Specializzata in: Diritto di famiglia, separazioni, divorzi e relativi assetti patrimoniali nella ricerca delle giuste condizioni di mantenimento e affidamento dei figli minori con assegnazione della casa coniugale. Mi occupo, altresì, con particolare interesse della tutela della famiglia al di fuori del matrimonio e dei figli nati da convivenza more uxorio, Contenzioso civile, contrattualistica, locazioni, condominio, sanzioni amministrative, sinistri , recupero crediti, pignoramenti. Lo Studio non espleta gratuito patrocinio.
Nei rapporti di locazione ad uso abitativo e per attività commerciale, assume un aspetto fondamentale la corretta stipulazione del contratto. Trascurarne gli elementi essenziali, può comportare infatti successive problematiche tra le parti che spesso poi sfociano in lunghi procedimento giudiziari. Per detta ragione, è imprescindibile avvalersi di un’assistenza legale adeguata che possa garantire la giusta tutela ab origine.
Lo sfratto, rappresenta un decisivo momento di rottura tra locatore e conduttore ove entrano in conflitto reciproche pretese che meritano di essere adeguatamente assistite da un intervento legale risolutivo.
Da oltre 18 anni, seguo separazioni e divorzi di ogni tipo, a partire dalle coppie con figli che non riescono più a convivere, fino ad arrivare ai casi più complessi di tradimento e di violenza familiare. La terminazione del rapporto coniugale comporta punti critici che mi trovo spesso ad affrontare, quali ad esempio l’affidamento e le questioni patrimoniali. Fornisco assistenza per separazioni oltre che per il divorzio congiunto o giudiziale, qualora non si riuscisse ad ottenere un accordo condiviso. In fase di separazione e divorzio, ritengo il Cliente meriti di essere tutelato appieno soprattutto per il momento delicato che vive
Unioni civili, Divorzio, Diritto civile, Separazione, Matrimonio, Affidamento, Tutela dei minori, Recupero crediti, Multe e contravvenzioni, Pignoramento, Diritto tributario, Mediazione, Domiciliazioni, Ricorso al TAR, Diritto condominiale, Eredità e successioni, Adozione, Incapacità giuridica, Fallimento e proc. concorsuali, Contratti, Diritto del lavoro, Licenziamento, Previdenza, Immigrazione e cittadinanza, Cassazione.
In ipotesi di separazione o successivamente al giudizio che ha definito le relative condizioni, possono verificarsi determinati mutamenti nella sfera personale di uno dei due coniugi, tali da incidere anche sulla vita del figlio minore. Orbene, ricorrente è la richiesta rivolta dal Cliente e diretta a comprendere legalmente come comportarsi, come si può o meno agire nel rispetto della legge. C’è da chiarire in merito che, nel momento in cui il giudice decide di collocare il figlio minore presso uno dei due genitori, ad esempio la madre, disponendo al contempo il diritto del padre di vedere il minore durante la settimana, possono certamente sorgere dubbi in ipotesi di necessità’ di sopravvenuto trasferimento. Nell’ipotesi in cui, la madre riceva una proposta di lavoro la cui conseguenza comporterebbe il trasferimento anche del minore in altra città’, se i due genitori si accordano in tal senso, nulla questio, la madre potrà trasferirsi liberamente, a condizione che ciò non comprometta gli incontri tra i figli e il padre. Nessun patto stretto tra gli ex coniugi può infatti esonerare uno dei due dal mantenere rapporti stabili coi minori. E ciò perché il diritto da tutelare non è quello dei genitori, ma dei figli, i quali devono poter crescere sia con il padre che con la madre (cosiddetto «diritto alla bigenitorialità», inderogabile per natura). In ipotesi invece di mancanza di consenso, spettera’ al Tribunale valutare caso per caso. Certamente il giudice non potra’ vincolare la libertà di movimento di uno dei due genitori imponendogli di rimanere per forza presso un’abitazione: sarebbe una limitazione incostituzionale. Tutt’al più il tribunale dovrà valutare presso quale genitore collocare il figlio, tenendo conto solo dell’interesse di quest’ultimo. Ne deriva che il genitore collocatario del figlio minore, puo’ mutare la residenza propria e quella del figlio minore anche senza il consenso dell’altro genitore purché la decisione sia assunta nell’interesse del figlio. Tale scelta non comporta quindi né la perdita dell’affidamento condiviso, né quella della collocazione dei figli minori. Sul punto, si è recentemente espressa anche la Corte di Cassazione, ritenendo legittimo il comportamento di una madre che, per esigenze di lavoro, si era trasferita in altra città, distante da quella originaria di residenza, dove viveva l’altro genitore; a nulla è valsa la constatazione che, da tale trasferimento, i rapporti quotidiani tra i figli e il padre venissero compromessi, tenuto conto dell’esigenza di assicurare a questi ultimi, ancora in tenera età, la costante presenza della madre.
In materia minorile, assurge un aspetto fondamentale l’attenzione posta sul minore in presenza di quegli eventi che possano comprometterne la serenità. Detti elementi, meritano di essere approfonditi analiticamente poiche’ solo in presenza di gravi motivi è possibile allontanare la prole dalla famiglia di origine. Nello specifico, a cospetto di una segnalazione ai servizi sociali, inizia un vero e proprio iter caratterizzato da una serie di indagini espletate dirette in primis a fornire un supporto iniziale alla famiglia evitando che il minore vada in affido familiare. E’ fondamentale chiarire che non costituisce condizione di allontanamento del minore dalla famiglia di origine, la mera condizione di povertà del nucleo familiare. Merita, piuttosto, di essere accertato se sussista un degrado tale che possa sfociare in una situazione di trascuratezza fisica o malnutrizione, maltrattamenti o violenza fisica o morale, pericolo a causa di genitori drogati, alcolisti o che si prostituiscono o ancora incapacità del genitore di rispondere ai bisogni del piccolo. Gli assistenti sociali investiti della vicenda, devono controllare la situazione, darne comunicazione al Tribunale periodicamente e devono offrire consulenza e sostegno alla famiglia affidataria, la quale dovrà mantenere, educare ed istruire il minore in attesa che la famiglia di origine superi la situazione di difficoltà. Durante il periodo di affido del minore ai sevizi sociali, lo stesso mantiene i contatti con la propria famiglia di origine e può continuare ad essere collocato presso la propria famiglia. Laddove, invece, non sussistano le condizioni per il collocamento presso i genitori, allora il Giudice, a tutela dell'interesse del minore, dispone che il bambino venga affidato a un’altra famiglia, a una persona singola, a una comunità di tipo familiare, a un istituto di assistenza pubblica o privata oppure a un curatore speciale del minore che tuteli al meglio i suoi interessi
Il pignoramento rappresenta l’inizio vero e proprio dell’esecuzione forzata diretta al recupero forzoso di un credito rimasto impagato. Con detta procedura, il creditore vincola beni del debitore per esercitare un diritto di rimborso di un credito insoluto con il fine specifico di ottenere un risultato equivalente a quello che si perverrebbe in caso di adempimento spontaneo del debitore , a mezzo della sottrazione coattiva di beni in suo possesso al fine di trasformarli in denaro da destinare alla soddisfazione dei creditori . Esistono tre forme di pignoramento: Immobiliare, se ha per oggetto beni immobili; Mobiliare, se ha per oggetto beni di valore come arredamento, quadri, tappeti, auto, ecc ; Presso terzi, se ha per oggetto crediti o beni del debitore che sono nella disponibilità di terzi. Sulla base delle mia esperienza maturata negli anni, consiglio sempre al Cliente la tipologia di pignoramento da instaurare e avvio detta procedura, da ritenersi estremamente delicata, con tempismo proprio al fine di evitare che il credito possa restare insoddisfatto. Laddove, invece, soggetto interessato alla difesa è colui che subisce il pignoramento, mi occupo del debitore che merita tutela per i c.d. vizi o scadenza dei termini processuali di cui è affetto il pignoramento ricevuto.
Per potere sciogliere il vincolo matrimoniale, è necessario che i due ricorrenti siano sposati e che successivamente si siano separati consensualmente o giudizialmente. Quando trascorrono sei mesi dalla separazione consensuale o un anno da quella giudiziale, i due ex coniugi, potranno avviare domanda di divorzio al fine di sciogliere definitivamente il vincolo matrimoniale. I termini per risposarsi dopo il divorzio sono diversi per l’uomo e per la donna. Ciò avviene al fine di tutelare e garantire la sicurezza della paternità di un eventuale nascituro e basati sulla circostanza naturale che esclusivamente la donna, e non l’uomo, è atta a portare in grembo i figli. L’uomo, pertanto, potrà convolare a seconde nozze subito dopo che la sentenza di divorzio sia diventata definitiva, decorsi 30 giorni dalla notifica all’ex coniuge o sei mesi dalla sua pubblicazione. Discorso diverso, vale per la donna. Quest’ultima, infatti, pur se divorziata a tutti gli effetti, è invece tenuta ad aspettare un periodo di 300 giorni. L’ordinamento, infatti, tende a tutelare la posizione di eventuali nascituri, evitando il verificarsi di una situazione d’incertezza in merito alla paternità del figlio nato dopo lo scioglimento o cessazione degli effetti civili del precedente matrimonio. Il termine dei 300 giorni, s’interrompe automaticamente, facendo venir meno il divieto, non appena l’eventuale gravidanza, sia portata a termine.
Sovente accade che il Cliente chiede al proprio difensore se può procedere alla separazione o al divorzio senza il consenso del coniuge. A questa domanda, ovviamente segue subito la risposta affermativa. Divorziare o procedere alla separazione è possibile anche se uno dei coniugi non è d’accordo. Quando un amore finisce è difficile restare in buoni rapporti, anzi molto spesso uno dei coniugi rifiuta di collaborare e firmare consensualmente separazione e del divorzio che portano allo scioglimento definitivo del matrimonio. Ma procediamo per gradi. Prima di rivolgersi al giudice, è normale tentare con il coniuge una soluzione bonaria alla crisi di coppia e verificare con questi la possibilità di un accordo, che andrà comunque “ratificato” successivamente dal tribunale (separazione o divorzio). Firmare, non vuol dire però prestare solo un mero consenso ma accordarsi su tutta una serie di condizioni (quali il mantenimento, la casa coniugale) che verranno riportate nel ricorso congiunto. E’ bene sapere e ricordare che non si può divorziare se prima non ci si è separati. Dalla separazione deve poi decorrere un termine intermedio di sei mesi se la separazione è stata consensuale, o di un anno se la separazione è stata giudiziale (ossia tramite una causa). Eccezionalmente è possibile divorziare anche senza la separazione ma solo in caso di mancata consumazione del matrimonio o di condanna per reati particolarmente gravi. Nel momento in cui un coniuge propone all’altro una separazione o un divorzio consensuale, questi ovviamente non è tenuto ad accettare l’accordo. Potrà quindi rifiutarsi di procedere in tal senso, ma non potrà rifiutare la separazione o il divorzio. Come infatti appena detto, si tratta in entrambi i casi di un diritto di ciascun coniuge che spetta con o senza il consenso dell’altro. Dunque, si può rifiutare un divorzio consensuale ma non si può impedire il divorzio giudiziale. Così come si può anche scegliere di non costituirsi nella causa di divorzio, lasciando che il giudizio vada avanti da sé e quindi rinunciando a difendersi, ma con la consapevolezza che il proprio punto di vista non potrà essere valutato dal giudice. Stesso discorso, chiaramente, vale anche per la separazione: si può rifiutare una separazione consensuale ma non quella giudiziale che andrà avanti con o senza il coniuge dissenziente. Non c’è modo quindi di impedire il divorzio, così come la separazione se uno dei due coniugi li vuole.
Non lascio spazio all’improvvisazione e il mio lavoro è frutto di anni di attività legale seria sul campo. Il Cliente, viene seguito a piena tutela dei propri interessi.
In linea di principio, entrambe le figure genitoriali sono da ritenersi fondamentali per il minore. Vi sono tuttavia, purtroppo non di rado, ipotesi in cui la condotta di uno dei genitori si pone in palese contrasto con i doveri relativi alla potestà o integra abuso dei relativi poteri comportando conseguentemente un grave pregiudizio per il figlio. Nello specifico, i presupposti, che legittimano una declaratoria di decadenza dalla potestà genitoriale, si rinvengono, nello specifico, in comportamenti violenti e minacciosi nei confronti del coniuge e dei figli, ovvero nei confronti del solo coniuge, quando siano tali da alterare l'atmosfera familiare nel suo complesso; incapacità di capire i bisogni del figlio e coartazione psicologica, in spregio dell'opera di sensibilizzazione dei servizi sociali; rifiuto di far sottoporre il figlio ad interventi medici necessari per la salute (vaccinazioni, trasfusioni); affidamento del figlio, poco dopo la nascita, a persone sconosciute per farlo adottare, con conseguente elisione di ogni rapporto con queste ultime. Qualora il provvedimento di decadenza, riguardi uno solo dei genitori, l'esercizio della potestà spetterà in modo esclusivo, all'altro genitore. Se invece la decadenza riguarda entrambi i genitori o il genitore esercente in via esclusiva la potestà, si aprirà la tutela ex art. 343 codice civile. La pronuncia di decadenza comporta per il genitore la sospensione dalla titolarità e dall'esercizio della potestà ma di contro, il genitore continua ad essere gravato di tutti i compiti - primo fra tutti quello di mantenimento -, il cui assolvimento non è in alcun modo incompatibile con gli effetti della pronuncia. In tal senso, la giurisprudenza ha più volte affermato la responsabilità penale per omessa prestazione dei mezzi di sussistenza ai figli minori, a carico di quel genitore pur dichiarato decaduto dalla potestà. Non solo. Si evidenzia, infatti, che il genitore rimasto affidatario, in ipotesi di mancato contributo dell’ex coniuge al mantenimento della prole, potrebbe, altresì, chiedere anche il risarcimento dei danni al padre della minore per la sua assenza, quale elemento che incide negativamente sullo sviluppo psico-fisico della figlia e che ha comportato per Lei un aggravio di spese, se ha dovuto provvedere da sola al mantenimento della minore.
A seguito della modifica dell'art. 155 del codice civile, dopo l'entrata in vigore della Legge 8 febbraio 2006 n. 54, sono subentrati diversi mutamenti in relazione all'affidamento del minore in ipotesi di separazione dei genitori. Nello specifico è stato istituito il principio di bigenitorialità prevendendo che entrambi i genitori, all'esito della separazione, avranno diritto allo stesso rapporto con il figlio, evitando così l'affidamento esclusivo in favore di un solo coniuge. Detto affidamento, in origine, infatti limitava inevitabilmente l'esercizio della potestà genitoriale di un genitore. Attualmente, invece, con l'affidamento condiviso è subentrato il diritto dei figli a continuare a vivere in modo intervallato con ciascun genitore, così facendo la presenza presso ciascun genitore avviene in modo equilibrato consentendo al minore di poter accrescere naturalmente il rapporto con entrambi i genitori. Nella mia esperienza di avvocato divorzista, il Giudice - salvo che non sussistano gravi motivazioni - opterà sempre per l'affidamento condiviso della prole avente quale chiaro obiettivo di turbare il meno possibile l'equilibrio e la serenità del minore.
Nonostante le novità introdotte dalla Legge n. 76/2016, o Legge Cirinnà, che ha notevolmente ampliato i diritti dei conviventi di fatto anche in caso di cessazione del rapporto, va tuttavia non trascurato che le coppie non sposate che decidono di separarsi non godono degli stessi benefici che sono in genere concessi a due coniug. In ipotesi di sopravvenuta separazione, infatti, il Tribunale può obbligare il coniuge che si trova in una condizione economica vantaggiosa, a versare un assegno di mantenimento periodico all’ex partner qualora questi non abbia redditi adeguati a consentirgli una vita normale, Contrariamente, nelle convivenze di fatto non esistono obblighi reciproci al mantenimento: solo nel caso in cui uno dei due partner dovesse trovarsi in uno condizione di bisogno, il giudice potrà disporre il versamento di un assegno alimentare a suo favore. Detto assegno, non è illimitato nel tempo e deve essere corrisposto solo per un periodo proporzionale alla durata della convivenza. Diversa è la circostanza in cui la coppia di conviventi che decida di separarsi abbia dei figli. In tal caso, infatti, i diritti dei figli sono i medesimi a prescindere se nati all'interno del matrimonio, poichè si tratta pur sempre di figli naturali. Conseguentemente, i genitori dovranno provvedere al mantenimento dei figli in proporzione al loro reddito e alle loro capacità economiche e il Tribunale decide a quale genitore affidare il minore, stabilendo, altresì, l'ammontare dell'assegno di mantenimento della prole, salvo presentazione del ricorso congiunto delle parti. In ipotesi di mancato accordo tra le parti, il Tribunale investito del procedimento, nella sua decisione terrà certamente conto delle esigenze dei figli, del tenore di vita di cui godevano prima della separazione dei genitori e delle risorse economiche rispettive di quest'ultimi. Oltre all'assegno di mantenimento ordinariom ciascun coniuge dovrà contribuire nella misura del 50% al versamento delle spese straordinarie necessarie per la prole. Analogo discorso, nasce, per quanto riguarda l’assegnazione della casa familiare, ovvero dell’immobile all’interno del quale la famiglia aveva la sua residenza principale. Detto immobile, infatti, verrà affidato in base al preminente interesse del figlio, a prescindere dal valore dell'abitazione e della cicorcastanza che questa possa appartenere all'uno o all'altro coniuge.
Nel corso del rapporto matrimoniale, non di rado i due coniugi decidono per diverse esigenze di accendere presso un Istituto di credito un conto corrente cointestato. Nel momento in cui si autorizza la cointestazione di un conto, entrambi hanno la stessa facoltà di utilizzarne il denaro, autorizzando spese o effettuando prelievi, ciò anche se è uno solo dei coniugi a versare mensilmente il denaro. Come è noto, però quando due persone legate da vincolo di matrimonio decidono di separarsi, sorgono non pochi conflitti riguardanti la ripartizione delle somme. Giova, ricordare che in ipotesi di separazione, le somme del conto cointestato, vanno ripartire al 50% al di là del fatto che si tratti di un regime in comunione oppure separazione dei beni. La principale differenza è che, in regime di separazione dei beni, uno dei due coniugi, per evitare di devolvere soldi all’altro, deve dimostrare, senza ombra di dubbio, che era l’unico ad alimentare il conto. Spesso, proprio a ridosso della separazione, si assiste al prosciugamento unilaterale del conto corrente da parte di uno dei due. Più precisamente, accade che il coniuge che sa di non aver contributo al flusso di denaro ma solo di averlo gestito, furbescamente preleva le somme rimanenti sul conto corrente prima della pubblicazione della sentenza di separazione. Per evitare ciò, è possibile chiedere al giudice il sequestro immediato del conto cointestato e nell’ipotesi in cui comunque il coniuge abbia già prelevato più della metà dei soldi presenti, è tenuto a restituire il 50% di quella somma all’altro coniuge, a meno che, non dimostri di aver avuto necessità di quei soldi per il sostentamento della famiglia. In linea di massima si ricorda però, la legge tutela chi ha realmente guadagnato e versato quelle cifre sul conto cointestato. Pertanto, se a ridosso della separazione, la moglie decida di prosciugare il conto, in virtù del fatto che ne risulta cointestataria e magari il marito aveva appena versato il suo premio annuale percepito per lavoro, la donna è tenuta a rimborsare dette somme.
L’opposizione avverso una cartella di pagamento, rappresenta una vera e propria tutela a cospetto di crediti presuntivamente vantati dall’Ente Riscossore che, all’esito di un attento esame tecnico - giuridico, possono rivelarsi affetti da vizi formali o prescrizioni tali da consentire al debitore di chiedere ed ottenere l’annullamento degli addebiti. Detto annullamento, fa venir meno definitivamente il diritto del creditore di chiedere somme riconosciute come non dovute. Conseguentemente, il cittadino potrà ritenersi svincolato da ogni richiesta in tal senso e potrà addirittura, in determinati casi, chiedere il risarcimento per lite temeraria per essere stato costretto a tutelare i propri diritti con conseguenti costi, ciò a fronte di un diritto preteso ma infondato vantato dall’Ente Riscossore/creditore.
Previo corso e successivo colloquio finale brillantemente superato, la scrivente sarà ufficialmente inserita nella lista di amministratore di sostegno del Tribunale di Roma, lista che è stata riservata solo a coloro che hanno superato detto esame.
Patrocinante in Cassazione: Il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori è subordinato al possesso di determinati requisiti: solo così si può difendere in Cassazione. Se per fare l’avvocato e difendere il cliente in primo grado e/o in appello è sufficiente essere iscritti all’albo tenuto presso il Consiglio dell’Ordine locale, per proporre invece un ricorso in Cassazione o difendere una persona dal ricorso avanzato da un altro soggetto è necessario essere iscritti in un apposito albo, quello degli avvocati cassazionisti. La forte passione per il mio lavoro, mi ha portato a bruciare con orgoglio, le tappe rientrando tra i più giovani Avvocati Cassazionisti, vale a dire legale che, in possesso dei requisiti per poter Patrocinare anche in Cassazione, è iscritto nell’apposito elenco ed assiste il Cliente anche in tale grado del processo, ossia dinanzi la " Magistratura Superiore".
Il Corso è stato un approfondimento importante. All'esito e nel tempo, ho maturato una significativa esperienza nel campo del diritto fallimentare e, più in generale, nella gestione della crisi d’impresa, offrendo consulenza alle aziende debitrici tanto nella fase preventiva di analisi e di individuazione della procedura migliore per la gestione dell’insolvenza, quanto in quella contenziosa di ammissione e gestione delle diverse procedure concorsuali. Assisto, la clientela nelle procedure di ammissione al passivo e nella eventuale fase di opposizione allo stato passivo.
Particolare approfondimento delle tematiche relative al fallimento e alle procedure concorsuali
Rito unificato per la fine del matrimonio in virtù dell'entrata in vigore della riforma Cartabia che, ha previsto un iter più snello diretto a velocizzare i processi ed incardinare separazione e divorzio in un unico processo. Detta novità è di estrema importanza. Difatti chi sinora ha rinunciato a proporre la causa facendosi scoraggiare dai lunghi tempi dei processi separati - prima separazione e poi divorzio - adesso potrà agire con la duplice richiesta ma in un unico procedimento risparmiando tempo e duplici costi.
La questione della somministrazione del vaccino anti – covid ai minori di 18 anni, è stata negli ultimi anni, oggetto di ripetuto scontro tra i genitori separati poiché alle linee di pensiero di ciascuno, si sono via via aggiunte reazioni emotive spesso caratterizzate da sospetti, paure, informazioni spesso incontrollate e contraddittorie, dove orientarsi, si è rivelato piuttosto complesso per i genitori. In questo contesto di emergenza pandemica, sovente sono stata chiamata a dirimere i contrasti nati tra i genitori sulla somministrazione del vaccino anti–covid ai figli minori. Mi sono occupata di numerosi casi in cui uno dei due genitori era ed è tuttora contrario alla somministrazione del vaccino e di conseguenza ha negato il necessario consenso. Nei casi in esame, aspetto imprescindibile è l’interesse del minore, nelle questioni inerenti la salute che merita di essere perseguito anche contro la posizione dei genitori. Per questo motivo, il Tribunale investito della problematica insorta tra due ex coniugi, può persino emettere un provvedimento limitativo della responsabilità genitoriale, nei confronti del genitore non consenziente, ammonendolo, a non ostacolare il percorso vaccinale della figlia. Laddove, infatti, vi sia un concreto pericolo per la salute del minore, in relazione alla gravità e diffusione del virus e vi siano dati scientifici univoci che quel determinato trattamento risulta efficace, il giudice può sospendere momentaneamente la capacità del genitore contrario al vaccino. Attualmente, in caso di rifiuto opposto dal padre alla vaccinazione anticovid 19 del figlio minore, il conflitto genitoriale è risolto autorizzando la somministrazione del vaccino e attribuendo al genitore la facoltà di condurre il minore in un centro vaccinale e sottoscrivere il relativo consenso informato, anche in assenza del consenso dell’altro genitore salva la presenza di controindicazioni certificate alla vaccinazione. Ai fini della risoluzione del conflitto va, altresì, considerata la volontà manifestata dal minore tenuto conto che come disposto dall’art. 3 della Legge n. 219/2017 la persona minore di età o incapace ha diritto alla valorizzazione delle proprie capacità di comprensione e di decisione. Conseguentemente, il consenso informato al trattamento sanitario del minore è espresso o rifiutato dagli esercenti la responsabilità genitoriale o dal tutore tenendo conto della volontà della persona minore in relazione alla sua età, al suo grado di maturità e avendo come scopo la tutela della salute psicofisica della vita della prole nel pieno rispetto della sua dignità.
In via principale, giova rammentare che la legge in materia dispone che il diritto all’assegno venga meno solo nel caso in cui il beneficiario passi a nuove nozze. Tuttavia, il principio di diritto espresso dalla più recente giurisprudenza, è basato sulla tesi secondo cui l’instaurazione da parte del coniuge divorziato di una comunità familiare, anche se di fatto, fa venire meno definitivamente ogni presupposto per la riconoscibilità dell’assegno divorzile a carico dell’ex coniuge. Come noto, la “famiglia di fatto”, per annoverarsi tra le formazioni sociali tutelate dall’art. 2 Cost., deve presentare un certa grado di stabilità, e deve essere caratterizzata dall’abituale convivenza e dalla comunanza di vita e di interessi che, identificandola alla stregua di una comunità spirituale ed economica, e non solo affettiva, valgono a differenziarla da altre forme di rapporti precari ed instabili. Tuttavia, sul punto, non può trascurarsi la recente quanto importante sentenza emessa nel 2021 dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite. Secondo i giudici di legittimità, l’instaurazione della convivenza non comporta l’automatica perdita del diritto all’assegno. Bisogna, in effetti, ricordare che l’assegno ha una funzione composita: assistenziale e compensativa. Viene meno la prima – perché «il nuovo legame, in presenza di prova dell’instaurarsi di tale stabile convivenza sotto il profilo della tutela assistenziale, si sostituisce al precedente»– ma non la seconda. Infatti, la funzione compensativa è volta al riconoscimento del contributo fornito dal coniuge più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale dell’altro coniuge. Ne consegue che se il coniuge economicamente più debole ha sacrificato la propria esistenza lavorativa a favore della famiglia, è ingiusto che perda qualsiasi diritto alla compensazione per i sacrifici fatti solo perché si è ricostruito una vita affettiva. Quanto sopra non significa però che l’instaurazione di una stabile convivenza non influisca in alcun modo sulla corresponsione dell’assegno, infatti, la creazione di una nuova famiglia può incidere sul riconoscimento del diritto all’assegno, sulla sua revisione e quantificazione, ma non ne determina la perdita automatica ed integrale. In definitiva, la stabile convivenza di fatto fa venire meno il diritto alla componente assistenziale dell’assegno ma non a quella compensativa, purché il beneficiario fornisca une serie di prove, ad iniziare dal contributo offerto alla comunione familiare. Pesa poi la dimostrazione di eventuali rinunce, concordate, di occasioni lavorative e di crescita professionale durante il matrimonio nell'interesse della famiglia. Ha un valore anche l'apporto dato alla realizzazione del patrimonio familiare e personale dell'ex coniuge. Con la recente sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, pertanto, è stato cancellato qualunque automatismo tra nuova convivenza e perdita dell'assegno in favore del coniuge economicamente più debole. Il nuovo percorso di vita intrapreso con una terza persona, che sia accertato giudizialmente, incide sì sul diritto al riconoscimento dell'assegno di divorzio, sulla sua revisione o sulla sua quantificazione, ma non ne determina necessariamente la perdita integrale. Il coniuge economicamente più debole può, infatti conservare il diritto esclusivamente in funzione compensativa e non assistenziale. Alla luce di quanto sopra, ogni caso merita una valutazione personale. Nell’ambito della mia attività legale, sono state molteplici le vicende già affrontate in materia.
Principio cardine della tutela dei minorenni nel mondo dell’informazione è realizzata attraverso diversi livelli di protezione. La nostra Costituzione all'art. 31 riconosce la tutela ai minorenni nella parte in cui si afferma che la Repubblica italiana “ protegge… l’infanzia e la gioventù favorendo gli istituti necessari a tale scopo”, inoltre, tale salvaguardia è già espressa in senso più ampio anche nell’art. 2 in cui vengono riconosciuti e garantiti “i diritti inviolabili dell’uomo… ”. Tali principi hanno trovato una loro attuazione anche nella legislazione ordinaria nel settore civile, penale e amministrativo. Nel caso dei minori, destano preoccupazione gli sviluppi legati a un uso indiscriminato e poco avveduto di apparecchi legati all’Internet come nel caso di giocattoli interattivi, specificamente destinati ai bambini, ma anche di smartwatch , sempre più spesso utilizzati da soggetti giovanissimi. E’ fondamentale, pertanto, affrontare la specifica questione delle interazioni dei minori sui social media e dell’impatto in termini di riservatezza e protezione dei dati personali di queste attività. E’ necessario procedere con l’individuazione dei rischi concreti poiché numerose possono essere le conseguenze legate all’utilizzo di social media da parte di minori. Tra queste basti menzionare il problema dei furti di identità, che raramente vengono scoperti prima del diciottesimo anno, quando i danni reputazionali possono già aver assunto proporzioni gigantesche. Muovendo da un’analisi degli strumenti di diritto a disposizione per la tutela dei navigatori più giovani, il riferimento immediato è rappresentato dalla disciplina, di derivazione europea, riguardante la tutela della privacy. L’attenzione verso il trattamento dei dati dei minori rappresenta, una delle novità più importanti contenute nella nuova disciplina europea, convenzionalmente definita come GDPR. Il Regolamento generale sulla protezione dei dati personali (GDPR ) contiene norme specifiche intese a rafforzare la protezione dei dati personali dei minori. La normativa limita l’età per la quale gli individui possono legalmente dare il consenso, introduce regole precise per rendere chiare e comprensibili le richieste di consenso destinate ai minori nonché regola come i servizi online possono ottenere il consenso dei minori. Il minore che ha compiuto i quattordici anni può esprimere il consenso al trattamento dei propri dati personali in relazione all’offerta diretta di servizi della società dell’informazione”. Al di sotto dei 14 anni, il consenso viene autorizzato dal titolare della responsabilità genitoriale. L’art. 38 del GDPR ha espressamente previsto che i minori meritano una specifica protezione relativamente ai loro dati personali, in quanto possono essere meno consapevoli dei rischi, delle conseguenze e delle misure di salvaguardia interessate nonché dei loro diritti in relazione al trattamento dei dati personali. Tale specifica protezione dovrebbe, in particolare, riguardare l’utilizzo dei dati personali dei minori a fini di marketing o di creazione di profili di personalità o di utente e la raccolta di dati personali relativi ai minori all’atto dell’utilizzo di servizi forniti direttamente a un minore . Il legislatore europeo ha previsto che i minori abbiano maggiori tutele perché sono particolarmente vulnerabili nell’ambiente online e più facilmente influenzabili dalla pubblicità comportamentale . Diversi studi hanno rilevato che le prassi di marketing attraverso i social media, i giochi online e le applicazioni mobile hanno un impatto evidente sul loro comportamento . L a profilazione, ad esempio, può servire per individuare i giocatori più propensi a spendere o per fornire annunci personalizzati a cui non corrisponde una maturità da parte del minore nel riconoscere la ragione commerciale di una pratica di marketing. N e consegue la necessità di tutelare legalmente il minore. Come ha spesso chiarito la Suprema Corte di Cassazione, la salute del minore merita di essere protetta. Anche la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 19069/2006 ha affermato la necessità della tutela del minore nel cyberspazio a non subire interferenze arbitrarie o illegali. I genitori, pertanto, sono tenuti ad educare i propri figli al corretto utilizzo di tali nuovi sistemi di comunicazione mediante una limitazione sia qualitativa sia quantitativa all'accesso e condivisione di contenuti. L’anomalo utilizzo di tali strumenti da parte dei minori può essere sintomo di una scarsa vigilanza ed educazione .
Recentemente sono stata ospite di Radio Roma Capitale affrontando la delicata tematica legata ai rapporti matrimoniali terminati durante l'emergenza sanitaria.
Alessandra Mirarchi
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