Vincenzo De Crescenzo

Avvocato civilista




Informazioni generali

Mi chiamo Vincenzo de Crescenzo, lavoro come avvocato da oltre dieci anni e mi sono sempre occupato di diritto civile (obbligazioni e contratti, proprietà, famiglia e sucessioni), commerciale, lavoro e previdenza, conseguendo anche vari titoli accademici di specializzazione nel settore. I miei clienti sono sia privati che aziende. Professionalità e trasparenza sono i valori su cui baso un rapporto strettamente fiduciario con i miei assistiti, ricercando sempre soluzioni che garantiscano il miglior risultato, tempi rapidi ed un prezzo equo. Posso assicurare ampia tutela su tutto il territorio nazionale, anche in videochiamata.

Esperienza


Diritto di famiglia

Nel corso degli anni, ho maturato una importante esperienza nel diritto di famiglia, che è quel ramo del diritto privato afferente ai rapporti personali e patrimoniali tra i coniugi, ai rapporti di filiazione, parentela e more uxorio. In particolare, mi occupo di separazione e divorzio, obblighi alimentari e di mantenimento, modifica delle condizioni di separazione o divorzio, decadenza dalla responsabilità genitoriale, interdizione e inabilitazione. Le liti familiari sono, in genere, molto delicate e trovare la soluzione più adatta richiede particolare sensibilità ed attitudine che i miei assistiti spesso mi riconoscono.


Diritto civile

Mi sono sempre occupato di diritto civile, sin dagli anni della formazione e collaborazione presso altri studi legali, trattando pratiche relative al recupero crediti, esecuzioni mobiliari ed immobiliari, sinistri stradali, locazioni, sfratti, proprietà, condominio, e molti altri casi tipici. Il diritto civile e privato, in genere, rappresenta, quindi, il settore in cui ho maggiormente lavorato, maturando una particolare conoscenza ed attitudine.


Diritto del lavoro

Nel 2010 ho conseguito la Specializzazione Universitaria in “Discipline del lavoro, sindacali e della sicurezza sociale” e da vari anni collaboro con alcune organizazioni sindacali. Mi occupo di impiego pubblico e privato, procedimenti disciplinari, licenziamenti, demansionamento e/o mobbing, differenze retributive, trasferimenti e/o mobilità, malattie e infortuni, contratti di appalto e concorsi pubblici.


Altre categorie:

Diritto commerciale e societario, Mediazione, Divorzio, Eredità e successioni, Separazione, Matrimonio, Recupero crediti, Pignoramento, Contratti, Mobbing, Sicurezza ed infortuni sul lavoro, Licenziamento, Locazioni, Sfratto, Fallimento e proc. concorsuali, Previdenza, Malasanità e responsabilità medica, Diritto immobiliare, Edilizia ed urbanistica, Diritto condominiale, Incidenti stradali, Arbitrato, Negoziazione assistita, Incapacità giuridica, Domiciliazioni, Risarcimento danni.


Referenze

Pubblicazione legale

Strumenti giuridici a tutela delle condizioni di separazione o divorzio e affidamento dei figli

Pubblicato su IUSTLAB

STRUMENTI GIURIDICI A TUTELA DELLE CONDIZIONI DI SEPARAZIONE O DIVORZIO E AFFIDAMENTO DEI FIGLI Contro la violazione, da parte del proprio coniuge o ex coniuge, delle condizioni stabilite per la separazione personale o il divorzio (cessazione degli effeti civili o scioglimento del matrimonio) , comprese quelle sull’affidamento e mantenimento dei figli, il nostro ordinamento giuridico prevede varie forme di tutela, in sede civile e penale. Le condizioni stabilite in sede giudiziale, quindi, da un provvedimento del giudice (sentenza o decreto di omologa), in seguito alla presentazione di un ricorso in Tribunale, per la separazione o il divorzio o la modifica delle condizioni ivi stabilite, così come anche l’accordo mediante la negoziazione assistita, costituiscono titolo esecutivo , pertanto, in caso di inadempienza, consentono di agire immediatamente in via esecutiva, senza dover ottenere un’ulteriore pronuncia giurisdizionale, o, comunque, di ricorrere a procedimenti particolarmente snelli e rapidi, al fine di ottenere il rispetto delle prescrizioni ivi contenute. In particolare, quando l’obbligo di corrispondere un assegno di mantenimento nei confronti dell’altro coniuge o ex coniuge, è stabilito da un provvedimento giudiziale, qualora l’obbligato non provveda (anche in seguito a formale lettera di diffida e messa in mora), è possibile, in virtù del suddetto titolo esecutivo, notificargli il cosiddetto atto di precetto ed avviare, così, l’esecuzione forzata per il recupero coattivo delle somme arretrate non corrisposte. Trascorsi, infatti, inutilmente, dieci giorni dalla notificazione dell’atto di precetto, è possibile procedere con il pignoramento mobiliare e immobiliare dei beni del debitore. Il pignoramento può riguardare, ad esempio, l’autovettura o un’abitazione, ma, soprattutto, lo stipendio del coniuge o ex coniuge, mediante il pignoramento presso terzi. Si noti, in merito, come, per un recente orientamento giurisprudenziale (Cass. 11316/2011), lo stesso procedimento, previa notifica dell’atto di precetto, sia possibile, in alternativa al ricorso per decreto ingiuntivo, anche per il recupero di quelle spese straordinarie per i figli considerate, comunque, prevedibili, in quanto routinarie (come le spese mediche e scolastiche), rispondendo ad ordinarie e prevedibili esigenze di mantenimento del figlio, a tal punto dall’avere la certezza del loro verificarsi, pur non essendo ricomprese nell’assegno forfettizzato di mantenimento. Inoltre, ai sensi dell'art. 156, comma 5 e 6 del codice civile, il provvedimento di separazione costituisce titolo idoneo pr l’iscrizione di ipoteca giudiziale e consente di chiedere il sequestro ma, soprattutto, l'ordine di pagamento diretto nei confronti del terzo debitore dell'obbligato, come, ad esempio, il datore di lavoro. E’ possibile, cioè, chiedere al giudice, in caso di reiterato inadempimento del coniuge obbligato, di ordinare al suo datore di lavoro di versare direttamente in proprio favore la somma corrispondente all’assegno di mantenimento stabilito, sottraendola dall’importo mensile dello stipendio corrisposto. Lo stesso è previsto, ex art. 8 comma 2, l. n. 898/1970, anche per il provvedimento di divorzio, che consente, addirittura, di chiedere il versamento diretto dell’assegno di mantenimento in via stragiudiziale, rivolgendosi, in caso di inadempimento dell’ex coniuge, anziché al giudice, direttamente al suo creditore o datore di lavoro. Il provvedimento giudiziale costituisce, inoltre, titolo necessario, anche, per presentare ricorso, ai sensi dell’art. 709 ter del codice di procedura civile , per la soluzione di ogni controversia insorta tra i genitori in ordine all’esercizio della potestà genitoriale o delle modalità dell’affidamento. Il Tribunale , in tal caso, accertati gravi inadempienze o atti pregiudizievoli per il minore o contrari alle modalità dell’affidamento, può modificare i provvedimenti in vigore, oltre che ammonire, sanzionare o condannare al risarimento danni il genitore inadempiente. Quando, invece, le condizioni di separazione o divorzio, soprattutto per una questione di economicità, sono stabilite in via stragiudiziale dalle parti, quindi, mediante la sottoscrizione di una scrittura privata, come può accadere, in particolare, per la modifica delle condizioni economiche già stabilite giudizialmente, l’atto sottoscritto, pur essendo ritenuto valido, purchè non leda diritti ed interessi dei minori, non costituisce titolo esecutivo e non consente di accedere alle forme di tutela giuridica sin qui esaminate. In particolare, se il coniuge o ex coniuge obbligato non provvede al mantenimento, il recupero delle somme, così, evetualmente, concordate, richiede un’attività più complessa e dispendiosa, essendo necessario conseguire, tramite un giudizio civile, il titolo esecutivo mancante, ossia il provvedimento giudiziale, in virtù del quale, poi, sarà possibile procedere con l’esecuzione forzata. È possibile e necessario, in tal caso, presentare in Tribunale un ricorso per decreto ingiuntivo, chiedendo al Giudice di ordinare il pagamento in proprio favore delle somme inevase riportate nell’accordo stragiudiziale. In seguito, ottenuto il decreto, anche se provvisoriamente esecutivo, sarà possibile notificare al debitore l’atto di precetto ed eventualmente quello di pignoramento. Tuttavia, l’eventualità e gli effetti di un accordo stragiudiziale tra le parti, riguarda, soprattutto, la separazione di una coppia di fatto, convivente more uxorio . A riguardo, occorre precisare, infatti, che, a differenza di quanto avviene per i coniugi, la separazione tra una coppia di fatto non necessita di alcun provvedimento. Inoltre, l’ex convivente non ha un obbligo di mantenimento verso l’altro (salvo quello degli alimenti, qualora questi versi in stato di bisogno, ma solo in caso di convivenza regolarizzata), tuttavia, in presenza di figli minori, è tenuto, in ogni caso, a contribuire al loro mantenimento ed occorre, come per i genitori sposati, regolamentarne l’affido, condiviso o meno, e tutto ciò che ne concerne. È possibile, quindi, anche stabilire, semplicemente, tra le parti, accordi verbali o, meglio, scritti. Una scrittura privata, infatti, in quanto prova delle obbligazioni reciprocamente assunte, consente, comunque, una certa tutela, in caso di inadempimento, ma non abbastanza e, comunque, come abbiamo già vsto per i coniugi, non quanto il titolo esecutivo costituito dal provvedimento giudiziale. Anche in questo caso, quindi, contro il mancato versamento dell’assegno di mantenimento concordato, in mancanza di un provvedimento giudiziale, è possibile prsentare in Tribunale un ricorso per decreto ingiuntivo, al fine di ottenere il necessario titolo esecutivo per l’esecuzione forzata. Tuttavia, anche gli ex conviventi di fatto, in alternativa ad un accordo verbale o per scrittura privata, possono, mediante apposito ricorso in Tribunale, stabilire giudizialmente la regolamentazione del regime di affidamento, mantenimento e frequentazione dei propri figli minori, disponendo così di quel provvedimento giudiziale, con valore di titolo esecutivo, necessario per accedere anch’essi a tutte le forme di tutela giuridica sin qui esaminate per gli ex coniugi. Il ricorso può essere presentato da entrambi i genitori, anche congiuntamente se sono d'accordo sulle condizioni da applicare ( ex art . 316 e 316 bis c.c .). In tal caso, è possibile anche un accordo in negoziazione assistita con i rispettivi avvocati, del tutto equiparato al provvedimento giudiziale. In ambito penale, per tutelarsi contro il mancato pagamento dell’assegno di mantenimento, innanzitutto, è possibile far riferimento all’art 570, comma 2, c.p., rubricato “violazione degli obblighi di assistenza familiare”, che punisce la mancata somministrazione dei mezzi di sussistenza a discendenti minorenni o inabili al lavoro, oltre che al coniuge e agli ascendenti. In caso di separazione, quindi, il reato si configura solo a carico dei genitori, anche se non coniugati, e solo in caso di un grave inadempimento, tale da aver generato nel minore uno stato di bisogno, privandolo dei necessari mezzi di sussistenza, indispensabili per vivere ( come il vitto, l’abitazione, il vestiario, i medicinali i canoni per le utenze indispensabili e le spese per l’istruzione ). Una maggiore tutela è, invece, garantita dal successivo art. 570 bis c.p. , rubricato “violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio” (introdotto dal Decreto Legislativo 1 marzo 2018 n. 21 e in vigore dal 6 aprile 2018), che ha esteso le pene previste dall’articolo 570 – reclusione fino a 12 mesi o la multa da 103 a 1.032 euro – al coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio ovvero viola gli obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli. Quest’ultimo periodo implica che il genitore obbligato sia responsabile anche in caso di omesso rimborso delle spese straordinarie. Quindi, diversamente dall’art. 570, comma 2, c.p. , che tutela solo il coniuge non separato ed i figli (anche nati al di fuori del matrimonio), l’art. 570 bis c.p. sanziona anche l’omesso versamento dell’assegno di mantenimento nei confronti del coniuge separato, oltre che dei figli, per giurisprudenza prevalente in materia, anche nati da genitori non sposati, ma non tra i semplici conviventi more uxorio . Prescinde, inoltre, dall’accertamento dello stato di bisogno ed il reato si configura, semplicemente, con l’omesso versamento, anche solo parzialmente, dell’assegno stabilito dal Giudice, senza alcun accertamento in ordine allo stato di bisogno, richiesto, invece, dall’art. 570, comma 2, c.p.. Entrambe le norme sono poste a tutela delle esigenze economiche ed assistenziali dei familiari, in caso di inadempimento del soggetto giuridicamente obbligato. Tuttavia, mentre l’art. 570, comma 2 c.p. tutela il più ampio diritto a ricevere, in caso di bisogno, i necessari mezzi di sussistenza dai propri familiari, pertanto, il reato si configura anche in mancanza di un provvedimento giudiziale di separazione, poichè l’obbligo di contribuire al mantenimento dei figli grava sui genitori anche in caso di separazione di fatto. L’art. 570 bis c.p. , invece, sanziona l’inadempimento dell’obbligo di natura economica stablito dal provvedimento giudiziale, in caso di separazione, divorzio o regolamentazione dell’affido e mantenimento dei figli nati al di fuori del matrimonio, da cui non si può prescindere e senza il quale la norma non consente alcuna tutela. In entrambi i casi, l’obbligato è, comunque, esente da ogni responsabilità, qualora non possa adempiere per comprovate difficoltà economiche per ragioni al medesimo non imputabili. Le norme appena esaminate sanzionano penalmente la violazione degli obblighi di natura economica, a carico dei coniugi o dei genitori, come il mancato versamento dell’assegno di mantenimento, ma non riguardano i rapporti personali del provvedimento emesso in sede di separazione, tutelati, invece, dall’art. 388, comma 2, c.p ., che sanziona quei comportamenti contrari agli interessi relativi alla educazione, alla cura ed alla custodia del minore, punendo, con la reclusione fino a tre anni o la multa da euro 103 a euro 1.032, chi elude l'esecuzione di un provvedimento del giudice civile che concerna l'affidamento di minori o di altre persone incapaci. Tra i comportamenti più ricorrenti che integrano il presente reato, ricordiamo quello consistente nel rifiuto alla consegna del figlio da parte del genitore affidatario, impedendo all’altro di vederlo e tenerlo con sé o, semplicemente, non favorendo i suoi rapporti con il minore e l’esercizio del suo diritto di visita, secondo le modalità stabilite dal giudice, salvo motivi particolarmente gravi. In conclusione : in caso di violazione delle condizioni di separazione o divorzio e affidamento dei minori, stabilite con provvedimento giudiziale, sarà possibile, procedere contro il coniuge, ex coniuge o, comunque, contro l’altro genitore inadempiente, secondo le circostanze, mediante: 1. pignoramento immediato dei suoi beni e, in particolare, dello stipendio, per il recupero degli arretrati dell’assegno di mantenimento (per recente giurisprudenza, anche di quelle spese straordinarie routinarie, certe e prevedibili, destinate ai bisogni ordinari del figlio); 2. iscrizione di ipoteca giudiziale e richiesta di versamento diretto dell’assegno di mantenimento da parte del suo datore di lavoro, ex art. 156, comma 5 e 6, c.c. e art. 8, comma 2, l. n. 898/1970 ; 3. ricorso per decreto ingiuntivo, per il recupero delle spese straordinarie stricto sensu , imprevedibili, imponderabili ed economicamente rilevanti; 4. ricorso ex art. 709 ter c.p.c., per la modifica dei provvedimenti in vigore, la condanna alle previste sanzioni e risarcimento danni, in caso di violazione delle condizioni sia economiche che personali; 5. querela per violazione degli obblighi di assistenza familiare, ex art. 570, comma 2, e 570 bis c.p. o delle modalità di affidamento di minori stabilite dal giudice, ex art. 388, comma 2, c.p.. In mancanza di un provvedimento giudiziale, sarà, comunque, possibile chiedere, mediante ricorso per decreto ingiuntivo, il rimborso degli arretrati dell’assegno di mantenimento concordato, per se o per i minori, nonché sporgere querela per violazione degli obblighi di assistenza familiare, ex art. 570, comma 2, qualora si facciano mancare i necessari mezzi di sussistenza. San Salvo, 24 novembre 2022 Avv.Vincenzo de Crescenzo

Pubblicazione legale

Il nuovo processo di separazione e divorzio a domanda congiunta dopo la riforma cartabia

Pubblicato su IUSTLAB

IL NUOVO PROCESSO DI SEPARAZIONE E DIVORZIO A DOMANDA CONGIUNTA DOPO LA RIFORMA CARTABIA Il processo di separazione personale e divorzio (cessazione degli effetti civili o scioglimento del matrimonio) è stato, recentemente, rivoluzionato dalla riforma del diritto di famiglia attuata dalla cosiddetta riforma Cartabia (D.lgs, n. 149/2022) , con l'obiettivo principale di semplificare e snellire la procedura, eliminando la fase presidenziale e centralizzando la trattazione del giudizio nelle mani del giudice relatore. La riforma, infatti, prevede una nuova disciplina, non solo per il processo contenzioso di separazione e divorzio, ma anche per quello consensuale. In particolare, ha introdotto una nuova disposizione ( art. 473 bis 51 c.p.c .) che stabilisce una nuova disciplina processuale su domanda congiunta, riservata non solo alla separazione e al divorzio, bensì anche ad altre situazioni come lo scioglimento dell'unione civile, la regolamentazione dell'esercizio della responsabilità genitoriale nei confronti dei figli nati fuori dal matrimonio e la modifica delle condizioni delle procedure precedenti. La domanda congiunta deve essere presentata mediante ricorso (con l’assistenza, non più facoltativa, ma obbligatoria di uno o più avvocati), dinanzi al Tribunale del luogo di residenza o domicilio di una delle due parti, indifferentemente, anche se sono coinvolti figli minori, in deroga alla regola generale per cui è sempre competente il tribunale del luogo in cui il minore ha la residenza abituale. Un’altra rilevante novità introdotta dalla riforma Cartabia prevede che il ricorso congiunto debba essere sottoscritto, a conferma della loro volontà conciliativa, anche dalle parti che, invece, in precedenza, essendo sufficiente la sola firma dell'avvocato, si limitavano a sottoscrivere la procura alle liti e, successivamente, in udienza, le condizioni di separazione concordate. Comunque, considerato l’obbligo per gli avvocati del deposito telematico anche dell’atto introduttivo del giudizio (ex art. 196 quater delle disposizioni di attuazione del c.p.c., introdotto, anch’esso, dalla riforma Cartabia) e che, per lo più, i privati non dispongono di firma digitale, il ricorso da depositare, di fatto, potrà essere ugualmente sottoscritto (digitalmente) dal solo avvocato, allegando, quale documento e non come atto principale, una copia del ricorso stesso, con la firma anche cartacea delle parti . L’ art . 473 bis 51 c.p.c. stabilisce, inoltre, gli elementi obbligatori del ricorso, che deve contenere, in particolare, oltre alle informazioni sui dati personali delle parti, compresi i figli comuni se minori, le indicazioni sulle loro disponibilità reddituali e patrimoniali degli ultimi tre anni e sugli oneri a proprio carico (come il pagamento del mutuo o del canone di locazione), le condizioni riguardanti i figli e i rapporti economici (come il contributo al loro mantenimento). La norma prevede, ancora, la facoltà delle parti di regolmentare con il ricorso anche i reciproci rapporti patrimoniali. In presenza di minori, il ricorso dovrebbe includere anche un piano genitoriale, come nei procedimenti giudiziali contenziosi (ex art. 473 bis 12, comma 3°), consistente in un documento che stabilisce, dettagliatamente, gli impegni e le attività quotidiane dei figli, inclusi aspetti come la scuola, l'educazione, le attività extrascolastiche, le amicizie e le vacanze. Il condizionale è ancora d’obbligo, poichè la normativa a riguardo non sembra del tutto chiara, in attesa delle prime pronunce giurisprudenziali, benchè l’orientamento prevalente sembri ormai favorevole all’obbligo del piano genitoriale non solo per separazioni e divorzi giudiziali, ma anche per le domande consensuali e congiunte. La riforma Cartabia, inoltre, consente alle parti di sottrarsi all’obbligo di comparire fisicamente dinanzi il Tribunale, avvalendosi della facoltà di depositare delle note scritte (contenenti, ai sensi del nuovo art. 127-ter c.p.c. , solo le istanze e le conclusioni delle parti), in sostituzuine dell’udienza di comparizione, fissata in seguito al deposito del ricorso congiunto, a cui devono rinunciare espressamente nel ricorso stesso e dichiarare di non volersi riconciliare. In ogni caso, se ritiene necessario modificare le condizioni proposte, poichè in contrasto con gli interessi dei figli, o se necessita di ulteriori chiarimenti, il giudice ha sempre la facoltà di convocare le parti, invitandole, eventualmente, ad integrare quanto allegato al ricorso introduttivo, depositando la documentazione di cui all’art. 473-bis 12, comma 3° , attestante la titolarità di diritti reali su beni immobili e beni mobili registrati, di eventuali quote sociali e gli estratti conto dei rapporti bancari e finanziari relativi agli ultimi tre anni. Ricevuto, quindi, il parere favorevole del pubblico ministero (a cui sono stati trasmessi gli atti), sentite le parti e verificata, comunque, l’impossibilità di una riconciliazione, il giudice istruttore rimette la causa al collegio per la decisione. La procedura a domanda congiunta, infatti, si conclude con una sentenza di competenza del Tribunale in composizione collegiale, che può decidere di omologare o prendere atto degli accordi tra le parti, se siano li ritiene contrari agli interessi dei figli, oppure, convocare le parti per chiederne una modifica e, in mancanza di accordo, rigettare la domanda congiunta. Accenniamo, brevemente, anche alla facoltà delle parti, introdotta dalla riforma, di proporre, contestualmente, nello stesso atto introduttivo, sia domanda di separazione che di divorzio, senza dover attendere che trascorrano, per lo meno, sei mesi tra l’una e l’altra, come previto dalla previgente disciplina. Tale facoltà (che prevede l’indicazione nel ricorso delle condizioni relative sia alla separazione che al divorzio e la definizione del processo con sentenza di divorzio successiva al passaggio in giudicato di quella sulla separazione e al decorso del termine a tal fine previsto dalla legge) è introdotta, invero, dall’art. 473-bis 49 c.p.c. (rubricato “ Cumulo di domande di separazione e scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio ”), che prevede la possibilità del cumulo delle domande solo nel procedimento contenzioso di separazione personale dei coniugi, senza fare alcun riferimento espresso a quello su domanda congiunta di cui all’ art . 473 bis 51 c.p.c. . Quest’ultimo, a sua volta, nulla disponendo in merito, neanche richiama il primo in alcun modo, pertanto, ad oggi, esistono ancora dubbi interpretrativi sulla possibilità o meno che il cumulo delle domande possa applicarsi anche per la separazione o il divorzio su procedura congiunta, che la dottrina e giurisprudenza in materia, ancora non univoca, dovranno, certamente, risolvere a breve. Infine, smpre ai sensi dell’art. 473 bis 51 c.p.c. , comma 6°, quando la domanda congiunta riguarda la modifica delle condizioni relative all'esercizio della responsabilità genitoriale e ai contributi economici per i figli o le parti, il Tribunale nomina un relatore che, ricevuto il parere del pubblico ministero, riferisce in camera di consiglio. Può, inoltre, convocare personalmente le parti, se lo richiedono o se sono necessari chiarimenti sulle nuove condizioni proposte. San Salvo, 31 luglio 2023 Avv. Vincenzo de Crescenzo

Pubblicazione legale

Passaggio in giudicato della sentenza di divorzio

Pubblicato su IUSTLAB

PASSAGGIO IN GIUDICATO DELLA SENTENZA DI DIVORZIO La sentenza di divorzio scioglie ogni vincolo matrimoniale tra le parti ed ha efficacia, agli effetti civili, solo dopo la sua trascrizione nei registri dello stato civile del Comune dove i coniugi si sono sposati, che avviene in seguito al suo passaggio in giudicato. In genere, ogni sentenza passa in giudicato (cioè diventa definitiva) quando non è più possibile impugnarla, o perché sono stati utilizzati tutti i mezzi di impugnazione consentiti o perche sono trascorsi i termini utili per proporre l’impugnazione (trenta o sessanta giorni dalla notifica della sentenza o sei mesi dalla sua pubblicazione). Detto ciò, precisiamo che l’impugnazione di una qualsiasi sentenza è riservata alla parte soccombente (anche parzialmente soccombente), pertanto chi ha vinto la causa, vedendosi accolte tutte le richieste avanzate, non ha alcun interesse e diritto ad impugnare la sentenza. In caso di divorzio giudiziale, dove le parti sono contrapposte e formulano richieste diverse e contrastanti, essendo possibile, per la parte che risulterà soccombente, impugnare la sentenza, questa potrà essere trascritta solo in seguito al suo passaggio in giudicato. Al contrario, in caso di divorzio su ricorso congiunto delle parti, che non sono contrapposte ma concordano su ogni aspetto e condizione del divorzio, secondo l’orientamento prevalente da alcuni anni, la sentenza di accoglimento deve considerarsi già passata in giudicato subito dopo la sua pubblicazione (cioè il deposito nella cancelleria del Tribunale), senza la necessaria decorrenza dei termini, brevi o lunghi, per l’impugnazione, in quanto nessuna delle due parti può avere interesse e diritto all’impugnazione di una sentenza che ha soddisatto integralmente le richieste di entrambe. Ai fini della trascrizione di una sentenza su ricorso congiunto di divorzio dovrebbe, quindi, essere sufficiente la sua pubblicazione, senza dover attendere che sia passata in giudicato, non essendo possibile impugnarla. Per l’orientamento contrario, che ritiene il passaggio in giudicato della sentenza di divorzio sempre necessario prima della sua trascrizione nei registri dello stato civile, nelle more, la sopravvenuta morte del coniuge, in ogni caso, determina la cessazione della materia del contendere, con riferimento al rapporto di coniugio e a tutti i profili economici connessi, onde l’evento della morte sortisce l’effetto di travolgere ogni pronuncia in precedenza emessa e non ancora passata in giudicato ( Cass.azione Civile, Ordinanza n. 31358/2019 ) Il divorzio sarebbe, quindi, inefficace ed il coniuge superstite risulterebbe ancora separato coservando, così, i diritti successori sul patrimonio dell’altro coniuge scomparso, quale erede legittimario. San Salvo, 01/07/2021. Avv.Vincenzo de Crescenzo

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