Il caso.
I
parenti di una vittima citano in giudizio il medico radiologo, i medici del
pronto soccorso e la struttura ospedaliera per vedere riconosciuto il diritto
al risarcimento dei danni a seguito del decesso del loro congiunto per asserita
responsabilità sanitaria. Il paziente, coinvolto in un sinistro stradale,
accedeva al pronto soccorso. I medici colpevolmente non diagnosticavano una frattura
delle ossa del bacino, e in conseguentemente, non somministravano eparina,
farmaco necessario a prevenire la trombosi. Il paziente decedeva a seguito di
trombosi polmonare conseguente alla frattura ossea rilevata solo
successivamente al decesso.
Da
qui la pretesa responsabilità del medico radiologo per l'omessa diagnosi e dei
medici del pronto soccorso per l'omessa somministrazione farmacologica,
unitamente alla responsabilità della struttura sanitaria. In sede penale fu
rilevata la non colpevolezza dei sanitari.
In
sede civile la Corte di Appello faceva proprie le risultanze del processo
penale e riteneva non ascrivibile ai medici alcuna responsabilità per colpa e,
comunque, non dimostrato il nesso di causa tra le omissioni contestate e
l'evento morte.
Le
questioni giuridiche
Quali
responsabilità sanitarie per la morte di una persona a seguito di trombosi
dovuta ad omessa adozione di presidi farmacologici? In particolare, se a
seguito di una frattura alle ossa del bacino in occasione di un sinistro
stradale, il paziente decede a causa di una trombosi conseguenza della stasi
imposta al paziente, chi risponde? Il medico radiologo che non ha rilevato la
fattura e/o i medici del pronto soccorso che avrebbero dovuto prevedere la
prolungata immobilità del paziente e il rischio di trombo-embolia polmonare?
La
decisione della Corte.
La
Cassazione fa chiarezza sulle questioni poste, distinguendo le diverse
posizioni del radiologo e dei medici di pronto soccorso in ordine alle
omissioni ascritte di diagnosi della frattura e di terapia farmacologica.
Sulla
responsabilità del medico radiologo per omessa diagnosi della frattura ossea.
Innanzitutto, è da vagliare la posizione del medico radiologo che non ha
riscontrato la frattura a seguito del sinistro stradale. La sua responsabilità appare
certa ed inconfutabile per errata o omessa diagnosi. Nel caso concreto,
tuttavia, non si configura: infatti, è stato accertato che gli esami
radiografici eseguiti non evidenziavano alcuna frattura delle ossa del bacino
tali da suggerire indagini più approfondite. Quindi, non era possibile
configurare alcuna colpa del professionista.
In
particolare, pur essendo stata disposta una radiologia a campo allargato sino
al bacino, la frattura della branca ileo-pubica non era visibile, poiché non vi
era allontanamento dei margini ossei. Dunque, la diagnosi iniziale del medico
radiologo (negativa per la frattura) doveva ritenersi corretta e rientrante
nella media della preparazione professionale dello specialista, sia per il
momento temporale in cui fu formulata, sia per la documentazione allora
disponibile. Consegue l'assenza di colpa e, quindi, di responsabilità del
medico radiologo.
Sulla
responsabilità dei medici del pronto soccorso. Teoricamente, se non vi fu colpa
del medico radiologo nell'omessa diagnosi della frattura, ci si aspetterebbe il
riconoscimento dell'assenza di colpa anche per gli altri medici (diversi dal
radiologo) del pronto soccorso. Infatti, se il decesso è avvenuto a seguito di
trombosi per la stasi cui fu costretto il paziente per la frattura (non
diagnosticabile in quel momento), dovrebbe venir meno anche la responsabilità
degli altri medici.
Non
è così!
I
medici del pronto soccorso, sulla base della condizione clinica, avrebbero
dovuto comprendere la prospettiva verosimile di una persistente condizione di
stasi del paziente per un tempo ragionevolmente prolungato in considerazione
della rilevantissima sintomatologia dolorosa riportata dal paziente stesso?
La
risposta a questa domanda, proprio per quanto riportato nelle risultanze delle
CTU dei precedenti gradi di giudizio deve essere necessariamente affermativa. Nella
relazione tecnica in sede penale si precisava che un'eventuale terapia
eparinica avrebbe probabilmente evitato la formazione del trombo e, quindi, la
morte del paziente. Ugualmente il consulente del giudice civile aveva ritenuto
la terapia eparinica fosse idonea a proteggere il paziente nel 68/70% dei casi
e che solo in via residuale la terapia non avrebbe evitato l'esito nefasto
Secondo
la Cassazione (sez. III civile, sent., 14 marzo 2022, n.
8114) la prevedibile formazione di una trombo-embolia polmonare dovuta alla
prolungata immobilità del paziente a causa del trauma subito avrebbe dovuto
necessariamente indurre i medici ad assumere le idonee terapie farmacologiche
(tra cui la somministrazione di eparina) indipendentemente dalla frattura ossea
non diagnosticata o diagnosticabile: l'immobilizzazione del paziente
costituisce un fattore di rischio di trombosi. La trombosi è stata accertata
dai giudici di merito come causa del decesso.
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