L'Avv. Laurettini, laureatasi presso l'Università degli Studi di Messina nel 2015, ha sin da subito rivolto il proprio interesse verso il diritto di famiglia ed il diritto panale. Nello specifico si è occupata di diverse separazioni riuscendo, per la maggiore, ad indirizzare i coniugi verso una separazione consensuale. Da qualche anno è anche impegnata nella tutela dei consumatori.
Una maturata esperienza nel diritto di famiglia ha permesso all'Avv. Laurettini di confrontarsi con varie realtà quali crisi familiari relative a coniugi con e senza figli, al mantenimento di figli di coppie non sposate, omessi mantenimenti. La separazione giudiziale rappresenta l'extrema ratio a cui ricorrere soltanto dopo aver tentanto, con tutte le risorse possibili, una separazione quanto più pacifica sia per i coniugi che per i figli.
L'instaurazione di un rapporto con i clienti tale da garantire agli stessi le necessarie rassicurazioni verso un l'assistenza argomento che risulta ancora parecchio delicato.
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Chi dice che nel caso in cui i coniugi decidano congiuntamente (o quasi) di separarsi debbano per forza rivolgersi ad un Tribunale? Ebbene fino a qualche anno fa effettivamente questo era l’unico modo per ottenere la convalida (omologa) della separazione in caso di ricorso congiunto. Così si subivano ed “ accettavano ” tutte le formalità che questo procedimento richiede. Ma dal 2014 un’importante NOVITA’ in tema di separazioni e divorzi: Il decreto legge 12 settembre 2014, n. 132 “Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile” convertito con Legge 10 novembre 2014, n. 162″ Questa normativa ha previsto la possibilità di effettuare in modo semplificato separazioni e divorzi davanti all’Avvocato e davanti all’Ufficiale di Stato Civile (artt. 6 e 12). Quali, ad oggi, le alternative? · Presentare un ricorso congiunto al Tribunale e ottenere l’omologa della separazione; · Presentare un ricorso congiunto ed ottenere la sentenza che pronuncia lo scioglimento del matrimonio o la cessazione dei suoi effetti civili; · scegliere la negoziazione assistita da avvocati (art. 6, D.L. 132/2014); · la conclusione di un accordo presso l’ufficio dello Stato Civile, in presenza di determinate condizioni (art. 12). Al termine di questo articolo ti sarà facile comprendere le ragioni di “convenienza” nell’optare per la negoziazione assistita. Credo sia facilmente intuibile quanto una bonaria risoluzione della crisi coniugale o di coppia sia sempre la soluzione ottimale per la gestione del rapporto familiare, soprattutto in presenza di figli. Qual’è, quindi, il fine della negoziazione assistita? STIMOLARE E CONDURRE LE PARTI AL RAGGIUNGIMENTO DI UN ACCORDO SENZA ADIRE IL GIUDICE. Come fare? A chi rivolgersi? 1° FASE L’art. 6 del citato decreto legge prevede la possibilità di rivolgersi all’Avvocato, il quale assume un ruolo di negoziatore, mentre l’art. 12 offre ai coniugi l’alternativa di comparire direttamente e congiuntamente innanzi all’Ufficiale dello Stato Civile del Comune per concludere l’accordo. Quest’ultima modalità semplificata è a disposizione dei coniugi solo quando non vi siano figli minori, portatori di handicap grave o economicamente non autosufficienti, e a condizione che l’accordo non contenga patti di trasferimento patrimoniale. Ma facciamo un passo indietro. In quali casi i coniugi possono optare per la negoziazione assistita?? 1. in caso di separazione personale consensuale; 2. divorzio congiunto, sempre che prima sia avvenuta la separazione consensuale oppure pronunciata la separazione giudiziale con sentenza passata in giudicato. In questo caso un attenzione in più ai tempi. Infatti è necessario che la separazione si sia protratta ininterrottamente per 6 mesi (se la separazione è stata consensuale) o 12 mesi (se la separazione è stata giudiziale); 3. modifica delle condizioni di separazione; 4. modifica delle condizioni di divorzio. La via più semplice è che entrambi i coniugi, concordemente, decidano di intraprendere tale percorso, rivolgendosi ciascuno al proprio avvocato, in modo tale che questi possano dialogare tra loro procedendo alla redazione dell’accordo, in base alle rispettive esigenze dei coniugi. E’ chiaro che l’iniziativa può essere presa da uno soltanto dei due coniugi, il quale, tramite il proprio avvocato, invita l’altro coniuge a stipulare una convenzione di negoziazione assistita, ovvero UN ACCORDO CON CUI LE PARTI SI OBBLIGANO A NEGOZIARE. Nel caso in cui sia, appunto, soltanto un coniuge a voler percorrere la via della negoziazione assistita, l’avvocato invita l’altro coniuge alla stipulazione dell’accordo, specificando l’oggetto della controversia e l’avvertimento che la mancata risposta entro un termine (di trenta giorni) o un RIFIUTO possono essere valutati in sede giudiziale dal giudice per decidere su spese di giustizia, sulla responsabilità aggravata e sulla concessione della provvisoria esecutorietà. Anche l’avvocato deve tentare la conciliazione ? Assolutamente si. 2° FASE Prima dell’apertura della fase di negoziazione l’avvocato deve comunque accertare che non vi sia più possibilità di “ riparare ciò che è stato rotto ”. In caso di esito negativo della conciliazione si procederà quindi con la negoziazione. Quali i doveri delle parti durante la negoziazione? LEALTA’ E BUONA FEDE sono alla base. Nella definizione della convenzione questa infatti è considerata come: “ un accordo mediante il quale le parti convengono di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere una controversia (art. 2), deve essere redatta in forma scritta a pena di nullità e deve contenere la previsione di un termine non inferiore a trenta giorni e non superiore a tre mesi – prorogabile su accordo delle parti di altri trenta giorni – entro il quale concludere o meno l’accordo. Oggetto della convenzione possono essere solo diritti disponibili. ” Dopodiché, durante questa fase, sarà evidente la concreta possibilità di concludere o meno un accordo. Come si procede a questo punto? 3° FASE Dopo la redazione della convenzione, si procede alla stesura dell’accordo il cui contenuto può riassumersi nelle condizioni di separazione e divorzio riguardanti: · l’affidamento o il mantenimento dei figli; · l’assegno di mantenimento per il coniuge; · i trasferimenti di tipo patrimoniale nell’ambito delle soluzioni alla crisi coniugale. La Cassazione, a tal proposito, è concorde nel ritenere alcuni diritti di ordine patrimoniale indisponibili e intoccabili. Infatti, sono ritenuti INVALIDI, ad esempio, gli accordi economici che abbiano a oggetto la rinuncia a un futuro diritto la limitazione della libertà processuale delle parti la rinuncia al futuro assegno di divorzio o alla revisione dell’assegno. Tali accordi infatti, qualora previsti nell’accordo, comporterebbero l’illiceità della causa dell’accordo stesso. E’ importante sottolineare l’applicazione del principio secondo cui mutate le circostanze di fatto e di diritto, il coniuge possa sempre ottenere tutela in sede di modifica delle condizioni di separazione, o in sede di divorzio. Quali i compiti dell’avvocato? Il ruolo dell’avvocato consiste nel TUTELARE I DIRITTI DEI CONIUGI ed ancora più I DIRITTI DEI FIGLI MINORI in modo tale da “condurre” gli stessi a concordare le soluzioni ottimali, nel rispetto della condizioni di legge, per una pacifica prosecuzione della vita da “separati”. 4° FASE Vaglio del PUBBLICO MINISTERO Conclusa la negoziazione e stilato l’accordo questo deve essere inviato al Procuratore della Repubblica presso il tribunale competente. Come cambia il controllo della procura a seconda ci siano o meno figli minori? In caso di ASSENZA DI FIGLI MINORI il controllo della procura si limita a verificare la “regolarità” dell’accordo ed il Tribunale appone sull’accordo il nullaosta del P.M. NEL CASO IN CUI VI SIANO FIGLI MINORI, CON HANDICAP O NON ECONOMICAMENTE AUTOSUFFICIENTI il P.M. lo autorizza se le condizioni sono rispondenti ALL’INTERESSE DEI FIGLI. In caso contrario lo trasmette al Presidente del Tribunale che fisserà, entro i successivi trenta giorni, un’udienza per la comparizione delle parti. ULTIMA FASE Una volta ottenuto il nullaosta o l’autorizzazione, nella fase conclusiva della procedura, l’avvocato deve trasmettere all’Ufficiale dello stato civile, copia autenticata dall’accordo. Pertanto una volta autorizzato, l‘accordo è equiparato ai provvedimenti giudiziali di separazione, divorzio o modifica delle condizioni di separazione e divorzio. A questo punto sono evidenti le ragioni per cui i coniugi dovrebbero ormai essere orientati verso la scelta della procedura appena descritta. Ci sembra doveroso sottolineare “la facilità ” con cui questa procedura consente ai coniugi di compiere scelte consapevoli nella tutela dei propri e reciproci interessi e SOPRATTUTTO, qualora vi siano figli minori, nella tutela degli stessi, i quali rappresentano la priorità assoluta in un contesto di separazione. Questa modalità di separazione infatti consente di mediare le pretese dei coniugi e di arrivare ad un accordo nella maniera “più delicata” possibile senza sopportare il peso che spesse volte determina un procedimento giudiziale seppur consensuale. Tutto ciò non può far altro che confermare l’importanza di riuscire a razionalizzare la fine di un matrimonio eliminando accanimenti e ripicche……i peggiori nemici in una separazione e la fonte primaria di tutte le complicazione che questa potrebbe far sorgere.
"Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l'obbligo di mantenere, istruire, educare ed assistere moralmente i figli (...)" Mai sentita questa frase? Probabilmente l’hai sentita svariate volte e tutte le volte ti sarà sovvenuta in automatico l’altra domanda: "e se i genitori non sono in grado? Se non godono dei mezzi economici necessari ad adempiere l’obbligo giuridicamente previsto di mantenerli?" A dare risposta al quesito è intervenuto il legislatore che ha messo a frutto l’orientamento consolidato da tempo dai Tribunali. Infatti il decreto legislativo 154/2013 ha modificato le norme del codice civile in materia di doveri verso i figli così come quelle che stabiliscono il cosiddetto “concorso nell’onere di mantenimento”. Ciò significa che è prevista la possibilità che altri familiari vengano chiamati a contribuire al mantenimento dei figli insieme ai genitori. Regola n.1: L’obbligo di mantenere i propri figli, ai sensi dell’art. 147 del codice civile, grava su AMBEDUE i genitori in senso primario ed integrale. Cosa succede, però, qualora uno dei due genitori non VOGLIA o non POSSA adempiere? Regola n.2: L’altro deve farvi fronte con tutte le sue risorse patrimoniali e reddituali e deve sfruttare la sua capacità di lavoro. Ovviamente avrà la possibilità di agire contro l'altro genitore inadempiente per ottenere il suo contributo proporzionale alle sue condizioni economiche. A questo punto ti chiederai quando subentra l'intervento dei nonni. Regola n.3: L’obbligo degli ascendenti di fornire ai genitori i mezzi necessari per adempiere ai loro doveri nei confronti dei figli (nipoti) sorge solo in via sussidiaria, ovvero solo se entrambi i genitori versano in un’impossibilità oggettiva di provvedere ai figli per mancanza delle risorse necessarie. Il supporto economico richiesto ai nonni dovrà tenere conto della loro capacità reddituale. Attenzione! In questo caso contribuiranno sia i nonni paterni che i nonni materni. Quindi non intervengono in supporto solo i genitori della parte inadempiente, ma tutti i nonni in vita, anche quelli del genitore adempiente. In tal senso si è pronunciata la Corte di Cassazione con sentenza 12965/2015. In un caso in cui veniva messo in discussione dalla mamma l’inadempimento del padre i giudici hanno -Accertato l'inadempimento del padre al mantenimento dei figli; -Contestato l'impossibilità della madre di provvedere da sola ai bisogni del figlio ancora minorenne; -Accertato lo stato di bisogno della madre, accogliendo infine la domanda della madre volta ad ottenere dai nonni paterni un contributo per il mantenimento del nipote. Nello specifico l’esempio calza a pennello perché anche i nonni materni concorrevano già alla prestazione alimentare in modo adeguato alla loro capacità reddituale. Concludendo: Quali sono le condizioni necessarie affinchè l'obbligo di mantenimento dei minori ricada in concorso con i nonni? 1) Oggettiva impossibilità dei genitori di provvedere al mantenimento dei figli. L’oggettiva impossibilità si riscontra nella mancanza di risorse economiche e patrimoniali sufficienti a soddisfare i bisogni dei figli. 2) Omissione/rifiuto dei genitori di adempiere all’obbligo di mantenimento in questione. 3) Omissione anche di uno soltanto dei genitori, quando l’altro, da solo, non gode dei mezzi necessari a soddisfare i bisogni dei figli. Sarebbe auspicabile raggiungere un accordo in via bonaria ma non sempre è facile raggiungerlo. Come ci si comporta in questi casi? È possibile ottenere un provvedimento dal Giudice del luogo di residenza del genitore o degli ascendenti inadempienti, in forza dell’art. 148 del codice civile. Questa norma prevede l’obbligo per gli ascendenti di fornire ai genitori i mezzi necessari affinchè gli stessi possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli, qualora non abbiano i mezzi necessari. In questo caso una quota dei redditi del nonno obbligato verrà versata direttamente al genitore o a chi sopporta le spese di mantenimento dei figli. Sono legittimati a chiedere l’intervento del giudice il genitore, il figlio che ha raggiunto la maggiore età, gli istituti di assistenza ed i parenti interessati. È chiaro che, come anticipato, tra i nonni, l’onere di mantenimento dei nipoti può poi essere ripartito in proporzione alle rispettive capacità economico-patrimoniali. Può assolvere valore anche il mantenimento “indiretto” fornito ai nipoti, come ad esempio il fatto di averli accolti in casa a vivere insieme al genitore. Una considerazione di estrema importanza riguarda il caso in cui si determini la configurazione del reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare, ai sensi dell’art. 570 del codice penale, in capo ad un genitore. Il caso: Un padre ometteva di corrispondere ripetutamente l’assegno di mantenimento stabilito in sede di separazione e faceva, pertanto, mancare al figlio i mezzi di sussistenza. In questi casi si riconosce la sussistenza del reato in questione in capo al padre anche quando a provvedere al sostentamento del minore erano altri soggetti, come la madre o i nonni. Infatti il supporto dei nonni non elimina l’obbligo a carico del padre che sta comunque alla base della sopra citata figura criminosa. Quando sono esonerati da tale obbligo i nonni? Il decreto che dispone l’obbligo di mantenimento a carico dei nonni può essere revocato anche se i genitori trovano un lavoro saltuario. L’obbligo di mantenimento per i nonni viene meno nel momento in cui i genitori godono di una cifra sufficiente ad esonerarli, anche se si tratta dei proventi di attività lavorativa saltuaria, ad esempio, uniti all’indennità di disoccupazione. Questa decisione deriva dal dato fondamentale: l’obbligo di mantenimento ricade sui nonni SOLO IN VIA SUSSIDIARIA, LADDOVE NON ARRIVINO I REDDITI DEI GENITORI.
Quando la coppia arriva ad un punto di non ritorno..arriva la fatidica parola: BASTA! Spesso pronunciata da entrambi, talora in un clima sereno (reale o apparente) e di accordo, a volte voluta soltanto da una parte in un probabile contesto di disaccordi e ostilità. Alternative queste determinanti nella scelta del percorso da seguire tra una separazione giudiziale e consensuale. Quali le differenze? Per ovvie ragioni inutile dire che la scelta più “felice” sarebbe quella di una separazione consensuale. Questa permette ai coniugi di compiere scelte consapevoli sulle condizioni di separazione, perché in fondo, se ci riflettete, chi meglio di loro stessi potrebbe essere in grado di determinare le modalità dell’accordo a vivere due vite separate? In fin dei conti la vita matrimoniale riguarda strettamente la coppia. Chiaro che, dal momento in cui vi sono dei figli la situazione diventa più delicata. E' altrettanto chiaro, però, che la separazione consensuale è quel tipo di separazione che definirei quasi "isola felice" in cui è la coppia a decidere sull'affidamento e sul collocamento dei figli, sull'assegnazione della casa familiare, sul diritto di visita del genitore non collocatario, sul contributo al mantenimento dei figli e, se necessario, anche del coniuge economicamente più debole e su tutti gli aspetti che comunque necessitano di un accordo tra i coniugi a seguito della separazione. SEPARIAMOCI…MA NON SIAMO D’ACCORDO! Quando al contrario i coniugi non sono in grado di mettere fine al proprio matrimonio, decidendo di comune accordo sulle condizioni, o quando, a volersi separare è soltanto una parte, non può che optarsi per la separazione giudiziale. In questo caso è solitamente uno dei coniugi (ricorrente) a depositare in Tribunale il ricorso in forma contenziosa e l’altro coniuge sarà considerato “resistente”. Cosa comporta? Quali le circostanze? Ebbene, il codice civile prevede la possibilità per i coniugi di separarsi anche per CIRCOSTANZE OGGETTIVE IMPREVEDIBILI subentrati a turbare la serenità, l’armonia della coppia e l’unione tra gli stessi. Rientrano in queste circostanze quelle che secondo l'art. 151 c.c. " rendono intollerabile la prosecuzione della convivenza o recano grave pregiudizio della prole". Quando si può parlare di INTOLLERABILITA'? La Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto che, al fine di accertare la suddetta intollerabilità non è necessario che a percepire la crisi matrimoniale siano entrambi i coniugi, risultando sufficiente la “condizione di DISAFFEZIONE e di DISTACCO SPIRITUALE di una sola delle parti ” (Cass. Civ. 7148/1992). Ciò non è sufficiente a richiedere la "separazione con addebito". Ma cosa vuol dire nello specifico? Premesso che l’intollerabilità alla prosecuzione della vita matrimoniale rappresenta la condizione necessaria e sufficiente per la pronuncia di separazione giudiziale, uno dei due coniugi ha la facoltà di chiedere al Giudice di accertare che la CRISI sia stata determinata dal comportamento dell’altro. "Se ci separiamo è colpa tua" Già questa frase esprime appieno il significato e lo scopo della richiesta di separazione con addebito. Nel caso in cui, infatti, l’autorità giudiziaria accerti che la separazione è stata determinata dalla violazione, da una sola delle parti, dei doveri nascenti dal matrimonio , ove sussista specifica RICHIESTA in tal senso, sarà orientato a pronunciare sentenza di separazione con addebito. Facciamo chiarezza sui doveri nascenti dal matrimonio, previsti dall’ art. 143 del codice civile: Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono gli stessi doveri. Quali gli obblighi previsti? RECIPROCA FEDELTA’ ASSISTENZA MORALE E MATERIALE COLLABORAZIONE NELL’INTERESSE DELLA FAMIGLIA COABITAZIONE CONTRIBUZIONE AI BISOGNI DELLA FAMIGLIA, in relazione alle proprie sostanze ed alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo. Si specifica che è necessario che la violazione di uno (o più) dei questi obblighi sia precedente alla proposizione della domanda di separazione; che tale violazione sia causa determinante l'intollerabilità della convivenza. In ogni caso il comportamento di ciascuno dei coniugi deve essere confrontato con quello dell'altro, in modo tale da individuare eventuali situazioni di reazioni, immediate e non eccessive, rispetto alle negligenze dell'altra parte. A tal proposito è bene fare riferimento ad una sentenza della Corte di Cassazione (n. 21596 del 2014) con la quale i giudici hanno stabilito che se la moglie ha tradito per ripicca l’ex marito che l’ha tradita per primo, la separazione va addebitata proprio a lui. Su quali basi la Cassazione si è orientata in tal senso? Vero è che la moglie aveva tradito ma la relazione della donna è stata considerata relativamente giustificata in considerazione della relazione del marito…che nello specifico era anche più duratura e risalente. Altro caso (recente) che merita attenzione: La Cassazione, con ordinanza n. 30746/2017, prevede che la separazione va addebitata ad entrambi i coniugi se a causare una definitiva ed insanabile frattura sono stati comportamenti reciproci. Tale pronuncia a seguito della richiesta di addebito formulata dalla moglie. Tuttavia la richiesta è stata rigettata dal Tribunale che, invece, ha addebitato la separazione ad entrambi i coniugi. In questo caso la Cassazione ha evidenziato che la rottura definitiva dell’unione matrimoniale è stata determinata da comportamenti reciproci dei coniugi; in particolare la donna è stata considerata responsabile per l’assenza di spirito di collaborazione, in quanto manifestava DISTACCO E DISAFFEZIONE con comportamenti aggressivi e fuori limite, come quello di cambiare la serratura della porta di casa. Coniuge "colpevole", quali conseguenze ? . 1° conseguenza: PERDITA DEL DIRITTO AD OTTENERE L’ASSEGNO DI MANTENIMENTO, pur conservando però il diritto agli alimenti sempre che sussista una situazione di reale bisogno. Si “punisce”, perciò, il responsabile della rottura, il quale, proprio perché ha violato i doveri nascenti dal matrimonio, non può appellarsi alla solidarietà dell’altro. 2° conseguenza: PERDITA DEI DIRITTI SUCCESSORI, sia della qualità di erede, sia del diritto alla quota di legittima. Rimane soltanto il diritto a ricevere un assegno vitalizio, qualora, al momento dell’apertura della successione, il coniuge “addebitato” godeva dell’assegno alimentare a carico del coniuge defunto.
La PAS, il cui acronimo sta per “ Parental Alienation Syndrome ”, ovvero la sindrome da alienazione parentale, è sempre più oggetto di attenzione da parte della più recente giurisprudenza. Detta sindrome si identifica con il comportamento assunto dal genitore affidatario volto a determinare nei figli sentimenti di odio e di rifiuto nei confronti dell’altro genitore; è ciò che potrebbe definirsi come un vero e proprio lavaggio del cervello i cui effetti non possono che essere nocivi per la serenità dei minori e nell’ equilibrio dei rapporti familiari. In genere l’obiettivo del genitore “alientante” risiede nel danneggiare il genitore “alienato” strumentalizzando il rapporto con i figli, ad esempio esercitando condotte ostruzionistiche volte ad impedire tale rapporto ed a renderlo più difficoltoso tramite l’uso di espressioni offensive e denigratorie, o esibizione di disprezzo nei confronti dell’altro genitore, fino a far percepire ai figli una realtà non vera, anzi, distorta. E’ chiaro che alla base di tali condotte vi è una separazione certamente conflittuale, le cui conseguenze peggiori si riversano sui figli e sul genitore alienato, il quale viene allontanato se non addirittura rifiutato. Su questa tematica si è pronunciata di recente la Corte di Cassazione, con sentenza dell’8 aprile 2016 n.6919. La Cassazione dispone che nell’affidamento dei figli minori, nella valutazione dei requisiti di idoneità genitoriale, rileva, tra gli altri, la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l’altro genitore, a tutela del DIRITTO DEL FIGLIO ALLA BIGENITORIALITA’ ed alla crescita equilibrata e serena. Pertanto, qualora un genitore rimproveri comportamenti dell’altro genitore (affidatario o collocatario) di allontanamento morale e materiale del figlio da sé, configurabili, perciò, come sindrome di alienazione parentale, il giudice dovrà accertare la veridicità di tali comportamenti ai fini dell’eventuale modifica delle modalità di affidamento. Come accerta il giudice comportamenti di questo tipo? Oltre a valutare la condotta dei genitori, nonché, come anticipato, i requisiti di idoneità genitoriale, dovrà tener conto anche dei sentimenti e delle condizioni del minore oltre che della complessiva situazione familiare. Ovviamente il giudice potrà individuare i casi di alienazione parentale mediante l’ausilio di psicologi e assistenti sociali i quali ascolteranno il minore al fine di definire i sentimenti provati nei confronti del genitore. In merito ad un caso di alienazione parentale, il Tribunale di Cosenza, con sentenza n. 2044 del 18.10.2017, in fase di divorzio e di decisione sull’affidamento del figlio tredicenne, accertava che il minore provava un sentimento di ingiustificato rifiuto nei confronti della madre, perché condizionato dal padre. I l Giudice accertava nel minore un distacco sia fisico che emotivo, evidente dai sentimenti di rabbia e ostilità manifestati, non solo nei confronti della madre ma anche nei confronti della famiglia della stessa. L’atteggiamento manifestato dal minore, era il risultato, così come emergeva dalla relazione del consulente tecnico, di una manipolazione del padre e della famiglia paterna con il quale il minore viveva da qualche anno. Il ruolo, tra l’altro fondamentale per un minore, della madre veniva quotidianamente sminuito e screditato dal padre, creandosi un rapporto di simbiosi tra padre e figlio, il cui risultato è stato l’emarginazione della madre. Alla luce di quanto riscontrato, come ha giudicato il Giudice di merito la condotta del padre? Quali sono le conseguenze cui si va incontro dinanzi ad un caso di alienazione parentale? Secondo il Tribunale di Cosenza, in merito al caso cui è stato chiamato a definire le modalità di affidamento del figlio minore, il padre perdeva l’idoneità genitoriale, perché lo stesso ha leso il diritto del figlio alla bigenitorialità non avendo mostrato la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l’altro genitore, requisito necessario, come disposto dalla Cassazione, per accertare l’idoneità genitoriale. E’ chiaro che nelle valutazioni del giudice rientra anche la condotta del genitore alienato, il quale, al fine di far riaffiorare i sentimenti di affetto del figlio, e di riconquistare la sua fiducia, non può mostrare un atteggiamento di chiusura e di passività nei confronti del minore, ma al contrario, deve adottare un comportamento attivo volto a riequilibrare il loro rapporto. E’ evidente il disagio psicologico che una situazione del genere può determinare nel minore. Come nel caso riportato, esclusa l’idoneità genitoriale del padre a chi viene affidato il minore? Nel caso di Cosenza il Tribunale ha escluso l’affidamento esclusivo della madre perché non ritenuta capace di assumersi le responsabilità genitoriali, in ragione di quanto riscontrato dal consulente tecnico e dall’oggettiva situazione del rapporto con il figlio. Una “convivenza forzata” avrebbe, al contrario, potuto aggravare tale rapporto. Quando, come in questo caso, i genitori non sono in grado di garantire e preservare l’equilibrio psichico del minore, il giudice non può che escludere l’affidamento condiviso ed optare per l’affidamento del minore a terzi, ovvero persone affettivamente vicine al minore in grado di assumere le responsabilità derivanti dall’affidamento e di mostrare un atteggiamento di terzietà e “distanza” rispetto alle due figure genitoriali. Per ultimo, vi è la possibilità, qualora non si riesca ad individuare persone terze in grado di garantire un ambiente sereno per l’equilibrio psichico del minore e di adempiere a doveri emergenti dall’affidamento , di ricorrere all’affidamento ai Servizi Sociali, fermo restando il diritto di visita e l’obbligo di mantenimento di entrambi i genitori.
Molte coppie dello stesso sesso avranno di certo più volte pensato all’idea di affrontare la titanica impresa di andare all’estero al fine di avere un figlio con tecniche di fecondazione o altro e con la speranza di ottenere il riconoscimento della filiazione in Italia. Per chiarirsi meglio le idee in proposito è utile leggere questo articolo. Magari sei speranzoso perché si è tanto parlato di “legge moderna” che finalmente riconosce il mutamento della nostra società, volta a scalare l’ascesa verso il progresso, la modernità e che cerca di allontanare concezioni stereotipate. Avrai, infatti, sentito parlare del riconoscimento in Italia delle unioni civili omosessuali, introdotte dalla legge n. 76 del 2016 ed avrai senz’altro pensato che questo passo, per l’Italia, rappresenta un traguardo. E quindi ti chiederai: cosa si intende per unioni civili tra persone dello stesso sesso? Possono definirsi FORMAZIONI SOCIALI SPECIFICHE da cui derivano tanto DIRITTI quanto DOVERI, tra l’altro, molto simili al matrimonio. Come si costituisce l’unione? E’ necessario formalizzare l’unione davanti all’Ufficiale di stato civile ed alla presenza di due testimoni. Dopo di che l’atto verrà registrato nell’archivio di stato civile. · DIRITTI I due partner possono scegliere il cognome dell’altro, anteponendolo o postponendolo al proprio; al partner dell’unione spettano sia la pensione di reversibilità che il TFR maturato dall’altro, oltre che i diritti successori, sorgendo in capo al compagno superstite il diritto alla legittima. · DOVERI Obbligo reciproco di assistenza morale e materiale; Obbligo di coabitazione; Obbligo di contribuire ai bisogni comuni. Sembra tutto perfetto! Ma come vedrai si sarebbe potuto fare di più. Per ciò che concerne il riconoscimento dei figli e l’adozione con riferimento specifico alle persone dello stesso sesse, nulla è cambiato. Anzi Di recente le Sezioni Unite, con ordinanza n. 4382 del 22 febbraio 2018, si sono pronunciate in merito ad un provvedimento straniero che aveva riconosciuto lo stato di figli a due minori di una coppia di uomini coniugata secondo le leggi canadesi. Ebbene hanno detto no. La vicenda vedeva la nascita dei bambini in Canada, avvenuta mediante fecondazione eterologa ed il successivo trasferimento in Italia della famiglia. Qui si provvedeva a stabilire che i minori erano figli legittimi di uno solo dei genitori, quello biologico. Facile capire l’origine del giudizio: il rifiuto dell’ufficiale di stato civile a registrare i minori come figli di ENTRAMBI i coniugi. E’ un rifiuto illegittimo? In realtà l’ordinamento per iscrivere un certificato di nascita nei registri di stato civile prevede che i genitori devono essere di SESSO OPPOSTO. ALT ! in realtà non è così semplice perché la decisione del pubblico ufficiale cozza con un principio di DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO (la L 218/1995) Questa legge da un lato prevede una regola ma dall’altro stabilisce una eccezione. REGOLA “Il matrimonio contratto all’estero può essere senz’altro direttamente trascritto nei registri di stato civile italiano,, Tale regola generale si estende, oltre che al riconoscimento del matrimonio contratto all’estero, all’applicabilità in genere delle norme straniere. Ragion per cui potresti pensare: “e allora non trova applicazione verso un provvedimento straniero che riconosce i figli di una coppia coniugata dello stesso sesso?? Ecco L’ECCEZIONE a tale regola. L’ORDINE PUBBLICO…ovvero l’insieme di tutti principi interni all’ordinamento espresse da norme ed alle volte da usi, riti, costumi e consuetudini. Ti chiederai cosa vuol dire esattamente. Per sostenere la contrarietà all’ordine pubblico non è sufficiente la diversità della disciplina tra due ordinamenti ma è necessario verificare gli effetti del provvedimento da eseguire e poi procedere ad una valutazione complessiva. Ad esempio mentre non vi sarebbero difficoltà nell’ammettere la legittimità dei figli nati da matrimonio poligamico celebrato all’estero, in nessun caso il giudice italiano legittimerebbe un matrimonio poligamico tra cittadini stranieri. Fatta questa premessa obbligatoria andiamo al dunque: e se due genitori dello stesso sesso chiedono il riconoscimento dei figli nati tramite fecondazione · E’ legittimo un provvedimento straniero di riconoscimento dei figli? · In che limiti si pone in contrasto con l’ordine pubblico? La Cassazione a sezioni unite con ordinanza n. 4382/2018 ha detto NO. Perché, di fronte ad un “vuoto normativo”, ad oggi, la genitorialità si riconosce soltanto a coppie fra persone di sesso diverso. Questa sentenza delle Sezioni Unite crea un precedente difficilmente superabile e che vanifica molte sentenze rese dai giudici di merito negli ultimi anni dopo che entrata in vigore la L. 76/2016. In molti casi infatti i giudici si sono trovati a colmare il vuoto legislativo usando il principio DEL SUPERIORE INTERESSE DEL MINORE, ovvero quell’interesse sovranazionale ed europeo a tutela della famiglia. Cosa si intende esattamente? Si intende la preminenza del legame familiare non inteso come legame biologico ma come LEGAME AFFETTIVO >>>>> IDONEITA’ GENITORIALE… quello che è il cosìdetto “GENITORE SOCIALE”. La capacità REALE di essere genitore. Dove sta quindi l’intoppo? La legge 76/2016 in tema di unioni civili tra persone dello stesso sesso ha volutamente ESCLUSO ogni riferimento alla questione della filiazione, trattando meramente rapporti e obblighi giuridici tra persone legate civilmente. Nonostante ciò vorrei citare una precedente pronuncia della Corte d’Appello di Trento, chiamata a decidere sul riconoscimento della doppia paternità di due compagni su due gemelli nati da maternità surrogata (meglio conosciuta come tecnica dell’utero in affitto), riconoscimento, già ottenuto da un provvedimento straniero. La solita storia..dirai. Non ti sbagli in effetti…solita storia ma con finale diverso. La coppia infatti si vedeva negata dall’ufficiale di stato civile la possibilità di ottenere la trascrizione del provvedimento di riconoscimento ed adiva, perciò, la competente Corte d’Appello. Ebbene questa ha accolto la domanda della coppia ritenendola conforme al diritto italiano proprio in applicazione del SUPERIORE INTERESSE DEL MINORE , quel principio cardine in materia di diritto familiare e minorile. I Giudici consideravano preminente l’interesse dei minori a mantenere uno status di figlio di entrambi i padri che era già stato acquisito con un provvedimento straniero. Per la Corte d’Appello di Trento si dava rilevanza sia al genitore biologico che a quello sociale, fattore che determinava, in tal maniera, una stretta connessione (per entrambi) a tutto ciò che deriva dalla responsabilità genitoriale (pensate al diritto ad una educazione, all’istruzione, al mantenimento ecc.), responsabilità che si sarebbe fatta valere, in caso di mancato riconoscimento, soltanto per il padre biologico. E’ evidente, da quanto esposto in questo articolo, che ci troviamo sempre più di fronte ad un NUOVO MODELLO DI FAMIGLIA a cui la giurisprudenza volge sempre più attenzione ma è altrettanto evidente che le Sezioni Unite della Cassazione hanno posto un limite, al momento invalicabile . In fin dei conti per saper fare il genitore bisogna solo saper essere genitore e saper esercitare responsabilmente le facoltà e i doveri che la responsabilità genitoriale impone a seguito della decisione consapevole e matura di accudire un figlio. Ed anche se non si ottiene il riconoscimento ufficiale dei figli ad entrambi i genitori omosessuali, ma solo ad uno di essi (quello biologico), ciò non vuol dire che essi non possano scegliere di essere dei bravi genitori ed esercitare la genitorialità al meglio di ciò che possono, come del resto dovrebbe fare qualunque persona, che, a prescindere dal sesso abbia responsabilità su minori. Per cui se è vero che la Cassazione si è espressa negativamente rispetto al riconoscimento della filiazione nei confronti di entrambi i partner dello stesso sesso è pur vero che la genitorialità è un ruolo che va oltre la forma perché trova fondamento in qualcosa di più profondo e più vero, quale è il desiderio di amare un figlio. Amate vostro figlio a prescindere da qualunque riconoscimento perché la filiazione è nel cuore più che sulla carta.
Tra i doveri dei genitori: Obblio di mantenimento dei figli. Bella questa domanda e chissà quante volte l’avrete sentita. Tante da farla apparire una semi-banalità. In realtà la frase è solo la punta di un iceberg ed ha tanto da svelare. In questo articolo andrò ad attenzionare proprio di questo “mondo sommerso” ed anche di come si orientano ormai i giudici sull’obbligo per i genitori separati di mantenere i figli over 18 e ti renderai conto di alcune sostanziali differenze. Si perché non c’è un’unica regola da applicare sempre e comunque a tutti i casi. Situazioni diverse richiedono scelte diverse per rendere concreto quello che è scritto sui testi di legge. Quello che è certo e risaputo è che si è innalzata l’età in cui i giovani entrano nel mondo del lavoro. E ciò è causato ovvero molto spesso accompagnato, da una situazione di benessere del genitore. Entrambi i fattori contribuiscono a complicare la tematica in materia di mantenimento dei figli. E’ bene precisare, innanzitutto, che il mantenimento dei figli rappresenta un diritto costituzionalmente garantito. Recita, infatti, l’art. 30 della Costituzione: “E` dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli (…)”. Tale principio viene ribadito dal codice civile all’art. 147, il quale statuendo in merito ai diritti e doveri nascenti dal matrimonio, dispone in capo ad entrambi i coniugi il predetto obbligo di mantenere, istruire, educare ed assistere i figli rispettando, nell’adempimento di tali doveri, le inclinazioni e le aspirazioni degli stessi. Con l’introduzione dell’art. 315 bis c.c. (con la L. 219/2012) tali obblighi sono stati esplicitamente rivolti sia ai figli nati nel matrimonio che ai figli nati al di fuori di esso, non specificando se minorenne o maggiorenne. ATTENZIONE!! Non che prima NON SUSSISTESSE per i genitori non sposati l’obbligo di mantenere i figli. Fortunatamente appunto la Costituzione l’ha fatta da padrone e quindi comunque la norma era uguale per i figli. TUTTI! Solo che sono dovuti passare più di 70 anni dalla promulgazione della costituzione per avere una norma che chiaramente abolisse gli ultimi strascichi di una vergognosa terminologia tecnica che riportava ad una formale ed astratta differenza tra figli legittimi e figli naturali . Sto parlando del D.Lgs 154 del 2013.. Nel rapporto tra genitori e figli, infatti, la distanza tra figli legittimi e naturali è stata definitivamente annullata dalla sopra citata Legge n. 219 del 10 dicembre 2012, la quale ha stabilito che « tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico» parificando i figli nati da una relazione matrimoniale da quelli nati da una coppia di fatto. Nel caso pertanto della rottura del rapporto di convivenza, se la coppia genitoriale non raggiunge un accordo sulle questioni relative ai figli minori, ciascun genitore può fare istanza al Tribunale affinché si definiscano le modalità di assolvimento dell’obbligo di mantenimento. Superata tale premessa, obbligatoria per comprendere il “peso” della questione, ti chiederai: Cosa si intende per mantenimento? Fin quando permane quest’obbligo in capo ai genitori? Ebbene è facile comprendere che il mantenimento dei figli consiste nell’obbligo di prestare loro i mezzi necessari per soddisfare i bisogni essenziali, come vitto, alloggio, studio, e di far fronte ad ogni ulteriore spesa necessaria (spese mediche, abbigliamento, sport) pur tenendo conto del tenore di vita tenuto dalla famiglia e delle esigenze nascenti dal fatto di crescere in una società moderna. Ahi ahi..Il “mestiere” di genitore: tra i più difficili da svolgere… Si pensi al fatto che se ci sono figli, bisogna SEMPRE onorare tale ruolo di genitori, siano essi sposati o conviventi di fatto, separati o divorziati. Esistono limiti? Ti dico, sin da ora, che non è prestabilito un limite di età oltre il quale viene meno l’obbligo di mantenimento in capo al genitore ma ovviamente bisogna fare prima alcune considerazioni al fine di comprendere fin quando permane l’obbligo successivamente al raggiungimento della maggiore età. 1. I genitori sono tenuti a mantenere i figli fin quando iniziano a svolgere attività lavorativa tale da permettere loro l’indipendenza economica. 2. I genitori possono liberarsi dall’obbligo di mantenere i figli quando provano che il mancato svolgimento di un lavoro che determini una loro indipendenza economica è dovuto a colpevole inerzia, rifiuto o abbandono ingiustificato del posto di lavoro. 3. Non bisogna però sottovalutare che non basta che i figli maggiorenni siano dotati di capacità lavorativa e capaci di produrre reddito per far cessare l’obbligo di mantenimento. OCCORRE UN’INDIPENDENZA ECONOMICA REALE. I genitori, pertanto, sono obbligati a mantenere i figli: · Minorenni; · Maggiorenni non economicamente indipendenti; · Maggiorenni affetti da grave handicap. Quando può dirsi economicamente autosufficiente il figlio maggiorenne? Il figlio può dirsi economicamente indipendente quando è in grado, senza il sostegno dei genitori, di soddisfare i propri bisogni di vita quotidiana alla luce delle esigenze della società contemporanea. Vero è che al giorno d’oggi raggiungere un’indipendenza in tal senso risulta particolarmente difficoltoso e questo è di certo un pensiero condiviso dalla collettività che fa di questo argomento oggetto di riflessione. Non sempre, perciò, l’eventuale attività lavorativa svolta consente di non “ chiedere aiuto” ai genitori. Pensiamo alle varie ipotesi che si possono verificare: · Figlio maggiorenne svolge attività lavorativa ma nel frattempo deve completare un percorso formativo; · Svolge attività lavorativa saltuaria non sufficiente a sostenere le spese necessarie e ad ottenere una propria autonomia; · Frequenta un corso universitario; · Lavora come apprendista o consegue una borsa di studio correlata ad un dottorato di ricerca. Casi questi in cui, data la temporaneità dell’occupazione, non può considerarsi raggiunta l’indipendenza economica. E se i genitori sono separati? Il principio di bigenitorialità, più volte ribadito in tema di affidamento condiviso, comporta l’imposizione ai genitori di continuare a contribuire ENTRAMBI al mantenimento dei propri figli, anche dopo la cessazione degli effetti del matrimonio. Le modalità di mantenimento possono variare: dall’assegno che il genitore economicamente più forte deve corrispondere all’altro, fino al mantenimento in forma diretta che consiste nel ripartire tra i genitori, anche in misura diversa tra loro, determinati capitoli di spesa. Ad esempio un genitore potrebbe provvedere alle spese relative all’abitazione, alle spese mediche e scolastiche e l’altro alle spese per attività sportive, extrascolastiche, abbigliamento, vacanze ecc. Dal momento in cui i figli raggiungono la maggiore età, è possibile che, qualora le modalità di mantenimento prevedono la corresponsione di un assegno, il giudice autorizzi che questo venga corrisposto direttamente agli stessi (pur sempre valutando le circostanze che richiedono tale sostegno economico). Come promesso adesso espongo i casi concreti che voglio portarti ad esempio. I CASI. Di recente la Corte di Cassazione si è pronunciata in merito a questioni attinenti il mantenimento di figli maggiorenni. · Il primo caso riguarda la vicenda dell’assegno di mantenimento corrisposto dal padre al figlio di 24 anni. Il Tribunale, su istanza del padre, aveva ridotto l’assegno rispetto alla somma originariamente stabilita dal Tribunale per i Minorenni e pertanto, il figlio e la madre appellavano tale decisione. Il padre sosteneva la colpevole inerzia del figlio in quanto lo stesso, studente universitario, rifiutava il posto nell’azienda del padre a causa del rapporto conflittuale che aveva con il genitore. La Cassazione, a conferma di quanto deciso dai giudici della Corte d’Appello, non riteneva sussistente la colpevole inerzia del giovane sostenuta dal padre, ritenendo che in questo caso non si trattava di “una vera e propria occasione di lavoro rifiutata” ma di questioni riguardanti il rapporto (conflittuale ) tra padre e figlio. Nello specifico poi il rapporto genitoriale era caratterizzato da una rilevante differenza di età (70) determinante molte delle incomprensioni. Secondo la Cassazione, l’inserimento di un figlio, ancora in giovane età e studente universitario, in un’azienda il cui titolare è lo stesso genitore con cui il giovane si trova in conflitto, e che non comporta uno stabile inserimento lavorativo, non rappresenta un’occasione lavorativa vera e propria ma una “ fase della dialettica genitore-figlio ” (Cass.. IV civ. , ord. N. 30540/2017). · La Cassazione invece segue un orientamento opposto in merito al secondo caso Con ordinanza n. 22314/2017 i giudici revocano l’obbligo di mantenimento posto a carico di un padre nei confronti della figlia 35enne, la quale dopo il raggiungimento della maggiore età non si era mai realmente attivata per trovare un lavoro né vi era alcuna circostanza che giustificasse tale inerzia, quale ad esempio una patologia o un handicap che riducesse la sua capacità lavorativa. Questi casi colgono appieno il fulcro della tematica trattata. Da un lato la permanenza dell’obbligo di mantenimento in capo al genitore per il figlio impegnato negli studi universitari “costretto” a rifiutare un posto a causa del rapporto conflittuale con lo stesso genitore; dall’altro la revoca di tale obbligo nei confronti della figlia maggiorenne che non si è mai adoperata affinchè potesse raggiungere una indipendenza economica e che era appunto manifestato la cosiddetta “inerzia” che poi null’altro è che chiara e manifesta mancanza di volontà a cercare un lavoro.
Tiziana Laurettini
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