità della convocazione via e-mail Nonostante l’assenza di un’esplicita previsione normativa, la giurisprudenza ha fornito alcune aperture per l’utilizzo dell’e-mail ordinaria in specifiche circostanze. La Corte d'Appello di Brescia ha stabilito che la convocazione tramite e-mail ordinaria è legittima se è stato il condomino stesso a richiedere tale modalità. In questo caso, il condomino non può successivamente contestare la mancanza di prova della ricezione dell’e-mail, avendo accettato espressamente tale mezzo di comunicazione (Corte d'Appello di Brescia, n. 1651/2023). In un orientamento simile, il Tribunale di Roma ha affermato che la partecipazione del condomino all’assemblea, dopo aver ricevuto la convocazione via e-mail ordinaria, può sanare eventuali irregolarità della convocazione. In pratica, se un condomino partecipa all’assemblea e vota senza contestare la modalità di convocazione, si presume che abbia comunque avuto conoscenza della riunione, e quindi la convocazione può considerarsi valida (Trib. Roma, n. 7545/2023). La prova della ricezione Un aspetto cruciale nell’utilizzo dell’e-mail ordinaria riguarda la prova della ricezione. Mentre strumenti come la PEC o la raccomandata forniscono una garanzia giuridica della ricezione, l’e-mail ordinaria non offre la stessa certezza. In caso di contestazione da parte di un condomino, chi ha convocato l’assemblea deve essere in grado di dimostrare che la convocazione è stata effettivamente ricevuta. La giurisprudenza ha ribadito che, se non si può garantire la ricezione della comunicazione, la convocazione tramite e-mail ordinaria potrebbe essere considerata nulla (Trib. Tivoli, n. 2666/2023). Il consenso del condominio Un’altra possibilità per l’utilizzo dell’e-mail ordinaria è l’accordo unanime dei condomini. Se tutti i condomini accettano espressamente di essere convocati tramite e-mail ordinaria, tale modalità potrebbe essere utilizzata senza incorrere in problemi legali. Tuttavia, ciò richiede che la decisione venga formalizzata, ad esempio, con una delibera approvata in assemblea o con una modifica al regolamento condominiale. Anche in questo caso, è necessario rispettare i limiti imposti dall’art. 72 delle disposizioni di attuazione del Codice Civile, che sancisce l’inderogabilità dell’art. 66, salvo il consenso unanime del condominio. Conclusioni In sintesi, la convocazione dell’assemblea condominiale tramite e-mail ordinaria, pur non essendo espressamente prevista dalle disposizioni normative, può essere considerata valida in determinate circostanze. La giurisprudenza ha mostrato un’apertura verso questa modalità quando il condomino la richiede espressamente o partecipa all’assemblea senza sollevare obiezioni. Tuttavia, è fondamentale poter dimostrare la ricezione della convocazione per evitare contestazioni future. Pertanto, è buona prassi continuare a utilizzare strumenti che garantiscano la prova di ricezione, come la PEC o la raccomandata, o assicurarsi che vi sia un consenso unanime da parte dei condomini all’uso dell’e-mail ordinaria. Stefano Brustia - Avvocato del foro di Roma

Pubblicazione legale

Installazione di impianti fotovoltaici sul lastrico solare condominiale da parte di singoli condomini: norme e iter autorizzatorio

Pubblicato su IUSTLAB

Introduzione Negli ultimi anni, l'installazione di impianti fotovoltaici da parte dei singoli condomini sul lastrico solare condominiale ha guadagnato rilevanza, grazie all’incremento dell’attenzione verso le energie rinnovabili. La normativa italiana ha cercato di semplificare l'iter burocratico per favorire tali installazioni, garantendo al contempo la tutela dei diritti degli altri condomini e la corretta gestione delle parti comuni. Normativa di riferimento L'installazione di impianti fotovoltaici destinati a servire una singola unità immobiliare all'interno di un condominio è disciplinata dal codice civile, che consente al singolo condomino di utilizzare parti comuni dell'edificio per installare tali impianti. Questo può avvenire sul lastrico solare o su altre superfici comuni, purché l'uso non comprometta i diritti degli altri condomini e non alteri la destinazione d'uso delle parti comuni. Il principio cardine è che l'installazione non deve pregiudicare il diritto di ogni condomino di fare un uso paritetico delle parti comuni. In altre parole, l'impianto fotovoltaico non deve escludere gli altri condomini dall'uso della medesima superficie, né deve alterarne la destinazione d’uso. Iter autorizzatorio: comunicazione all'amministratore Una delle questioni più discusse riguarda l'iter autorizzatorio per l'installazione dell'impianto. Non è necessaria l'autorizzazione dell'assemblea condominiale, salvo casi particolari. Il condomino interessato deve semplicemente comunicare il progetto all'amministratore del condominio, indicando le modalità tecniche e le caratteristiche dell’installazione. L'assemblea condominiale potrà intervenire solo se l'installazione richiede modifiche significative delle parti comuni o qualora si rendano necessarie disposizioni sulle modalità di esecuzione dei lavori, per garantire la sicurezza, la stabilità o il rispetto del decoro architettonico dell'edificio. In questi casi, l'assemblea può deliberare con le maggioranze previste dal codice civile, ma non può opporsi all'installazione se questa rispetta i requisiti di legge. Ripartizione della superficie del lastrico solare Un aspetto importante riguarda la questione della ripartizione della superficie del lastrico solare. La normativa non impone che l'uso del lastrico solare debba essere proporzionato ai millesimi di proprietà del singolo condomino. Ciò significa che il condomino può utilizzare una porzione del lastrico per installare l'impianto, anche se questa non corrisponde strettamente alla sua quota millesimale. Tuttavia, l'uso della superficie comune deve essere fatto nel rispetto del principio di parità. Questo implica che, se anche altri condomini volessero utilizzare la stessa superficie per installare impianti simili, dovrà essere garantita una ripartizione equa dello spazio. L'installazione non può quindi impedire agli altri condomini di fare un uso analogo del lastrico solare. Condizioni e limitazioni Per garantire una corretta gestione dell'installazione e prevenire conflitti tra condomini, è necessario rispettare alcune condizioni e limitazioni: Non alterazione della destinazione d'uso del lastrico solare: l'installazione dell'impianto non deve impedire l'uso del lastrico per altre destinazioni già in atto, come ad esempio l'uso come terrazza o spazio comune per stendere. Rispetto della sicurezza e del decoro architettonico: l'impianto non deve compromettere la stabilità e la sicurezza dell'edificio, né danneggiarne l'aspetto estetico. Qualora vi siano dubbi in merito, l’assemblea potrebbe richiedere l’adozione di specifiche cautele o prescrizioni. Minimi pregiudizi per le parti comuni e per i diritti degli altri condomini: l’intervento deve essere eseguito in modo da arrecare il minor disagio possibile agli altri condomini e non deve pregiudicare il godimento delle parti comuni. Conclusioni L'installazione di un impianto fotovoltaico sul lastrico solare condominiale da parte di un singolo condomino è una pratica consentita e incoraggiata dalle normative italiane, a patto che vengano rispettati alcuni principi fondamentali. Non è richiesta l'autorizzazione dell'assemblea condominiale, salvo che l'intervento non comporti modifiche rilevanti delle parti comuni. Il condomino interessato deve comunicare il progetto all'amministratore, che è tenuto a verificare il rispetto delle norme. L'uso del lastrico solare non è limitato ai millesimi di proprietà, ma deve comunque rispettare il diritto degli altri condomini a fare un uso paritario della superficie comune. Stefano Brustia - Avvocato del foro di Roma

Pubblicazione legale

La qualificazione dei contratti relativi ai negozi dei centri commerciali: Affitto di ramo d'azienda o locazione?

Pubblicato su IUSTLAB

Introduzione Con la sentenza n. 3888 del 17 febbraio 2020 la Corte di Cassazione ha affrontato una questione di grande importanza pratica, ossia la distinzione tra il contratto di affitto di ramo d'azienda e il contratto di locazione di immobile ad uso commerciale, con particolare riferimento ai locali situati all'interno dei centri commerciali. La corretta qualificazione di tali contratti è cruciale, poiché determina l'applicazione delle norme imperative poste a tutela del conduttore, come quelle previste dalla legge n. 392 del 1978. I criteri stabiliti dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 3888/2020 L a Corte di Cassazione ha chiarito che la qualificazione di un contratto come affitto di ramo d'azienda o locazione di immobile ad uso commerciale non può basarsi esclusivamente sul nomen iuris attribuito dalle parti, ma deve essere effettuata in base alla sostanza del rapporto contrattuale. In particolare, la Corte ha individuato due criteri fondamentali per distinguere le due fattispecie: L'organizzazione preesistente : Perché si possa parlare di affitto di ramo d'azienda, è necessario che il complesso di beni oggetto del contratto sia già organizzato e idoneo a costituire un'azienda o un ramo di essa. In altre parole, deve esistere una struttura organizzativa preesistente che consenta l'esercizio immediato di un'attività economica. Se tale organizzazione manca, non si può parlare di affitto di ramo d'azienda, ma di locazione di immobile. La centralità dell'immobile : Nel caso in cui l'immobile oggetto del contratto rivesta un ruolo centrale e gli eventuali beni accessori (come attrezzature o licenze) siano strumentali all'utilizzo dell'immobile stesso, il contratto deve essere qualificato come locazione di immobile ad uso commerciale. Questo criterio è particolarmente rilevante nei centri commerciali, dove spesso i contratti vengono qualificati come affitti di ramo d'azienda, ma in realtà riguardano principalmente l'utilizzo di un immobile. La prevalenza dell'elemento immobiliare Un aspetto cruciale della sentenza è la prevalenza dell'elemento immobiliare. La Corte ha sottolineato che, se l'immobile è lo stato grezzo o privo delle attrezzature necessarie per l'esercizio di un'attività economica, non può configurarsi un affitto di ramo d'azienda. In tali casi, il contratto deve essere qualificato come locazione di immobile ad uso commerciale, soggetto alle norme imperative della legge n. 392 del 1978. Un esempio concreto di questa applicazione è stato fornito dalla Corte in relazione a un caso in cui il locale oggetto del contratto era privo di attrezzature e autorizzazioni amministrative necessarie per l'esercizio di un'attività commerciale. In tale contesto, la Corte ha ritenuto che non fosse possibile configurare un complesso organizzato di beni e, di conseguenza, ha qualificato il contratto come locazione di immobile. Le conseguenze della qualificazione del contratto La qualificazione del contratto come locazione di immobile ad uso commerciale comporta l'applicazione delle norme imperative della legge n. 392 del 1978, che prevede una serie di tutele a favore del conduttore. Tra queste, le più rilevanti sono: - Durata minima del contratto : La legge n. 392/1978 stabilisce che i contratti di locazione commerciale devono avere una durata minima di sei anni, rinnovabili per altri sei anni, salvo specifiche eccezioni. - Diritto di prelazione : Il conduttore ha il diritto di prelazione in caso di vendita dell'immobile locato. - Indennità per la perdita dell'avviamento commerciale : Al termine del contratto, il conduttore ha diritto a un'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale, qualora l'attività svolta nell'immobile abbia creato un valore aggiunto. Al contrario, se il contratto viene qualificato come affitto di ramo d'azienda, tali tutele non si applicano, poiché l'oggetto del contratto non è un immobile, ma un complesso organizzato di beni destinati all'esercizio di un'attività economica. Conclusione La sentenza n. 3888/2020 della Corte di Cassazione ha fornito criteri chiari per distinguere tra affitto di ramo d'azienda e locazione di immobile ad uso commerciale, con particolare riferimento ai locali dei centri commerciali. La qualificazione dipende dalla presenza o meno di un complesso organizzato di beni idonei a costituire un'azienda. Se l'elemento prevalente è l'immobile e i beni accessori sono strumentali al suo utilizzo, il contratto deve essere qualificato come locazione di immobile, con conseguente applicazione delle tutele previste dalla legge n. 392 del 1978. Le informazioni contenute nel presente articolo hanno carattere generale e non intendono esprimere un parere o fornire una consulenza di natura legale.

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