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Avvocato Monica Battaglia a Roma

Monica Battaglia

Avvocato civilista a Roma

Informazioni generali

Studio fondato nel 1948 dall'Avv. Giuseppe Battaglia (1922-1995). L'Avv. Monica Battaglia, laureata presso l'Università La Sapienza di Roma con votazione di 110/110 e Lode, svolge la professione di avvocato da oltre 30 anni nel settore civile e amministrativo con particolare riferimento al diritto ereditario, di famiglia, immobiliare, contrattuale. Cassazionista e Mediatore presso l'Organismo di Mediazione Forense di Roma. Aree di Attività: Amministrativo, Civile, Condominio, Famiglia e Successioni, Lavoro, Locazioni, Immobiliare

Esperienza


Stalking e molestie

Si tratta di reati strettamente legati alla materia di famiglia, pertanto curo sia le querele e denunce della vittima del reato che la difesa dell'imputato. Per tale ultima attività mi avvalgo della collaborazione pluriennale di uno studio penalistico che mi affianca in tutte le fasi processuali. Ho svolto un corso di specializzazione in mediazione penale, un istituto volto alla responsabilizzazione del reo e all'ascolto della vittima con soddisfacimento delle sue esigenze non solo economiche ma anche personali e umane. E' in fase di creazione di uno specifico organismo presso l'Ordine Forense di Roma, di cui farò parte.


Eredità e successioni

Tratto abitualmente la materia delle successioni: problematiche legate all'invalidità di testamenti e relative impugnazioni, lesioni dei diritti dei legittimari, assistenza nella predisposizione di volontà testamentarie, controversie sulla gestione di beni ereditari. La rappresentanza legale è ovviamente garantita anche nella fase della mediazione obbligatoria, preventiva alla eventuale azione giudiziaria; fondamentale avere un approccio costruttivo durante la mediazione, che può condurre ad accordi di riconoscimento dei diritti con reciproca soddisfazione e in un tempo breve.


Diritto di famiglia

Il diritto di famiglia va trattato con cautela e competenza, non potendo ridursi a una guerra sulle questioni economiche. Il mio punto di vista è sempre la tutela delle persone, tanto più se vittime della crisi familiare, come sono, primi fra tutti, i minori. Per queste ragioni, il mio approccio alla separazione o al divorzio è principalmente razionale e tende a raggiungere il massimo risultato per il cliente senza trascinarlo in un contenzioso sfibrante. Nell'ambito della mia esperienza, ho curato anche gli interessi di minori adolescenti nell'ambito delle problematiche di famiglia.


Altre categorie

Diritto immobiliare, Separazione, Divorzio, Affidamento, Contratti, Locazioni, Diritto civile, Recupero crediti, Arbitrato, Mediazione, Negoziazione assistita, Matrimonio, Cassazione, Domiciliazioni, Diritto penale, Violenza, Unioni civili, Tutela dei minori, Diritto commerciale e societario, Proprietà intellettuale, Marchi, Diritto assicurativo, Pignoramento, Diritto del lavoro, Licenziamento, Diritto amministrativo, Ricorso al TAR, Diritto condominiale, Sfratto, Diritto dei trasporti terrestri, Incidenti stradali, Tutela del consumatore, Malasanità e responsabilità medica, Risarcimento danni.



Credenziali

Pubblicazione legale

Cosa si intende per diffamazione su Internet e cosa si rischia

Pubblicato su IUSTLAB

Oggigiorno si parla sempre più spesso di diffamazione su Internet, con ciò intendendosi le offese alla reputazione altrui perpetrate sul web, utilizzando Facebook, partecipando a un gruppo WhatsApp o scrivendo una recensione negativa su TripAdvisor, per citare gli esempi più comuni. Per inquadrare correttamente il problema occorre partire dalle norme di riferimento contenute nel codice penale, che hanno disciplinato il reato di diffamazione in un’epoca in cui il web e i social network non erano neanche immaginabili, e vedere, poi, la chiave di lettura che la giurisprudenza ha dato a tali norme, non solo per attualizzarle alla luce dei moderni mezzi di comunicazione, ma anche per bilanciare il diritto di una persona a veder tutelata la propria reputazione con il diritto alla critica, altrettanto importante e costituzionalmente garantito. Il reato di diffamazione e come si applica al web Norma di riferimento è l’art. 595 c.p. che, al primo comma, definisce la diffamazione come un’offesa all’altrui reputazione fatta comunicando con più persone, da punirsi con la reclusione fino a un anno o con una multa fino a euro 1.032. Una forma aggravata di diffamazione è prevista al terzo comma: se l’offesa è recata a mezzo stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, la pena è la reclusione da tre a sei mesi o una multa non inferiore a 516 euro, per via della facilità e velocità con cui il messaggio offensivo può propagarsi. E proprio l’art. 595, terzo comma, nella parte in cui fa riferimento a qualsiasi mezzo di pubblicità per diffondere l’offesa, è stata interpretata pacificamente dalla giurisprudenza nel senso di includervi anche la diffamazione su Internet. Presupposti per la configurazione del reato sono: l’indicazione del soggetto a cui sono rivolte le offese – non è necessario rivelare espressamente nome e cognome, basta che le caratteristiche descritte portino a identificare inequivocabilmente detto soggetto; la comunicazione a più persone, con la consapevolezza, da parte del soggetto agente, che il messaggio possa raggiungere un numero indeterminato e quantitativamente apprezzabile di soggetti (tra le pronunce più recenti al riguardo, Cass., sent. n. 40083/2018); la coscienza e volontà di usare un linguaggio offensivo dell’onore, della reputazione e del decoro del soggetto passivo – il messaggio deve essere concretamente offensivo e diffamatorio, non potendo bastare dei semplici commenti provocatori in una discussione su Facebook (Cass., sent. n. 3981/2015). Per la Suprema Corte, l’eventualità che tra i fruitori del messaggio vi sia la persona offesa non consente di configurare il reato come ingiuria (sent. n. 40083/2018). È opportuno ribadire nuovamente che la diffamazione su Facebook è aggravata dal mezzo di pubblicità, ricadendo nell’art. 595 c.p., ma non dal mezzo di stampa: non si tratta, cioè, di informazione o comunicazione di tipo professionale veicolata da una testata giornalistica, che ricadrebbe nella fattispecie disciplinata dall’art. 13 della L. 47/1948 (Cass., sent. n. 4873/2017 e sent. n. 12546/2017). Diffamazione su Facebook e diritto di critica Il legislatore prevede, tra le cause di esclusione del reato di diffamazione (e dunque, per esteso, della discriminazione su Internet), l’esercizio del diritto di critica, quale forma del più ampio diritto di manifestazione del pensiero sancito dall’art. 21 della Costituzione. La critica va intesa come un giudizio valutativo che parte da un fatto reale e concreto e si esprime su tale fatto con toni aspri, polemici, frasi colorite o linguaggio gergale, purché le espressioni utilizzate siano proporzionali e funzionali a contestare il fatto. Linea di demarcazione tra diffamazione e diritto di critica è la “continenza”, ovvero esprimersi con moderazione, attenersi ai fatti e non sfociare in un’immotivata aggressione alla reputazione di una persona. Pertanto, una recensione ironica nei confronti di un pubblico esercente pubblicata su Facebook non integra gli estremi della diffamazione perché il gestore, operando in un libero mercato, accetta che i propri servizi possano essere oggetto di valutazioni positive o negative (Trib. Pistoia, sent. n. 5665/2015).

Pubblicazione legale

Successioni e diritti ereditari: i diritti dei legittimari

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 Quando una persona viene a mancare, si presenta il problema della ripartizione del patrimonio tra i legittimi eredi. Forse non tutti sanno che esiste una "quota legittima" a cui hanno diritto figli, ascendenti e coniuge: queste figure possiedono tali diritti sia nel caso di successione senza testamento, sia in caso di successione testamentaria, anche se con alcune differenze. Scopriamo quali. La quota legittima Per quanto riguarda il patrimonio, esistono due quote complementari: la quota legittima e la quota disponibile. Il codice civile definisce la quota di cui i vari legittimari hanno diritto, costituendo anche uno speciale diritto al coniuge del defunto che sussiste anche in presenza di testamento. Sono diversi, dunque, gli aspetti che concorrono alla determinazione delle singole quote: in primis, il rapporto di parentela, seguito da eventuali categorie di successibili e, ovviamente, alla presenza di più legittimari. In caso di separazione, il coniuge separato senza addebito può avvalersi degli stessi diritti di un coniuge non separato; nel caso di divorzio, invece, l'ex coniuge non godrà più dei diritti di quota legittima. A chi spetta la quota legittima Abbiamo già accennato che i legittimari sono figli e discendenti, coniugi e ascendenti, che sussistono solo col verificarsi di determinati requisiti. Se il figlio è uno solo, a lui spetterà almeno la metà del patrimonio lasciato in eredità. Se, invece, i figli sono più di uno, avranno diritto ad almeno due terzi del patrimonio. Se, al contrario, il defunto non aveva figli, agli ascendenti andrà un terzo del patrimonio ereditario. Qualora questi ultimi concorressero col coniuge, avranno diritto a un quarto, mentre al coniuge andrà metà del patrimonio. E ancora, se il coniuge non si trovasse a concorrere con altri legittimari o con i soli ascendenti, avranno diritto, oltre alla metà del patrimonio come già specificato, ai diritti di abitazione nella residenza della famiglia, inclusiva dei mobili. Se, infine, il coniuge si trovasse a concorrere con un figlio, ciascuna delle due parti avrà diritto ad almeno un terzo a testa, mentre se i figli sono più di uno avranno congiuntamente diritto ad almeno metà del patrimonio; al coniuge, di conseguenza, spetterà una legittima di un quarto. Come si calcola la quota legittima Il calcolo della quota legittima da ripartire tra gli eredi è un'operazione complessa, regolata dall'articolo 556 del codice civile. Bisogna, infatti, sommare tutte le entità patrimoniali (da intendersi al netto di eventuali debiti) con le entità patrimoniali di eventuali donazioni dirette e indirette eseguite dal defunto quando era ancora in vita. Il risultato verrà considerato la quota disponibile, pronta da suddividere tra figli, coniugi e ascendenti.

Pubblicazione legale

Il coniuge che tradisce è tenuto al risarcimento dei danni ?

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La Corte di Cassazione ha affrontato il tema del risarcimento dei danni, patrimoniali e non, derivanti dal comportamento tenuto da uno dei due coniugi in costanza di matrimonio. Tra le sue più recenti pronunce a riguardo vi è l’ordinanza n. 4470/2018, nella quale la Suprema Corte afferma che la violazione dei doveri coniugali può integrare gli estremi dell'illecito civile se vengono lesi diritti costituzionalmente protetti, purché i danni derivanti alla persona siano specificamente allegati e provati. Il caso: coniuge tradito e risarcimento danni Nel caso in esame, una sentenza del Tribunale di Roma aveva dichiarato la separazione giudiziale dei coniugi, addebitandola al marito, e contestualmente rigettato alcune delle domande presentate. Fra queste, la richiesta di risarcimento danni avanzata dalla moglie, la quale accusava il marito di averla tradita durante il matrimonio e sosteneva che la violazione del dovere coniugale di fedeltà avesse leso una serie di suoi diritti costituzionalmente garantiti (dignità, riservatezza, onore, morale, reputazione, privacy, salute e integrità psicofisica). La Corte d’Appello di Roma, a sua volta investita della vicenda, aveva nuovamente rigettato la domanda risarcitoria della moglie. Da qui il ricorso per Cassazione della donna, denunciando una violazione degli artt. 2043 e 2059 c.c. Le conclusioni della Corte di Cassazione Con l’ordinanza n. 4470/2018 il giudice di legittimità stabilisce che la violazione dei doveri coniugali è risarcibile come danno non patrimoniale, ma dichiara inammissibile il ricorso della moglie in mancanza di una specifica allegazione del pregiudizio non patrimoniale subito. La Suprema Corte di Cassazione dettaglia nel seguente modo: la violazione dei doveri coniugali è una violazione di doveri che hanno natura giuridica e dunque, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti, ben può integrare gli estremi dell’illecito civile e dare luogo a un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell’art. 2059 c.c.; la dignità e l’onore della moglie costituiscono beni costituzionalmente protetti e, nel caso di specie, erano stati gravemente lesi dalla condotta del marito; ciò premesso, deve negarsi il risarcimento perché la lesione dei diritti inviolabili della persona, costituendo un danno conseguenza, va specificamente allegato e provato. Il danno non patrimoniale, in altre parole, non può mai ritenersi in re ipsa , ma è onere del danneggiato allegarlo e provarlo, anche a mezzo di presunzioni. Cosa che la ricorrente non aveva fatto. Va segnalato che gli ermellini sono giunti a una simile conclusione più recentemente, con l’ordinanza n. 6598/2019.

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