Accade spesso che l’efficacia di un contratto preliminare, o di una proposta accettata in conformità, sia subordinata alla concessione di un finanziamento con il quale pagare parte del prezzo della compravendita.
Nessun problema se la condizione sospensiva si avvera poiché l’accordo preliminare prende vita con relativi obblighi, compreso quello di eventuale consegna della caparra lasciata in deposito fiduciario al mediatore.
Invece, cosa accade se il mutuo non viene concesso, magari a causa di un comportamento ” pigro ” dell’acquirente il quale, avendoci ripensato, non consegna la documentazione necessaria all’istituto di credito o, addirittura (coperto dal velo di riservatezza esistente fra banca e cliente) interrompe la relativa pratica?
Le conseguenze non sono gradite né dal venditore, che ha confidato sul buon fine di un affare, magari declinando anche successive proposte da parte di altri soggetti interessati, né all’agenzia immobiliare che, pur avendo lavorato sull’affare, non matura alcun diritto alla provvigione.
La domanda è duplice. In primo luogo occorre interrogarsi sulla validità di una clausola all’apparenza “ meramente potestativa ” che, se fosse davvero tale, sarebbe invalida. In secondo luogo: indagare eventuali profili di responsabilità del soggetto (promissario acquirente onerato di richiedere il mutuo) che con la sua (in)attività provoca la definitiva inefficacia degli accordi preliminari.
La Corte di Cassazione, con sentenza sentenza n. 22046 del 2018 alla quale si sono successivamente allineate decisione di alcuni Tribunali di merito (Trib. Novara n. 48/2021 e Trib. Modena n. 900/2019)
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Il diritto bancario per materia se specialistica. Il mio studio collabora da oltre vent'anni con alcuni istituti di credito e segue cause in materia di anatocismo e altre clausole bancarie.
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Fabrizio Fabbri
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