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Vincenzo De Crescenzo

Avvocato civilista

Informazioni generali

Mi chiamo Vincenzo de Crescenzo, lavoro come avvocato da oltre dieci anni e mi sono sempre occupato di diritto civile (obbligazioni e contratti, proprietà, famiglia e sucessioni), commerciale, lavoro e previdenza, conseguendo anche vari titoli accademici di specializzazione nel settore. I miei clienti sono sia privati che aziende. Professionalità e trasparenza sono i valori su cui baso un rapporto strettamente fiduciario con i miei assistiti, ricercando sempre soluzioni che garantiscano il miglior risultato, tempi rapidi ed un prezzo equo. Posso assicurare ampia tutela su tutto il territorio nazionale, anche in videochiamata.

Esperienza


Diritto del lavoro

Nel 2010 ho conseguito la Specializzazione Universitaria in “Discipline del lavoro, sindacali e della sicurezza sociale” e da vari anni collaboro con alcune organizazioni sindacali. Mi occupo di impiego pubblico e privato, procedimenti disciplinari, licenziamenti, demansionamento e/o mobbing, differenze retributive, trasferimenti e/o mobilità, malattie e infortuni, contratti di appalto e concorsi pubblici.


Diritto civile

Mi sono sempre occupato di diritto civile, sin dagli anni della formazione e collaborazione presso altri studi legali, trattando pratiche relative al recupero crediti, esecuzioni mobiliari ed immobiliari, sinistri stradali, locazioni, sfratti, proprietà, condominio, e molti altri casi tipici. Il diritto civile e privato, in genere, rappresenta, quindi, il settore in cui ho maggiormente lavorato, maturando una particolare conoscenza ed attitudine.


Diritto di famiglia

Nel corso degli anni, ho maturato una importante esperienza nel diritto di famiglia, che è quel ramo del diritto privato afferente ai rapporti personali e patrimoniali tra i coniugi, ai rapporti di filiazione, parentela e more uxorio. In particolare, mi occupo di separazione e divorzio, obblighi alimentari e di mantenimento, modifica delle condizioni di separazione o divorzio, decadenza dalla responsabilità genitoriale, interdizione e inabilitazione. Le liti familiari sono, in genere, molto delicate e trovare la soluzione più adatta richiede particolare sensibilità ed attitudine che i miei assistiti spesso mi riconoscono.


Altre categorie

Diritto commerciale e societario, Mediazione, Previdenza, Mobbing, Sicurezza ed infortuni sul lavoro, Licenziamento, Separazione, Divorzio, Matrimonio, Recupero crediti, Pignoramento, Contratti, Locazioni, Sfratto, Fallimento e proc. concorsuali, Malasanità e responsabilità medica, Eredità e successioni, Diritto immobiliare, Edilizia ed urbanistica, Diritto condominiale, Incidenti stradali, Arbitrato, Negoziazione assistita, Incapacità giuridica, Domiciliazioni, Risarcimento danni.



Credenziali

Titolo professionale

Diploma di Master di II livello in “Discipline del lavoro, sindacali e della sicurezza sociale”,

Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” - 3/2010

Master Universitario di specializzazione sul diritto del lavoro e della previdenza, di durata annuale, con frequenza obbligatoria e prova conclusiva scritta e orale.

Pubblicazione legale

Cenni sull’obbligo del green pass per i lavoratori nel settore privato

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In ottemperanza a quanto disposto dal Decreto Legge del 21 settembre 2021 n. 127, che ha introdotto l’obbligo di Green Pass nei luoghi di lavoro, a decorrere dal 15 ottobre 2021 e fino al termine dello stato di emergenza, al fine di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori nel luogo di lavoro, prevenendo la diffusione dell’infezione da SARS-CoV-2, tutti i soggetti che svolgono, a qualsiasi titolo, un’attività lavorativa nel settore privato, anche se prestano la propria attività sulla base di contratti esterni, devono munirsi di Green Pass (la certificazione verde), con l’obbligo di esibirlo a semplice richiesta da parte del proprio datore di lavoro o del datore di lavoro nei cui confronti l’attività viene resa, che ha l’obbligo di accertarsi che le disposizioni sul Green Pass vengano effettivamente rispettate nei propri luoghi di lavoro. Per ottenere il Green Pass, con la possibilità, quindi, di accedere ai luoghi di lavoro, occorre provare di essersi vaccinati contro il SARS-COV2 o di essere guariti dall’infezione o di aver effettuato un test molecolare o antigenico rapido con risultato negativo al virus. L’obbligo di certificazione verde viene meno solo e quando il lavoratore è in possesso di apposita certificazione di esenzione alla vaccinazione anti SARS-COV-2, rilasciata in presenza di specifiche e documentate condizioni cliniche, per cui la vaccinazione risulti controindicata, anche solo temporaneamente. In conseguenza dell’obbligo di Green Pass nei luoghi di lavoro, il datore di lavoro ha, innanzitutto, il dovere, inderogabile, di predisporre, anche se con una certa libertà d’azione, le necessarie misure tecniche ed organizzative per effettuare i relativi controlli, delegando formalmente gli incaricati ai controlli stessi, possibilmente prima dell’ingresso nel luogo di lavoro, anche a campione, purché effettuati ogni giorno su almeno il 20% dei dipendenti. In merito, invece, al trattamento sanzionatorio, i lavoratori nel settore privato, nel caso in cui comunicassero di non essere in possesso della certificazione verde COVID-19 o risultassero privi della predetta certificazione al momento dell’accesso al luogo di lavoro, sarebbero considerati assenti ingiustificati fino alla presentazione della predetta certificazione. Non avrebbero conseguenze disciplinari, né sarebbero soggetti a sospensione e, soprattutto, avrebbero, comunque, diritto alla conservazione del rapporto di lavoro, ma senza retribuzione né altro compenso. I lavoratori in aziende con meno di 15 dipendenti, dopo il quinto giorno di assenza ingiustificata, in quanto sprovvisti di Green Pass, sarebbero sospesi e il datore di lavoro potrebbe sostituirli per tutta la durata del contratto di sostituzione che, tuttavia, non può essere superiore a 10 giorni, rinnovabili per una sola volta. In ogni caso, i lavoratori che, in elusione dei controlli, fossero trovati privi di Green Pass, sarebbero passibili di sanzione da 600 a 1.500 euro. I datori di lavoro, invece, qualora le autorità preposte riscontrassero nei luoghi di lavoro la presenza di lavoratori sprovvisti di Green Pass, rischierebbero una sanzione da 400 a 1000 euro, salvo dimostrare di aver effettuato i controlli, comunque, nel rispetto di adeguati modelli organizzativi come previsto dal decreto legge 127/2021. In ogni caso, si tratta di sanzioni amministrative di competenza del Prefetto, a cui il Decreto Green Pass affida il compito di accertare le violazioni di cui ha ricevuto comunicazione da parte del datore di lavoro o del suo delegato, tenuti a redigere una sorta di verbale di constatazione dell’illecito rilevato, con tutte le informazioni necessarie per consentire l’applicazione delle previste sanzioni. Il Prefetto, dunque, è l’autorità incaricata di contestare, mediante notifica, l’illecito rilevato dall’accertamento ad opera del datore di lavoro o del suo delegato, con irrogazione delle relative sanzioni. Il datore di Lavoro è, invece, responsabile della predisposizione e attuazione della procedura e della formale designazione dell’incaricato al controllo che, in quanto responsabile dell’attività di controllo, rilevata la violazione, deve comunicare al datore di lavoro l’inadempienza senza copiare, registrare o conservare alcun dato relativo al soggetto verificato, se non i soli dati anagrafici identificativi ai fini della trasmissione del verbale al Prefetto. Riguardo la privacy, infatti, il Garante ha opportunamente specificato che, sia in caso di controllo manuale (per mezzo di incaricato) che in caso di apparecchiatura elettronica (specifiche applicazioni), “l’attività di verifica non dovrà comportare la raccolta di dati dell’interessato in qualunque forma, ad eccezione di quelli strettamente necessari, in ambito lavorativo, all’applicazione delle misure derivanti dal mancato possesso della certificazione. Il sistema utilizzato per la verifica del green pass non dovrà conservare il QR code delle certificazioni verdi sottoposte a verifica, né estrarre, consultare registrare o comunque trattare per altre finalità le informazioni rilevate”. San Salvo, 8 novembre 2021. Avv. Vincenzo de Crescenzo

Pubblicazione legale

Assegnazione temporanea dipendenti pubblici

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ASSEGNAZIONE TEMPORANEA DEI DIPENDENTI PUBBLICI GENITORI DI UN BAMBINO FINO A TRE ANNI L’art. 42 bis della legge 26 marzo 2001 n. 151 (recante il Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità), perseguendo l’esigenza di tutelare l’istituto della famiglia, nonché la tutela del fanciullo, alla stregua dei principi costituzionali e comunitari in materia, disciplina, in generale, il “riavvicinamento familiare” e cioè l’assegnazione temporanea (per un periodo non superiore a tre anni) dei lavoratori dipendenti dalle Amministrazioni Pubbliche ad una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale l’altro genitore esercita la propria attività lavorativa. Prevede, quindi, per i dipendenti pubblici, genitori di un bambino fino a tre anni, una particolare ed ulteriore forma di mobilità, volta a ricongiungere i genitori del bambino, favorendo concretamente la loro presenza durante i primi anni di vita del proprio figlio, che rappresentano la fase più delicata per la sua formazione. Vuole così predisporre una tutela forte a presidio di valori fondamentali e costituzionalmente garantiti inerenti la famiglia (art. 29, 30, 31 e 37 Cost.), ed in particolare la cura dei figli minori nei primi anni di vita. L’applicazione del beneficio presuppone, inoltre, sotto il profilo oggettivo, la vacanza e la disponibilità di posti di corrispondente posizione retributiva, nonché l’assenso delle amministrazioni di provenienza e di destinazione, allo scopo di contemperare i diritti su indicati, appartenenti al singolo, con le esigenze di buon andamento ed organizzazione della Pubblica Amministrazione, evitando, così, che i servizi e la funzionalità degli uffici possano risultare compromessi dalle richieste del dipendente, seppur legittime. La ratio della norma di cui all’art. 42-bis è, quindi, quella di intervenire in favore della famiglia e del fanciullo con un provvedimento di temporanea assegnazione del dipendente ad altra sede, salvaguardando, peraltro, contestualmente, le esigenze organizzative e funzionali dell’amministrazione pubblica, chiamata a verificare, in concreto, che la concessione del beneficio non rechi pregiudizio per la stessa, attraverso una valutazione comparativa delle situazioni organizzative sia della sede di servizio del dipendente che di quella richiesta con l’istanza di assegnazione. Tuttavia, considerati i valori fondamentali e costituzionalmente garantiti della famiglia e del fanciullo, il necessario assenso da parte delle amministrazioni di provenienza e di destinazione, non costituisce un mero potere discrezionale, svincolato dal controllo giurisdizionale e da qualsiasi sindacato, ma una facoltà che non può essere esercitata decidendo in modo arbitrario e strumentale a danno dei suddetti diritti costituzionali. Infatti, a tutela della posizione del dipendente contro provvedimenti, appunto, arbitrari e strumentali, la norma in questione prevede, espressamente, l’obbligo dell’Amministrazione di motivare adeguatamente l’eventuale diniego, in modo tale che, potendo valutare la congruenza e la consistenza delle ragioni addotte, il dipendente possa verificare e, eventualmente, contestare in sede giurisdizionale, la correttezza e la legittimità del provvedimento. Tale obbligo di motivazione consente il necessario equilibrio tra interesse e diritti (costituzionalmente garantiti) del richiedente da un lato e arbitraria discrezione amministrativa dall’altro. In sintonia con quanto precede, sia la giurisprudenza che la dottrina di riferimento hanno ormai chiarito che, qualora sussistano i requisiti oggettivi citati dalla legge, le amministrazioni coinvolte hanno l’obbligo di dare il proprio assenso all’istanza di assegnazione del dipendente (Tribunale Reggio Emilia, 09 novembre 2005: “La disciplina dell’art. 42 bis D. Lgs. n. 151/2001(…), in presenza degli specifici requisiti, configura un diritto soggettivo in capo allo stesso lavoratore richiedente e non una mera facoltà in capo all’amministrazione di concedere discrezionalmente il trasferimento di sede, alla luce del principio di completezza dell’ordinamento giuridico che non ammette vuoti normativi ne’ norme inutili o ridondanti. (…): la carenza di una congrua motivazione nel diniego al trasferimento temporaneo, consente quindi al giudice di disapplicare gli atti amministrativi posti in essere dall’amministrazione di destinazione, oltre che di ordinare l’invocata temporanea assegnazione”). Inoltre, è indiscusso l’obbligo dell’Amministrazione di accogliere, comunque, la richiesta di assegnazione provvisoria, salvo il caso concreto dell’effettivo ed immediato disagio per l’ufficio interessato, che deve essere riportato nella motivazione, indicando esattamente gli specifici ed oggettivi, nonché prevalenti, impedimenti alla richiesta di assegnazione (Trib. Novara, 29 giugno 2009: “(…) la norma impome all’amministrazione non solo di comunicare il proprio dissenso, ma anche, nell’utilizzo del suo potere discrezionale nell’esame della domanda del richiedente, di analizzare con particolare attenzione la situazione dell’ufficio di provenienza, dandone specificatamente conto nella motivazione, al fine di consentire la valutazione se ed in che termini l’accoglimento della domanda porterebbe all’ufficio di appartenenza un concreto, effettivo e irrimediabile disagio, tale da indurre a ritenere che esigenze di servizio debbano prevalere sulla tutela della maternità, costituzionalmente sancita, e dell’unità familiare, previste dalla norma di cui è invocata l’applicazione”). Considerata, infatti, la natura costituzionale dei valori fondamentali della famiglia e del fanciullo tutelati dal citato art. 42 bis, il diniego dell’istanza deve, necessariamente, ritenersi illegittimo in mancanza di un effettivo e irrimediabile disagio per l’amministrazione. Inoltre, deve sempre essere adeguatamente motivato e dimostrato in modo preciso e concreto, affinchè possa valutarsi l’esistenza di un concreto ed effettivo disagio per l’amministrazione, a causa dell’accoglimento della domanda, tale da indurre a ritenere che esigenze di servizio debbano prevalere sulla tutela dei diritti costituzionalmente garantiti della famiglia e del fanciullo. Anche la Suprema Corte ha confermato che il diniego da parte dell’Amministrazione può essere giustificato solo quando il distaccamento di un dipendente comporta una lesione consistente delle proprie esigenze economiche, produttive ed organizzative, tale che, nel contemperamento degli interessi in gioco, la tutela dell’integrità dei figli e della famiglia non risulti prioritaria e prevalente rispetto al contributo lavorativo fornito dal dipendente (Cass. Sez. Un.. sent. n. 16102 del 9.07.2009). Avv. Vincenzo de Crescenzo

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