Pubblicazione legale:
ASSEGNAZIONE TEMPORANEA DEI DIPENDENTI PUBBLICI GENITORI DI UN BAMBINO FINO A TRE ANNI
L’art. 42 bis della legge 26 marzo 2001 n. 151 (recante il Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità), perseguendo l’esigenza di tutelare l’istituto della famiglia, nonché la tutela del fanciullo, alla stregua dei principi costituzionali e comunitari in materia, disciplina, in generale, il “riavvicinamento familiare” e cioè l’assegnazione temporanea (per un periodo non superiore a tre anni) dei lavoratori dipendenti dalle Amministrazioni Pubbliche ad una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale l’altro genitore esercita la propria attività lavorativa.
Prevede, quindi, per i dipendenti pubblici, genitori di un bambino fino a tre anni, una particolare ed ulteriore forma di mobilità, volta a ricongiungere i genitori del bambino, favorendo concretamente la loro presenza durante i primi anni di vita del proprio figlio, che rappresentano la fase più delicata per la sua formazione. Vuole così predisporre una tutela forte a presidio di valori fondamentali e costituzionalmente garantiti inerenti la famiglia (art. 29, 30, 31 e 37 Cost.), ed in particolare la cura dei figli minori nei primi anni di vita.
L’applicazione del beneficio presuppone, inoltre, sotto il profilo oggettivo, la vacanza e la disponibilità di posti di corrispondente posizione retributiva, nonché l’assenso delle amministrazioni di provenienza e di destinazione, allo scopo di contemperare i diritti su indicati, appartenenti al singolo, con le esigenze di buon andamento ed organizzazione della Pubblica Amministrazione, evitando, così, che i servizi e la funzionalità degli uffici possano risultare compromessi dalle richieste del dipendente, seppur legittime.
La ratio della norma di cui all’art. 42-bis è, quindi, quella di intervenire in favore della famiglia e del fanciullo con un provvedimento di temporanea assegnazione del dipendente ad altra sede, salvaguardando, peraltro, contestualmente, le esigenze organizzative e funzionali dell’amministrazione pubblica, chiamata a verificare, in concreto, che la concessione del beneficio non rechi pregiudizio per la stessa, attraverso una valutazione comparativa delle situazioni organizzative sia della sede di servizio del dipendente che di quella richiesta con l’istanza di assegnazione.
Tuttavia, considerati i valori fondamentali e costituzionalmente garantiti della famiglia e del fanciullo, il necessario assenso da parte delle amministrazioni di provenienza e di destinazione, non costituisce un mero potere discrezionale, svincolato dal controllo giurisdizionale e da qualsiasi sindacato, ma una facoltà che non può essere esercitata decidendo in modo arbitrario e strumentale a danno dei suddetti diritti costituzionali.
Infatti, a tutela della posizione del dipendente contro provvedimenti, appunto, arbitrari e strumentali, la norma in questione prevede, espressamente, l’obbligo dell’Amministrazione di motivare adeguatamente l’eventuale diniego, in modo tale che, potendo valutare la congruenza e la consistenza delle ragioni addotte, il dipendente possa verificare e, eventualmente, contestare in sede giurisdizionale, la correttezza e la legittimità del provvedimento.
Tale obbligo di motivazione consente il necessario equilibrio tra interesse e diritti (costituzionalmente garantiti) del richiedente da un lato e arbitraria discrezione amministrativa dall’altro.
In sintonia con quanto precede, sia la giurisprudenza che la dottrina di riferimento hanno ormai chiarito che, qualora sussistano i requisiti oggettivi citati dalla legge, le amministrazioni coinvolte hanno l’obbligo di dare il proprio assenso all’istanza di assegnazione del dipendente (Tribunale Reggio Emilia, 09 novembre 2005: “La disciplina dell’art. 42 bis D. Lgs. n. 151/2001(…), in presenza degli specifici requisiti, configura un diritto soggettivo in capo allo stesso lavoratore richiedente e non una mera facoltà in capo all’amministrazione di concedere discrezionalmente il trasferimento di sede, alla luce del principio di completezza dell’ordinamento giuridico che non ammette vuoti normativi ne’ norme inutili o ridondanti. (…): la carenza di una congrua motivazione nel diniego al trasferimento temporaneo, consente quindi al giudice di disapplicare gli atti amministrativi posti in essere dall’amministrazione di destinazione, oltre che di ordinare l’invocata temporanea assegnazione”).
Inoltre, è indiscusso l’obbligo dell’Amministrazione di accogliere, comunque, la richiesta di assegnazione provvisoria, salvo il caso concreto dell’effettivo ed immediato disagio per l’ufficio interessato, che deve essere riportato nella motivazione, indicando esattamente gli specifici ed oggettivi, nonché prevalenti, impedimenti alla richiesta di assegnazione (Trib. Novara, 29 giugno 2009: “(…) la norma impome all’amministrazione non solo di comunicare il proprio dissenso, ma anche, nell’utilizzo del suo potere discrezionale nell’esame della domanda del richiedente, di analizzare con particolare attenzione la situazione dell’ufficio di provenienza, dandone specificatamente conto nella motivazione, al fine di consentire la valutazione se ed in che termini l’accoglimento della domanda porterebbe all’ufficio di appartenenza un concreto, effettivo e irrimediabile disagio, tale da indurre a ritenere che esigenze di servizio debbano prevalere sulla tutela della maternità, costituzionalmente sancita, e dell’unità familiare, previste dalla norma di cui è invocata l’applicazione”).
Considerata, infatti, la natura costituzionale dei valori fondamentali della famiglia e del fanciullo tutelati dal citato art. 42 bis, il diniego dell’istanza deve, necessariamente, ritenersi illegittimo in mancanza di un effettivo e irrimediabile disagio per l’amministrazione.
Inoltre, deve sempre essere adeguatamente motivato e dimostrato in modo preciso e concreto, affinchè possa valutarsi l’esistenza di un concreto ed effettivo disagio per l’amministrazione, a causa dell’accoglimento della domanda, tale da indurre a ritenere che esigenze di servizio debbano prevalere sulla tutela dei diritti costituzionalmente garantiti della famiglia e del fanciullo.
Anche la Suprema Corte ha confermato che il diniego da parte dell’Amministrazione può essere giustificato solo quando il distaccamento di un dipendente comporta una lesione consistente delle proprie esigenze economiche, produttive ed organizzative, tale che, nel contemperamento degli interessi in gioco, la tutela dell’integrità dei figli e della famiglia non risulti prioritaria e prevalente rispetto al contributo lavorativo fornito dal dipendente (Cass. Sez. Un.. sent. n. 16102 del 9.07.2009).
Avv. Vincenzo de Crescenzo
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