Mi sono specializzata in diritto di famiglia, diritto del lavoro e contrattualistica. Mi occupo altresì di sfratto per morosità e finita locazione, nonché diritto previdenziale. Negli anni mi sono anche occupata di affido dei minori, con particolare riferimento all'affido dei minori agli assistenti sociali. Ho anche patrocinato dinanzi al Giudice Tutelare per l'autorizzazione al rilascio del passaporto della minore richiesto dal padre, che la madre all'inizio aveva negato senza ragione alcuna.
La capacità di dire la cliente che è meglio chiudere in via stragiudiziale una problematica soprattutto di recupero crediti che aspettare dopo tre anni una sentenza. Non solo. il Giudice il rifiuto di addivenire a d un componimento bonario stragiudiziale lo valuta in maniera negativa ai fini della eventuale soccombenza alla spese
A fine anno ho trattato una conciliazione in sede sindacale per un licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo. In sede sindacale la lavoratrice da me difesa ha ottenuta una congrua retribuzione anche alla luce dei conteggi allegati.
Ho trattato la fine dello scorso anno un licenziamento per giustificato motivo oggettivo. la parte datoriale, nonostante avesse formalizzato il licenziamento per giustificato motivo oggettivo alla mia cliente, aveva assunto un altra lavoratrice in un altra sede operativa. Per evitare l'alea del giudizio abbiamo provveduto ad una negoziazione in sede sindacale.
Previdenza, Diritto civile, Diritto di famiglia, Separazione, Divorzio, Matrimonio, Affidamento, Tutela dei minori, Mediazione, Negoziazione assistita, Adozione, Risarcimento danni, Mobbing, Sicurezza ed infortuni sul lavoro, Recupero crediti, Pignoramento, Locazioni, Sfratto, Incidenti stradali, Multe e contravvenzioni, Malasanità e responsabilità medica, Tutela degli anziani, Domiciliazioni.
La mia cliente ha ricevuto la formalizzazione del licenziamento per giustificato motivo oggettivo. io ho impugnato in via stragiudiziale il licenziamento e successivamente abbiamo trovato congiuntamente con la controparte un accordo siglato in sede sindacale.
Ho iniziato la pratica forense trattando cause di diritto del lavoro
la normativa vigente mira a tutelare i malati oncologi in caso in cui la Commissione ASL neghi il beneficio di cui alla legge 18/1980 limitatamente al trattamento chemio e/o radioterapico. L’ indennità di accompagnamento spetta alle persone che sono sottoposte a chemioterapia o ad altre terapie in regime di day hospital purché, tuttavia, sussistano i requisiti previsti dalla legge ovvero l’ impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore o la necessità di assistenza continua nel compimento degli atti quotidiani della vita. Il diritto a percepire detta indennità può essere collegato alla patologia oncologica , ma non ne è conseguenza imprescindibile . Al riguardo, la Corte di Cassazione ha stabilito il diritto per le persone malate di cancro e che seguono un trattamento chemioterapico o radioterapico particolarmente debilitante, di ottenere l’indennità di accompagnamento anche se per un breve periodo . Infatti, a parere della Suprema Corte “nessuna norma vieta il riconoscimento del diritto all’indennità di accompagnamento anche per periodi molto brevi” . Da quanto da lei esposto non mi è chiaro se lei abbia presentato entrambe le domande (riconoscimento invalidità e indennità di accompagnamento) . Per ottenere l’indennità di accompagnamento è necessario presentare domanda all'ufficio invalidi civili dell'Asl , anche insieme alla domanda di riconoscimento dello stato di invalidità o di handicap allegando: certificati anagrafici (o le dichiarazioni sostitutive) indicati nel modulo di domanda; il certificato medico che deve riportare la dicitura persona impossibilitata a deambulare senza l'aiuto permanente di un accompagnatore oppure persona che necessita d'assistenza continua non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita; la documentazione clinica (la cartella clinica e gli eventuali referti medici). Il ricorso deve essere presentato, nei termini di legge, con decorso dalla data di ricevimento del provvedimento sfavorevole, alla sezione lavoro e previdenza del Tribunale territorialmente competente in base al luogo di residenza dell’invalido.
L'articolo 572 del codice penale, configura il reato di maltrattamenti in famiglia. Esso si realizza quando si maltratta una persona appartenente alla sua famiglia o comunque con lui convivente o una persona sottoposta alla sua autorità o che gli è stata affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia o per l'esercizio di una professione. Ad esempio, integra il reato anche la sostanziale privazione della funzione genitoriale da parte dell'altro genitore, realizzata mediante l'avocazione delle scelte economiche, organizzative ed educative relative ai figli minori e lo svilimento, ai loro occhi, della sua figura morale. Può addirittura configurarsi come maltrattamento un eccesso di attenzioni nei confronti della vittima. La Corte di cassazione (n. 36503/2011), ha sancito che sussiste il reato di maltrattamenti in famiglia ove un genitore per eccesso di protezione e attenzioni abbia impedito un armonico sviluppo psico-fisico del figlio. Una casistica rilevante in materia di maltrattamenti in famiglia e' quella connessa alla cosiddetta violenza assistita da parte dei figli. È configurabile il delitto di maltrattamenti in famiglia se la conflittualità tra i genitori coinvolge indirettamente anche i figli quali diventano involontari spettatori delle feroci liti e dei brutali scontri che si svolgono all'interno delle mura domestiche (Cassazione penale sez. VI, 23/02/2018, n.18833). La Corte di Cassazione ha escluso la sussistenza del reato ove i comportamenti maltrattanti siano reciproci con un grado di gravità e intensità equivalenti (Cassazione penale sez. VI, 23/01/2019, n.4935).Il reato è abituale. In particolare, l'elemento psichico si realizza nella volontà dell'autore di avvilire e sopraffare la vittima unificando i singoli episodi di aggressione alla sfera morale e materiale di quest'ultima, non rilevando, nella natura abituale del reato, che durante il lasso di tempo considerato siano riscontrabili nella condotta dell'agente periodi di normalità e di accordo con il soggetto passivo. Con la sentenza 8 maggio 2019, n. 19776 la Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione ha infatti precisato che l'abitualità connotante il reato di maltrattamenti ex art. 572 c.p. non viene neutralizzata da eventuali momenti di pausa che siano riscontrabili tra i vari episodi lesivi della dignità psicofisica della vittima. Quindi, ai fini della configurabilità del reato deve trattarsi di una condotta di "vessazione" continuativa, che, pur potendo essere inframmezzata da periodi di "calma", deve costituire fonte di un disagio continuo ed incompatibile con le normali condizioni di vita. E'richiesto il dolo generico che non postula la rappresentazione e la programmazione di una pluralità di atti tali da cagionare sofferenze fisiche e morali alla vittima, essendo sufficiente la coscienza e la volontà di persistere in un'attività vessatoria idonea. Il reato prevede reclusione da due a sei anni. Tale pena è aggravata in tre ipotesi: se dal fatto deriva una lesione personale grave è prevista la reclusione da quattro a nove anni se dal fatto deriva una lesione personale gravissima è prevista la reclusione da sette a quindici anni se dal fatto deriva la morte è prevista la reclusione da dodici a ventiquattro anni. In tema di locus commissi delicti è opportuno citare il recente orientamento giurisprudenziale che sancisce la sussistenza del reato di maltrattamenti in famiglia qualora gli atti di vessazione avvengano all'interno della scuola da parte di insegnanti. La Suprema Corte, con la sentenza n. 40959/2017 stabilisce che nell'ipotesi in cui l'insegnante utilizzi ripetutamente violenza a danno dell'alunno non risponde del reato di cui all'art. 571 del c.p. (abusi di mezzi di correzione), ma del reato, di tutt'altra portata, di maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli (l'uso sistematico della violenza, quale ordinario fatto del minore affidato, anche lì dove fosse sostenuto da animus corrigendi, non può, infatti rientrare nell'ambito della fattispecie di abuso di correzione, ma concretizza, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, gli estremi del più grave delitto di maltrattamenti).
Una coppia si separa legalmente. lei non vuole autorizzare la firma del padre sul passaporto della minorenne. ho fatto il ricorso al giudice tutelare che non ha ravvisato motivi ostativi
i coniugi preliminarmente sono addivenuti alla predisposizione di un ricorso per separazione consensuale. Successivamente la moglie mi ha manifestato la sua volontà di addivenire alla cessazione degli effetti civili del matrimonio. Il marito non ha aderito alla suddetta richiesta e la Signora ha predisposto un ricorso giudiziale per la cessazione degli effetti civili del matrimonio
Il legale rappresentante di una ditta con sede legale in Velletri mi ha conferito espresso mandato al fine di recuperare bonariamente il compenso del proprio lavoro mediante una diffida stragiudiziale. Una volta decorsi i termini di legge, senza esito alcuno, il mio cliente mi ha conferito mandato per adire il Tribunale.
A seguito dell' affidamento al servizio sociale la potestà dei genitori viene compressa e condizionata. Questi sono tenuti ad accettare le prescrizioni impartite al figlio e il controllo del servizio sociale affidatario, e dovranno perciò allineare la loro linea educativa in non in contrasto con il lavoro dei servizi. Continua a gravare sui genitori il dovere di mantenimento della prole . L'affidamento al servizio sociale nacque come provvedimento rieducativo delle devianze giovanili ma, come noto, ha trovato ampio spazio in campo civile. Ci riferiamo a quei provvedimenti del Tribunale per i Minorenni o del Tribunale civile che, nell'ambito dei procedimenti civili ( de potestate , di affidamento, separativi, ecc.) hanno lo scopo di proteggere il figlio da trascuratezza , maltrattamenti o violenze poste in essere dai genitori nei suoi confronti. Si tratta di provvedimenti emessi con decreto motivato previsti dagli art. 330, 333 e 336 del codice civile. La competenza è del Tribunale per i minorenni, il quale può privare il genitore dalla potestà, oppure limitarla adottando "secondo le circostanze i provvedimenti convenienti" . Tali provvedimenti vengono utilizzati ampiamente nei procedimenti de potestate relativi a minori ai sensi dell'art. 333 c.c. quando la condotta di uno o di entrambi i genitori non è tale da dare luogo alla pronuncia di decadenza prevista dall'art. 330, ma appare comunque pregiudizievole al figlio. La misura dell'affidamento al servizio sociale viene oggi utilizzata spesso anche da parte del Tribunale civile nelle separazioni giudiziali e nei divorzi. Troppo spesso nei provvedimenti di affidamento non sono chiari i poteri attribuiti dal giudice ai servizi. Talvolta si tratta di un mandato generico, che non consente di comprendere quali sono i poteri attribuiti al servizio sociale , se e in che modo il servizio affidatario possa contrastare le decisioni assunte dai genitori. La legge non determina la durata di tali provvedimenti anche se essi hanno natura temporanea per espressa previsione normativa. La natura provvisoria del provvedimento preclude infatti ai genitori, secondo la giurisprudenza prevalente, il reclamo alla Corte di Appello (a meno non vengano emessi nell'ambito dei provvedimenti temporanei ed urgenti presidenziali in materia di separazione o divorzio), e la mancanza di termini predeterminati dalla legge fa sì che la situazione di provvisorietà si protragga a volte anche per molti anni. L'istituto dell'affidamento al servizio sociale è oggi ampiamente utilizzato dai Tribunali e sarebbe opportuno rivedere la normativa anche per modificare i troppi aspetti che risultano ormai avulsi dal mutato ed attuale contesto sociale e culturale.
La finalità dell' assegnazione è quella di assicurare un' idonea sistemazione per i figli e di evitare che questi, debbano subire il trauma dell'allontanamento dall'ambiente in cui hanno vissuto , ed ove hanno creato i loro punti di riferimento. Anche il testo dell'articolo 155-quater c.c., come introdotto dalla legge 8 febbraio 2006, n. 54, fa espresso riferimento all' "interesse dei figli" confermando che il godimento della casa familiare è finalizzato alla tutela della prole in genere e non più all'affidamento dei figli minori, mentre, in assenza di prole, il titolo che giustifica la disponibilità della casa familiare, sia esso un diritto di godimento o un diritto reale, del quale sia titolare uno dei coniugi o entrambi, è giuridicamente irrilevante; quindi, il giudice non potrà adottare con la sentenza di separazione un provvedimento di assegnazione della casa coniugale. La tutela della prole L' assegnazione della casa familiare , pur avendo riflessi anche economici, è finalizzata all' esclusiva tutela della prole e dell'interesse di questa a permanere nell'ambiente domestico in cui è cresciuta, e non può quindi essere disposta, come se fosse una componente degli assegno, per sopperire alle esigenze economiche del coniuge più debole, alle quali sono destinati unicamente i predetti assegni. Pertanto, anche nell'ipotesi in cui l'immobile sia di proprietà comune dei coniugi, la concessione del beneficio in questione resta subordinata all'imprescindibile presupposto dell' affidamento dei figli minori o della convivenza con figli maggiorenni, ma economicamente non autosufficienti : diversamente, infatti, dovrebbe porsi in discussione la legittimità costituzionale del provvedimento, il quale, non risultando modificabile a seguito del raggiungimento della maggiore età e dell'indipendenza economica da parte dei figli, si tradurrebbe in una sostanziale espropriazione del diritto di proprietà, tendenzialmente per tutta la vita del coniuge assegnatario, in danno del contitolare. L'art. 106 del D.lgs. 154/2013 ha inserito la disciplina dell'assegnazione dell'immobile familiare nell'art. 337-sexies, comma 1, c.c., che attualmente dispone che "il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli" . Dell'assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l'eventuale titolo di proprietà. Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l'assegnatario cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio .
La finalità dell' assegnazione è quella di assicurare un' idonea sistemazione per i figli e di evitare che questi, debbano subire il trauma dell'allontanamento dall'ambiente in cui hanno vissuto , ed ove hanno creato i loro punti di riferimento. Anche il testo dell'articolo 155-quater c.c., come introdotto dalla legge 8 febbraio 2006, n. 54, fa espresso riferimento all' "interesse dei figli" confermando che il godimento della casa familiare è finalizzato alla tutela della prole in genere e non più all'affidamento dei figli minori, mentre, in assenza di prole, il titolo che giustifica la disponibilità della casa familiare, sia esso un diritto di godimento o un diritto reale, del quale sia titolare uno dei coniugi o entrambi, è giuridicamente irrilevante; quindi, il giudice non potrà adottare con la sentenza di separazione un provvedimento di assegnazione della casa coniugale. La tutela della prole L' assegnazione della casa familiare , pur avendo riflessi anche economici, è finalizzata all' esclusiva tutela della prole e dell'interesse di questa a permanere nell'ambiente domestico in cui è cresciuta, e non può quindi essere disposta, come se fosse una componente degli assegno, per sopperire alle esigenze economiche del coniuge più debole, alle quali sono destinati unicamente i predetti assegni. Pertanto, anche nell'ipotesi in cui l'immobile sia di proprietà comune dei coniugi, la concessione del beneficio in questione resta subordinata all'imprescindibile presupposto dell' affidamento dei figli minori o della convivenza con figli maggiorenni, ma economicamente non autosufficienti : diversamente, infatti, dovrebbe porsi in discussione la legittimità costituzionale del provvedimento, il quale, non risultando modificabile a seguito del raggiungimento della maggiore età e dell'indipendenza economica da parte dei figli, si tradurrebbe in una sostanziale espropriazione del diritto di proprietà, tendenzialmente per tutta la vita del coniuge assegnatario, in danno del contitolare. L'art. 106 del D.lgs. 154/2013 ha inserito la disciplina dell'assegnazione dell'immobile familiare nell'art. 337-sexies, comma 1, c.c., che attualmente dispone che "il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli" . Dell'assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l'eventuale titolo di proprietà. Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l'assegnatario cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio .
L' articolo 572 del codice penale , configura il reato di maltrattamenti in famiglia . Esso si realizza quando si maltratta una persona appartenente alla sua famiglia o comunque con lui convivente o una persona sottoposta alla sua autorità o che gli è stata affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia o per l'esercizio di una professione. Per persona di famiglia si intende il coniuge, i consanguinei, gli affini, gli adottati e gli adottanti, il convivente di fatto e ai lavoratori conviventi (colf, collaboratori domestici, badanti, ecc.). Dottrina e Giurisprudenza prevalenti non ritengono la convivenza elemento essenziale del reato. Esso è configurabile anche in danno di persona non convivente o non più convivente con l'agente, quando quest'ultimo e la vittima siano legati da vincoli nascenti dal coniugio o dalla filiazione, considerato che la convivenza non è un presupposto del reato e che i vincoli di reciproco rispetto permangono integri anche dopo la separazione personale tanto più quando sussista la necessità di adempiere gli obblighi di cooperazione nel mantenimento, nell'educazione, nell'istruzione e nell'assistenza morale dei figli minori. Il maltrattamento sussiste ogni volta che la relazione presenti intensità e caratteristiche tali da generare un "rapporto stabile di affidamento e solidarietà" . Esso si concretizza in atti prevaricatori, vessatori e oppressivi ripetuti nel tempo , tali da generare nel maltrattato un'apprezzabile è rilevante sofferenza fisica o morale , o anche da pregiudicare il pieno e soddisfacente sviluppo della personalità. I comportamenti maltrattanti non necessariamente debbono concretizzarsi in aggressioni fisiche essendo rilevanti anche gli atti di "violenza morale" , "prevaricazione psicologica" , "violenza economica" . Ad esempio, integra il reato anche la sostanziale privazione della funzione genitoriale da parte dell'altro genitore, realizzata mediante l'avocazione delle scelte economiche, organizzative ed educative relative ai figli minori e lo svilimento, ai loro occhi, della sua figura morale. Può addirittura configurarsi come maltrattamento un eccesso di attenzioni nei confronti della vittima. La Corte di cassazione (n. 36503/2011), ha sancito che sussiste il reato di maltrattamenti in famiglia ove un genitore per eccesso di protezione e attenzioni abbia impedito un armonico sviluppo psico-fisico del figlio . Una casistica rilevante in materia di maltrattamenti in famiglia e' quella connessa alla cosiddetta violenza assistita da parte dei figli . È configurabile il delitto di maltrattamenti in famiglia se la conflittualità tra i genitori coinvolge indirettamente anche i figli quali diventano involontari spettatori delle feroci liti e dei brutali scontri che si svolgono all'interno delle mura domestiche (Cassazione penale sez. VI, 23/02/2018, n.18833). La Corte di Cassazione ha escluso la sussistenza del reato ove i comportamenti maltrattanti siano reciproci con un grado di gravità e intensità equivalenti (Cassazione penale sez. VI, 23/01/2019, n.4935). Il reato è abituale . In particolare, l'elemento psichico si realizza nella volontà dell'autore di avvilire e sopraffare la vittima unificando i singoli episodi di aggressione alla sfera morale e materiale di quest'ultima, non rilevando, nella natura abituale del reato, che durante il lasso di tempo considerato siano riscontrabili nella condotta dell'agente periodi di normalità e di accordo con il soggetto passivo. Con la sentenza 8 maggio 2019, n. 19776 la Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione ha, infatti, precisato che l'abitualità connotante il reato di maltrattamenti ex art. 572 c.p. non viene neutralizzata da eventuali momenti di pausa che siano riscontrabili tra i vari episodi lesivi della dignità psicofisica della vittima. Quindi, ai fini della configurabilità del reato deve trattarsi di una condotta di "vessazione" continuativa , che, pur potendo essere inframmezzata da periodi di "calma", deve costituire fonte di un disagio continuo ed incompatibile con le normali condizioni di vita. E ‘richiesto il dolo generico che non postula la rappresentazione e la programmazione di una pluralità di atti tali da cagionare sofferenze fisiche e morali alla vittima, essendo sufficiente la coscienza e la volontà di persistere in un'attività vessatoria idonea. Il reato prevede reclusione da due a sei anni . Tale pena è aggravata in tre ipotesi : - se dal fatto deriva una lesione personale grave è prevista la reclusione da quattro a nove anni; - se dal fatto deriva una lesione personale gravissima è prevista la reclusione da sette a quindici anni; - se dal fatto deriva la morte è prevista la reclusione da dodici a ventiquattro anni. In tema di locus commissi delicti è opportuno citare il recente orientamento giurisprudenziale che sancisce la sussistenza del reato di maltrattamenti in famiglia qualora gli atti di vessazione avvengano all'interno della scuola da parte di insegnanti . La Suprema Corte, con la sentenza n. 40959/2017 stabilisce che nell'ipotesi in cui l'insegnante utilizzi ripetutamente violenza a danno dell'alunno non risponde del reato di cui all'art. 571 del c.p. (abusi di mezzi di correzione), ma del reato, di tutt'altra portata, di maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli (l'uso sistematico della violenza, quale ordinario fatto del minore affidato, anche lì dove fosse sostenuto da animus corrigendi , non può, infatti rientrare nell'ambito della fattispecie di abuso di correzione, ma concretizza, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, gli estremi del più grave delitto di maltrattamenti).
Pratiche di diritto civile in particolare sfratti per morosità e finita locazione nonché causa diritto del lavoro e recupero crediti
L'emergenza Covid-19 e la pedissequa decretazione d'urgenza posta in essere dal Governo , elaborata nell'intento di fronteggiare l'odierna crisi sanitaria tutelando per l'effetto il fondamentale diritto alla salute, ha imposto tra le atre cose la chiusura temporanea degli esercizi commerciali deputati allo svolgimento di attività definite come non "essenziali". Alla luce di tali "restrizioni" incidenti nello svolgimento dell'attività lavorativa, appare pertanto ragionevole ritenere che molti genitori separati, commercianti, partite Iva, lavoratori di vario genere, avendo dovuto sospendere le proprie attività con tutte le conseguenze immaginabili sul piano finanziario e reddituale, riscontreranno verosimilmente nei mesi a venire, difficoltà nel garantire la corresponsione dell'importo previsto in sede di separazione o divorzio o di affidamento, quale contributo mensile al mantenimento dei figli e/o a favore del coniuge. A tal riguardo, inoltre, occorre rammentare ed evidenziare che il mancato versamento dell'assegno di mantenimento determina conseguenze sia dal punto di vista civile, legittimando azioni esecutive di recupero del credito, sia sotto il profilo penale, rischiando di esser perseguiti per il reato di cui all'art. 570 bis c.p. Ragion per cui, la parte onerata, è comunque obbligata a farvi fronte anche in caso di gravi difficoltà concretizzatesi in un contesto critico ed emergenziale come quello attuale, in quanto ad oggi, non è ancora stato realizzato nessun intervento ad hoc da parte del Governo (o come sarebbe più opportuno sperare da parte del Parlamento) finalizzato a regolamentare la problematica de qua. Rilevato quanto sopra, tale contributo non vantando alcuna pretesa di esaustività, intende essere un'introduzione o meglio uno spunto di riflessione - in attesa di specifica normativa - su come poter fronteggiare, o comunque inquadrare giuridicamente, le evidenti situazioni di disagio e di sofferenza di tutti quei soggetti separati o divorziati nella duplice accezione sia di soggetti obbligati alla corresponsione di quanto dovuto sia di soggetti beneficiari di quanto riconosciuto in sede processuale dal Giudice. Preliminarmente, a parere di chi scrive, la profonda crisi, economica-sociale-umanitaria determinata dal Covid-19 appare senza dubbio quale situazione da doversi inquadrare nell'ottica della straordinarietà e dell'imprevedibilità e come tale è da valutarsi quale fenomeno non solo che esula dalla cosiddetta sfera di signoria dell'individuo ma anche idoneo ad innalzare, da un punto di vista prettamente giuridico, la possibilità di aumento del rischio di inadempimento riguardo a tutte quelle prestazioni (recte: obbligazioni) di carattere economico, come può essere ad esempio l'assegno di mantenimento, sorte antecedentemente al periodo dell'emergenza. Per le considerazioni innanzi esposte, dunque, appare corretto rilevare come una plausibile soluzione alla problematica che qui ci occupa può essere individuata nell'istituto dell'impossibilità sopravvenuta per causa non imputabile al debitore, disciplinata dagli artt. 1256 a 1258 del Codice Civile. Invero, l'eventuale difficoltà della parte nel corrispondere l'assegno di mantenimento nella misura prevista, come è evidente, potrà derivare non già da un atteggiamento di matrice colposa o dolosa, quanto piuttosto da un'impossibilità oggettiva ad effettuare la prestazione in sé e per sé considerata proprio a causa del lockdown lavorativo imposto dal Governo (factum principis). Per meglio dire, l'attività impedente, non è strettamente collegabile ad azioni o omissioni dirette o indirette del singolo, quanto piuttosto a cause di forza maggiore imprevedibili ed inevitabili. Si rileva pertanto che situazioni di tal guisa siano necessariamente da ritenersi legittimanti una richiesta quantomeno di riduzione dell'importo economico da dover corrispondere all'altro coniuge e alla prole. Pertanto, tenendo a mente l'importante ratio dell'assegno di mantenimento, rinvenibile ai sensi dell'art. 143 c.c. e anche i doveri, da osservare nell'adempimento delle prestazioni, di buona fede, lealtà e correttezza ex artt. 1175 e 1176 c.c. interpretati alla luce del principio di solidarietà sociale ex art. 2 Cost., si suggerisce, qualora i rapporti tra le parti lo consentano, poiché ispirati ad un clima di reciproca collaborazione, di notiziare circa la condizione di difficoltà l'altra parte attivando poi, di conseguenza, una trattativa per addivenire alla formalizzazione di un accordo anche per il tramite di una negoziazione assistita che preveda la modifica delle condizioni di separazione o di divorzio, sia pur limitatamente alla durata dell'emergenza. Si rileva invero che mai come in questo particolare momento storico, appare opportuno e doveroso (laddove possibile) incentivare l'utilizzo di strumenti A.D.R. (Alternative Dispute Resolution), creati proprio con finalità deflattive del contenzioso, per ottenere una risoluzione efficiente ed immediata della problematica in commento. Le parti invero, adottando una soluzione stragiudiziale riuscirebbero in tempi più celeri ad ottenere benefici e pronta tutela dei propri diritti. Il richiamo alla negoziazione per le caratteristiche di celerità che la contraddistinguono, rappresenterebbe, ad ogni buon conto, un valido strumento da sfruttare soprattutto in presenza di figli minori che riceverebbero stretto giro una pronta attenzione a quelle che sono le loro esigenze. Tuttavia, non può sottacersi il fatto che, laddove vi sia tra le parti una forte ed accesa conflittualità, l'unica soluzione percorribile risulterà quella giudizialmente prevista di ricorrere in via d'urgenza, per mezzo del proprio difensore, al Tribunale affinché vengano adottati i provvedimenti del caso all'uopo ritenuti necessari specie nell'interesse della prole. Preme rilevare inoltre che le situazioni sopra descritte, seppur calate nel contesto dell'emergenza nazionale tutt'ora in corso, siano da ritenersi come situazioni dal carattere ordinario. Preoccupano e non poco, nel silenzio e nell'attesa di un intervento mirato sul punto, quelle situazioni in cui il coniuge abbia diminuito la propria capacità reddituale non per la chiusura momentanea dell'esercizio ma magari per la perdita del posto di lavoro, determinando così in ipotesi più estreme (si pensi al coniuge beneficiario affetto da gravi patologie che fa affidamento sul mantenimento per sostenere le spese mediche o su quello che non può lavorare perché assiste il minore disabile, o ancora ai casi di assenza di ascendenti in ordine di prossimità) un inevitabile stato di indigenza in capo all'intera famiglia. Relativamente a siffatti episodi, giova ricordare, primariamente, che l'art. 147 c.c. impone ai genitori l'obbligo di mantenere i propri figli: tale obbligo grava su di essi in senso primario ed integrale. Consegue che, se uno dei due non voglia o non possa adempiere, l'altro se è nelle condizioni di farlo dovrà farvi fronte con tutte le proprie risorse patrimoniali e reddituali, anche sfruttando la propria capacità di lavoro. Soltanto in via sussidiaria, invece, si concretizza l'obbligo degli ascendenti ai sensi dell'art. 316 bis c.c., di fornire ai genitori i mezzi necessari per adempiere al loro dovere nei confronti dei figli. Peraltro, tale dovere insorge non già perché uno dei due genitori è rimasto inadempiente al proprio obbligo, ma se ed in quanto l'altro genitore non ha mezzi per provvedervi. Quello degli ascendenti dunque, laddove esistenti, è obbligo sussidiario e soprattutto subordinato rispetto a quello primario dei genitori. Orbene tale doverosa premessa, appare necessaria per poter identificare e dunque comprendere la delicatezza oltre che l'urgenza di statuire al riguardo, magari introducendo norme ad hoc all'interno del maxi decreto attualmente allo studio dell'esecutivo proprio per scongiurare il configurarsi di una nuova "emergenza" in un momento già abbastanza critico come quello attuale. Si potrebbero adottare dapprima misure dal carattere assistenziale, magari istituendo un fondo di garanzia o quantomeno di sostegno che funga nell'immediato quale misura di contenimento dello stato di bisogno, sia del coniuge impossibilitato al versamento del mantenimento sia del beneficiario inabile nel provvedere al suo sostentamento. Tali misure "cuscinetto", al termine dell'emergenza, potrebbero trasformarsi o in nuovi strumenti di tutela oppure quali incentivi per realizzare una riforma di più vasto respiro che vada ad affrontare nel dettaglio tutte le situazioni più deboli e di maggior disagio. In conclusione dunque, appare di tutta evidenza come rilevante sia l'impatto dell'emergenza del Covid-19 su molte famiglie di separati e/o divorziati riguardo soprattutto per ciò che attiene all'erogazione del mantenimento per coniuge e figli. Alla luce delle argomentazioni fornite, reiterando la necessità di un pronto intervento normativo al riguardo, si ritiene che sebbene il Covid-19 determini situazioni di palese difficoltà nella corresponsione del mantenimento, l'emergenza de qua per le caratteristiche sopra esposte, può ragionevolmente identificarsi quale presupposto su cui fondare una richiesta di modifica delle condizioni di affidamento, separazione ovvero di divorzio privilegiando in tale intento strumenti stragiudiziali improntati alla conciliazione e al richiamo soprattutto, ove possibile, del buon senso comune, parimenti, si ritiene non prudente e non rispettoso dei doveri di assistenza morale e materiale fondanti il cardine stesso del matrimonio ovvero della famiglia, strumentalizzare la situazione di pandemia de qua per rifuggire o peggio avanzare richieste di sospensione tout court del mantenimento.
Le limitazioni stabilite dai recenti decreti legge - sebbene doverose e necessarie per il contenimento dell'attuale pandemia, si pensi al più recente decreto "Cura Italia" - come è noto hanno determinato oltre al lockdown della maggior parte degli esercizi commerciali, deputati allo svolgimento di attività non essenziali, anche una notevole riduzione degli spostamenti sul territorio, causando per l'effetto una profonda diminuzione del volume dei rapporti sociali ed interpersonali, realizzabili nella maggior parte dei casi ed in costanza dell'attuale stato di emergenza, solo attraverso l'ausilio di strumenti o piattaforme digitali. Occorre evidenziare, pertanto, che se sottostare alle limitazioni imposte a causa dell'emergenza sanitaria appare difficoltoso per la maggior parte delle persone, in considerazione magari di particolari urgenze familiari, dell'attività esercitata o del valore dei propri affari, lo è ancora di più per tutti coloro che a causa della reclusione forzata sono esposti ovvero costretti, a situazioni di evidente pericolo, in tali contesti infatti l'isolamento entro le mura domestiche può divenire reale fonte di preoccupazione per la propria vita. Si pensi ad esempio alle donne, sole o con prole, che subiscono o che hanno subito violenza, oppure agli anziani o alle persone non autosufficienti vittime di percosse e/o maltrattamenti all'interno delle residenze protette. Preme cioè, per meglio dire, saper vedere che vi è un'emergenza (recte: generale-sanitaria) nell'emergenza (recte: particolare -della vittima): ossia avere contezza delle conseguenze che tali restrizioni possono avere in contesti familiari o simili, segnati dalla presenza di violenze di genere, ove purtroppo è difficile evadere.P reliminarmente, a giudizio di chi scrive, appare pacifico rilevare che per tali categorie di persone, la necessaria reclusione in casa o in altri luoghi, non solo lì esporrà ad un maggior controllo da parte dell'autore maltrattante, innalzando così il rischio per la loro incolumità ma, verosimilmente, la situazione di costrizione de qua verrà altresì avvertita come una vera e propria "forma di alienazione", accrescendo ancora di più la necessità (rectius: dovere) normativo-fattuale di potenziare il lavoro degli agenti, investiti da obblighi di protezione, conciliando al contempo, la giustificazione del problematico allontanamento della vittima dal luogo delle violenze, per porre in essere le attività propedeutiche per l'attivazione della sua tutela. A tal riguardo, appare corretto rilevare come è proprio in situazione di tal guisa che affianco all'ordinario Stato di Diritto, impegnato in una convulsa decretazione d'urgenza, dovrebbe delinearsi un altrettanto straordinario Stato Sociale deputato ad evitare che il principio della tutela alla salute ovvero della vita umana, posto alla base dei provvedimenti restrittivi, venga meno, o si rovesci al contrario in una maggiore esposizione alla violenza in danno dei soggetti di cui si discute. Occorre cioè valutare e tentare di realizzare un giusto bilanciamento degli interessi meritevoli di tutela concernenti le situazioni che qui ci occupano. Ciò posto, occorre primariamente evidenziare che gli strumenti urgenti attualmente disponibili per la tutela delle donne vittime di violenza, come ad esempio allontanamenti civili (artt. 342 bis e 342 ter c.c.) e misure cautelari penali (artt. 384 bis c.p.p. e 387 c.p.), rientrano tra le procedure urgenti e indifferibili che possono/debbono essere attivate anche in questo momento di stretta sull'attività dei Tribunali, tutti. Per tali procedure invero i termini non sono sospesi e le udienze si possono tenere. Questo significa dunque, che gli Uffici Giudiziari sono attivi e operanti sia per le procedure già in corso sia per quelle da doversi incardinare, anche se con riguardo alle misure citate, preme osservare che l'allontanare prioritariamente il violento lasciando la donna e i figli a casa, dovrebbe essere la soluzione principale sempre, non solo in tempi di virus. Oggi come ieri, Coronavirus o no, il problema rimane comunque la capacità di leggere e riconoscere la violenza, ed a parere di chi scrive, è proprio su questo che sarebbe necessario un maggior coordinamento, medio tempore, deputato alla realizzazione di una coscienza comune, tra cittadini ed istituzioni. Più nello specifico, tenendo a mente i diritti della persona all'interno del sistema famiglia, ed in ossequio a quanto stabilito dalla nostra Costituzione, si pensi all'art. 2, al dettato dell'art. 13 , al combinato disposto degli artt. 29 e 31 sull'uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, oltre che all'art. 8 della CEDU, che tutela il rispetto della vita privata e familiare, non v'è chi non veda - come necessariamente doveroso - sia da qualificarsi, in un clima emergenziale e del tutto peculiare come quello che stiamo vivendo, lo svolgimento di una forte attività di comunicazione e di sensibilizzazione sul territorio, affinché la vittima di violenza, già privata della sua dignità, oltre che dei diritti fondamentali citati, non lo sia anche dell'altrettanto importante diritto di ricevere una corretta informazione, obiettiva e qualificata, circa l'operatività e l'esistenza di meccanismi e strumenti all'uopo preposti per la sua salvaguardia.
a legge 898/1970, come modificata dalla Legge 74/1987 sancisce che "in caso di contestazioni sulle dichiarazioni dei redditi presentate o sulla documentazione prodotta afferente ai redditi ed al patrimonio personale e comune il Tribunale dispone indagini sui redditi, sui patrimoni e sull'effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria" . Dal testo della norma si comprende come l' intervento della polizia tributaria rappresenti un'ipotesi eccezionale e residuale. Esistono, infatti, specifici strumenti previsti dal codice di procedura civile che consentono al Giudice di acquisire importanti informazioni di natura patrimoniale come l'ordine di esibizione alla parte o al terzo (ex art. 210 c.p.c.), la richiesta di informazioni alla pubblica amministrazione (ex art. 213 c.p.c.) e la consulenza tecnica (ex art. 191 c.p.c.). In applicazione delle regole processuali sull'onere della prova, sono i coniugi ad essere tenuti a produrre i documenti relativi ai redditi ed alle sostanze patrimoniali . Sarà poi eventualmente il tribunale, in caso di contestazioni, a disporre indagini più approfondite , ciò traducendosi in una deroga alle regole generali sull'onere della prova. Esistono alcune significative sentenze della Corte di Cassazione che hanno elaborato il principio secondo cui il giudice, potendosene avvalere, non può rigettare le richieste delle parti relative al riconoscimento ed alla determinazione dell'assegno sotto il profilo della mancata dimostrazione da parte loro degli assunti sui quali le richieste si basano; in tal caso il giudice avrebbe l'obbligo di disporre accertamenti d'ufficio , avvalendosi anche della polizia tributaria . Ciò non significa assolutamente che esiste un vero e proprio "obbligo" di accertamento della situazione patrimoniale tramite la polizia tributaria. Infatti, le indagini di polizia tributaria sono un mezzo istruttorio ed in quanto tale possono essere disposte solo qualora il Giudice lo ritenga rilevante, necessario per la decisione e non meramente defatigatorio. In particolare, molti Tribunali respingono correttamente la richiesta di indagini di polizia tributaria - ritenendola "defatigatoria, pretestuosa ed esplorativa (perché tesa a supplire all'onere probatorio del ricorrente)" - in quanto il richiedente si era limitato a contestare le dichiarazioni dei redditi della controparte "senza addurre alcun elemento di prova" . In realtà, il potere del Tribunale di avvalersi della Polizia Tributaria rientra nella sua discrezionalità e non può essere considerato anche come un dovere imposto sulla base della semplice contestazione delle parti in ordine alle loro rispettive condizioni economiche. Tale principio è avvalorato e rafforzato anche da quanto disposto dall'art. 187 cod. proc. civ., che affida al giudice la facoltà di ammettere i mezzi di prova proposti dalle parti e di ordinare gli altri che può disporre d'ufficio, previa valutazione della loro rilevanza e concludenza. In applicazione di quanto statuito dalla legge sul divorzio la "contestazione" della veridicità delle affermazioni rese dall'altro coniuge sulla propria situazione reddituale e patrimoniale è condizione necessaria ma non sufficiente a far scattare il potere del Giudice di disporre indagini alla polizia tributaria . La legge 54/2006 ha sancito che ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi, norma che trova applicazione, in forza dell'art. 4 comma 2° della Legge 54/2006, "anche in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio, nonché ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati" . A differenza di quanto espresso nella legge sul divorzio la legge 54/2006 ai fini della disposizione delle indagini sembrerebbe non richiedere una "contestazione" della documentazione prodotta, bensì la sola insufficienza della medesima documentazione rispetto alle informazioni fornite dagli stessi genitori. La dichiarazione dei redditi prodotta dalle parti di per sé non ha valore probatorio vincolante per il giudice. Essa ha carattere di semplice elemento indiziario lasciato alla discrezionale valutazione del giudice del merito che può legittimamente disattenderla fondando il proprio convincimento su altre risultanze probatorie, comprese le nozioni di comune esperienza e le presunzioni semplici. Nonostante la diversa formulazione letterale rispetto alla legge sul divorzio, lo scrivente ritiene che il carattere di residualità del ricorso alla polizia tributaria valga anche per quanto concerne la disciplina dettata dalla legge 54/2006. Difatti, sebbene l'eccezionalità sia sparita dal testo della legge, questa rimane come corollario logico del generale principio di "disponibilità delle prove" (art. 115 c.p.c.) che, anche coordinato con le disposizioni successive (artt. 116, 117, 118 c.p.c.), configura come eccezionale il ricorso all'esercizio di poteri officiosi e impone al Giudice di graduare la propria ingerenza nella sfera privata secondo le circostanze richieste dal caso specifico. Le indagini demandate dal giudice civile agli organi di polizia tributaria potranno riguardare: - l'acquisizione e la comunicazione di dati ed informazioni. I sistemi informativi (Anagrafe tributaria, Camere di Commercio, Pubblico Registro Automobilistico, Conservatoria dei Registri immobiliari, archivi delle forze dell'ordine, ecc.); - l'acquisizione di dati meno evidenti riferiti situazione reddituale e patrimoniale del soggetto interessato e che si riflettono più direttamente sul suo tenore di vita (iscrizione a circoli esclusivi, frequenza di viaggi o di sostituzione dell'autovettura, disponibilità di natanti, cavalli da corsa, collaboratori domestici, ecc). Particolare importanza rivestono le indagini bancarie condotte non soltanto sui conti "noti ed ufficiali" ma anche sulle posizioni "occulte" ; trattasi di elementi che possono essere indicativi di una capacità reddituale e/o patrimoniale in tutto o in parte difforme rispetto a quella immediatamente apparente. Saranno oggetto di indagine, anche le eventuali società di cui il soggetto è socio o nelle quali riviste una carica sociale ponendo particolare attenzione ai bilanci della società, anche al fine di esaminarne il fatturato, gli utili annuali e i motivi per i quali gli eventuali utili non vengono distribuiti ai soci. Spesso la decisione di non distribuire gli utili annuali è frutto della determinazione del socio di maggioranza o di colui che riveste nella compagine sociale un ruolo apicale proprio al fine di evitare che gli eventuali utili determinino un aumento del reddito del soggetto persona fisica. La nuova formulazione dell'art. 155 c.c. permette inequivocabilmente di estendere le indagini ai beni di soggetti terzi rispetto alle parti processuali; il tenore letterale della disposizione non preclude accertamenti riguardanti anche i redditi "intestati" ai terzi, i quali possono assumere notevole rilevanza dato che spesso si è assistito a un considerevole aumento nel reddito dei familiari del coniuge onerato, inversamente proporzionale alla riduzione degli introiti percepiti da quest'ultimo. E' opportuno, a giudizio dello scrivente, che qualora l'attività investigativa appaia particolarmente complessa sotto il profilo contabile, la parte chieda al giudice di affiancare alla polizia tributaria anche un Consulente Tecnico di Ufficio (in questo caso si tratterà di un commercialista o, comunque, di un esperto contabile).
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Valentina Di Bartolomeo
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