Il corso di formazione mi ha consentito di sviluppare capacità di ascolto e di ricerca di soluzioni condivise nonché di iscrivermi nell’elenco dei Mediatori presso l’Organismo di Mediazione del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Cuneo, ente iscritto nel Registro degli Organismi di Mediazione al n. 347.
Avvocato e Mediatore del Foro di Cuneo, mi occupo di diritto civile, offrendo al Cliente un rapporto diretto, personale e trasparente. Nella professione dell’avvocato non esistono strade impraticabili ma, come per il buono o cattivo tempo (citando Baden Powell), esiste buono o cattivo equipaggiamento. Pertanto, i punti saldi della mia attività sono: riservatezza, ascolto, comprensione e rispetto per la persona e per gli interessi in gioco, atteggiamento positivo e costante impegno per raggiungere l’obiettivo prefissato.
Il recupero del credito risponde a fondamentali esigenze di tutela del patrimonio di privati e aziende. Talvolta è possibile raggiungere una soluzione stragiudiziale, che consenta al creditore di soddisfare le proprie pretese, eventualmente tramite pagamenti rateali, evitando i costi ed i tempi tipici del contenzioso. Qualora tale strada non risulti percorribile, la fase contenziosa va affrontata celermente, previa accurata indagine patrimoniale.
Mi occupo di diritto di famiglia, tutela delle persone “fragili”, contratti, recupero del credito e risarcimento del danno (anche da sinistro stradale). Sono convinta dell’importanza di cercare soluzioni conciliative che consentano di avvicinare posizioni distanti, così da evitare i tempi ed i costi del giudizio, che affronto con serietà e determinazione quando rappresenta l’unica via percorribile.
L'assistenza nella soluzione delle problematiche relative al diritto di famiglia riguarda rapporti tra coniugi, conviventi, genitori e figli, parenti ed affini (anche in materia ereditaria), sempre affiancando allo studio ed all'applicazione del diritto l'ascolto e l'individuazione delle problematiche da risolvere, anche nelle situazioni più delicate. Anche nei rapporti famigliari è importante cercare una soluzione condivisa, che tuteli gli interessi in gioco e sia soddisfacente per le parti coinvolte.
Incidenti stradali, Incapacità giuridica, Eredità e successioni, Affidamento, Contratti, Mediazione, Negoziazione assistita, Domiciliazioni, Separazione, Divorzio, Locazioni, Sfratto, Matrimonio, Risarcimento danni, Gratuito patrocinio.
Dopo un’esperienza pluriennale in ambito giudiziale e stragiudiziale presso uno Studio Legale cuneese, ho aperto il mio Studio Legale a Trinità (CN), a pochi chilometri da Fossano (CN), Mondovì (CN) e Cuneo. Lo Studio si trova nel centro del paese, in zona tranquilla, riservata e facilmente raggiungibile dai Comuni di Cuneo e Provincia. I parcheggi sono agilmente accessibili e ricevo il Cliente in un ambiente accogliente, idoneo a farlo sentire a proprio agio. Esercito la mia attività con la massima attenzione all’ascolto del Cliente, alla comprensione e cura degli interessi in gioco. Ritengo che non esistano strade impercorribili: anche le situazioni più complesse e delicate possono essere risolte con umiltà, trasparenza, impegno e atteggiamento positivo.
“Soddisfatto al 100% della professionalità, cortesia, precisione, perseveranza e tenacia per raggiungere l’obiettivo che ci eravamo prefissati per ottenere le mie ragioni a prezzo contenuto. La consiglio vivamente.”
La Cliente si era rivolta al mio Studio per risolvere un grave problema: il marito, padre delle figlie minori nate dal matrimonio, aveva improvvisamente abbandonato l'abitazione familiare, senza più dare notizie di sé, rendendosi irreperibile anche telefonicamente ed omettendo qualsiasi contributo economico. La moglie, oltre a dover affrontare la crisi matrimoniale, si trovava così a non poter assumere, in mancanza del consenso del padre, tutte le necessarie decisioni inerenti le figlie minori circa salute, educazione, residenza e documenti per l'espatrio, con grave pregiudizio per le bambine. Risultava, dunque, necessario ottenere dal Tribunale, oltre alla separazione giudiziale dei coniugi, anche l'affidamento super esclusivo delle figlie minori alla madre, affinché ella potesse avere autonomia decisionale in merito ai bisogni delle figlie. Nel ricorso introduttivo, quindi, sono stati indicati i motivi fondanti tale richiesta (in particolare, disinteresse ed irreperibilità del padre) ed il Giudice si è pronunciato favorevolmente per la madre, consentendole, con l'affidamento super esclusivo, di "adottare in autonomia anche le decisioni di maggiore interessper le figlie in materia di salute, istruzione, residenza e richiesta di documenti anche validi per l’espatrio".
Rispetto alle strade aperte al pubblico transito, la disciplina della responsabilità per la cosa in custodia di cui all’art. 2051 del Codice civile è applicabile in riferimento alle situazioni di pericolo connesse alla struttura o alle pertinenze della strada. Pertanto, il danneggiato che invochi siffatta responsabilità contro il proprietario o il gestore della strada in merito a un danno causato da bene demaniale o patrimoniale soggetto ad uso generale e diretto della collettività, dovrà esclusivamente provare – come avviene di regola per le ipotesi di responsabilità per i danni cagionati da una cosa in custodia – l’evento dannoso e l’esistenza del rapporto eziologico tra la cosa e l’evento suddetto. Trattandosi di un’ipotesi si responsabilità oggettiva, il Comune, per liberarsi dalla presunzione di responsabilità, dovrà provare il caso fortuito e, quindi, dimostrarel'assenza di colpa, per aver posto in essere ogni misura idonea a prevenire ed evitare l’evento e la condotta mantenuta. Tuttavia, come evidenziato dalla giurisprudenza, il conducente di un veicolo danneggiato a causa della presenza di un dosso non segnalato, potrà fondatamente richiedere al Comune il risarcimento del danno patito solo qualora abbia rispettato le norme del Codice della Strada e, in particolare, non abbia ecceduto i limiti velocità prescritti.
Nel nostro ordinamento vige la regola dell’affidamento condiviso del figlio minore ai genitori separati, divorziati o ex conviventi more uxorio. Infatti , il Codice civile (art. 337 quater), disponendo che “ Il giudice può disporre l’affidamento dei figli ad uno solo dei genitori qualora ritenga con provvedimento motivato che l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore”, confina l’affidamento esclusivo ad ipotesi residuale. Cosa comporta l'affidamento esclusivo? Il genitore cui sono affidati i figli in via esclusiva, salva diversa disposizione del giudice, ha l'esercizio esclusivo della responsabilità genitoriale su di essi e deve attenersi alle condizioni determinate dal giudice; in ogni caso, salvo che non sia diversamente stabilito, le decisioni di maggiore interesse per i figli sono adottate da entrambi i genitori ed il genitore cui i figli non sono affidati ha il diritto ed il dovere di vigilare sulla loro istruzione ed educazione, potendo ricorrere al giudice quando ritenga che siano state assunte decisioni pregiudizievoli al loro interes se . La Corte di Cassazione ha più volte evidenziato che l’affidamento condiviso costituisce il regime ordinario, non impedito dall’esistenza di una conflittualità tra i genitori, tranne qualora sia pregiudizievole per l’interesse dei figli, alterando e ponendo in serio pericolo il loro equilibrio e sviluppo psico-fisico; in tal caso, la pronuncia di affidamento esclusivo deve essere sorretta da una puntuale motivazione con riferimento non solo al pregiudizio potenzialmente arrecato ai figli da un affidamento condiviso bensì anche all’inidoneità educativa o alla manifesta carenza dell’altro genitore (Cass. civ., Sez. I, 1 marzo 2017, n. 27). La mera conflittualità tra i coniugi, nei limiti in cui si mantenga nell’ambito di un tollerabile disagio per la prole, non può impedir e il ricorso all’affidamento condiviso (Cass. civ., Sez. I, 29 marzo 2012, n. 5108). Il giudice, infine, può disporre l'affidamento esclusivo cosiddetto "rafforza to" o "super esclusivo" nei casi di assoluta inadeguatezza genitoriale ed impossibilità di una gestione condivisa dei figli minori. In tal caso, le competenze genitoriali vengono concentrate in capo al genitore affidatario anche in ordine alle scelte più importanti riguardanti il figlio, quali quelle su salute, educazione, istruzione e residenza abituale, secondo quanto consentito dall'art. 337 quater , comma 3, del Codice civile. Tuttavia, tale provvedimento non incide sulla titolarità della responsabilità genitoriale ed il genitore non affidatario mantiene il diritto ed il dovere di vigilare sull'istruzione ed educazione del figlio, potendo ricorrere al giudice quando ritenga che siano state assunte decisioni per lo stesso pregiudizievoli.
Il Mediatore è tenuto alla formazione continua. Il corso seguito nelle giornate del 19 e del 20 giugno 2023 mi ha consentito di approfondire le modifiche apportate in materia di mediazione dalla recente riforma della giustizia.
Il corso di formazione mi ha consentito di sviluppare capacità di ascolto e di ricerca di soluzioni condivise nonché di iscrivermi nell’elenco dei Mediatori presso l’Organismo di Mediazione del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Cuneo, ente iscritto nel Registro degli Organismi di Mediazione al n. 347.
La frequentazione del corso ha rappresentato un valido ausilio nella preparazione dell'Esame di Abilitazione nonché una possibilità di confronto con Professionisti qualificati ed aspiranti Avvocati.
Dopo la maturità scientifica, iscritta alla Facoltà di Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Torino, nell'elaborazione della tesi ho approfondito la struttura e le funzioni dell'udienza preliminare nell'ambito del processo penale.
Il corso di 10 ore, così cpme previsto dalla legge, seguito nella giornata del 15 marzo 2024, ha consentito un approfondimento ed un confronto costruttivo con il Formatore e con gli altri Mediatori in merito alle modifiche apportate in materia di mediazione dalla recente riforma della giustizia.
Subito dopo il superamento dell'esame di abilitazione alla professione di Avvocato e l'iscrizione all'Albo degli Avvocati di Cuneo, ho iniziato una stabile collaborazione con uno Studio Legale multidisciplinare, esperienza che mi ha consentito di confrontarmi con molteplici ambiti del diritto civile e penale, di acquisire capacità di ascolto del Cliente, di inquadramento e soluzione della problematica giuridica.
Il Patrocinio a spese dello Stato (comunemente detto "Patrocinio Gratuito") è un istituto previsto e disciplinato dal D.P.R. 115/2002 (T.U. spese di giustizia) che consente ai non abbienti di beneficiare dell'assistenza di un avvocato, senza doversi far carico del suo compenso che, appunto, viene corrisposto dallo Stato. Il Patrocino Gratuito è assicurato nel processo civile, penale, amministrativo e tributario purché il cittadino dimostri di possedere i presupposti previsti dalla legge. In particolare, per quanto riguarda i procedimenti civili, il reddito annuo dell'interessato, cumulato con quello dei familiari conviventi, dev'essere non superiore ad € 12.838,01 . Detto importo si compone della somma dei redditi annuali imponibili IRPEF, risultanti dall’ultima dichiarazione, di tutti i componenti del nucleo familiare del richiedente. Esiste, però, un'eccezione i n caso di controversia radicata avverso familiare convivente in quanto il reddito di quest'ultimo non è da considerare. La Corte di Cassazione ha precisato che per “ultima dichiarazione” debba intendersi quella relativamente alla quale sia sorto l’obbligo di presentazione, anche se ancora materialmente non presentata (Cass. n. 21313/2022). L'istanza di ammissione al Patrocinio Gratuito va presentata al Consiglio dell'Ordine degli Avvocati competente (con o senza nomina di un difensore). In tale domanda, l'interessato si impegna: - a comunicare perentoriamente entro il termine di 30 giorni dalla scadenza del termine di un anno, a far tempo dalla data di presentazione dell’istanza o della comunicazione precedente e fino a che il procedimento non sia definito, le eventuali variazioni dei limiti di reddito, verificatesi nell’anno precedente, rilevanti ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato; - a produrre, su richiesta del Consiglio dell’Ordine ed a pena di inammissibilità, la documentazione comprovante la veridicità di quanto indicato nell'istanza presentata nonché ad integrarla nel termine perentorio di giorni dieci dalla richiesta. Con la medesima istanza, il cittadino dichiara, tra l'altro: - di essere consapevole delle sanzioni penali in caso di dichiarazioni false (reclusione da uno a cinque anni e multa da € 309,87 a € 1.549,37, con pena aumentata se dal fatto consegue l’ottenimento o il mantenimento dell’ammissione al Patrocinio ); - di essere consapevole che, nel caso in cui il Magistrato accerti il mutamento delle condizioni reddituali durante il procedimento, dispone la revoca del beneficio.
Quando l'eredità è acquistata da più persone, sui beni ereditari si forma, tra i coeredi, una comunione (detta, appunto, "ereditaria"). Alla comunione ereditaria si applicano le norme dettate dal Codice civile per la copmunione ordinaria, con alcune eccezioni. Infatti, nella comunione ereditaria, i coeredi non possono liberamente alienare la propria quota ma gli stessi, per evitare per quanto possibile la disgregazione del patrimonio ereditario, hanno diritto di essere preferiti agli estranei, qualora un coerede intendesse alienare la sua quota o una parte di essa. In tal caso, il coerede alienante deve notificare la proposta di alienazione agli altri, che nel termine di due mesi devono decidere se intendono acquistare al prezzo indicato nella proposta, secondo le regole del cosiddetto "retratto successorio". Nel caso in cui il coerede proceda alla vendita senza prima notificare la proposta agli altri coeredi, questi possono riscattare la quota al corrispettivo pagato, sostiuendosi all'acquirente. La comunione ereditaria viene meno con la divisione, che può essere sempre domandata da ciascun coerede (come previsto per la comunione ordinaria). Esistono tre tipi di divisione: 1) la divisione contrattuale o amichevole, fatta di comune accordo tra coeredi, con forma scritta e trascrizione se riguarda beni immobili; 2) la divisione giudiziale, che può essere chiesta al giudice da ciascun coerede nel caso in cui non sia possibile raggiungere un accordo bonario per procedere alla divisione; 3) la divisione testamentaria, secondo le regole dettate dal testatore e che deve comprendere tutti i legittimari o gli eredi istituiti, a pena di nullità. I beni donati in vita dal de cuius devono essere compresi o conferiti nella massa attiva del patrimonio per essere divisi tra i coeredi in proporzione delle rispettive quote (collazione). Tuttavia, questo procedimento non si applica quando il donante o testatore abbia disposto diversamente con la cosiddetta "dispensa dalla collazione".
Nei giudizi in materia di famiglia, il giudice, a pena di nullità degli atti processuali, è tenuto a nominare un curatore speciale al minore nei seguenti casi: quando il pubblico ministero abbia chiesto la decadenza dalla responsabilità genitoriale di uno o di entrambi i genitori o in cui uno di essi abbia domandato la decadenza dell'altro; in caso di adozione di provvedimenti di allontanamento del minore dalla famiglia d'origine o di affidamento endofamiliare; quando dai fatti emersi nel procedimento emerga una situazione di pregiudizio per il minore tale da precluderne l'adeguata rappresentanza da parte dei genitori; qualora ne faccia richiesta il minore che abbia compiuto quattordici anni. Inoltre, il giudice ha non il dovere ma la facoltà di nominare un curatore speciale al minore quando i genitori appaiano per gravi ragioni temporaneamente inadeguati a rappresentare gli interessi del minore. La nomina del curatore speciale può essere richiesta anche dal Pubblico Ministero, dai parenti prossimi del minore e da qualunque parte in causa che vi abbia interesse. Il curatore speciale provvede ad ascoltare il minore, fornendogli tutte le informazioni che lo riguardano, e può essere revocato dal giudice su istanza dei genitori, del tutore o del Pubblico Ministero per gravi inadempienze o perché siano venuti i meno i presupposti per la sua nomina.
Secondo il nostro ordinamento, i figli sono eredi sia legittimi (succedono per legge in mancanza di testamento) sia necessari o legittimari (chi muore non può ledere la loro quota legittima, che vi sia o meno testamento). Proprio perché eredi legittimari, i figli non possono essere privati della quota di eredità che la legge riserva loro e, quindi, hanno diritto ad una porzione del patrimonio ereditario che non può in alcun modo venire meno. L'unico istituto che consente, di fatto, di escludere i figli dalla successione è la cosiddetta indegnità a succedere (art. 463 del Codice civile), che entra in gioco qualora il figlio ponga in essere una condotta particolarmente riprovevole nei confronti del defunto, del coniuge, di un suo ascedente o discendente. I casi che determinano l'indegnità sono assolutamente gravi e tassativi e devono essere accertati dal Tribunale con sentenza. Essi sono rappresentati dall'uccisione del de cuius , da un attentato fisico nei suoi confronti o del coniuge o di un discendente o ascendente, dalla mancata reintegrazione nella responsabilità genitoriale da parte di un genitore (che, quindi, non potrà ereditare dal figlio), dall'induzione con dolo o violenza a far revocare o mutare il testamento dal de cuius o impedirne la revoca o la modifica, dalla soppressione od occultamento od alterazione del testamento, dalla formazione od uso cosciente di un testamento falso. Solo in tali casi particolari e tassativi un erede legittimario perde il diritto a succedere. Questo perché il nostro ordinamento tutela primariamente i diritti dei familiari e, pertanto, solo in ipotesi particolarmente gravi ammette l'esclusione dalla successione di un parente stretto come un genitore.
La separazione personale dei coniugi può essere consensuale o giudiziale: è consensuale in presenza di un accordo dei coniugi sulle condizioni relative; in caso contrario, è domandata al giudice da uno solo di essi e viene qualificata "giudiziale". La separazione giudiziale può essere chiesta al giudice da parte di uno dei coniugi quando si verificano, anche indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi, fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio all'educazione dei figli, se presenti; il giudice, pronunziando la separazione, dichiara, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio. Infatti, con il matrimonio, marito e moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri. In particolare, dal matrimonio deriva l'obbligo reciproco alla fedeltà, all'assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell'interesse della famiglia ed alla coabitazione; entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia. L’addebito è pronunciato nei casi in cui la violazione degli obblighi coniugali sia stata causa della crisi matrimoniale. Se è vero, da un lato, che l'infedeltà coniugale rappresenta una violazione particolarmente grave dei doveri nascenti dal matrimonio, condizione sufficiente a giustificare l'addebito al coniuge responsabile, è altrettanto vero che spetta alla parte che invochi l'addebito dimostrare non solo la violazione del dovere di fedeltà ma altresì la sua efficacia causale nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza. D'altro canto, chi eccepisce l'inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda di addebito deve provare che la crisi matrimoniale era insorta prima dell'accertata infedeltà. Così si è pronunciato il Tribunale di Torino nella recente sentenza del 20/01/2023, n. 205. La sentenza di separazione con addebito comporta conseguenze patrimoniali in quanto l’addebito ha natura sanzionatoria. Infatti, il coniuge perde l'eventuale diritto di percepire l’assegno di mantenimento nonché i diritti successori. Tuttavia, è mantenuto il diritto agli alimenti, da corrispondere solo in caso di bisogno. Inoltre, se la lesione dei doveri nascenti dal matrimonio è così grave da violare principi costituzionalmente protetti, l'altro coniuge può chiedere anche il risarcimento del danno da cosiddetto "illecito endofamiliare".
La funzione della tutela è quella di proteggere le persone dichiarate interdette. Possono essere interdette le persone maggiori di età e minori emancipate che si trovino in condizioni di abituale infermità di mente che li renda totalmente incapaci di provvedere ai propri interessi e tale misura sia necessaria per assicurare loro adeguata protezione. Il tutore viene nominato dal Giudice Tutelare e viene scelto, preferibilmente, nello stesso ambito familiare dell’interdetto. Tuttavia, può nominarsi tutore una persona estranea in assenza di parenti o in caso di conflitto tra gli stessi. Una volta nominato, il tutore deve rispettare obblighi precisi: avere cura dell’interdetto, rappresentarlo negli atti civili, amministrare i suoi beni, formarne l’inventario, tenere la contabilità, presentare al Giudice Tutelare il rendiconto periodico della gestione dei beni dell'interdetto. In base all'art. 384 del Codice civile (dettato in materia di tutore nominato al soggetto minore ed applicabile anche al tutore dell'interdetto), i l Giudice Tutelare può rimuovere dall'ufficio il tutore che si sia reso colpevole di negligenza o abbia abusato dei suoi poteri o si sia dimostrato inetto nell'adempimento di essi, o sia divenuto immeritevole dell'ufficio per atti anche estranei alla tutela, ovvero sia divenuto insolvente. Il Giudice non può rimuovere il tutore se non dopo averlo sentito o citato; può tuttavia sospenderlo dall'esercizio della tutela nei casi che non ammettono dilazione. Qualora si verifichino i presupposti enunciati, peraltro, la rimozione del tutore dall'ufficio non è obbligatoria ma rimessa al prudente apprezzamento del Giudice Tutelare, che dovrà valutare in concreto la corrispondenza della rimozione all'interesse dell'interdetto. In ogni caso, il tutore non potrà essere rimosso senza prima aver sottoposto le proprie ragioni al Giudice Tutelare che, nelle more dell'instaurazione del contraddittorio con il tutore, può sospenderlo dalla carica, ove ricorrano ragioni di stretta urgenza (in relazione al pericolo di pregiudizio per gli interessi dell'interdetto).
La legge prevede tre tipi di successione a causa di morte: testamentaria (in presenza di testamento), legittima (in assenza di testamento) e necessaria (in presenza di soggetti legittimari, titolari della cosiddetta "quota di riserva" o "quota legittima"). In assenza di testamento, l'art. 540 del Codice civile riserva, a favore del coniuge, la metà del patrimonio dell'altro coniuge, salve le disposizioni per il caso di concorso con i figli. Infatti, se chi muore lascia, oltre al coniuge, un solo figlio, a quest'ultimo è riservato un terzo del patrimonio ed un altro terzo spetta al coniuge; quando i figli sono più di uno, ad essi è complessivamente riservata la metà del patrimonio e al coniuge spetta un quarto del patrimonio del defunto. La divisione tra tutti i figli, è effettuata in parti uguali. Al coniuge, anche quando concorra con altri chiamati all'eredità (ad esempio, i figli), sono riservati i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni. La Corte di Cassazione (sentenza 7128/2023) ha di recente evidenziato che il diritto di abitazione, riservato al coniuge superstite, ha ad oggetto la sola casa adibita a residenza familiare e cioè l'immobile in cui i coniugi abitavano insieme stabilmente prima della morte del de cuius , quale luogo principale di esercizio della vita matrimoniale; ne consegue che tale diritto non può comprendere due (o più) residenze alternative ovvero due (o più) immobili di cui i coniugi avessero la disponibilità e che usassero in via temporanea, postulando la nozione di casa adibita a residenza familiare comunque l'individuazione di un solo alloggio costituente, se non l'unico, quanto meno il prevalente centro di aggregazione degli affetti, degli interessi e delle consuetudini della famiglia.
L'istituto dell'amministrazione di sostegno è stato introdotto nel nostro ordinamento dalla legge n. 6 del 2004, con " la finalità di tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell'espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente ” (articolo 1). La persona che, per effetto di un'infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, può essere assistita da un amministratore di sostegno, nominato dal giudice tutelare del luogo in cui questa ha la residenza o il domicilio. Il ricorso per l'istituzione dell'amministrazione di sostegno può essere proposto dallo stesso soggetto beneficiario oppure dal coniuge, dalla persona stabilmente convivente, dai parenti entro il quarto grado, dagli affini entro il secondo grado, dal tutore o curatore o dal pubblico ministero. Il giudice tutelare provvede entro sessanta giorni dalla data di presentazione della richiesta alla nomina dell'amministratore di sostegno con decreto motivato immediatamente esecutivo, che deve contenere l’indicazione precisa degli atti che l’amministratore ha il potere di compiere in nome e per conto del beneficiario. Tuttavia, in ogni tempo e anche d'ufficio, il giudice tutelare ha la possibilità di modificare o integrare le decisioni assunte con il decreto di nomina dell'amministratore di sostegno. La Corte di Cassazione (sentenza 32542/2022) ha sottolineato che l'amministrazione di sostegno, pur non richiedendo uno stato di vera e propria incapacità di intendere o di volere, presuppone comunque che la persona, per effetto di un'infermità o di una menomazione fisica o psichica, si trovi nell'impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi; è escluso, invece, il ricorso all'istituto nei confronti di chi si trovi nella piena capacità di autodeterminarsi, pur in condizioni di menomazione fisica, in funzione di asserite esigenze di gestione patrimoniale. Pertanto, salvo che non sia provocata da una grava patologia psichica, tale da rendere l'interessato inconsapevole del bisogno di assistenza, la sua opposizione alla nomina costituisce espressione di autodeterminazione, che deve essere opportunamente considerata. L'amministrazione di sostegno è qualificata "sostitutiva o mista" laddove il beneficiario, pur non essendo incapace di compiere atti giuridici, non è in grado di determinarsi autonomamente in difetto di un intervento dell'amministratore; viene, invece, definita amministrazione puramente "di assistenza" quando il beneficiato è pienamente capace di disporre del suo patrimonio, anche per testamento e con disposizione in favore dell'amministratore di sostegno, a prescindere dalla circostanza che tra i due soggetti, amministratore e beneficiato, sussistano vincoli di parentela o di coniugio ovvero una stabile condizione di convivenza (Cass. civ. n. 6079/2020).
Il 28/01/2023 sono stata ospite del programma radiofonico Story Time. Nel mio intervento, abbiamo affrontato i rimedi all'indempimento contrattuale ed analizzato gli elementi che devono essere provati per ottenere il risarcimento del danno: l'esistenza del contratto; l'adempimento della propria obbligazione; il danno subìto; la riconducibilità del danno all'inadempimento dell’altra parte. Spetta al debitore provare di avere adempiuto correttamente la propria obbligazione oppure che l’inadempimento deriva da causa a lui non imputabile. Nella responsabilità extracontrattuale, invece, l’onere della prova è interamente a carico del danneggiato, che deve sempre provare: il dolo o la colpa dell’altra parte; il fatto dannoso; il nesso di causalità tra il fatto commesso ed il danno subito. Attenzione alla prescrizione, cioè il termine decorso il quale il diritto non può più essere fatto valere. Nella responsabilità da inadempimento contrattale, il termine ordinario per richiedere il risarcimento del danno è di 10 anni. Il Codice civile, però, prevede anche prescrizioni “brevi” (ad esempio per i contratti di trasporto) e prescrizioni “presuntive” (ad esempio per il pagamento dei professionisti). Nella responsabilità da fatto illecito, il termine di prescrizione è più breve: 5 anni. Tuttavia, per il risarcimento del danno prodotto dalla circolazione dei veicoli il diritto si prescrive in 2 anni e, se il fatto è considerato dalla legge come reato e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga, questa si applica anche all’azione civile.
Elisa Fea
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