L'avvocato Brustia si è laureato con pieni voti presso l'Università degli Studi di Pavia nel 2000. È iscritto all'Albo degli Avvocati di Roma dal 2004. Opera prevalentemente nell'ambito del diritto commerciale, immobiliare e del diritto dello sport. Ha inoltre maturato una significativa esperienza nel settore degli arbitrati, assistendo come avvocato clienti italiani e stranieri in procedimenti arbitrali internazionali (ICC, TAS e CAM).
In ambito giudiziale, fornisco soprattutto assistenza a ex franchisee; in ambito stragiudiziale, ho pure curato la predisposizione di contratti di affiliazione commerciale per imprese operanti nei settori della ristorazione, abbigliamento ed intermediazione immobiliare.
Fornisco assistenza e consulenza legale a privati e/o imprese su questioni relative all'ambito immobiliare. In questo specifico settore, nel corso dell'ultimo anno, sono stato coinvolto soprattutto nel contenzioso legato ai c.d. bonus edilizi sto assistendo assistendo soprattutto privati e condomini nelle dispute contro "general contractor", imprese edili e professionisti che non hanno correttamente adempiuto agli impegni contrattuali da loro assunti verso la committenza.
Come avvocato, ho assistito note personalità del mondo dello sport e primarie istituzione sportive in contenziosi davanti al Tribunale Arbitrale dello Sport di Losanna e altri importanti organi di giustizia delle federazioni sportive internazionali (la International Court of Appeal della FIA, la International Court of Appeal della UIM, ecc.). Dal 2015 sono presidente del Disciplinary Committee della CMAS, la federazione sportiva internazionale riconosciuta dal CIO che sovraintende agli sport subacquei (apnea, nuoto pinnato, pesca sportiva, ecc.).
Antitrust e concorrenza sleale, Marchi, Contratti, Arbitrato, Incidenti stradali, Tutela del consumatore, Diritto condominiale, Sfratto, Locazioni, Diritto civile, Diritto di famiglia, Eredità e successioni, Separazione, Divorzio, Diritto commerciale e societario, Proprietà intellettuale, Recupero crediti, Diritto internazionale ed europeo, Malasanità e responsabilità medica, Diritto ambientale, Arte e beni culturali, Industria dell'intrattenimento, Diritto dell'informatica, Risarcimento danni.
Introduzione La Convocazione dell’Assemblea Condominiale tramite E-mail: Normativa e Possibili Implicazioni La convocazione dell’assemblea condominiale è un momento fondamentale per la gestione del condominio. La legge italiana stabilisce requisiti rigidi per assicurare che ogni condomino sia informato in tempo utile e possa partecipare alle decisioni comuni. Tuttavia, con l'avvento delle nuove tecnologie, è emerso il quesito se sia possibile utilizzare l’e-mail ordinaria per convocare l’assemblea condominiale, uno strumento rapido ma la cui validità giuridica è controversa. Le modalità di convocazione previste dalla legge L’art. 66 delle disposizioni di attuazione del Codice Civile, al terzo comma, indica in modo tassativo le modalità con cui deve avvenire la convocazione dell’assemblea condominiale: raccomandata, PEC (Posta Elettronica Certificata), fax o consegna a mano. Questi strumenti garantiscono la certezza della ricezione da parte del destinatario, un elemento essenziale per la validità della convocazione. Non viene invece menzionata la e-mail ordinaria, il che rende il suo utilizzo, in linea di principio, non conforme alla normativa. La validità della convocazione via e-mail Nonostante l’assenza di un’esplicita previsione normativa, la giurisprudenza ha fornito alcune aperture per l’utilizzo dell’e-mail ordinaria in specifiche circostanze. La Corte d'Appello di Brescia ha stabilito che la convocazione tramite e-mail ordinaria è legittima se è stato il condomino stesso a richiedere tale modalità. In questo caso, il condomino non può successivamente contestare la mancanza di prova della ricezione dell’e-mail, avendo accettato espressamente tale mezzo di comunicazione (Corte d'Appello di Brescia, n. 1651/2023). In un orientamento simile, il Tribunale di Roma ha affermato che la partecipazione del condomino all’assemblea, dopo aver ricevuto la convocazione via e-mail ordinaria, può sanare eventuali irregolarità della convocazione. In pratica, se un condomino partecipa all’assemblea e vota senza contestare la modalità di convocazione, si presume che abbia comunque avuto conoscenza della riunione, e quindi la convocazione può considerarsi valida (Trib. Roma, n. 7545/2023). La prova della ricezione Un aspetto cruciale nell’utilizzo dell’e-mail ordinaria riguarda la prova della ricezione. Mentre strumenti come la PEC o la raccomandata forniscono una garanzia giuridica della ricezione, l’e-mail ordinaria non offre la stessa certezza. In caso di contestazione da parte di un condomino, chi ha convocato l’assemblea deve essere in grado di dimostrare che la convocazione è stata effettivamente ricevuta. La giurisprudenza ha ribadito che, se non si può garantire la ricezione della comunicazione, la convocazione tramite e-mail ordinaria potrebbe essere considerata nulla (Trib. Tivoli, n. 2666/2023). Il consenso del condominio Un’altra possibilità per l’utilizzo dell’e-mail ordinaria è l’accordo unanime dei condomini. Se tutti i condomini accettano espressamente di essere convocati tramite e-mail ordinaria, tale modalità potrebbe essere utilizzata senza incorrere in problemi legali. Tuttavia, ciò richiede che la decisione venga formalizzata, ad esempio, con una delibera approvata in assemblea o con una modifica al regolamento condominiale. Anche in questo caso, è necessario rispettare i limiti imposti dall’art. 72 delle disposizioni di attuazione del Codice Civile, che sancisce l’inderogabilità dell’art. 66, salvo il consenso unanime del condominio. Conclusioni In sintesi, la convocazione dell’assemblea condominiale tramite e-mail ordinaria, pur non essendo espressamente prevista dalle disposizioni normative, può essere considerata valida in determinate circostanze. La giurisprudenza ha mostrato un’apertura verso questa modalità quando il condomino la richiede espressamente o partecipa all’assemblea senza sollevare obiezioni. Tuttavia, è fondamentale poter dimostrare la ricezione della convocazione per evitare contestazioni future. Pertanto, è buona prassi continuare a utilizzare strumenti che garantiscano la prova di ricezione, come la PEC o la raccomandata, o assicurarsi che vi sia un consenso unanime da parte dei condomini all’uso dell’e-mail ordinaria. Stefano Brustia - Avvocato del foro di Roma
Introduzione Negli ultimi anni, l'installazione di impianti fotovoltaici da parte dei singoli condomini sul lastrico solare condominiale ha guadagnato rilevanza, grazie all’incremento dell’attenzione verso le energie rinnovabili. La normativa italiana ha cercato di semplificare l'iter burocratico per favorire tali installazioni, garantendo al contempo la tutela dei diritti degli altri condomini e la corretta gestione delle parti comuni. Normativa di riferimento L'installazione di impianti fotovoltaici destinati a servire una singola unità immobiliare all'interno di un condominio è disciplinata dal codice civile, che consente al singolo condomino di utilizzare parti comuni dell'edificio per installare tali impianti. Questo può avvenire sul lastrico solare o su altre superfici comuni, purché l'uso non comprometta i diritti degli altri condomini e non alteri la destinazione d'uso delle parti comuni. Il principio cardine è che l'installazione non deve pregiudicare il diritto di ogni condomino di fare un uso paritetico delle parti comuni. In altre parole, l'impianto fotovoltaico non deve escludere gli altri condomini dall'uso della medesima superficie, né deve alterarne la destinazione d’uso. Iter autorizzatorio: comunicazione all'amministratore Una delle questioni più discusse riguarda l'iter autorizzatorio per l'installazione dell'impianto. Non è necessaria l'autorizzazione dell'assemblea condominiale, salvo casi particolari. Il condomino interessato deve semplicemente comunicare il progetto all'amministratore del condominio, indicando le modalità tecniche e le caratteristiche dell’installazione. L'assemblea condominiale potrà intervenire solo se l'installazione richiede modifiche significative delle parti comuni o qualora si rendano necessarie disposizioni sulle modalità di esecuzione dei lavori, per garantire la sicurezza, la stabilità o il rispetto del decoro architettonico dell'edificio. In questi casi, l'assemblea può deliberare con le maggioranze previste dal codice civile, ma non può opporsi all'installazione se questa rispetta i requisiti di legge. Ripartizione della superficie del lastrico solare Un aspetto importante riguarda la questione della ripartizione della superficie del lastrico solare. La normativa non impone che l'uso del lastrico solare debba essere proporzionato ai millesimi di proprietà del singolo condomino. Ciò significa che il condomino può utilizzare una porzione del lastrico per installare l'impianto, anche se questa non corrisponde strettamente alla sua quota millesimale. Tuttavia, l'uso della superficie comune deve essere fatto nel rispetto del principio di parità. Questo implica che, se anche altri condomini volessero utilizzare la stessa superficie per installare impianti simili, dovrà essere garantita una ripartizione equa dello spazio. L'installazione non può quindi impedire agli altri condomini di fare un uso analogo del lastrico solare. Condizioni e limitazioni Per garantire una corretta gestione dell'installazione e prevenire conflitti tra condomini, è necessario rispettare alcune condizioni e limitazioni: Non alterazione della destinazione d'uso del lastrico solare: l'installazione dell'impianto non deve impedire l'uso del lastrico per altre destinazioni già in atto, come ad esempio l'uso come terrazza o spazio comune per stendere. Rispetto della sicurezza e del decoro architettonico: l'impianto non deve compromettere la stabilità e la sicurezza dell'edificio, né danneggiarne l'aspetto estetico. Qualora vi siano dubbi in merito, l’assemblea potrebbe richiedere l’adozione di specifiche cautele o prescrizioni. Minimi pregiudizi per le parti comuni e per i diritti degli altri condomini: l’intervento deve essere eseguito in modo da arrecare il minor disagio possibile agli altri condomini e non deve pregiudicare il godimento delle parti comuni. Conclusioni L'installazione di un impianto fotovoltaico sul lastrico solare condominiale da parte di un singolo condomino è una pratica consentita e incoraggiata dalle normative italiane, a patto che vengano rispettati alcuni principi fondamentali. Non è richiesta l'autorizzazione dell'assemblea condominiale, salvo che l'intervento non comporti modifiche rilevanti delle parti comuni. Il condomino interessato deve comunicare il progetto all'amministratore, che è tenuto a verificare il rispetto delle norme. L'uso del lastrico solare non è limitato ai millesimi di proprietà, ma deve comunque rispettare il diritto degli altri condomini a fare un uso paritario della superficie comune. Stefano Brustia - Avvocato del foro di Roma
Introduzione Con la sentenza n. 3888 del 17 febbraio 2020 la Corte di Cassazione ha affrontato una questione di grande importanza pratica, ossia la distinzione tra il contratto di affitto di ramo d'azienda e il contratto di locazione di immobile ad uso commerciale, con particolare riferimento ai locali situati all'interno dei centri commerciali. La corretta qualificazione di tali contratti è cruciale, poiché determina l'applicazione delle norme imperative poste a tutela del conduttore, come quelle previste dalla legge n. 392 del 1978. I criteri stabiliti dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 3888/2020 L a Corte di Cassazione ha chiarito che la qualificazione di un contratto come affitto di ramo d'azienda o locazione di immobile ad uso commerciale non può basarsi esclusivamente sul nomen iuris attribuito dalle parti, ma deve essere effettuata in base alla sostanza del rapporto contrattuale. In particolare, la Corte ha individuato due criteri fondamentali per distinguere le due fattispecie: L'organizzazione preesistente : Perché si possa parlare di affitto di ramo d'azienda, è necessario che il complesso di beni oggetto del contratto sia già organizzato e idoneo a costituire un'azienda o un ramo di essa. In altre parole, deve esistere una struttura organizzativa preesistente che consenta l'esercizio immediato di un'attività economica. Se tale organizzazione manca, non si può parlare di affitto di ramo d'azienda, ma di locazione di immobile. La centralità dell'immobile : Nel caso in cui l'immobile oggetto del contratto rivesta un ruolo centrale e gli eventuali beni accessori (come attrezzature o licenze) siano strumentali all'utilizzo dell'immobile stesso, il contratto deve essere qualificato come locazione di immobile ad uso commerciale. Questo criterio è particolarmente rilevante nei centri commerciali, dove spesso i contratti vengono qualificati come affitti di ramo d'azienda, ma in realtà riguardano principalmente l'utilizzo di un immobile. La prevalenza dell'elemento immobiliare Un aspetto cruciale della sentenza è la prevalenza dell'elemento immobiliare. La Corte ha sottolineato che, se l'immobile è lo stato grezzo o privo delle attrezzature necessarie per l'esercizio di un'attività economica, non può configurarsi un affitto di ramo d'azienda. In tali casi, il contratto deve essere qualificato come locazione di immobile ad uso commerciale, soggetto alle norme imperative della legge n. 392 del 1978. Un esempio concreto di questa applicazione è stato fornito dalla Corte in relazione a un caso in cui il locale oggetto del contratto era privo di attrezzature e autorizzazioni amministrative necessarie per l'esercizio di un'attività commerciale. In tale contesto, la Corte ha ritenuto che non fosse possibile configurare un complesso organizzato di beni e, di conseguenza, ha qualificato il contratto come locazione di immobile. Le conseguenze della qualificazione del contratto La qualificazione del contratto come locazione di immobile ad uso commerciale comporta l'applicazione delle norme imperative della legge n. 392 del 1978, che prevede una serie di tutele a favore del conduttore. Tra queste, le più rilevanti sono: - Durata minima del contratto : La legge n. 392/1978 stabilisce che i contratti di locazione commerciale devono avere una durata minima di sei anni, rinnovabili per altri sei anni, salvo specifiche eccezioni. - Diritto di prelazione : Il conduttore ha il diritto di prelazione in caso di vendita dell'immobile locato. - Indennità per la perdita dell'avviamento commerciale : Al termine del contratto, il conduttore ha diritto a un'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale, qualora l'attività svolta nell'immobile abbia creato un valore aggiunto. Al contrario, se il contratto viene qualificato come affitto di ramo d'azienda, tali tutele non si applicano, poiché l'oggetto del contratto non è un immobile, ma un complesso organizzato di beni destinati all'esercizio di un'attività economica. Conclusione La sentenza n. 3888/2020 della Corte di Cassazione ha fornito criteri chiari per distinguere tra affitto di ramo d'azienda e locazione di immobile ad uso commerciale, con particolare riferimento ai locali dei centri commerciali. La qualificazione dipende dalla presenza o meno di un complesso organizzato di beni idonei a costituire un'azienda. Se l'elemento prevalente è l'immobile e i beni accessori sono strumentali al suo utilizzo, il contratto deve essere qualificato come locazione di immobile, con conseguente applicazione delle tutele previste dalla legge n. 392 del 1978. Le informazioni contenute nel presente articolo hanno carattere generale e non intendono esprimere un parere o fornire una consulenza di natura legale.
Il Tribunale di Palermo ha accolto le domande che avevo proposto per una piccola impresa che aveva incautamente sottoscritto un contratto di affiliazione commerciale che non forniva una precisa indicazione degli investimenti necessari ad avviare l'attività commerciale in franchising e che risultava altresì carente nella specificazione del know-how. Il contratto è stato dichiarato nullo ed il franchisor è stato condannato a restituire alla mia cliente l'importo versato a titolo di entry fee (€ 24.400), oltre interessi e spese legali.
Introduction The Italian legal system provides a crucial mechanism for compensating parties harmed by anti-competitive practices, including cartels, abuse of dominant position, and other conduct that violates competition law. This mechanism serves an important function in protecting the interests of those adversely affected by such practices. In Italy, such actions are governed by civil law, yet they intersect with decisions made by antitrust authorities, such as the Italian Competition Authority (hereinafter referred to as "AGCM"). These authorities play a crucial role in determining the existence of violations. Probative Value of Antitrust Authority Decisions in the Italian Context In Italy, decisions by antitrust authorities, such as the AGCM, that establish a violation of competition law are of significant probative value in civil proceedings for damages. In particular, Italian legislation, in accordance with Directive 2014/104/EU, transposed by Legislative Decree No. 3 of 19 January 2017, stipulates that infringements established by a national competition authority are to be regarded as conclusively proven for the purpose of civil compensation claims. This principle confers binding effect upon AGCM decisions in civil courts, thereby reducing the necessity for the issue of the violation to be re-examined during civil proceedings. This probative value simplifies the process for the injured party, who is no longer required to prove the existence of the violation but can instead focus on demonstrating the damage suffered and the causal link between the violation and the economic harm. However, the antitrust authority's decision does not exempt the injured party from the burden of proving the extent of the damage and the causal connection to the violation, which can still present significant challenges, especially in the absence of clear damage quantification. Criteria for Damage Quantification and Simplifications in Cartel Cases The process of quantifying damages resulting from antitrust violations is typically complex, as it necessitates the reconstruction of a counterfactual scenario. This is defined as the economic situation that would have materialised in the absence of the violation in question. Nevertheless, in instances of price-fixing cartels, the process of quantifying damages may be comparatively less complex than in other instances of antitrust violations. In such cases, the damage often takes the form of an overcharge paid by consumers or businesses due to the collusive agreement among cartel participants. In particular, the damages incurred can be calculated by comparing the actual price paid with the price that would have been paid in a competitive market. Although this type of analysis still necessitates technical expertise, it is more straightforward than in other situations where the damage is less evident or more challenging to isolate. To illustrate, in instances of price-fixing cartels, the immediate consequence of the infraction is the artificial elevation in prices, which renders it more straightforward to ascertain the injury sustained by those who procured goods or services at augmented costs. Nevertheless, even in these instances, certain challenges may emerge. For example, it may be challenging to ascertain the precise amount of the overcharge paid, particularly in complex markets or instances where prices are influenced by multiple factors. Furthermore, the quantification of damages may be complicated by the necessity to account for the pass-on of the overcharge along the distribution chain. In some cases, the overcharge may have been passed on to final consumers, which would serve to reduce the damage suffered by intermediate businesses. Joint Liability of Cartel Participants A significant aspect of cartel cases is the potential for seeking damages not only from the company with which the injured party had business dealings, but also from all companies participating in the cartel. This principle is based on the collective nature of the liability of companies involved in a cartel. In such cases, all companies participating in the anti-competitive agreement are jointly and severally liable for the damage caused, regardless of whether the injured party had direct dealings with all or only some of them. In other words, the injured party is entitled to seek compensation from any cartel participant, even in the absence of direct commercial relations with that company. This principle is based on the premise that all companies involved in the cartel contributed, through their collusive conduct, to the distortion of the market and the consequent harm to consumers or other businesses. Consequently, each company can be held liable for the entire damage suffered by the injured party, leaving the cartel participants to seek recourse among themselves through contribution actions. Competent courts for antitrust claims in Italy In Italy, actions for damages arising from antitrust infringements can be brought before ordinary civil courts. The territorial jurisdiction depends on the place where the damage occurred or on the domicile of the defendant. However, in the case of civil disputes relating to competition law infringements, the law provides that these cases should be brought before courts with specialised sections for commercial matters, the so-called " Tribunali delle Imprese ". These specialised commercial courts are located only in the the main Italian cities and have exclusive jurisdiction over any disputes pertaining to competition, company law and intellectual property. Statute of Limitations for Antitrust Compensation Claims In the context of antitrust violations, the statute of limitations for initiating a compensation claim is five years. Nevertheless, the starting point for the limitation period may differ depending on the circumstances. In particular, the limitation period commences upon the moment the injured party becomes aware, or should have become aware, of the violation and the damage sustained. In follow-on actions, that is to say, those that follow a decision by an antitrust authority, the statute of limitations may only commence on the date on which the AGCM's decision becomes final. This enables those who have sustained losses as a result of anti-competitive practices to pursue compensation claims even several years after the violation occurred. This is because such practices are often only uncovered following lengthy and complex investigations. Conclusions The compensation of damages resulting from antitrust violations in the Italian legal system, particularly in cases of price-fixing cartels, represents a crucial instrument for the protection of businesses and consumers who have sustained harm as a consequence of anti-competitive practices. The probative value of decisions by antitrust authorities, such as the AGCM, facilitates compensation claims. Furthermore, the collective liability of cartel participants allows injured parties to seek damages from any of the companies involved, regardless of direct commercial relations. However, the quantification of damages and the determination of the statute of limitations can present challenges that require careful legal and economic analysis. Stefano Brustia - Lawyer at the Rome Bar
The Application of European Union Competition Law to the Sports Sector Stefano Brustia - Attorney of the Rome Bar 1. Intro The relationship between European Union (EU) competition law and the sports sector has been shaped by several landmark rulings of the Court of Justice of the European Union (CJEU). While sports have a unique cultural and social significance, they are also subject to economic rules, particularly when sporting bodies or federations engage in activities that impact the market. The CJEU has consistently upheld that EU competition law applies to sports when there is a significant economic dimension, and this has led to important limitations on how sports federations can regulate their disciplines. 2. General Overview of EU Competition Law in Sports Under Article 101 and Article 102 of the Treaty on the Functioning of the European Union (TFEU), restrictive agreements between undertakings (Article 101) and the abuse of a dominant position (Article 102) are prohibited. These rules apply to sports organizations when their actions have economic effects that may distort competition within the EU market. While sports federations have significant autonomy in regulating their sports, this autonomy is not without limits, particularly when their rules or decisions restrict competition or access to the market. 3. Key Rulings of the Court of Justice a. Meca-Medina (C-519/04) The Meca-Medina case, decided in 2006, is a cornerstone for the application of EU competition law to the sports sector. In this case, two professional swimmers challenged the anti-doping rules of the International Swimming Federation (FINA) after being suspended for failing drug tests. The athletes argued that the anti-doping rules restricted competition by preventing them from pursuing their professional careers. The CJEU held that sporting rules could fall within the scope of EU competition law if they have an economic impact. However, the Court also recognized that certain restrictions inherent in the organization of sports may be justified, provided they pursue a legitimate objective (such as ensuring the fairness and integrity of competitions) and are proportionate to that objective. In other words, restrictions are permissible if they are necessary for the proper functioning of the sport and do not go beyond what is required to achieve that aim. This case established the two-step test for sports-related rules: Legitimacy : Does the rule pursue a legitimate sporting objective, such as maintaining competitive balance or ensuring athlete safety? Proportionality : Is the rule proportionate to achieving that objective, without unduly restricting competition? b. European Superleague (C-333/21) In the European Superleague case, twelve football clubs from England, Spain, and Italy attempted to create a new competition outside of the established structure governed by UEFA. UEFA and FIFA opposed the initiative, threatening sanctions against the clubs and players involved in the new league. The CJEU ruled that sports federations such as UEFA cannot impose unjustified barriers to entry for new competitions. However, the Court also emphasized that sports federations have a legitimate interest in maintaining the integrity of the sport and protecting existing competitions. The decision clarified that while federations have the authority to regulate sports, they must not abuse their dominant position by imposing disproportionate sanctions or limitations on clubs and players seeking to participate in alternative competitions. c. International Skating Union (ISU) (C-124/21) In the International Skating Union (ISU) case, the governing body for ice skating imposed severe penalties on athletes who participated in events not authorized by the ISU. The CJEU found that these sanctions were disproportionate and constituted a restriction of competition. The ISU’s rules effectively prevented athletes from participating in independent competitions, which constituted an abuse of its dominant position. The ruling stressed that sports federations must provide non-discriminatory access to competitions and that any sanctions imposed on athletes must be proportionate to the objectives pursued. 4. Limitations Imposed on Sports Federations Based on these rulings, sports federations face significant limitations in how they can regulate their respective sports disciplines. The CJEU has established key criteria that federations must follow to ensure compliance with EU competition law: a. Non-Abuse of Dominant Position Many sports federations occupy a dominant position in the market due to their control over the organization and regulation of competitions. The CJEU has made it clear that federations must not abuse this position by imposing unjustified restrictions on athletes, clubs, or other stakeholders who wish to participate in alternative competitions. For example, the ISU case demonstrated that sports federations cannot impose disproportionate sanctions on athletes for participating in unsanctioned events. b. Proportionality and Objective Justification Any restrictions imposed by a sports federation must be proportionate and justified by a legitimate sporting objective. This principle was central in Meca-Medina, where the Court accepted that anti-doping rules serve a valid purpose but emphasized that they must not excessively restrict competition. Similarly, in the European Superleague case, while UEFA's aim of protecting existing competitions was legitimate, any punitive measures against clubs or players must be proportionate to that objective. c. Non-Discriminatory Access to Competitions Federations must ensure non-discriminatory access for athletes, teams, and organizers to participate in competitions. This was underscored in the International Skating Union case, where the CJEU ruled that the ISU’s rules, which prevented athletes from competing in non-authorized events, unfairly restricted competition. Federations are obligated to allow fair participation, provided that athletes or teams meet the necessary sporting criteria. 5. Conclusion The application of EU competition law to the sports sector emphasizes the need for a careful balance between the autonomy of sports federations and the protection of competition within the internal market. While sports federations can impose rules to ensure the integrity of their respective sports, such rules must be proportionate, pursue legitimate objectives, and not create unjustified barriers to competition. The Meca-Medina, European Superleague, and International Skating Union cases have shaped the legal landscape, providing clear guidance on the limitations that sports federations must observe when regulating their disciplines.
Gli obblighi informativi imposti al franchisor dalla legislazione italiana e le conseguenze del loro mancato rispetto Avv. Stefano Brustia - Foro di Roma La legislazione italiana in materia di franchising è disciplinata principalmente dalla Legge n. 129 del 6 maggio 2004, che regola l'affiliazione commerciale. Uno degli aspetti più rilevanti di questa normativa è l'imposizione di specifici obblighi informativi precontrattuali a carico del franchisor, finalizzati a garantire una maggiore trasparenza e a riequilibrare le asimmetrie informative tra le parti coinvolte nel contratto di franchising. I. Gli obblighi informativi precontrattuali del franchisor La normativa italiana in materia di franchising, regolata principalmente dalla Legge n. 129 del 6 maggio 2004, impone al franchisor una serie di obblighi informativi precontrattuali. Questi obblighi sono volti a garantire una maggiore trasparenza e a riequilibrare il rapporto tra franchisor e franchisee, spesso caratterizzato da una marcata asimmetria informativa. La mancata osservanza di tali obblighi può comportare conseguenze rilevanti, fino all'annullamento del contratto. II. Gli obblighi informativi precontrattuali del franchisor Uno degli obblighi fondamentali imposti al franchisor è quello di fornire al potenziale franchisee una serie di informazioni essenziali almeno 30 giorni prima della firma del contratto. Questo periodo di tempo è pensato per consentire all'affiliato di valutare attentamente la proposta commerciale e prendere una decisione consapevole. Tra le informazioni che il franchisor deve fornire rientrano: 1. Una copia completa del contratto di franchising : Il contratto deve essere consegnato nella sua interezza, senza omissioni o modifiche, per permettere al franchisee di analizzare ogni clausola. 2. Informazioni sulla rete di franchising : Il franchisor deve fornire dati dettagliati sulla rete, inclusi i risultati economici e finanziari ottenuti dagli altri affiliati, per consentire una valutazione accurata della solidità del progetto. 3. Informazioni sugli investimenti richiesti : Il franchisor è tenuto a specificare con precisione quali saranno gli investimenti iniziali e i costi che il franchisee dovrà sostenere per avviare l'attività. Questo aspetto è cruciale, poiché il franchisee deve poter valutare se è in grado di sostenere tali spese e, eventualmente, confrontarle con quelle richieste da altre reti di franchising. III. Conseguenze del mancato rispetto degli obblighi informativi Il mancato rispetto degli obblighi informativi da parte del franchisor può comportare conseguenze rilevanti. Se il franchisor non fornisce le informazioni richieste o le fornisce in modo incompleto o inesatto, il franchisee può agire per ottenere l'annullamento del contratto. Tuttavia, per ottenere l'annullamento, il franchisee deve dimostrare che le informazioni mancanti o errate hanno inciso in modo determinante sulla sua decisione di sottoscrivere il contratto. In altre parole, deve provare che, se avesse ricevuto le informazioni corrette, non avrebbe concluso il contratto o lo avrebbe fatto a condizioni diverse. Se le informazioni errate riguardano aspetti essenziali del contratto, come le royalties o gli investimenti iniziali, e il franchisee dimostra che l'errore era essenziale e riconoscibile dal franchisor, può ottenere l'annullamento del contratto e il risarcimento del danno. In alternativa, se l'errore non ha influito sulla decisione di concludere il contratto, ma solo sulle condizioni economiche dello stesso, il franchisee potrà chiedere un risarcimento per i danni subiti, senza però ottenere l'annullamento del contratto. IV. Cosa succede se il franchisor fornisce informazioni non corrette sugli investimenti richiesti? Uno degli aspetti più delicati riguarda le informazioni sugli investimenti richiesti per l'avvio dell'attività. Se il franchisor fornisce al franchisee dati errati o fuorvianti riguardo agli investimenti necessari, il franchisee potrebbe trovarsi in una situazione economica più gravosa di quella prevista. In questi casi, il franchisee può agire per ottenere l'annullamento del contratto, dimostrando che l'errore sugli investimenti era essenziale e che, se avesse conosciuto la reale entità degli stessi, non avrebbe sottoscritto il contratto. In alternativa, se l'errore sugli investimenti non ha influito sulla decisione di concludere il contratto, ma solo sulle condizioni economiche, il franchisee potrà chiedere un risarcimento per i danni subiti, senza però ottenere l'annullamento del contratto. In ogni caso, il franchisor sarà responsabile per aver fornito informazioni non corrette e potrà essere tenuto a risarcire i danni subiti dal franchisee. V. Conclusione Gli obblighi informativi imposti al franchisor dalla Legge n. 129/2004 sono fondamentali per garantire la trasparenza e la correttezza nel rapporto di franchising. Il mancato rispetto di tali obblighi può comportare conseguenze rilevanti per il franchisor, che rischia di dover rispondere sia con l'annullamento del contratto che con il risarcimento dei danni subiti dal franchisee. È quindi essenziale che il franchisor fornisca informazioni complete, accurate e tempestive, soprattutto riguardo agli investimenti richiesti per l'avvio dell'attività . ******** Le informazioni contenute nel presente articolo hanno carattere generale e non sono da considerarsi un esame esaustivo né intendono esprimere un parere o fornire una consulenza di natura legale .
Il giornale Fanpage mi ha intervistato per avere un parere sulla possibilità di successo di un’azione collettiva volta ad ottenere un risarcimento pecuniario per i danni alla salute causati dal superamento dei valori soglia di inquinamento dell’aria, stabiliti dalla direttiva 2008/50/CE.
Ho assistito con successo una piccola impresa italiana in un giudizio davanti al Tribunale dell'Unione Europea in materia di marchi. La sentenza ha confermato la decisione resa dall'organo di appello della EUIPO che aveva ribaltato la precedente decisione dell'organo di giustizia di primo grado sfavorevole al mio cliente. La controparte era una multinazionale del settore farmaceutico.
La decisione presa da un collegio da me presieduto è interessante perché affronta la questione dell'applicazione delle norme UE al settore sportivo
L'obbligo di esclusiva nei contratti di franchising: natura e implicazioni Stefano Brustia - Avvocato del foro di Roma Introduzione Il contratto di franchising è uno strumento giuridico che regola il rapporto tra due soggetti indipendenti: il franchisor (affiliante) e il franchisee (affiliato). Tra le clausole più rilevanti che possono essere inserite in questo tipo di contratto vi è l'obbligo di esclusiva. Tale clausola ha un impatto significativo sullo sviluppo dell'attività commerciale del franchisee e sulla gestione della rete da parte del franchisor. Vediamo di seguito in cosa consiste l'obbligo di esclusiva e quali sono le sue implicazioni per entrambe le parti. La natura dell'obbligo di esclusiva L'obbligo di esclusiva è una clausola contrattuale che può essere inserita nel contratto di franchising e che vincola il franchisor a non concludere accordi con altri affiliati o a non aprire punti vendita propri all'interno di una determinata area geografica e per un certo periodo di tempo. Questo meccanismo consente al franchisee di operare senza subire la concorrenza diretta di altri soggetti che utilizzano lo stesso marchio nella stessa zona. È importante notare che l'esclusiva non è un elemento naturale del contratto di franchising. Ciò significa che essa non si applica automaticamente, ma deve essere espressamente prevista dalle parti nel contratto. La zona di esclusiva può essere definita in modi diversi, a seconda delle esigenze delle parti e delle caratteristiche del mercato di riferimento. L'accordo sull'esclusiva rappresenta un incentivo per il franchisee, che può così sviluppare la propria attività in un ambiente protetto dalla concorrenza interna. Le implicazioni per il franchisor e il franchisee L'obbligo di esclusiva ha diverse implicazioni per entrambe le parti del contratto. Per il franchisee, l'esclusiva rappresenta una garanzia di protezione contro la concorrenza interna. Grazie a questa clausola, l'affiliato può operare in una determinata area senza temere che altri affiliati o lo stesso franchisor possano sottrargli clientela. Questo consente al franchisee di concentrarsi sullo sviluppo del proprio business, investendo risorse e tempo nella promozione del marchio e nell'espansione della propria attività, con la certezza di non dover competere con altri soggetti che operano sotto lo stesso brand. Per il franchisor, invece, l'inserimento di una clausola di esclusiva comporta una limitazione della propria libertà contrattuale. Infatti, il franchisor si impegna a non espandere la propria rete di affiliati o a non aprire nuovi punti vendita nella zona assegnata al franchisee per tutta la durata dell'esclusiva. Questo può rappresentare un ostacolo alla crescita del marchio in determinate aree geografiche, soprattutto se il franchisee non riesce a sfruttare appieno le potenzialità del mercato locale. La violazione dell'obbligo di esclusiva Nel caso in cui il franchisor violi l'obbligo di esclusiva, ad esempio stipulando un contratto con un altro affiliato nella stessa zona o aprendo un punto vendita diretto, il franchisee ha il diritto di chiedere la risoluzione del contratto e il risarcimento dei danni subiti. La violazione dell'esclusiva è considerata un inadempimento grave, che può compromettere il rapporto di fiducia tra le parti e causare danni economici significativi all'affiliato. È importante sottolineare che la clausola di esclusiva vincola solo le parti del contratto (franchisor e franchisee) e non i terzi. Pertanto, un terzo che entra in concorrenza con il franchisee nella stessa zona non può essere ritenuto responsabile per la violazione dell'esclusiva, a meno che non si configuri una fattispecie di concorrenza sleale. Conclusione L'obbligo di esclusiva nei contratti di franchising è uno strumento contrattuale che può offrire vantaggi significativi al franchisee, proteggendolo dalla concorrenza interna e favorendo lo sviluppo della sua attività. Tuttavia, comporta anche delle limitazioni per il franchisor, che deve rinunciare alla possibilità di espandere la propria rete nella zona assegnata. La violazione dell'esclusiva può avere conseguenze legali rilevanti, con la possibilità di risoluzione del contratto e risarcimento dei danni. Le informazioni contenute nel presente articolo hanno carattere generale e non sono da considerarsi un esame esaustivo né intendono esprimere un parere o fornire una consulenza di natura legale .
Introduzione La buona fede è un principio cardine del diritto contrattuale italiano, sancito dagli articoli 1175 e 1375 del Codice Civile, che impone alle parti di comportarsi con lealtà e correttezza durante tutte le fasi del contratto, dalla sua formazione alla sua esecuzione. Questo principio trova applicazione in particolare nei contratti di franchising e distribuzione, dove le relazioni tra le parti possono essere caratterizzate da un significativo squilibrio di potere contrattuale. Inoltre, l'art. 9 della Legge n. 192/1998 introduce il divieto di abuso di dipendenza economica, che rappresenta una tutela specifica per la parte più debole del rapporto contrattuale, come il franchisee o il distributore. La buona fede nell'esecuzione dei contratti di franchising e distribuzione Contratti di franchising : Nei contratti di franchising, la buona fede impone al franchisor e al franchisee di collaborare in modo leale e trasparente per il successo dell'attività. Il franchisor ha l'obbligo di fornire al franchisee il supporto necessario, come formazione, assistenza e aggiornamenti, affinché quest'ultimo possa operare in modo efficiente. D'altro canto, il franchisee deve rispettare gli standard operativi e le direttive del franchisor. Un comportamento contrario alla buona fede potrebbe verificarsi, ad esempio, se il franchisor impone condizioni contrattuali eccessivamente onerose o modifica unilateralmente le condizioni economiche del contratto senza giustificazione. Contratti di distribuzion e: Nei contratti di distribuzione, la buona fede si traduce nell'obbligo di cooperazione tra il fornitore e il distributore. Il fornitore deve garantire la continuità delle forniture e non deve ostacolare il distributore nell'esercizio della sua attività, mentre il distributore deve promuovere i prodotti del fornitore con diligenza. Una violazione della buona fede potrebbe verificarsi, ad esempio, se il fornitore interrompe ingiustificatamente le forniture o impone condizioni commerciali svantaggiose al distributore. Il divieto di abuso di dipendenza economica ex art. 9 della Legge n. 192/1998 L'art. 9 della Legge n. 192/1998 introduce il divieto di abuso di dipendenza economica, che si verifica quando una parte sfrutta la propria posizione di forza economica per imporre condizioni contrattuali ingiustificate o gravose all'altra parte, che si trova in una situazione di dipendenza economica. La dipendenza economica si verifica quando una parte, pur essendo formalmente autonoma, non dispone di alternative commerciali soddisfacenti e, quindi, è costretta ad accettare condizioni contrattuali sfavorevoli. Come dimostrare la dipendenza economica Per dimostrare una situazione di dipendenza economica, è necessario provare che una parte non ha alternative commerciali valide sul mercato. Gli indici sintomatici della dipendenza economica includono: Elevati oneri di investimento inizial e: Se il franchisee o il distributore ha sostenuto investimenti significativi per avviare l'attività, potrebbe trovarsi in una situazione di dipendenza economica dal franchisor o dal fornitore. Obbligo di esclusiva : Se al franchisee o al distributore viene imposto di interrompere rapporti con altri fornitori o marchi, ciò potrebbe limitare la sua libertà contrattuale e creare una situazione di dipendenza. I mpossibilità di reperire alternative soddisfacenti sul mercato : Se il franchisee o il distributore non ha accesso a fornitori o marchi alternativi che possano garantire condizioni simili, potrebbe trovarsi in una situazione di dipendenza economica. Casi di abuso di dipendenza economica L'abuso di dipendenza economica si verifica quando una parte sfrutta la situazione di dipendenza dell'altra per imporre condizioni contrattuali ingiustificate o gravose. Alcuni esempi di abuso includono: Imposizione di condizioni contrattuali eccessivamente onerose : Ad esempio, il franchisor che impone al franchisee di acquistare beni o servizi a prezzi superiori a quelli di mercato, sfruttando la sua posizione dominante. Rifiuto ingiustificato di rinnovare il contratto : Se il franchisor o il fornitore rifiuta di rinnovare il contratto senza una valida ragione, sapendo che il franchisee o il distributore non ha alternative commerciali, si potrebbe configurare un abuso di dipendenza economica. Interruzione arbitraria delle forniture : Nel caso dei contratti di distribuzione, il fornitore che interrompe le forniture senza giustificato motivo, lasciando il distributore senza prodotti da vendere, potrebbe essere accusato di abuso di dipendenza economica. L'imposizione di modifiche unilaterali peggiorative: abuso di dipendenza economica? L'imposizione di modifiche unilaterali peggiorative da parte del franchisor o del fornitore può certamente configurare un abuso di dipendenza economica, soprattutto se tali modifiche sono imposte senza giustificato motivo e in un contesto in cui il franchisee o il distributore non ha alternative commerciali valide. Ad esempio, il franchisor che modifica unilateralmente le condizioni economiche del contratto, imponendo al franchisee di sostenere costi aggiuntivi o riducendo i margini di profitto, potrebbe essere accusato di abuso di dipendenza economica, se il franchisee si trova in una situazione di dipendenza economica e non può facilmente recedere dal contratto o trovare alternative sul mercato. Conseguenze legali della violazione della buona fede e dell'abuso di dipendenza economica La violazione della buona fede nell'esecuzione di un contratto può avere conseguenze legali significative. La parte che subisce la violazione può chiedere la risoluzione del contratto per inadempimento, qualora la violazione sia grave e comprometta l'equilibrio contrattuale. Inoltre, la parte lesa può richiedere il risarcimento dei danni subiti a causa del comportamento scorretto dell'altra parte. Nel caso di abuso di dipendenza economica, la parte lesa può chiedere la nullità delle clausole contrattuali che risultano abusive e il risarcimento dei danni. La giurisprudenza ha chiarito che l'abuso di dipendenza economica può anche configurarsi come una violazione del principio di buona fede, quando una parte sfrutta la propria posizione dominante per imporre condizioni contrattuali ingiustificate o gravose. Conclusione La buona fede è un principio fondamentale che permea l'esecuzione dei contratti di franchising e distribuzione, imponendo alle parti di agire con lealtà e correttezza. L'art. 9 della Legge n. 192/1998, che introduce il divieto di abuso di dipendenza economica, rappresenta una tutela aggiuntiva per le parti più deboli, impedendo che una parte possa sfruttare la propria posizione dominante per imporre condizioni contrattuali ingiustificate o gravose. L'imposizione di modifiche unilaterali peggiorative può certamente configurare un abuso di dipendenza economica, soprattutto se il franchisee o il distributore si trova in una situazione di dipendenza economica e non ha alternative commerciali valide. ******************************************* Le informazioni contenute nel presente articolo hanno carattere generale e non costituiscono un parere legale. Si consiglia di consultare un professionista per una valutazione specifica del proprio caso. Stefano Brustia - Avvocato del foro di Roma
Introduction Good faith is a fundamental principle of Italian contract law, enshrined in Articles 1175 and 1375 of the Civil Code. It requires that parties to a contract act with loyalty and fairness at all stages, from its formation to its execution. This principle is of particular relevance in the context of franchising and distribution contracts, where the relationships between the parties can be characterised by a significant imbalance of bargaining power. Furthermore, Article 9 of Law No. 192/1998 establishes a prohibition on the exploitation of economic dependence. This legislation offers specific protection for the weaker party in a contractual relationship, such as a franchisee or distributor. The implementation of good faith in the performance of franchising and distribution contracts Franchising contracts: In the context of franchising contracts, the principle of good faith entails a mutual obligation on the part of the franchisor and the franchisee to collaborate in a fair and transparent manner, with a view to ensuring the success of the business. It is the responsibility of the franchisor to provide the franchisee with the necessary support, including training, assistance, and updates, in order to ensure the latter's ability to operate efficiently. Conversely, the franchisee is bound by the terms of the franchise agreement and is obliged to adhere to the franchisor's operational standards and directives. A breach of good faith may occur, for instance, if the franchisor imposes onerous contractual conditions or unilaterally modifies the economic terms of the contract without justification. In the context of distribution contracts, the principle of good faith is of particular significance. In the context of distribution contracts, the concept of good faith translates into a duty of cooperation between the supplier and the distributor. It is the responsibility of the supplier to ensure the uninterrupted provision of goods and services and to refrain from any actions that would impede the distributor's ability to conduct business operations. Conversely, the distributor is bound by contract to engage in the active and diligent promotion of the supplier's products. A breach of good faith may occur, for example, if the supplier unjustifiably interrupts supplies or imposes disadvantageous commercial terms on the distributor. The prohibition of economic dependence abuse under Article 9 of Law No. 192/1998 Article 9 of Law No. 192/1998 introduces the prohibition of economic dependence abuse, which occurs when one party exploits its dominant position to impose unjustified or burdensome contractual conditions on the other party, who finds itself in a situation of economic dependence. Economic dependence arises when a party, despite maintaining formal autonomy, is unable to access viable commercial alternatives and is therefore compelled to accept unfavorable contractual terms. Demonstrating Economic Dependence To demonstrate a situation of economic dependence, it is necessary to prove that one party lacks valid commercial alternatives in the market. Indicators of economic dependence include: High initial investment cos ts: If the franchisee or distributor has made significant investments to start the business, they may find themselves in a situation of economic dependence on the franchisor or supplier. Exclusivity obligations : If the franchisee or distributor is required to terminate relationships with other suppliers or brands, this could limit their contractual freedom and create a situation of dependence. Inability to find satisfactory alternatives in the market : If the franchisee or distributor does not have access to alternative suppliers or brands that can offer similar conditions, they may be in a situation of economic dependence. Economic Dependence Abuse Economic dependence abuse occurs when one party exploits the other party's dependence to impose unjustified or burdensome contractual conditions. Some examples of abuse include: Imposition of excessively burdensome contractual conditions : For instance, a franchisor requiring the franchisee to purchase goods or services at prices higher than market rates, exploiting its dominant position. Unjustified refusal to renew the contract : If the franchisor or supplier refuses to renew the contract without valid reason, knowing that the franchisee or distributor has no commercial alternatives, this could constitute economic dependence abuse. Arbitrary interruption of supplies : In the case of distribution contracts, a supplier who unjustifiably interrupts supplies, leaving the distributor without products to sell, could be accused of economic dependence abuse. The unilateral imposition of detrimental changes by one party to a contract may be considered an act of economic dependence abuse The unilateral imposition of detrimental changes by the franchisor or supplier may be regarded as an act of economic dependence abuse, particularly if such changes are implemented without justification and in a context where the franchisee or distributor lacks viable commercial alternatives. For example, a franchisor who unilaterally modifies the economic terms of the contract, requiring the franchisee to assume additional costs or reduce profit margins, could be accused of economic dependence abuse if the franchisee is in a situation of economic dependence and unable to readily exit the contract or identify viable alternatives in the market. The Legal Ramifications of Breaches of Good Faith and Economic Dependence Abuse A breach of good faith in the execution of a contract can have significant legal consequences. In the event of a breach, the aggrieved party may seek the termination of the contract on the grounds of non-performance, provided that the breach is of a serious nature and undermines the contractual balance. Moreover, the aggrieved party may seek redress for damages incurred as a result of the other party's unfair conduct. In the event of economic dependence abuse, the aggrieved party may petition for the nullification of the offending contractual clauses and seek damages. The case law has established that economic dependence abuse can also be regarded as a contravention of the principle of good faith when one party exploits its dominant position to impose unjustified or onerous contractual conditions. Conclusion Good faith is a fundamental principle that permeates the execution of franchising and distribution contracts, requiring the parties to act with loyalty and fairness. Article 9 of Law No. 192/1998, which introduces the prohibition of economic dependence abuse, provides additional protection for weaker parties, preventing one party from exploiting its dominant position to impose unjustified or burdensome contractual conditions. The unilateral imposition of detrimental changes can certainly constitute economic dependence abuse, especially if the franchisee or distributor is in a situation of economic dependence and lacks valid commercial alternatives. Stefano Brustia - Lawyer at the Rome Bar ****************************************************************** The information contained in this article is general in nature and does not constitute legal advice.
I. Introduzione Il risarcimento del danno da illecito antitrust è uno strumento fondamentale per tutelare i soggetti danneggiati da pratiche anticoncorrenziali, come cartelli, abusi di posizione dominante o altre condotte che violano le norme sulla concorrenza. In Italia, l'azione di risarcimento del danno per illecito antitrust è disciplinata dal diritto civile, ma si interseca con le decisioni delle autorità antitrust, come l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), che svolgono un ruolo cruciale nell'accertamento delle violazioni. II. Valenza probatoria delle decisioni delle autorità antitrust Le decisioni delle autorità antitrust, come l'AGCM, che accertano un illecito anticoncorrenziale, hanno una valenza probatoria significativa nei procedimenti civili per il risarcimento del danno. In particolare, la normativa europea e nazionale stabilisce che le violazioni del diritto della concorrenza accertate da un'autorità nazionale devono essere considerate come definitivamente accertate ai fini dell'azione civile di risarcimento. Questo principio attribuisce alle decisioni delle autorità antitrust un valore vincolante per i giudici civili, limitando così la necessità di riesaminare la questione della violazione nel corso del processo civile. Tale valenza probatoria agevola il danneggiato, che non deve dimostrare nuovamente l'esistenza dell'illecito, ma può concentrarsi sulla prova del danno subito e del nesso causale tra la violazione e il pregiudizio economico. Tuttavia, la decisione dell'autorità antitrust non esonera il danneggiato dall'onere di dimostrare l'entità del danno e il legame causale con l'illecito, aspetti che possono presentare notevoli difficoltà. III. Criteri di quantificazione del danno e semplificazioni nei casi di cartelli anticoncorrenziali La quantificazione del danno da illecito antitrust è generalmente complessa, poiché richiede la ricostruzione di uno scenario controfattuale, ovvero la situazione economica che si sarebbe verificata in assenza dell'illecito. Tuttavia, nei cartelli anticoncorrenziali di fissazione dei prezzi, la quantificazione del danno può essere relativamente più semplice rispetto ad altri illeciti antitrust. Ciò avviene perché, in questi casi, il danno è spesso rappresentato dal sovrapprezzo pagato dai consumatori o dalle imprese a causa dell'accordo collusivo tra i partecipanti al cartello. In particolare, il danno può essere calcolato confrontando il prezzo effettivamente pagato con il prezzo che si sarebbe verificato in un mercato concorrenziale. Questo tipo di analisi, benché richieda comunque competenze tecniche, è più lineare rispetto ad altre situazioni in cui il danno è meno evidente o più difficile da isolare. Ad esempio, nei cartelli di fissazione dei prezzi, l'effetto diretto dell'illecito è proprio l'aumento artificiale dei prezzi, il che rende più agevole la determinazione del danno subito dai soggetti che hanno acquistato beni o servizi a prezzi maggiorati. Tuttavia, anche in questi casi, possono sorgere alcune criticità. Ad esempio, potrebbe essere difficile determinare con precisione l'entità del sovrapprezzo pagato, soprattutto in mercati complessi o in cui i prezzi sono influenzati da molteplici fattori. Inoltre, la quantificazione del danno può essere complicata dalla necessità di considerare l'eventuale traslazione del sovrapprezzo lungo la catena di distribuzione: in alcuni casi, il sovrapprezzo potrebbe essere stato trasferito ai consumatori finali, riducendo il danno subito dalle imprese intermedie. IV. Azione di risarcimento contro le imprese partecipanti al cartello Un aspetto rilevante nei casi di cartelli anticoncorrenziali è la possibilità di promuovere l'azione di risarcimento non solo nei confronti dell'impresa con cui il danneggiato ha avuto rapporti d'affari, ma anche contro tutte le imprese partecipanti al cartello. Questo principio si fonda sulla natura collettiva della responsabilità delle imprese che partecipano a un cartello: tutte le imprese coinvolte nel cartello anticoncorrenziale sono solidalmente responsabili per il danno causato, indipendentemente dal fatto che il danneggiato abbia avuto rapporti diretti con tutte o solo con alcune di esse. In altre parole, il danneggiato può agire per il risarcimento del danno nei confronti di qualunque impresa partecipante al cartello, anche se non ha avuto rapporti commerciali diretti con essa. Questo principio si basa sul fatto che tutte le imprese partecipanti al cartello hanno contribuito, con la loro condotta collusiva, a distorcere il mercato e a causare un danno ai consumatori o alle altre imprese. Pertanto, ciascuna impresa può essere chiamata a rispondere per l'intero danno subito dal danneggiato, lasciando poi alle imprese coinvolte la possibilità di rivalersi tra loro tramite azioni di regresso. V. Termine di prescrizione per l'azione di risarcimento danni Il termine di prescrizione per l'azione di risarcimento danni da illecito antitrust è di cinque anni. Tuttavia, la decorrenza del termine può variare a seconda delle circostanze. In particolare, il termine di prescrizione inizia a decorrere dal momento in cui il danneggiato ha conoscenza, o avrebbe dovuto avere conoscenza, dell'illecito e del danno subito. Nei casi di azioni follow-on, cioè quelle che seguono una decisione dell'autorità antitrust, il termine di prescrizione può iniziare a decorrere solo dal momento in cui la decisione dell'AGCM diventa definitiva. Questo consente ai danneggiati di agire per il risarcimento anche diversi anni dopo la commissione dell'illecito, poiché spesso le pratiche anticoncorrenziali vengono scoperte solo a seguito di indagini lunghe e complesse. VI. Conclusioni Il risarcimento del danno da illecito antitrust, soprattutto nei casi di cartelli anticoncorrenziali di fissazione dei prezzi, rappresenta un importante strumento di tutela per le imprese e i consumatori danneggiati. Le decisioni delle autorità antitrust, come l'AGCM, facilitano l'azione di risarcimento grazie alla loro valenza probatoria, mentre la natura collettiva della responsabilità delle imprese partecipanti al cartello consente di agire contro tutte le imprese coinvolte, indipendentemente dai rapporti commerciali diretti. Tuttavia, la quantificazione del danno e la determinazione del termine di prescrizione possono presentare criticità che richiedono un'attenta analisi giuridica ed economica.
Introduzione L'abuso di dipendenza economica è un concetto giuridico che si inserisce nel quadro delle relazioni commerciali tra imprese, con l'obiettivo di tutelare le parti più deboli nei rapporti contrattuali. Si verifica quando un'impresa sfrutta la posizione di dipendenza economica dell'altra per imporre condizioni contrattuali inique o discriminatorie. Questo istituto è disciplinato dall'art. 9 della Legge 18 giugno 1998, n. 192, che regola i rapporti di subfornitura nelle attività produttive. Differenza tra abuso di dipendenza economica e abuso di posizione dominante Sebbene l'abuso di dipendenza economica e l'abuso di posizione dominante possano sembrare concetti simili, essi presentano differenze sostanziali. Mercato rilevante: L'abuso di posizione dominante, disciplinato dall'art. 102 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea (TFUE) e dall'art. 3 della Legge n. 287/1990, richiede l'individuazione di un mercato rilevante. In altre parole, per configurare un abuso di posizione dominante, l'impresa deve detenere una posizione di forza su un mercato specifico, tale da permetterle di agire in modo indipendente rispetto ai concorrenti, clienti e consumatori. Al contrario, l'abuso di dipendenza economica non richiede che l'impresa dominante detenga una posizione rilevante sul mercato, ma si concentra sul rapporto contrattuale tra le parti, dove una delle imprese si trova in una condizione di dipendenza economica rispetto all'altra. Condizione di dipendenza: La dipendenza economica si verifica quando un'impresa non ha alternative commerciali valide per ottenere beni o servizi equivalenti da altri fornitori o clienti. Questo può accadere, ad esempio, quando un'impresa ha investito in macchinari o processi produttivi specifici per soddisfare le esigenze di un'unica controparte commerciale, rendendo difficile o costoso trovare un'alternativa. Nell'abuso di posizione dominante, invece, la dipendenza non è legata a un rapporto contrattuale specifico, ma alla posizione dell'impresa sul mercato. Squilibrio contrattuale: L'abuso di dipendenza economica si manifesta attraverso l'imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie, che creano uno squilibrio tra i diritti e gli obblighi delle parti. Questo squilibrio è spesso il risultato della posizione di forza di una delle imprese nel rapporto negoziale. Nell'abuso di posizione dominante, invece, l'impresa dominante sfrutta la sua posizione di mercato per escludere i concorrenti o per danneggiare i consumatori. Casi pratici di abuso di dipendenza economica L'abuso di dipendenza economica può verificarsi in diversi contesti contrattuali tra imprese, tra cui la subfornitura, la concessione in vendita e il franchising. Di seguito, analizziamo alcuni casi pratici. Subfornitura : Nel settore della subfornitura industriale, l'abuso di dipendenza economica è particolarmente frequente. Un esempio tipico è quello di un fornitore che dipende in modo significativo da un grande committente per la maggior parte del suo fatturato. Se il committente impone condizioni contrattuali eccessivamente onerose, come la riduzione unilaterale dei prezzi o tempi di pagamento dilazionati, si può configurare un abuso di dipendenza economica. In questo caso, il fornitore potrebbe non avere alternative commerciali valide, poiché ha investito in macchinari o processi produttivi specifici per soddisfare le esigenze del committente. Concessione in vendita : Nei rapporti di concessione in vendita, l'abuso di dipendenza economica può verificarsi quando il concessionario dipende fortemente da un unico fornitore per la distribuzione di determinati prodotti. Se il fornitore impone al concessionario condizioni contrattuali svantaggiose, come l'obbligo di acquistare quantità minime di prodotti non richiesti dal mercato o la modifica unilaterale delle condizioni di fornitura, si può configurare un abuso di dipendenza economica. In questo caso, il concessionario potrebbe non avere alternative valide, poiché il fornitore detiene un marchio o un prodotto esclusivo. Franchising : Nei contratti di franchising, l'abuso di dipendenza economica può verificarsi quando il franchisee dipende dal franchisor per l'accesso a un marchio noto o a un sistema di vendita collaudato. Se il franchisor impone condizioni contrattuali ingiustificate, come l'obbligo di acquistare forniture esclusivamente da fornitori indicati dal franchisor a prezzi elevati, o se modifica unilateralmente le condizioni del contratto, si può configurare un abuso di dipendenza economica. In questo caso, il franchisee potrebbe non avere alternative valide, poiché il successo della sua attività dipende dal marchio e dal know-how forniti dal franchisor. Conclusioni L'abuso di dipendenza economica rappresenta un importante strumento di tutela per le imprese che si trovano in una posizione di debolezza contrattuale. A differenza dell'abuso di posizione dominante, che si concentra sulla posizione di mercato di un'impresa, l'abuso di dipendenza economica si focalizza sullo squilibrio nei rapporti contrattuali tra le parti. Le imprese che si trovano in una situazione di dipendenza economica devono essere protette da condizioni contrattuali inique, che possono compromettere la loro sopravvivenza economica. Tuttavia, l'applicazione di questa norma richiede una valutazione attenta da parte dei giudici, che devono bilanciare la tutela della parte debole con il rispetto dell'autonomia contrattuale e della libertà d'impresa.
Mia intervista a Fanpage sull'accordo raggiunto tra le società riconducibili a Chiara Ferragni e l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato per la chiusura con impegni del procedimento aperto sulla sponsorizzazione delle uova di cioccolato Dolci Preziosi.
Ho assistito con successo un noto team automobilistico in un contenzioso sportivo davanti alla International Court of Appeal della FIA. Il giudizio si è concluso con una decisione favorevole al mio cliente, che ha ribaltato una precedente decisione resa dall'organo di giustizia di primo grado e riassegnato al mio cliente la vittoria del gran premio di Monza del GT World Challenge Europe (all'epoca denominate Blancpain GT Series).
Sono stato intervistato dal giornale online Fanpage su questa specifica questione
Partecipazione come relatore ad un workshop sul tax credit in ambito cinematografico organizzato da AGICI (Associazione Generale Industrie Cine-Audiovisive Indipendenti) ·
Seminati per avvocato e funzionari di organizzazioni sportive (istituzionali e private) di approfondimento sugli aspetti procedurali degli arbitrati internazionali davanti al Tribunale dello Sport di Losanna
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