L'avv. Umberto Diffidenti presta la propria consulenza ed assistenza legale, in ambito penale civile e tutela dei consumatori a privati e aziende. Ammesso al GRATUITO PATROCINIO PENALE, offre altresì, consulenza, assistenza e rappresentanza ad Enti Pubblici. Vanta particolare esperienza nella tutela dei diritti in genere, nella contrattualistica e nel risarcimento del danno derivante da qualsiasi fattispecie. Inoltre si occupa diritto, di diritto processuale penale e tutela dei consumatori avendo maturato una profonda esperienza in questi due ultimi settori.
Querele /denunce; memorie difensive ex artt. 90, 91 c.p.p; comparse d’intervento associazioni; costituzioni di parte civile; oblazione ex artt. 162 e 162 bis c.p.; assistenza ad interrogatorio di garanzia; opposizione all’archiviazione ex art. 408 comma 3 c.p.p. attività ex art. 415 bis c.p.p. richiesta di incidente probatorio ex art. 392 c.p.p. redazione atto di appello; richiesta di riesame; riti alternativi e deflattivi giudizio abbreviato, applicazione di pena su richiesta delle parti, redazione modelli di organizzazione, gestione e controllo del rischio D.Lgs. 231/01 e M.A.E. Mandato di Arresto Europeo. Esecuzione penale.
Numerosi procedimenti penali per furti con destrezza e di energia elettrica
Ho assistito e difeso in giudizio numerosi imputati, tra cui anche un tentato omicidio con interrogatorio di garanzia in carcere, assistenza nell'udienza di incidente probatorio, opposizione a giudizio immediato e richiesta di abbreviato.
Stalking e molestie, Omicidio, Sostanze stupefacenti, Diritto penitenziario, Tutela del consumatore, Diritto ambientale, Diritto civile, Usura, Multe e contravvenzioni, Recupero crediti, Pignoramento, Contratti, Arbitrato, Diritto assicurativo, Separazione, Divorzio, Discriminazione, Diritto commerciale e societario, Diritto bancario e finanziario, Investimenti, Diritto internazionale ed europeo, Diritto immobiliare, Edilizia ed urbanistica, Diritto condominiale, Locazioni, Sfratto, Diritto dei trasporti terrestri, Incidenti stradali, Malasanità e responsabilità medica, Tutela degli animali, Diritto del turismo, Diritto dello sport, Tutela degli anziani, Diritto dell'informatica, Diritto militare, Diritti umani, Diritto canonico, Mediazione, Negoziazione assistita, Gratuito patrocinio, Domiciliazioni.
Il possesso uti dominus del vecchio proprietario dell’immobile è andato avanti per oltre 20 anni Condannato il proprietario dell’immobile che vi si introduce con violenza pur sapendo che esso è utilizzato uti dominus , da oltre 20 anni, dal vecchio proprietario. I giudici ritengono non rilevante il fatto che l’uomo sotto processo abbia prodotto un suo atto di acquisto dell’immobile dalla persona offesa, giacché comunque lo spoglio è avvenuto nei confronti del vecchio proprietario che da oltre 20 anni utilizzava pacificamente uti dominus l’immobile. Lecita, quindi, la condanna per il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose. A questo proposito, i giudici chiariscono che l’arbitrarietà dell’esercizio delle proprie ragioni può escludersi solo se la persona attua un comportamento violento per mantenere il suo possesso attuale o per recuperarlo nell’immediatezza dello spoglio subito perché in entrambi i casi l’ordine giuridico preesistente è conservato e non turbato. Tirando le somme, l’autointegrazione nel possesso di una cosa, della quale il soggetto sia spogliato clandestinamente o con violenza, opera come causa speciale di giustificazione solo quando sia impossibile il ricorso al giudice e l’azione relativa avvenga nell’immediatezza di quella lesiva del diritto, per l’impellente necessità di ripristinare il possesso perduto, mentre invece in questa vicenda il possesso uti dominus del vecchio proprietario dell’immobile è andato avanti per oltre 20 anni. (Sentenza 30328 del 1° agosto 2022 della Corte di Cassazione)
La condotta incriminata è ravvisabile anche nella scannerizzazione del testo, per la riproduzione e vendita su richiesta Titolare della copisteria condannato per abusiva riproduzione mediante fotocopie di un’opera letteraria anche se il fatto illecito è derivato dalla sua temporanea assenza dal locale. Ciò perché il titolare della copisteria che voglia o debba allontanarsi dall’esercizio, ben può ciò fare soltanto dopo avere preso le opportune cautele, atte ad assicurare, anche durante la sua assenza, la possibilità di impedire che i propri soci o i propri dipendenti violino il precetto in parola, dando apposito incarico ad un soggetto di fiducia, sia esso uno dei soci o un dipendente. Nello specifico della vicenda presa in esame dai giudici si è appurato che l’opera letteraria era stata interamente riprodotta nel computer aziendale ed era evidentemente destinata alla riproduzione, a fini commerciali, per il pubblico che ne avesse fatto richiesta, e che il titolare dell’attività di copisteria era in possesso, in sostanza, di una copia dell’intero testo, pronta per la commercializzazione. In sostanza, non è bastevole per escludere l’illecito il mancato rinvenimento di copia cartacea, poiché la condotta incriminata è ravvisabile anche nella scannerizzazione del testo, aduso per la riproduzione e vendita su richiesta, così ledendo il diritto di autore. (Sentenza 26262 dell’8 luglio 2022 della Corte di Cassazione)
Inequivocabile il racconto fatto da due donne. I massaggi da loro descritti non potevano avere alcuna finalità terapeutica o di benessere Massaggiatore condannato per violenza sessuale a causa di alcune manipolazioni che hanno sfiorato le zone erogene di due clienti. Respinta la tesi difensiva, mirata a ridimensionare i comportamenti dell’uomo e a sostenere che essi siano stati male interpretati dalle due donne. Logico, invece, secondo i giudici, parlare di massaggi invasivi e sgradevoli e offensivi della sfera sessuale delle due donne. Impossibile ridimensionare le accuse, poiché si è appurato che i comportamenti dell’uomo si sono tenuti lontani da qualsiasi tecnica di massaggio lecita e decorosa e sono consistiti, invece, in massaggi invasivi e sgradevoli, contigui ad aree sessuali ed erogene e perciò offensivi della sfera sessuale delle due donne. (Sentenza 26476 dell’11 luglio 2022 della Corte di Cassazione)
Rilevante il fatto che trattandosi di lavori da tempo immemorabile necessari, l’inerzia è ancora più grave Colpevole il proprietario dell’appartamento che omette di provvedere ai lavori necessari al ripristino dei balconi al fine di rimuovere il pericolo alle persone. Nel caso preso in esame dai giudici, però, gli uomini sotto processo si sono difesi addebitando la responsabilità degli omessi interventi alla mancata formazione di una sufficiente volontà assembleare condominiale nel corso degli anni. Tuttavia, nessuno di essi risulta né avere diffidato l’amministratore del Condominio a porre in essere tutte quelle misure precauzionali tese ad evitare i pericoli di crolli o il progressivo degrado delle strutture con la posa delle reti di protezione, né avere operato autonomamente in tal senso. Peraltro, i proprietari di immobili rivestono una posizione di garanzia non delegabile in toto ad altre figure, quali l’amministratore di un Condominio, con cui necessariamente condividono l’obbligo di agire anche su cose non di loro esclusiva proprietà, pur in via sussidiaria e in caso di inerzia dell’amministratore. E, a dirla tutta, l’attribuzione dell’obbligo di garanzia delegato all’amministratore per la conservazione delle cose comuni non esclude, anzi implica, che in caso di sua inerzia tale obbligo si riverberi sui proprietari dei beni coscienti del pericolo che da essi possa derivare, ponendo in loro capo la responsabilità. I giudici aggiungono poi che in questo caso, trattandosi di lavori da tempo immemorabile necessari di cui i proprietari degli immobili erano consapevoli, la loro inerzia, nonostante l’avviso in merito alla sussistente minaccia di rovina di cui soffrivano parti dei balconi dei loro appartamenti, aggrava quindi la loro condotta omissiva di un grado di negligenza tale da integrare l’elemento della colpa. (Sentenza 31592 del 24 agosto 2022 della Corte di Cassazione)
Necessario verificare se vi è lo scopo dell’azione illecita compiuta, ossia conseguire un incremento della propria sfera patrimoniale In tema di furto, il fine di profitto integrante il dolo specifico deve essere inteso come finalità dell’agente di incrementare la propria sfera patrimoniale, sia pure in funzione del perseguimento di ulteriori fini conseguibili in virtù della capacità strumentale della cosa sottratta di soddisfare bisogni materiali o spirituali. Vacilla, quindi, nel caso preso in esame dai giudici, il reato di furto, contestato a un uomo per avere sottratto un paio di occhiali e un telefono cellulare a un altro uomo. Giusto per fare chiarezza, comunque, i giudici mettono a confronto due precedenti pronunciamenti. In un caso, la sottrazione si riferiva a una banconota da 50 euro, a un telefonino ed altri oggetti, sicché il carattere patrimoniale dello scopo della condotta è del tutto evidente. In un altro caso, invece, la sottrazione si riferiva ad un’agendina telefonica, tenuta dalla vittima tra le proprie mani e finalizzata ad impedirle di fare una telefonata, e quindi manca lo scopo, ossia conseguire un incremento della propria sfera patrimoniale, mentre potrebbero, invece, ravvisarsi gli estremi della violenza privata. (Sentenza 26421 dell’8 luglio 2022 della Corte di Cassazione)
Programma statutario delle Scuole di Specializzazione per le Professioni Legali della durata di 2 anni post laurea. Nominato al secondo anno Pubblico Ministero di Udienza presso la Procura della Repubblica di Torre Annunziata (NA)
Impossibile, però, secondo i giudici, parlare di maltrattamenti. Riconosciuto solo l’abuso dei mezzi di correzione Urla in classe e bambini tenuti con la testa schiacciata sul banco: maestra condanna per abuso dei mezzi di correzione. A inchiodare l’insegnante sono una testimonianza e alcune intercettazioni audiovisive: ciò ha reso palese la condotta aggressiva da lei tenuta in classe. Inequivocabili, poi, i disagi manifestati da un piccolo alunno. A legittimare la condanna della maestra sono non solo i comportamenti aggressivi da lei tenuti in classe, ma le conseguenze provocate, con particolare riferimento ad alcuni disturbi del comportamento riscontrati in un piccolo allievo, destinato, assieme ai suoi genitori, ad ottenere un ristoro economico dall’insegnante. Per i giudici, però, va riconosciuto solo il reato di abuso dei mezzi di correzione, e non quello più grave di maltrattamenti in famiglia. Inequivocabili i metodi adottati in classe dalla maestra nell’interfacciarsi con i propri alunni, ossia gesti violenti, come strattoni, spinte o lo schiacciamento della testa sul banco, oltre che urla ed espressioni a volte anche offensive. Palese, poi, anche il pericolo per la salute degli scolari: non a caso, un piccolo allievo ha manifestato disturbi del comportamento, quali pianto continuo, incubi notturni e problemi di enuresi a causa dei comportamenti aggressivi tenuti in classe dalla maestra. (Sentenza 29661 del 25 luglio 2022 della Corte di Cassazione)
Palese l’intimidazione esercitata sulla vittima, ragionevolmente persuasa dell’utilizzo del bastone ai suoi danni se la pretesa economica non fosse stata soddisfatta Chiede denaro a un prete e mostra di avere con sé un bastone: condannato per rapina. Irrilevante il fatto che il bastone non fu utilizzato. Palese, comunque, l’intimidazione esercitata sul sacerdote. I giudici chiariscono che per parlare di rapina è sufficiente chiedere denaro con insistenza a una persona e, al contempo, mostrare di avere chiaramente in mano un oggetto idoneo a intimidire e a procurare lesioni alla vittima del latrocinio. Proprio ragionando in questa ottica, è stata ritenuta legittima la condanna di un uomo che ha costretto un sacerdote a dargli soldi, dando maggiore forza alla propria richiesta di denaro presentandosi con un bastone in mano. Su questo fronte i giudici sono chiari: l’uomo pretese una somma di denaro dal sacerdote e fece la sua richiesta armato di bastone, oggetto che certamente costituisce un’arma, ancorché impropria, in quanto idonea ad offendere. Assolutamente irrilevante il fatto che l’arma non fu adoperata. Ciò anche perché non si può ignorare l’intimidazione esercitata sul prete, ragionevolmente persuaso dell’utilizzo del bastone ai suoi danni se la pretesa economica non fosse stata soddisfatta. (Sentenza 28718 del 21 luglio 2022 della Corte di Cassazione)
Riprende vigore, quindi, la tesi difensiva, mirata addirittura ad ottenere il riconoscimento del fatto di lieve entità Uomo trovato a vendere quasi 17 grammi di cocaina. Per i giudici, però, l’episodio non è grave, nonostante l’uomo sotto accusa sia noto per essere uno spacciatore di droga. In sostanza, l’essere conosciuto come spacciatore non è dato sufficiente per catalogare come gravi la detenzione e la cessione di alcuni grammi di cocaina. Plausibile, secondo i giudici, la tesi proposta dalla difesa, secondo cui si è ritenuta non episodica né occasionale la cessione di cocaina sulla base di due elementi opinabili, ossia il fatto che l’uomo sia noto quale spacciatore e sia privo di mezzi di sostentamento economico, se non quelli derivanti da attività illecite. I giudici tengono a ribadire che al fine di determinare la minore offensività di condotte finalizzate alla detenzione e allo spaccio di sostanze stupefacenti è necessario valutare tutte le circostanze di fatto, nonostante l’esistenza di una piazza di spaccio, o di una pluralità di condotte o della composizione della sostanza stupefacente. Difatti, la diversità di sostanze stupefacenti detenute a fini di cessione non è di per sé ostativa alla configurabilità del fatto di lieve entità, e identico ragionamento va fatto anche di fronte allo svolgimento di una attività di spaccio di stupefacenti non occasionale, ma inserita in un’attività criminale organizzata o professionale. Nel caso preso in esame dai giudici, invece, è stata respinta l’ipotesi del fatto di lieve entità solo perché l’uomo sotto accusa è noto quale spacciatore, senza specificare, poi, l’entità dell’attività di spaccio di cui l’uomo farebbe parte, e quindi quanto la sua condotta di cessione di droga, oggetto del procedimento, potesse concretamente contribuire alla diffusione nel mercato di sostanza stupefacente. (Sentenza 31768 del 29 agosto 2022 della Corte di Cassazione)
Fatale al proprietario il non avere dimostrato uno specifico vizio da cui era affetta l’autovettura, essendosi invece limitato a denunciare l’incendio Se l’automobile appena acquistata usata è danneggiata da un incendio determinato probabilmente, secondo i vigili del fuoco, da un problema all’impianto elettrico del veicolo, non è automatica la risoluzione del contratto concluso con la concessionaria, e quindi è priva di fondamento la richiesta presentata dal nuovo proprietario della vettura e mirata ad ottenere la restituzione della cifra pagata a chiusura dell’acquisto. Non vi sono, secondo i giudici, i presupposti per sancire la responsabilità del venditore dell’auto, e ciò benché si sia trattato di un fatto dannoso accaduto sul bene di consumo entro il termine semestrale dall’avvenuto acquisto. I giudici sottolineano che il consumatore non ha allegato né dimostrato uno specifico vizio da cui era affetta l’autovettura, bensì si è limitato a denunciare l’incendio accaduto, che costituisce però un mero evento lesivo, o un dato puramente effettuale, potenzialmente ascrivibile sia a vizi o difetti di conformità del bene che a cause estranee. In sostanza, il proprietario della vettura non ha denunciato alcun difetto di conformità del bene mobile acquistato, quale asserita causa scatenante dell’incendio, e, quindi, legittimamente i giudici hanno ritenuto non vi fossero elementi sufficienti per ricondurre l’incendio a un vizio dell’autovettura piuttosto che a cause esterne, come un potenziale tamponamento subito dal veicolo, prima che l’incendio si sviluppasse, o l’azione dolosa di terzi. (Ordinanza 21084 del 4 luglio 2022 della Corte di Cassazione)
Consumer law - Certificate of Completion TRAINER - completed the train-the-trainers course on Consumer Law in the framework of the project ConsumerLaw Ready, which is implemented by EUROCHAMBERS, BEUC and SMEunited on behalf of the European Commission. ITALY, –APRIL 5, 2022
Legittima, secondo i giudici, la decisione di una società di escludere una donna che puntava a un tirocinio La regola interna di un’impresa che vieta ai dipendenti di indossare, in modo visibile, segni religiosi, filosofici o spirituali non costituisce una discriminazione diretta se applicata in maniera generale e indiscriminata. Il caso preso in esame dai giudici riguarda una donna di fede musulmana che indossa il velo islamico e una società che gestisce alloggi popolari. La controversia verte sulla mancata presa in considerazione della candidatura spontanea a un tirocinio presentata dalla donna. L’esclusione è stata motivata con il fatto che durante un colloquio la donna ha affermato che si sarebbe rifiutata di togliersi il velo per conformarsi alla politica di neutralità promossa all’interno della società e prevista dal suo regolamento. Qualche settimana più tardi, però, la donna ha ripresentato la propria domanda di tirocinio presso la società, proponendo di indossare un altro tipo di copricapo, ma ciò le è stato negato, in quanto nei locali della società non era consentito l’uso di alcun copricapo, che si trattasse di un cappello, di un berretto, o di un velo. La donna ha ovviamente segnalato e lamentato una discriminazione, contestando alla società di aver violato le disposizioni contro le discriminazioni, in quanto, a suo dire, la mancata conclusione del contratto di tirocinio sarebbe fondata direttamente o indirettamente sulle sue convinzioni religiose. (Sentenza del 13 ottobre 2022 della Corte di giustizia dell’Unione Europea)
Dopo l’esaurimento dei rimedi giurisdizionali o amministrativi, con esito sfavorevole per il possessore del veicolo, l’organo accertatore deve provvedere ad un nuovo invito a comunicare i dati del conducente Per la configurazione della violazione, prevista dal Codice della strada, consistente nella mancata comunicazione – nei 60 giorni dalla data di notifica del verbale di contestazione – da parte dell’obbligato dei dati personali e della patente di guida del conducente al momento della commessa violazione, e, quindi, della legittima irrogazione della correlata sanzione, il destinatario dell’invito non può ritenersi tenuto a fornire i suddetti dati prima della definizione dei procedimenti giurisdizionali o amministrativi proposti avverso il verbale relativo alla precedente infrazione di riferimento. Da ciò consegue che per poter applicare le sanzioni contemplate dal Codice della strada, dopo l’esaurimento dei rimedi giurisdizionali o amministrativi a cui si è fatto ricorso, con esito sfavorevole per il possessore del veicolo, l’organo accertatore deve provvedere ad un nuovo invito a carico dell’obbligato, dalla cui data di notifica decorre il termine di 60 giorni per adempiere agli obblighi previsti dalla stessa disposizione normativa. Diversamente, ove l’esito dei citati rimedi sia favorevole al possessore del veicolo (con annullamento del verbale di accertamento), viene meno il presupposto per la configurazione della violazione prevista dal Codice della strada a carico dell’obbligato in esso individuato, come, ad esempio, il proprietario del veicolo. (Ordinanza 24012 del 3 agosto 2022 della Corte di Cassazione)
Fondamentale che il possesso su quello spazio dell’immobile sia stato esercitato senza opposizione da parte degli altri condomini Se per decenni l’accesso al terrazzo dello stabile è stato precluso agli altri condomini mediante l’ installazione di una porta , le cui chiavi non sono state condivise con gli altri proprietari ma tenute in maniera esclusiva dai vecchi proprietari, i quali, avendo accorpato due unità immobiliari poste sullo stesso piano, hanno finito per inglobare anche il corridoio comune che conduceva al suddetto terrazzo, allora il nuovo proprietario dell’immobile può legittimamente ottenere, nonostante l’opposizione degli altri condomini, l’usucapione del terrazzo. Fondamentale, comunque, l’unione del possesso esercitato dal nuovo proprietario con quello esercitato dai vecchi proprietari: ciò ha consentito di far matura l’ordinaria usucapione ventennale. Rilevante anche il fatto che la manutenzione , ordinaria e straordinaria, del terrazzo sia sempre stata curata dai vecchi proprietari, e che addirittura dal 1978 in poi nessuno degli altri condomini abbia potuto utilizzare l’area in questione né, tanto meno, abbia chiesto di utilizzarla o abbia avanzato rivendicazioni di sorta. Per i giudici non ci sono dubbi sulla avvenuta usucapione del terrazzo condominiale, a fronte di un possesso continuo, pacifico, pubblico, non interrotto, non equivoco, accompagnato dall’animo di tenere la cosa esclusivamente per sé e, per di più, protrattosi indisturbato per oltre vent’anni, a cui ha fatto seguito la totale inerzia degli altri comproprietari, astenutisi per quasi sessant’anni dall’esercitare le proprie prerogative, non reagendo in alcun modo al potere di fatto esercitato in via esclusiva dal possessore e al progressivo inglobamento della porzione condominiale all’interno dell’immobile di proprietà di un condomino. (Sentenza del 19 luglio 2022 del Tribunale di Monza)
Impossibile ritenere giustificata dalla presunta emergenza la condotta irregolare tenuta dall’uomo trovato alla guida nonostante la patente sospesa Sanzione legittima per l’uomo trovato a guidare una vettura pur avendo la patente sospesa. Respinta la giustificazione messa sul tavolo dall’automobilista, il quale ha sostenuto di essere stato costretto a mettersi al volante per condurre l’originaria conducente della vettura presso un medico di base, avendo ella accusato i sintomi di un grave malessere, apparentemente tale da porla in pericolo di vita ma successivamente dimostratosi un semplice attacco d’ansia. Secondo l’automobilista multato l’errore compiuto nello scambiare un semplice attacco d’ansia per un’affezione ben più grave ha determinato la necessità di violare le disposizioni del Codice della strada per trarre in salvo la donna. I giudici ribattono che gli elementi probatori a disposizione non consentono di presumere il malore accusato dalla conducente fosse grave, o, quantomeno, non lieve. A tal proposito, proprio partendo dalla certificazione del malore effettuata dal medico curante della conducente, è legittimo ritenere che l’alterazione del ritmo cardiaco che aveva colpito la donna non avesse i requisiti per riconoscere la ricorrenza dello stato di necessità, non ricorrendo per lei un imminente pericolo di danno grave, ma al più potendo giustificare l’impossibilità per lei di poter continuare la guida del veicolo, senza però che quest’ultima situazione imponesse la conduzione dell’uomo che aveva la patente sospesa. (Ordinanza 22020 del 12 luglio 2022 della Corte di Cassazione)
Sancito il diritto della proprietaria a rientrare in possesso dell’immobile a seguito dello sfratto del conduttore che non ha pagato l’affitto Legittimo lo sfratto nei confronti della persona che ha preso in locazione un immobile per utilizzarlo come bed&breakfast. Il riferimento alla crisi economica provocata dalla pandemia non può giustificare in alcun modo il mancato pagamento del canone d’affitto per un lungo periodo. Nella vicenda presa in esame dai giudici si è appurato che un immobile uso abitazione veniva concesso dalla proprietaria in locazione con facoltà per il conduttore di utilizzarlo per svolgervi l’ attività di affittacamere e quella di bed&breakfast . A partire da marzo del 2020, però, il conduttore non pagava più quanto previsto come canone, sicché, essendo necessario per la proprietaria rientrare nel possesso dell’immobile, ella intimava lo sfratto per morosità al conduttore, chiedendo al magistrato di dichiarare la risoluzione del contratto per inadempimento del conduttore, convalidare quindi lo sfratto per morosità, emettere decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo a carico del conduttore per i canoni ed oneri accessori scaduti. Infruttuose le obiezioni proposte dal conduttore dell’immobile e mirate a sostenere l’incolpevole mancato pagamento dei canoni a causa della riduzione del flusso di turisti provocata dalla diffusione del COVID-19, che aveva, in sostanza, azzerato le prenotazioni del bed&breakfast. (Sentenza del 31 maggio 2022 del Tribunale di Roma)
Irrilevante nella valutazione della posizione del figlio il fatto che l’ammontare del compenso da lui percepito sia inferiore a quello astrattamente possibile rispetto al titolo di studio conseguito In tema di contributo al mantenimento dei figli maggiorenni, il giudice a cui sia chiesta la revoca del corrispondente assegno, in ragione del reperimento da parte del figlio di un’occupazione lavorativa, è chiamato a valutare in concreto il raggiungimento dell’indipendenza economica da parte del ragazzo, considerandone l’effettivo inserimento nel mondo del lavoro, in base alle specifiche attitudini dimostrate e alle correlate aspirazioni, senza che abbia rilievo, in sé, il fatto che il contratto di lavoro sia a tempo indeterminato, né che l’ammontare del compenso sia inferiore a quello astrattamente possibile . Messa in discussione la linea seguita dai giudici di secondo grado, i quali avevano confermato il diritto del ragazzo al mantenimento paterno, osservando che egli si è diligentemente attivato per reperire un’occupazione lavorativa ed è stato assunto a tempo determinato da un Comune, stipulando un contratto di lavoro della durata di un anno, salvo conferma di uguale periodo, e chiarendo che tali circostanze non consentono comunque di ritenere raggiunta l’indipendenza economica, sia per la temporaneità dell’incarico e sia per la percezione di un reddito non adeguato al titolo di studio (laurea in Giurisprudenza) e alle conseguenti aspirazioni professionali. (Ordinanza 22076 del 12 luglio 2022 della Corte di Cassazione)
1. La Voce del foro n. 3/2009 - Rivista Ordine Avvocati di Benevento - “I Mezzi di ricerca della prova atipici”. 2. Sito web – aigabn.it - Associazione Italiana Giovani Avvocati - commento a Sentenza Corte Costituzionale 24 0ttobre 2007 n. 348 evoluzione storico giuridica - indennità di espropriazione a seguito di occupazione appropriativa della P.A. 3. In data 18/06/2012 - Portale Giuridico “Guide Legali” - Pluralità di assicurazioni ex art. 1910 c.c.. Disciplina generale, limiti del risarcimento principi normativi e giurisprudenziali. 4. In data 16/07/2012- Portale Giuridico “Guide Legali”. Riforma inaspettata e poco chiara di determinazione degli interessi usurai a seguito dall'art. 8 D.L. n. 70/2011 che ha modificato l'art. 2 della legge 108/1996. 5. In La Voce del Foro n. 3- 4 /2012. ISSN 2281 – 7867. Rivista Ordine Avvocati di Benevento: “Pluralità di assicurazioni ex art. 1910cc. Disciplina generale, limiti del risarcimento, principi normativi e giurisprudenziali. 6. In La Voce del Foro n. 1- 2/2013. ISSN 2281 – 7867. Rivista Ordine Avvocati di Benevento: ”riforma inaspettata per la determinazione degli interessi usurai”. 7. RELATORE al corso di formazione - Ordine Avvocati di Napoli del 16.05.2019 Villa Bruno San Giorgio a Cremano (NA) – tutela dei consumatori pubblicità ingannevole e aggressiva di Sky e Dazn – diritto penale e procedura penale costituzione di parte civile per una associazione dei consumatori.
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