Avvocato Tommaso Barausse a Valdagno

Tommaso Barausse

Avvocato penalista


Informazioni generali

Avvocato del Foro di Vicenza per assistenza legale in materia di diritto penale.

Esperienza


Diritto penale

Assistenza legale e attività di domiciliazione con riferimento a procedimenti penali, dalla fase delle indagini preliminari sino all'esecuzione della pena, in caso di condanna.


Altre categorie:

Diritto penitenziario, Violenza, Stalking e molestie, Reati contro il patrimonio, Omicidio, Discriminazione, Sostanze stupefacenti, Mobbing, Risarcimento danni.


Referenze

Pubblicazione legale

Arte e scienza - la rilevanza scriminante delle libertà previste dall'articolo 33 della Costituzione

Pubblicato su IUSTLAB

Nell’ambito dei meccanismi legislativi che governano l’equilibrio dell’ordinamento giuridico, l’applicazione coordinata delle disposizioni che assumono rilievo nel caso specifico può determinare il verificarsi di ipotesi in cui non risulta punibile la commissione di condotte qualificate e positivizzate dal legislatore come illecito di rilevanza penale. Tecnicamente, attraverso la locuzione “cause di non punibilità” viene indicato un sottosistema penalistico che contempla una serie di istituti il cui effetto consiste nel rendere non irrogabile la sanzione penale per il fatto di reato concretamente realizzatosi. La summa divisio che interessa le predette cause di non punibilità è quella intercorrente tra esimenti oggettive e soggettive. Nelle prime vi rientrano le cause di giustificazione (nominate anche come scriminanti), le quali attengono al profilo oggettivo delle fattispecie criminose ed operano anche se non conosciute dall’agente, secondo quanto disposto dall’articolo 59, comma 1 del codice penale. Le seconde, invece, dette scusanti o cause di esclusione della colpevolezza, operano sul piano psicologico, escludendo che il fatto possa essere soggettivamente addebitato all’individuo agente. Le esimenti soggettive, a differenza delle cause di giustificazione, non si estendono ai concorrenti nel reato, ai sensi dell’articolo 119, secondo comma c.p. Vi sono poi, in posizione distinta rispetto alle esimenti, le cause di esenzione della pena, le quali non incidono sul reato, bensì solo sull’ effetto principale dello stesso: la pena. Ai fini che rilevano nella presente sede, occorre quindi prendere in considerazione le cause di giustificazione, precisandone, in breve, l’inquadramento sotto il punto di vista dogmatico, prendendo le mosse dalla più risalente teoria bipartita del reato. Secondo detta ricostruzione teorica, il reato risulta scomponibile in due soli elementi, ovvero quello oggettivo, riguardante la condotta tipica, e quello soggettivo, relativo alla componente psichica del soggetto agente. Le cause di giustificazione, quindi, verrebbero fatte rientrare nella componente oggettiva, precisamente come elementi negativi del fatto. Più corretta, tuttavia, appare la successiva concezione tripartita del reato, tutt’oggi seguita da autorevole dottrina. Secondo tale ricostruzione, il reato si suddivide in elemento oggettivo, soggettivo ed, infine, antigiuridicità. Tale teorica assume il pregio di collocare le cause di giustificazione all’esterno del fatto, conferendo alle stesse autonomo rilievo. Una simile conclusione risulta preferibile, in quanto maggiormente analitica e più conforme al principio di frammentarietà, posto che le porzioni della realtà suscettibili di acquisire rilevanza penale possono essere individuate più agevolmente dall’interprete se non vi si fa rientrare all’interno del fatto tipico anche le fattispecie descritte dalle disposizioni aventi efficacia scriminante. Di qui l’alterità delle scriminanti rispetto ai fatti contemplati dalle norme incriminatrici, che nel procedimento per la valutazione della responsabilità penale impone alle prime una collocazione distinta e separata rispetto ai secondi. Quanto alla dinamica effettuale, la stessa può riassumersi nella non punibilità di una fattispecie di reato, la quale, pur già integrata, non è perseguibile in quanto consentita, o addirittura imposta, dall’ordinamento medesimo tramite il corpus normativo di parte generale e speciale che contempla le diverse cause di giustificazione. Sarebbe, infatti, tanto evidente quanto inaccettabile la violazione del principio di non contraddizione (fondamento logico giuridico imprescindibile nell’ iter dell’incriminazione) qualora l’ordinamento punisse comportamenti da esso stesso autorizzati od imposti. Sulla scorta dei rilievi argomentativi appena svolti, risulta agevole affermare che la normativa in materia di cause di giustificazione attiene alla qualificazione oggettiva del reato. Sul punto, preme peraltro evidenziare che non si tratta, come sostenuto da parte della dottrina, di norme che si pongono in conflitto con le disposizioni penali rilevanti nel caso concreto, bensì di norme che si applicano in concorso con queste ultime, incidendo sulla loro portata incriminatrice in relazione al fatto tipico posto in essere. Tratteggiato un breve disegno sistematico in ordine alle cause di giustificazione nel sistema del diritto penale, si procede dunque con l’analisi della rilevanza scriminante delle libertà costituzionali che trovano il proprio riconoscimento scolpito all’interno dell’articolo 33 della Carta fondamentale. La norma de qua , nella prima parte del primo capoverso, testualmente recita: “l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”. Dal tenore letterale della surriportata norma, emerge la proclamazione di una duplice libertà. La prima, di carattere soggettivo, accorda alla generalità dei consociati il diritto di esercitare l’attività di insegnamento. La seconda, di carattere contenutistico, riguarda invece l’oggetto della predetta libertà di insegnamento, coincidente per l’appunto con le attività di carattere scientifico e artistico. Sul piano definitorio, con il termine arte si suole indicare ogni forma di manifestazione dell’ingegno a carattere creativo in grado di rappresentare in maniera innovativa l’evoluzione spirituale del genere umano. L’arte, di conseguenza, può concretizzarsi in opere letterarie, musicali, arti figurative, fotografia, letteratura, teatro, cinematografia. La scienza, da parte sua, si identifica in quell’insieme di conoscenze logico-matematiche e scientifiche relative alla realtà fenomenica. È evidente come si tratti di discipline che tendenzialmente si collocano agli antipodi, sia dal punto di vista dei risultati e dei prodotti ottenuti dalle rispettive attività, sia per ciò che concerne le metodiche di analisi e di approccio al reale. Questo, tuttavia, non impedisce che a determinate condizioni vi possano essere punti di contatto tra le due differenti aree in esame, soprattutto nella considerazione della medesima finalità perseguita, che coincide, da un lato e a livello generale, con il progresso della civiltà, dall’altro, a livello particolare, con lo sviluppo e la realizzazione della personalità del singolo individuo. Ed in verità è proprio l’evoluzione del genere umano la ratio primordiale sottesa alla disposizione di cui all’articolo 33 della Costituzione. Detta norma, inoltre, non risulta l’unica fonte normativa volta a sancire e garantire le libertà di natura artistica e scientifica. Ulteriori riferimenti legislativi sono dunque rinvenibili, sempre in ambito costituzionale, all’articolo 9, secondo cui al comma 1 “la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica”. Inoltre, è altresì possibile individuare un collegamento con l’articolo 41 della medesima fonte, nella misura in cui la ricerca si converte in tecnologia ed incrementa l’efficienza produttiva, generando effetti positivi sul ciclo economico. Quando all’ordinamento sovranazionale, poi, primario rilievo assume l’articolo 179 comma 1 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, dove si prevede che l’obiettivo che l’Unione si propone sia quello “di rafforzare le sue basi scientifiche e tecnologiche con la realizzazione di uno spazio europeo della ricerca nel quale i ricercatori, le conoscenze scientifiche e le tecnologie circolino liberamente, di favorire lo sviluppo della sua competitività, inclusa quella della sua industria e di promuovere le azioni di ricerca ritenute necessarie ai sensi di altri capi dei trattati” supportando quindi “i centri di ricerca e le università nei loro sforzi di ricerca e di sviluppo tecnologico di alta qualità”. Vi è poi l’articolo 13 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea in cui si riconosce che “le arti e la ricerca scientifica sono libere”. Consultando le spiegazioni alla Carta UE relative al suddetto articolo si evince che “questo diritto è dedotto in primo luogo dalle libertà di pensiero e di espressione. Si esercita nel rispetto dell’articolo 1 e può essere oggetto alle limitazioni autorizzate dall’articolo 10 della CEDU”. Appurato, quindi, il granitico riconoscimento a livello nazionale e sovranazionale di cui godono le discipline artistiche e scientifiche, si rende conseguentemente necessario individuare la fonte normativa che sancisca l’irrilevanza penale delle relative attività, nella considerazione che il libero esercizio delle stesse ben possa integrare una condotta qualificata dalla legge come reato. Di qui, pertanto, la necessità di individuare un fondamento normativo che possa fungere da scriminante. Le cause di giustificazione, nella sistematica del codice penale trovano puntuale disciplina agli articoli 50-55, oltre che in diverse disposizioni della parte speciale del medesimo codice. L’istituto che rileva nel caso di specie è quello dell’esercizio di un diritto o adempimento di un dovere. Segnatamente, il primo comma dell’articolo 51 c.p. dispone che “l’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità, esclude la punibilità”. Accertato, dunque, che l’attività artistica o scientifica, in qualità di diritto espressamente riconosciuto a livello nazionale ed internazionale, possa essere scriminata per il tramite della suddetta disposizione, è di primario interesse rilevare come parte della dottrina abbia ricondotto l’esercizio delle suddette attività nell’ambito della disposizione di cui all’articolo 21 della Costituzione, proclamante il diritto di manifestazione del pensiero. Una simile impostazione ermeneutica, tuttavia, si mostra condivisibile solo in via parziale. In verità è preferibile ritenere che l’esercizio di manifestazione del pensiero possa coincidere con l’attività artistica e/o quella scientifica unicamente nella misura in cui vengano posti in essere atti di cronaca o di critica aventi ad oggetto argomenti attinenti ai due ambiti in argomento. In tali ipotesi, di conseguenza, dovrà trovare applicazione la disciplina elaborata dalla tradizione pretoria. Precisamente l’attività di critica/cronaca dovrà rispettare i propri limiti interni, in quanto afferenti agli elementi costitutivi della scriminante, della verità e della rilevanza sociale. In secondo luogo, la medesima critica/cronaca dovrà essere contenuta in relazione agli opposti interessi di pari rango (costituzionale) che assumeranno rilevanza nel caso di specie. Per quel che concerne gli ulteriori, molteplici rami in cui trovano esplicazione le attività scientifiche ed artistiche, l’esercizio del diritto scriminante dovrà individuarsi presso l’articolo 33 della Costituzione unitamente agli ulteriori riferimenti normativi sopra indicati. Tale conclusione risulta altresì avallata dalla circostanza che il legislatore ha assegnato rilevanza e copertura costituzionale all’arte ed alla scienza attraverso una apposita ed autonoma disposizione, sì da garantirne una tutela più pregnante, in relazione ad ogni modalità attraverso la quale possano esercitarsi discipline di interesse scientifico e artistico, non solo nelle ipotesi in cui venga posta in essere una manifestazione del pensiero. Quasi superfluo precisare che la scriminante dell’esercizio del diritto non ha portata assoluta. Il Comune denominatore di tutte le cause di giustificazione, invero, risiede nel bilanciamento degli interessi confliggenti nel singolo caso. Trattasi di un giudizio di valore volto a determinare quale dei beni giuridici coinvolti debba prevalere, con possibile mancata applicazione della scriminante astrattamente rilevante. Tanto argomentato a livello generale, occorre ora interrogarsi circa le problematiche di natura giuridica concernenti l’esercizio delle attività di sperimentazioni biologiche e di divulgazione scientifica, ricomprese nel più ampio e generale sistema della ricerca scientifica. Quanto alle prime attività, si procede dunque analizzando i limiti entro cui la sperimentazione scientifica è consentita e scriminata all’interno del nostro ordinamento, stante il suddetto, necessario bilanciamento tra gli opposti interessi di eguale livello che necessariamente assumono rilevanza. In verità, l’ambito di applicazione della libertà di ricerca è segnato all’esterno dal rispetto dei diritti fondamentali. Iniziando da quest’ultimo aspetto, si rileva come la Costituzione ponga al vertice la persona umana, disegnando come valori assoluti la vita, l’integrità fisica, la dignità. Non è l’uomo in funzione della scienza, bensì la scienza in funzione dell’uomo. Il bilanciamento tra la libertà di ricerca e sperimentazione e gli altri interessi costituzionalmente tutelati impone una valutazione complessa. In coerenza con i valori costituzionali garantiti dalla nostra Costituzione, l’articolo 10, secondo comma della CEDU dispone che l’esercizio della libertà di ricerca scientifica, alla stregua della libertà di espressione “poiché comporta doveri e responsabilità, può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza nazionale, all’integrità territoriale o alla pubblica sicurezza, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, alla protezione della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per garantire l’autorità e l’imparzialità del potere giudiziario.” L’indiscussa esigenza di contemperare l’esercizio dell’attività di ricerca scientifica con i contrapposti interessi e valori facenti capo a coloro che ne risultino oggetto, trova riscontro nella soluzione della questione inerente la fonte della fattispecie scriminante operante nel campo della sperimentazione biologica. In termini più precisi, sempre con specifico riferimento alla attività di sperimentazione scientifica, deve rilevarsi come questa non possa essere scriminata per il tramite della sola norma che contempla l’esercizio del diritto di cui all’articolo 51 del codice penale. In verità, la sperimentazione biologica richiede nella maggioranza dei casi la collaborazione di persone fisiche, le quali divengono vero e proprio oggetto dell’attività di ricerca. Di qui la necessaria manifestazione del consenso da parte di queste ultime ad essere sottoposte a trattamenti di natura scientifico-sperimentale, in virtù del primario valore accordato all’essere umano, che, come sopra già specificato, è destinato a prevalere sul solo esercizio del diritto alla ricerca scientifica. Appare dunque preferibile, per l’attività in esame, nonché per tutta la ricerca e la didattica che non rientri direttamente nell’ambito della comunicazione delle idee, fare ricorso ad una scriminante non codificata, sul modello della attività medico-chirurgica, che combini l’autorizzazione generale di cui gode la scienza e quella particolare rinveniente nel consenso informato del soggetto che si sottopone all’attività di ricerca. Sul punto è doveroso precisare come le disposizioni sulle cause di giustificazione si possano prestare non solo ad interpretazione estensiva, ma anche ad operazioni di analogia cosiddetta in bonam partem , con l’ulteriore possibilità di ottenere cause di giustificazione non disciplinate dalla legge e composte dalla combinazione di due differenti scriminanti codificate, proprio come nel caso in esame. Tale risultato è reso possibile dal fatto che non si tratta di norme incriminatrici soggette a stretta legalità. Tornando al parallelismo con l’attività medica, si precisa che le due figure tendono a sovrapporsi allorquando la sperimentazione o l’applicazione di nuove tecniche avvenga in ambito sanitario, nel qual caso occorre distinguere: se si tratta di interventi chirurgici, sia pure a carattere sperimentale, opera la scriminante di cui all’articolo 32 cost., altrimenti entra in gioco una scriminante autonoma, riconducibile alla ricerca scientifica, sia pure indirizzata alla cura della salute umana. Quanto affermato risulta coerente con il contenuto della normativa che disciplina la sperimentazione che coinvolge esseri umani, ovvero il decreto legislativo 24.06.2003 n. 211 (in attuazione della direttiva 2001.20.CE relativa all’applicazione della buona pratica clinica nell’esecuzione delle sperimentazioni cliniche di medicinali per uso clinico) che all’articolo 1, comma 1 let. a) definisce la sperimentazione clinica come “qualsiasi studio sull’uomo finalizzato a scoprire o verificare gli effetti clinici, farmacologici e/o altri effetti farmacodinamici di uno o più medicinali sperimentali, e/o a studiarne l’assorbimento, la distribuzione, il metabolismo e l’eliminazione, con l’obiettivo di accertarne la sicurezza e/o l’efficacia.” Si tratta quindi di attività che ha ad oggetto il corpo umano ed il cui esito non è empiricamente prevedibile, con la conseguenza che dovranno essere adottate all’uopo le necessarie cautele, tra le quali figurano l’intervento del comitato etico e, a fortiori , il consenso attuale ed informato sui relativi rischi del soggetto che si sottopone al trattamento. Di rilievo, poi, l’ipotesi in cui la suddetta sperimentazione venga espletata nei confronti di individui infradiciottenni. L’ordinamento appresta una tutela più stringente nei confronti di tali soggetti, in quanto sicuramente più vulnerabili a causa dello sviluppo psico-fisico ancora in corso. Si prevedono dunque condizioni aggiuntive affinché possa essere autorizzata la sperimentazione fisica su minori. In base all’articolo 4 della precitata normativa, quindi, l’interesse dei minori deve sempre essere considerato prevalente rispetto agli interessi della scienza e della società. Trattasi, chiaramente di un bilanciamento di interessi da effettuarsi sulla base della sperimentazione del caso concreto. In ogni caso, limite invalicabile per l’attività di sperimentazione è il rispetto dei valori fondamentali dell’individuo, che in questo caso sono la salute e la dignità. Inoltre è sempre fatta salva la possibilità di revocare il consenso inizialmente prestato. Tra le attività di ricerca scientifica che hanno dato luogo a maggiori problemi sul piano giuridico, è necessario poi menzionare la sperimentazione sugli embrioni umani, che non ricade nell’ambito applicativo della scriminante medica, non essendo direttamente funzionale alla cura della salute dell’uomo. D’altra parte non può nemmeno ritenersi che oggetto della sperimentazione sia un essere vivente, almeno per l’ordinamento, posto che ai sensi dell’articolo 1 del codice civile la personalità giuridica si acquista con la nascita, senza considerare che la giurisprudenza si è spinta a riconoscere una soggettività giuridica (peraltro solo a determinati effetti) al nascituro, non al futuro essere vivente allo stato embrionale. Concludendo con l’attività di divulgazione scientifica, appare evidente come la stessa presenti problematiche di minore rilievo. Detta attività, infatti, viene esercitata a scopo informativo e didattico, sostanziandosi nella comunicazione a soggetti terzi di informazioni e nozioni di carattere tecnico-scientifico e può essere pacificamente ricondotta nell’ambito della libera attività di insegnamento della scienza di cui al precitato articolo 33 della Costituzione e alle summenzionate norme di matrice comunitaria, con la conseguenza che il suo esercizio ex art. 51 c.p. si rivela senz’altro idoneo a scriminare eventuali condotte penalmente illecite poste in essere. Si precisa che potrebbe anche invocarsi l’articolo 21 della Carta, laddove l’informazione avvenga per il tramite di attività di critica scientifica, ovvero per mezzo dell’esercizio del diritto di cronaca, riportando notizie relative ad accadimenti di interesse scientifico. Chiaramente, anche nel caso della attività informativa non può accordarsi valore assoluto alla suddetta portata scriminante, posto che risulta sempre astrattamente possibile un pregiudizio circa interessi di rilevanza costituzionale ritenuti nel caso concreto preminenti rispetto al diritto di divulgazione. Nella prassi, ad ogni modo, si tratta di ipotesi marginali, posto che le informazioni scientifiche fornite devono risultare attendibili e veritiere (altrimenti non si rientra più nel campo dell’informazione scientifica, ma in altre attività non tutelate dall’ordinamento o tutelate in quanto appartenenti ad altri settori, ad esempio quello artistico) e inoltre il concetto di osceno al quale ci si potrebbe richiamare in occasione di immagini o filmati cosiddetti “forti” risulta difficilmente compatibile con la materia scientifica ed il progressista scopo divulgativo. Avv. Tommaso Barausse

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