Avvocato Daniela Giuliani a Roma

Daniela Giuliani

Matrimonialista e divorzista. Avvocati Matrimonialisti Associati sede Roma

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Il figlio maggiorenne che lavora con contratto a termine

Scritto da: Daniela Giuliani - Pubblicato su IUSTLAB

Pubblicazione legale:

IL MANTENIMENTO DEI FIGLI MAGGIORENNI:

- IL CASO DEL CONTRATTO A TERMINE DEL FIGLIO MAGGIORENNE : ELIMINA L'OBBLIGO DEL MANTENIMENTO?

- IL DOVERE DEL FIGLIO DI INFORMARE IL GENITORE CHE VERSA IL MANTENIMENTO CIRCA LE SUE CONDIZIONI ECONOMICHE E LAVORATIVE.

- COME OTTENERE LA REVOCA O LA RIDUZIONE  DELL'OBBLIGO DI VERSAMENTO DELL'ASSEGNO DI MANTENIMENTO


Cosa accade nel caso in cui il figlio maggiorenne, per il quale è stato stabilito in sede di separazione o divorzio l'obbligo di mantenimento, cominci a lavorare ancorchè con contratto a termine?

La posizione della giurisprudenza è abbastanza nètta: gli ermellini infatti ritengono che anche il contratto a termine segni l’ingresso nel mondo del lavoro e dunque, se la paga è adeguata e l’orizzonte non troppo ristretto, il piede messo nel mondo produttivo basta a interrompere l’obbligo da parte del genitore di mantenere il figlio maggiorenne, che va considerato ormai autonomo economicamente: "anche il contratto a termine segna l’ingresso nel mondo del lavoro” …… In particolar modo, tale obbligo viene meno anche nel caso in cui il figlio sia iscritto all’università ma sia nel contempo un prestatore di lavoro part-time”  (Cassazione 2020 n. 11186 )


Esaminiamo di seguito altre  pronunce interessanti che si sono succedute nel tempo fino ad arrivare a quelle più recenti, sulla base delle quali si è formato un orientamento che possiamo ritenere comune.

"il diritto del figlio maggiorenne a un contributo al mantenimento si giustifica all’interno e nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso formativo, per il tempo occorrente mediamente necessario per il suo inserimento in società. La situazione soggettiva del figlio che in età avanzata non acquisisca l’autonomia economica non è tutelabile perché contrasta con il principio della autoresponsabilità” 

(Cassazione, sentenza 12952 del 22 giugno 2016)

Ed ancora: “per riconoscere l’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente o il diritto all’assegnazione della casa coniugale, il giudice deve valutare le circostanze che li giustificano, caso per caso, con rigore proporzionalmente crescente in rapporto all’età dei figli; l’obbligo non può protrarsi oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura: il diritto del figlio si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo” 

(Cassazione, sentenza 18076 del 20 agosto 2014)


Non solo. Gli ermellini si sono spinti oltre specificando anche che "spetta al figlio, che abbia concluso il proprio percorso formativo, dimostrare -  con onere probatorio a suo carico -  di essersi adoperato per rendersi autonomo economicamente”. (tra le altre Cass. 17380/2020; Cass. 32529/2018 e Cass. ordinanza del 2021 n. 38366).

 


Chiaramente occorre sempre valutare il caso concreto: non basta infatti un contratto part time per far venire meno l'obbligo di mantenimento o per rendere autonomo un figlio: la Corte di Cassazione precisa infatti che occorre valutare sia l'adeguatezza della retribuzione e sia la durata del contratto.


L'ADEGUATEZZA DELLA RETRIBUZIONE

L’elemento retributivo è necessario per valutare la revoca (o la eventuale riduzione dell'importo)  dell’obbligo del mantenimento in capo al genitore. La retribuzione deve  poter essere considerata adeguata: ciò significa che il fatto che un soggetto percepisca una retribuzione non significa che sia indipendente se la paga non è adeguata secondo i criteri oggettivi di sopravvivenza.

Per tale ragione l’adeguatezza della retribuzione deve essere indicata come quella misura del compenso tale da “assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa” (Cass. sent. n.40282/2021)


LA DURATA DEL CONTRATTO

Anche la durata del contratto part time ha una valenza fondamentale per la valutazione del caso concreto.

 La giurisprudenza precisa infatti che se il contratto ha un termine eccessivamente breve, tipico ad esempio per  i contratti stagionali o a “chiamata”, non può venir meno il diritto al mantenimento da parte del figlio. In tale ipotesi la Cassazione evidenzia che la durata del contratto non conduce affatto alla stabilità economica e non può quindi costituire in automatico una circostanza tale da determinare la revoca dell'obbligo di mantenimento.

Quanto al rischio che il contratto a tempo indeterminato non venga rinnovato, la giurisprudenza precisa che si tratta di un pericolo non troppo diverso dalla perdita del lavoro per altre cause o dal caso del licenziamento che non rappresentano motivi per far "rivivere" l’assegno di mantenimento versato dai genitori. 

L’inizio dell’esperienza lavorativa dimostra  il raggiungimento di una adeguata capacità lavorativa "tale da sola di determinare l’irreversibile cessazione dell’obbligo in questione".  Naturalmente - evidenzia la Cassazione - non tutti i lavori a tempo sono utili a raggiungere un’indipendenza economica.  Come sopra detto infatti, questa può essere esclusa quando la durata del contratto è troppo breve e senza prospettive (come  avviene  ad esempio per i lavori stagionali) oppure nel caso in cui la retribuzione sia oggettivamente tropo bassa o esigua da non consentire margini.

IL DOVERE DEL FIGLIO DI INFORMARE IL GENITORE CIRCA LE SUE CONDIZIONI LAVORATIVE E REDDITUALI.

Può accadere che i rapporti tra genitore obbligato e figlio siano compromessi o si siano diradati nel tempo e che quindi il genitore obbligato non abbia notizie circa la situaizone lavorativa e reddituale del proprio figlio.

In tal caso il genitore continua a versare il mantenimento ignaro del ftto che il figlio si sia reso nel frattempo economicamente indipendente.

Purtroppo non ci sono numerose pronunce in quetso senso ad eccezione di un'interessante pronuncia del Tribunale di Como del 15.11.2017 il quale ha imposto al figlio “il dovere di  informare, ogni tre mesi, il proprio padre circa la sua situazione reddituale e lavorativa”, così motivando la decisione assunta: “il soggetto alimentando è tenuto a fornire le informazioni relative alle proprie condizioni reddituali e lavorative, onde evitare al debitore dell’assegno i pregiudizi economici che potrebbero derivargli, sul piano fiscale, ove egli per ignoranza incolpevole richiedesse le detrazioni fiscali (per carichi familiari) relativamente a soggetto beneficiario dello assegno, che va quindi onerato della informazione, trimestrale, circa la propria situazione reddituale e lavorativa”.


 COME OTTENERE LA REVOCA DELL'OBBLIGO DI MANTENIMENTO?

Una volta appurato che il figlio maggiorenne abbia acquistato una certa indipendenza economica, il genitore obbligato al versamento del mantenimento non può arbitrariamente sospendere il versamento o ridurne l'importo a suo piacimento, ma dovrà avviare presso il Tribunale una procedura di modifica delle condizioni di separazione o divorzio (a seconda del provvedimento che ha stabilito l'obbligo di mantenimento) e chiedere  una revoca (o una riduzione dell'importo parametrata alle nuove condizioni economiche del figlio)  dell'obbligo di versamento del mantenimento. Solamente una pronuncia del Tribunale può infatti  autorizzare il genitore obbligato a non versare più l'assegno di mantenimento o a versare un importo inferiore a quello stabilito. Ogni azione arbitraria può condurre infatti  a spiacevoli coneguenze sul piano giuridico ed è quindi sempre consigliabile consultare un legale prima di agire in auotonomia.

Avv. Daniela Giuliani del Foro di Roma 


Avv. Daniela Giuliani - Matrimonialista e divorzista. Avvocati Matrimonialisti Associati sede Roma

Sono l'Avv. Daniela Giuliani della associazione A.M.A. Avvocati Matrimonialisti Associati sede di Roma . Mi occupo di diritto di famiglia, con particolare riferimento a separazioni e divorzi, curando sia la fase stragiudiziale che quella giudiziale, operando prevalentemente sul Foro di Roma e provincia. L'esperienza nel settore del diritto di famiglia mi ha consentito di espandere la mia attività professionale anche in ambito penale in tutti i casi in cui l'alta conflittualità tra le parti determina situazioni di maggiore gravità che possono assumere rilevanza penalistica. Altre materie: infortunistica stradale.




Daniela Giuliani

Esperienza


Diritto di famiglia

Mi occupo prevalentemente di separazioni e divorzi ( comprese le questioni relative alle coppie di fatto) prestando grande attenzione anche alla fase stragiudiziale finalizzata al raggiungimento di accordi (ove possibile) che consentano alle parti di procedere congiuntamente evitando la fase giudiziale . Particolare attenzione viene prestata alle coppie con figli minori in cui cerco di dare risalto a quello che è l'interesse del minore senza tralasciare i diritti - doveri di ciascun genitore, soprattutto per garantire il principio della bigenitorialità e la realizzazione dell'affido condiviso.


Divorzio

Ho seguito e seguo numerosi casi di divorzio (sia congiunto che giudiziale) compresi i casi di modifica delle condizioni di divorzio già stabilite, sia in caso di modifica congiunta su richiesta delle parti sia in caso di modifica giudiziale. Mi attengo a criteri di praticità e concretezza privilegiando la trattativa finalizzata al raggiungimento di un accordo che è sempre preferibile laddove vi siano margini di riuscita .


Unioni civili

Assisto regolarmente anche coppie di fatto ed unioni civili, garantendo un'assistenza specifica in tutti i casi in cui vi siano figli minori ed interessi da tutelare.


Altre categorie:

Separazione, Matrimonio, Affidamento, Diritto penale, Violenza, Stalking e molestie, Incidenti stradali, Tutela dei minori, Diritto civile, Recupero crediti, Reati contro il patrimonio, Locazioni, Multe e contravvenzioni, Mediazione, Gratuito patrocinio, Domiciliazioni, Risarcimento danni.


Referenze

Pubblicazione legale

La ripartizione della pensione di reversibilita' tra coniuge divorziato e coniuge superstite

Pubblicato su IUSTLAB

A CHI SPETTA LA PENSIONE DI REVERSIBITLITA’ TRA CONIUGE DIVORZIATO E CONIUGE SUPERSTITE. I CRITERI APPLICATIVI In questo articolo cercheremo brevemente di fare luce su una questione molto spesso oggetto di confusione : come ripartire la pensione di reversibilità nel caso di concorso tra coniuge divorziato e coniuge superstite. Un recente ordinanza della Suprema Corte di Cassazione (la n. 8263/2020) stabilisce che il già valido criterio della durata del matrimonio va equilibrato con il criterio della convivenza pre-matrimoniale. In caso di concorso tra coniuge divorziato e coniuge superstite, per determinare la quota spettante di pensione di reversibilità, la legge individua il criterio legale della durata dei rispettivi rapporti di coniugio . Tale criterio deve essere però temperato da ulteriori elementi, come l'entità dell'assegno di mantenimento riconosciuto all'ex coniuge, le condizioni economiche dei due e la durata delle rispettive convivenze prematrimoniali Questo è il principio sancito dalla la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con l’ordinanza del 28 aprile 2020 n. 8263. IL DATO NORMATIVO La normativa di riferimento è la legge 898/1970, in particolare , l’art. 9 ART .9 «Qualora esista un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, una quota della pensione e degli altri assegni a questi spettanti è attribuita dal tribunale, tenendo conto della durata del rapporto, al coniuge rispetto al quale è stata pronunciata la sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e che sia titolare dell'assegno di cui all'art. 5. Se in tale condizione si trovano più persone, il tribunale provvede a ripartire fra tutti la pensione e gli altri assegni, nonché a ripartire tra i restanti le quote attribuite a chi sia successivamente morto o passato a nuove nozze» e l’art.5 «Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l'obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell'altro un assegno quando quest'ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive» In buona sostanza quindi la ripartizione della pensione di reversibilità tra coniuge divorziato e coniuge superstite deve avvenire considerando la durata dei rispettivi rapporti matrimoniali. Se il sopra richiamato articolo 9 della legge 898/70 impone al giudice di "tenere conto" dell'elemento temporale., va detto che esso non rappresenta però l’unico elemento determinante in quanto il Giudice non è chiamato a fare solo un semplice calcolo aritmetico, ma come vedremo in seguito è tenuto a prendere in considerazione anche altri elementi, che potremmo definire correttivi. L’ordinanza della Corte di Cassazione che stiamo esaminando, chiarisce proprio questo ulteriore aspetto. Alla luce di quanto evidenziato dalla Consulta , infatti, possiamo affermare che i criteri da impiegare in questo caso sono i seguenti: 1.la durata dei rispettivi matrimoni (criterio legale ai sensi dell’art. 9 comma 3 legge 898/70), 2. l'entità dell'assegno di mantenimento riconosciuto all'ex coniuge, 3.le condizioni economiche dei due aventi diritto (il coniuge divorziato e il coniuge superstite), 4. la durata delle rispettive convivenze prematrimoniali. I suddetti criteri non devono essere necessariamente considerati congiuntamente, bensì il loro impiego rientra nel prudente apprezzamento del giudice di merito (Cass. 18461/2004, Cass. 6272/2004, Cass. 26358/2011; Cass. 16093/2012). Più precisamente tali criteri ulteriori sono dei cosiddetti “correttivi” che vanno applicati al criterio legale e predominante della “durata del matrimonio” al fine di evitare che la ripartizione derivi da esclusivamente da un asettico calcolo aritmetico. Tra i criteri di valutazione sopra richiamati merita attenzione quello della convivenza prematrimoniale . I Giudici della Cassazione chiariscono che la convivenza prematrimoniale va valutata « quale indice sintomatico della funzione di sostegno economico assolta dal dante causa nel corso della propria vita mediante la condivisione dei propri beni con la persona poi divenuta coniuge». Ciò significa che la convivenza prematrimoniale funge anch’essa quale indice correttivo da inserire all'interno del complessivo ed articolato giudizio che deve condurre alla adeguata determinazione delle quote della pensione di reversibilità. In conclusione, quindi, nel determinare la quota della pensione di reversibilità da attribuire in caso di concorso tra coniuge divorziato e coniuge sopravvissuto , occorre effettuare una valutazione più ampia e più complessa rispetto al mero calcolo matematico della durata del matrimonio. I suddetti criteri non possono essere infatti trascurati, altrimenti la valutazione del giudice si ridurrebbe ad una mera operazione aritmetica tra la durata dei diversi rapporti di coniugio. Una simile soluzione è stata da tempo superata sia dalla giurisprudenza costituzionale che di legittimità proprio alla luce della necessità di parametrare le quote da attribuire alla reale situazione personale, sociale ed economica degli aventi diritto. AVV. DANIELA GIULIANI, Roma.

Pubblicazione legale

Separazione/divorzio. Lavoro in nero dell'ex coniuge. Onere della prova

Assegno di mantenimento/assegno divorzile. Lavoro in nero. Onere della prova.

Pubblicazione legale

Assegno di mantenimento e reddito di cittadinanza

Pubblicato su IUSTLAB

MANTENIMENTO EX CONIUGE E REDDITO DI CITTADINANZA. Come sappiamo il reddito di cittadinanza e' un beneficio economico disposto in favore di chi si trova in una comprovata situazione di difficolta' eocnomica e va quindi a modificare il reddito di chi lo percepisce. Di conseguenza è lecito domandare se l’ex coniuge, obbligato a versare il mantenimento , può chiedere al Tribunale di ridurre (o revocare) l’importo dell’assegno già stabilito se l'ex coniuge ha maturato il diritto a percepire il reddito di cittadinanza. Ebbene, nonostante l'assenza di una precisa previsione normativa in tal senso, la irposta è si. Non vi sono ragioni infatti per escludere che la percezione del reddito di cittadinanza dia la possibilità al coniuge obbligato di ricorrere al Tribunale per chiedere una revoca o una riduzione dell'importo versato a titolo di mantenimento: questo perchè, come sopra s'è detto, il reddito di cittadinanza va comunque ad incrementare il reddito del beneficiario. Naturalmente la decisione in merito alla revoca o alla riduzione dell'importo del mantenimento spetta esclusivamente al Tribunale e non esistono parametri matematici per stabilire quando l'assegno di mantenimento possa essere revocato o in che misura possa essere ridotto: tale decisione spetta al Tribunale il quale prenderà in esame una serie di circostanze all'esito di un apposito giudizio di modifica delle condizioni di separazione o divorzio. QUALI SONO I RAPPORTI TRA ASSEGNO DI MANTENIMENTO E REDDITO DI CITTADINANZA? Diciamo subito che, ai fini fiscali, l’assegno di mantenimento è considerato un reddito per chi lo percepisce e viceversa un costo per chi lo èroga. Pertanto, chi percepisce il mantenimento paga le tasse sull’importo dell’assegno, mentre il coniuge che lo versa può dedurlo dal reddito imponibile. I due benefici in taluni casi possono coesistere: può accadere infatti che il coniuge, già percettore dell'assegno di mantenimento o di divorzio, avanzi comunque richiesta per ottenere il reddito di cittadinanza in quanto rientrante nei limiti reddituali imposti dalla legge per ottenere tale beneficio; in altri casi - invece- può accadere che il coniuge che percepisce l'assegno di mantenimento o di divorzio decida di rinunciarvi proprio per avere accesso al Reddito di Cittadinanza (pensiamo al caso di un assegno mensile piuttosto basso). SI PUO' RICHIEDERE LA REVOCA O LA RIDUZIONE DEL MANTENIMENTO IN FAVORE DELL'EX CONIUGE CHE PERCEPISCE IL REDDITO DI CITTADINANZA O CHE SI TROVA NELLE CONDIZIONI DI POTERVI ACCEDERE? Come abbiamo detto sopra, la legge non disciplina espressamente gli eventuali effetti che il Reddito di Cittadinanza può avere sull'assegno di mantenimento o di divorzio, pertanto saranno i Giudici a pronunciarsi sulla possibilità di revocare o ridimensionare l'importo di detto assegno. Una volta introdotto il giudizio per la modifica delle condizioni di separazione/divorzio spetterà dunque al Giudice valutare la possibilità di accogliere la domanda di revoca o riduzione dell'assegno sulla base di una serie di fattori tra i quali la situazione patrimoniale del beneficiario in generale ma anche ogni altra utilità suscettibile di valutazione economica (come appunto la percezione del reddito di cittadinanza o la possibilità di accedervi). In tal senso però occorre evidenziare che il Reddito di Cittadinanza è una misura dalla durata limitata nel tempo (18 mesi anche se rinnovabili) che tende in buona sostanza a condurre il beneficiario alla ricerca di un'attività lavorativa. Pertanto la scadenza naturale (o la revoca) della percezione del beneficio potrebbero condurre ad una "riviviscenza" della situazione reddituale precedente e quindi del diritto all'assegno di mantenimento. Ciò significa che la sola opportunità di ricevere il sussidio (peraltro di natura temporanea) potrebbe non essere sufficiente a giustifcare la revoca o la riduzione dell'assegno di mantenimento o divorzile, laddove non siano contemporaneamente presenti variazioni significative della situazione patrimoniale del beneficiario. In tutte queste ipotesi pertanto sarebbe opportuno stipulare un accordo tra le parti - con l'assistenza dei rispettivi legali - teso ad una modifica congiunta delle condizioni relative al mantenimento al fine di poter ricorrere congiutamente al Tribunale ed ottenere cosi una modifica che tenga conto delle contingenze economiche del momento. AVV. DANIELA GIULIANI del Foro di Roma Via della Giuliana 73 00195 Roma Mobile 347 19 55898

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