Il Master in Diritto Vitivinicolo mi ha consentito di approfondire la materia con le sue connessioni tra diritto civile, amministrativo e penale.
Sono Avvocato, iscritto all'Ordine di Cagliari, dall'anno 1996. Esercito la mia professione sia in forma individuale che in collaborazione con i Colleghi dello Studio Legale MDG & Partners. Alcune delle mie esperienze: Consulente legale (2001- 2008) del “Centro di ascolto”, Comuni associati in base alla legge 285. Cultore di Materia presso l'Università di Cagliari (Istituto di Diritto Romano) Insegnante di Diritto di Polizia presso la Scuola Allievi Carabinieri (Sezione di Iglesias) negli anni 1997-2002 Master Breve in Diritto Bancario e Finanziario nell'anno 2017. Master in Diritto Tributario nell'anno 2018 -19.
Mi occupo di Diritto Bancario e del relativo contenzioso sin dal 1993, avendo svolto la pratica forense in uno Studio Legale che tutelava all'epoca un primario Istituto di Credito. In quell'ambito mi occupavo prevalentemente della fase del recupero del credito; alla predetta fase, peraltro, era spesso connessa l'attività di difesa della Banca nei giudizi di merito ove era frequente la trattazione di complesse questioni giuridiche. Successivamente mi sono occupato di numerosi contenziosi nei quali ho assunto la difesa dell'utente bancario (Azienda e Consumatore). Ho frequentato un Master breve in Diritto Bancario nell'anno 2017.
Mi occupo di diritto civile dall'inizio della mia attività professionale. Le mie aree di attività spaziano dal recupero crediti (che viene svolto principalmente a favore di Aziende) al contenzioso Bancario (per il quale si veda l'apposita sezione) ed assicurativo. Nel corso degli anni, in virtù di specifiche esperienza maturate sul campo, mi sono occupato anche di diritto di famiglia (per il quale rimando all'apposita sezione).
Dal 1993 (anno di inizio della pratica professionale) ho seguito moltissime pratiche di recupero crediti. Detta attività si esplica attraverso una prima necessaria fase stragiudiziale - con eventuale fase di mediazione o di negoziazione assistita, laddove necessaria - seguita in caso di mancato recupero, dall'azione monitoria e dalla successiva fase esecutiva (mobiliare presso il debitore, mobiliare presso terzi e immobiliare).
Diritto di famiglia, Tutela dei minori, Fallimento e proc. concorsuali, Usura, Pignoramento, Diritto penale, Tutela del consumatore, Diritto condominiale, Locazioni, Sfratto, Eredità e successioni, Separazione, Divorzio, Matrimonio, Affidamento, Incapacità giuridica, Diritto commerciale e societario, Franchising, Diritto assicurativo, Contratti, Diritto tributario, Diritto del lavoro, Mobbing, Licenziamento, Reati contro il patrimonio, Incidenti stradali, Multe e contravvenzioni, Malasanità e responsabilità medica, Mediazione, Negoziazione assistita, Gratuito patrocinio, Domiciliazioni, Risarcimento danni.
Da alcuni anni a questa parte e più precisamente dal momento in cui la Corte di Cassazione, Sezione Prima Civile, con l’Ordinanza 12 dicembre 2017, n. 29810 ha sancito il seguente principio di diritto: “ in tema di accertamento dell'esistenza di intese anticoncorrenziali vietate dalla L. n. 287 del 1990, art. 2, la stipulazione "a valle" di contratti o negozi che costituiscano l'applicazione di quelle intese illecite concluse "a monte" (nella specie: relative alle norme bancarie uniformi ABI in materia di contratti di fideiussione, in quanto contenenti clausole contrarie a norme imperative) comprendono anche i contratti stipulati anteriormente all'accertamento dell'intesa da parte dell'Autorità indipendente preposta alla regolazione o al controllo di quel mercato (nella specie, per quello bancario, la Banca d'Italia, con le funzioni di Autorità garante della concorrenza tra istituti creditizi, ai sensi della L. n. 287 del 1990, artt. 14 e 20, (in vigore fino al trasferimento dei poteri all'AGCM, con la L. n. 262 del 2005, a far data dal 12 gennaio 2016)) a condizione che quell'intesa sia stata posta in essere materialmente prima del negozio denunciato come nullo, considerato anche che rientrano sotto quella disciplina anticoncorrenziale tutte le vicende successive del rapporto che costituiscano la realizzazione di profili di distorsione della concorrenza ” è ampiamente dibattuto il tema della nullità delle fideiussioni redatte secondo lo schema ABI. A partire da quella data numerose altre Sentenze, sia di legittimità che di merito, hanno ribadito il suddetto principio di diritto e statuito la nullità dei contratti di fideiussione redatti su moduli conformi allo schema ABI. Tra gli ultimi arresti in tal senso citiamo Cass. civ. Sez. I, Sent., 22-05-2019, n. 13846 che ha ribadito il principio già affermato da Cass. 29810/2017 in base al quale le fideiussioni prestate a garanzia delle operazioni bancarie redatte su modulo uniforme ABI sono radicalmente nulle per violazione del divieto di intese anticoncorrenziali previsto dall'art. 2, comma 2, lett. a), della L. n 287/1990 . Il citato art. 2 della L. 287/1990 vieta, infatti, le intese tra imprese che abbiano l’oggetto o l’effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato nazionale, anche fissando direttamente o indirettamente prezzi di acquisto o di vendita o altre condizioni contrattuali. Non è superfluo ricordare come, a monte delle Sentenze sopra richiamate, in applicazione della predetta normativa, la Banca d'Italia avesse avviato nei confronti dell’ABI, relativamente alle condizioni generali della fideiussione contratta a garanzia delle operazioni bancarie, una istruttoria dalla quale era emerso che gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale tipo predisposto dall'ABI “ contengono disposizioni che, nella misura in cui vengano applicate in modo uniforme, sono in contrasto ” con la citata normativa. Il caso concreto che venne a suo tempo esaminato da Cass. 29810/2017 riguardava un fideiussore che si era opposto ad un Decreto Ingiuntivo emesso nei suoi confronti assumendo che il contratto di fideiussione omnibus da lui sottoscritto fosse nullo in quanto le clausole ivi contenute erano identiche allo schema contrattuale tipo predisposto dall’ABI e come tali contrastanti con il provvedimento della Banca d’Italia, del 2 maggio 2005, che ne vietava l'applicazione per violazione della L. n. 287 del 1990. La Suprema Corte ha evidenziato che ciò che assume rilievo, ai fini della predicata inefficacia delle clausole del contratto di fideiussione di cui agli artt. 2, 6 e 8, è, all’evidenza, il fatto che esse “ costituiscano lo sbocco dell'intesa vietata.. .”, cioè che “ attraverso dette disposizioni si siano attuati gli effetti di quella condotta illecita.. ”. Ciò che andava accertata, pertanto, non era la diffusione di un modulo ABI da cui non fossero state espunte le nominate clausole, quanto la coincidenza delle convenute condizioni contrattuali col testo di uno schema contrattuale ritenuto coincidente con lo schema delineato dall’intesa restrittiva vietata. E’ evidente, infatti, che l’illecito concorrenziale poteva configurarsi anche nel caso in cui l’ABI non avesse contravvenuto a quanto disposto dalla Banca d'Italia nel provvedimento del 2 maggio 2005, ma la Banca parte in causa avesse egualmente sottoposto all’odierno ricorrente un modulo negoziale includente le disposizioni che costituivano comunque oggetto dell’intesa di cui alla L. n. 287 del 1990, art. 2, lett. a)”. In altre parole, Cass. 29810/2017 statuisce che, indipendentemente dal comportamento dell’ABI, quello che rileva è se l’Istituto di credito abbia sottoposto al ricorrente una fideiussione contenente quelle clausole che sono ritenute in contrasto con l’art. 2, comma, 2, lettera a), della legge n. 287/90. Pertanto il Giudice di merito è tenuto essenzialmente “ a valutare se le disposizioni convenute contrattualmente coincidono con le condizioni oggetto dell'intesa restrittiva ”, cioè se coincidono con quelle, individuate dalla Banca d'Italia, che violano la legge L. n. 287 del 1990, ciò indipendentemente dal fatto che l’ABI abbia provveduto o meno a diffondere il testo delle condizioni generali del contratto di fideiussione comprensivo delle clausole vietate dallo schema contrattuale diffuso presso il sistema bancario. Un ulteriore passo avanti nell’interpretazione della vicenda in esame è senz’altro costituito dalla ciò richiamata Sentenza della Corte di Cassazione del 22.05.2019 n. 13846. Nella sopra richiamata pronuncia si chiarisce, infatti, che per fare sì che l’azione realizzata dall’Azienda di credito debba considerarsi vietata, si deve accertare “ non la diffusione di un modulo abi da cui non fossero state espunte le nominate clausole, quanto la coincidenza delle convenute condizioni contrattuali, col testo di uno schema contrattuale che potesse ritenersi espressivo della vietata intesa restrittiva: giacché, come è chiaro, l’illecito concorrenziale poteva configurarsi anche nel caso in cui l’abi non avesse contravvenuto a quanto disposto dalla banca d’italia nel provvedimento n. 55/2005, ma la banca (…) avesse egualmente sottoposto all’odierno ricorrente un modulo negoziale includente disposizioni che costituivano comunque oggetto dell’intesa di cui alla l. 287 del 1990, art. 2, lett. A) ”. Da ciò deriva, secondo l’interpretazione sopra richiamata, l’automatica nullità dei contratti fideiussori redatti secondo il modello ABI, senza necessità che il Giudice di merito debba provvedere ad una valutazione in ordine all’illegittimità delle clausole fideiussorie, in quanto la valutazione di tale illegittimità è stata fatta a suo tempo dalla Banca d’Italia con il provvedimento n. 55 del 02.05.2005. Quali sono le conseguenze della declaratoria di nullità? Una delle conseguenze più evidenti della declaratoria di nullità dei contratti di fideiussione è senz’altro la decadenza del diritto ad agire contro il fideiussore. Di norma, infatti, i contratti di fideiussione comportavano una diluizione a dismisura dei termini per l’escussione del garante nonché di estensione della garanzia anche agli obblighi di restituzione derivanti dall'invalidità del rapporto principale, chiaramente ulteriori e diversi rispetto agli obblighi garantiti al momento della stipulazione. In ordine alla decadenza del diritto ad agire contro il fideiussore ricordiamo che l’art. 1957 c.c. dispone che il fideiussore rimanga obbligato anche dopo la scadenza dell’obbligazione principale, purché il creditore abbia proposto le sue istanze contro il debitore entro sei mesi e le abbia continuate con diligenza . Il creditore che non attiva tempestivamente gli strumenti di recupero del proprio credito nei confronti del debitore principale decade pertanto dal diritto di pretendere l’adempimento dal fideiussore. Nel caso in cui il debito sia ripartito in scadenze periodiche, ciascuna delle quali dotata di un grado di autonomia tale da potersi considerare esigibile prima ed a prescindere dalla prestazione complessiva, il “ dies a quo” , per calcolare il termine decadenziale previsto dall’art. 1957 cod. civ., va individuato in quello di scadenza delle singole prestazioni e non già dell’intero rapporto (Cass. n. 15902/2014). Il termine di decadenza previsto all’art. 1957 c.c. si applica a prescindere da qualsivoglia stato soggettivo del creditore, che esso porti a giustificazione della sua inerzia nell’azione contro il debitore principale; ciò che rileva è il solo oggettivo decorso del termine, senza che il creditore abbia iniziato una azione giudiziale di recupero contro il debitore principale e l’abbia altresì diligentemente continuata. Da quanto sopra esposto è evidente che, in ogni ipotesi in cui l’Azienda di credito abbia (come accade più frequentemente di quanto si pensi) iniziato l’azione giudiziaria nei confronti del debitore principale dopo molto tempo (talvolta passano anni tra la decadenza del beneficio del termine e l’inizio delle azioni volte al recupero) il fideiussore avrà la possibilità di eccepire la nullità della clausola di deroga all’art 1967 c.c.. La predetta difesa è spesso particolarmente efficace nei giudizi di opposizione a Decreto Ingiuntivo ed ha spesso comportato la sospensione del provvedimento monitorio emesso nei confronti del fideiussore Articolo originariamente pubblicato dallo scrivente su: https://www.studiolegalemdg.com/notizie/la-nullita-delle-fideiussioni-bancarie-redatte-su-schema-abi
Il Master Breve ha focalizzato la sua attenzione sugli aspetti del contenzioso in materia Bancaria e Finanziaria. Il corso si è svolto in 25 ore di formazione nel periodo maggio -giugno 2017 e mi ha permesso di approfondire con un taglio differente una materia che tratto da anni.
1. La natura e la funzione del TAEG. Il Tasso annuo effettivo globale (TAEG) è l’indicatore di tasso di interesse di ogni operazione di finanziamento ed è stato introdotto dalla direttiva europea 90/88/CEE. La successiva Deliberazione del CICR (n. 10688 del 4/03/2003, art. 9 comma 2) ha demandato alla Banca d’Italia di individuare quali siano le operazioni e i servizi a fronte dei quali detto indice, “ comprensivo degli interessi e degli oneri che concorrono a determinare il costo effettivo dell’operazione per il cliente ”, debba essere segnalato, nonché la formula per rilevarlo. L’art. 121 T.U.B. definisce il TAEG come segue “ …m) “tasso annuo effettivo globale” o “TAEG” indica il costo totale del credito per il consumatore espresso in percentuale annua dell’importo totale del credito. 2. Nel costo totale del credito sono inclusi anche i costi relativi a servizi accessori connessi con il contratto di credito, compresi i premi assicurativi, se la conclusione di un contratto avente ad oggetto tali servizi è un requisito per ottenere il credito, o per ottenerlo alle condizioni offerte. 3. La Banca d’Italia, in conformità alle deliberazioni del CICR, stabilisce le modalità di calcolo del TAEG, ivi inclusa la specificazione dei casi in cui i costi di cui al comma 2 sono compresi nel costo totale del credito. .” Per effetto delle nuove disposizioni della Banca d’Italia sulla trasparenza, in adempimento della direttiva europea EU 2008/48/CE, dal 1º giugno 2011, il calcolo del TAEG comprende - a differenza di quanto previsto per il TEG - anche gli oneri fiscali (come ad esempio l’imposta di bollo sui contratti). 2. L’Indicatore Sintetico di Costo - I.S.C. La sigla I.S.C. esprime, nella sostanza, il medesimo tasso del TAEG; la definizione, che ha assunto significato formale nel 2003 con una delibera del CICR - cui è seguito un Provvedimento attuativo della Banca d'Italia che ne ha confermato il presumibile significato - ha infatti precisato che l’ISC è “ calcolato conformemente alla disciplina sul tasso annuo effettivo globale (TAEG )”. In altri termini è stato chiarito che quando si dice ISC è come dire TAEG; quindi nell’ISC andranno ricomprese tutte le spese specificate per il TAEG. In linea di massima si ritiene che Il TAEG si riferisca mutui, anticipazioni bancarie, aperture di credito e altri finanziamenti, compreso il credito al consumo, mentre l’ISC alle sole aperture di conto corrente. 3. Natura e funzione del TAEG / ISC Alla luce di quanto sopra indicato il TAEG/ISC rappresenta lo strumento principale di trasparenza nei contratti di credito al consumo (esso è infatti regolato nel Titolo VI, Capo II del TUB, intitolato “Credito al consumo”) ed esprime , in termini percentuali rispetto al capitale erogato, il costo totale effettivo del credito a carico del consumatore . Lo stesso deve essere inserito obbligatoriamente nella pubblicità, negli uffici commerciali dell’intermediario e nella documentazione messa a disposizione del consumatore prima della conclusione del contratto, in quanto persegue lo scopo di dare al consumatore informazioni omogenee e attendibili sul costo effettivo del credito tra le diverse offerte presenti sul mercato e raffrontare istantaneamente la convenienza delle diverse offerte di credito. Il TAEG include, pertanto, oneri diversi e ulteriori rispetto al tasso di interesse semplice (T.A.N. - Tasso Annuo Nominale) come, ad esempio, le spese di riscossione dei rimborsi e di incasso delle rate, se stabilite dal creditore, il costo dell’attività di mediazione svolta da un terzo, se necessaria per l’ottenimento del credito, le commissioni, le imposte, i costi relativi a servizi accessori connessi che siano obbligatori e di cui il finanziatore sia a conoscenza, i costi legati a operazioni di pagamento e i costi di gestione del conto sulle quali queste ultime vengono scritturate. Non sono invece incluse nel TAEG le spese connesse a un eventuale inadempimento e gli interessi di mora , le spese per il trasferimento dei fondi , le spese per assicurazioni o garanzie, a eccezione di quelle che, imposte dal creditore, riguardano particolari eventi della vita del consumatore, quali la morte, l’invalidità, la disoccupazione, anche in tal senso il TAEG si differenzia dal TEG (che, invece, è l’indicatore di riferimento per quanto concerne l’eventuale usurarietà del prodotto finanziario). Il calcolo del TAEG presuppone, pertanto, che siano conosciuti in anticipo gli elementi che ne determinano il risultato quali, tra gli altri, l’entità del finanziamento o i tempi di restituzione dello stesso. Recenti pronunce della giurisprudenza di merito ed arbitrale (ABF – Arbitro Bancario Finanziario) hanno sanzionato con la declaratoria di nullità del contratto bancario istituti di credito e società di leasing che hanno applicato ai rapporti condizioni differenti da quelle pubblicizzate , se non addirittura espressamente indicate nel testo contrattuale o hanno omesso l’indicazione in contratto di contenuti obbligatori , espressamente previsti dalla legge per garantire al cliente la massima trasparenza e conoscenza del contenuto del contratto sottoscritto. L'informazione, in effetti, serve ad identificare con precisione cosa la banca vuole dal cliente, cosicché quest'ultimo possa operare scientemente le proprie scelte. Appare rispondente all'esigenza “sociale” la definizione che taluno ha dato della trasparenza, ovvero “ termine trasparenza è un modo riassuntivo di esprimere il concetto di informazione completa e adeguata ”. Traendo spunto dai principi generali dell'art. 1374 c.c., ovvero buona fede e correttezza della condotta, si ricava l'obbligo di informazione quale “obbligo accessorio” al rapporto contrattuale e alla sua integrazione. Come ha avuto modo di precisare la Corte di Cassazione con sentenza n. 12093 del 27.09.2001, tra i più generali doveri di buona fede rientra quello di consegnare al cliente la documentazione relativa al rapporto concluso, dovere che trova la sua corrispondenza negli artt. 1374, 1375 e 119 TUB che sanciscono un vero e proprio diritto soggettivo del cliente a farsi consegnare tale documentazione. 4. La violazione della normativa - Errata o omessa indicazione del TAEG Nel caso in cui il TAEG effettivo non sia conforme a quello dichiarato in contratto, l'art. 125- bis, comma 6 del T.U.B., prevede che: " Sono nulle le clausole del contratto relative a costi a carico del consumatore che, contrariamente a quanto previsto ai sensi dell'articolo 121, comma 1, lettera e), non sono stati inclusi o sono stati inclusi in modo non corretto nel TAEG pubblicizzato nella documentazione predisposta secondo quanto previsto dall'articolo 124. La nullità della clausola non comporta la nullità del contratto. " Ciò comporta la nullità della clausola di determinazione del tasso d’interesse e la sua sostituzione di diritto con quanto previsto nel comma 7 dello stesso articolo: “ Nei casi di assenza o di nullità delle relative clausole contrattuali: a) il TAEG equivale al tasso nominale minimo dei buoni del tesoro annuali o di altri titoli similari eventualmente indicati dal Ministro dell'economia e delle finanze, emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto. Nessuna altra somma è dovuta dal consumatore a titolo di tassi di interesse, commissioni o altre spese”. Una importante pronuncia relativa alle conseguenze della mancata o errata indicazione del sopraindicato indice è costituita da Tribunale di Cagliari, sentenza del 26 giugno 2019, n. 1455. Nella predetta Sentenza si chiarisce che l’ISC rappresenta un elemento fondamentale tra tutte le previsioni del contratto, in quanto indica il costo complessivo dell'operazione . La mancata indicazione dell'ISC rende il contratto difforme dal modello legale con conseguente nullità ai sensi dell'art. 117, comma 8, TUB (“i contratti e i titoli difformi sono nulli”). La pronuncia in esame chiarisce che la nullità del contratto per mancata indicazione dell'ISC deriva per altra via anche dalla violazione di norma imperativa.; ed invero, l’inserimento in contratto del predetto indice, difatti, lungi dall'essere solo obbligo di comportamento del finanziatore, costituisce un obbligo posto a presidio di interessi pubblici di primaria importanza e non solo del cliente: la trasparenza delle condizioni economiche del contratto mediante l'indicazione del costo complessivo dell'operazione non consente solo al cliente di cogliere il senso complessivo dell'operazione, ma altresì di comparare le proposte contrattuali presenti sul mercato, così da orientarlo nella scelta della proposta più conveniente e di garantire la più ampia concorrenza tra gli operatori. In particolare il Tribunale chiarisce quanto segue: “ Occorre anzitutto evidenziare che l’ISC, a norma del paragrafo 9, sezione II delle Istruzioni della Banca d’Italia, deve essere riportato non solo nel documento di sintesi, ma anche nel contratto, avente pertanto natura di “contenuto minimo determinato”. La prevista indicazione dell’ISC nel contratto chiarisce la differenza di natura e funzione rispetto al documento di sintesi. Se, infatti, il documento di sintesi ha una natura meramente riepilogativa e descrittiva di elementi contenuti tutti nel contratto, l’ISC al contrario è il frutto di una elaborazione matematica dell’istituto finanziatore che offre al cliente un elemento informativo fondamentale, ovvero il costo complessivo dell’operazione. Tale elemento, pertanto, non rappresenta un ausilio alla lettura in senso formale del contratto ma fornisce uno strumento di lettura in senso sostanziale, ovvero consente al cliente di comprendere e valutare l’operazione economica sotto il profilo pi ù squisitamente concreto del costo della stessa mediante una sintesi numerica di immediata e facile percezione. Si tratta, in effetti, di un dato che non pu ò essere autonomamente elaborato dal cliente, giacch è presuppone la conoscenza della disciplina del TAEG, aliunde contenuta, bens ì dal solo istituto finanziatore, unico soggetto professionalmente in grado di effettuarlo. L’assenza dell’indicatore sintetico del costo, a differenza del documento di sintesi i cui elementi sono desumibili da una lettura per esteso del contratto, impedisce al cliente di avere conoscenza del costo del finanziamento e di poter effettuare cos ì una valutazione complessiva e comparativa della proposta contrattuale. L’ISC, dunque, si pone in una duplice veste. Sia come strumento di pubblicit à nella fase pre-contrattuale, e di qui l’inserimento nella sezione II delle Istruzioni, L’assenza dell’indicatore sintetico del costo, a differenza del documento di sintesi i cui elementi sono desumibili da una lettura per esteso del contratto, impedisce al cliente di avere conoscenza del costo del finanziamento e di poter effettuare cos ì una valutazione complessiva e comparativa della proposta contrattuale. Sulle conseguenze della mancata / errata indicazione la predette pronuncia chiarisce che “l’ISC è pertanto un elemento del contratto su cui si forma la volont à contrattuale delle parti ed anzi pu ò anche dirsi che si tratti dell’elemento fondamentale tra tutte le previsioni del contratto in quanto indica il costo complessivo dell’oeprazione. Deve conseguentemente affermarsi che la mancata indicazione dell’ISC rende il contratto difforme dal modello legale con conseguente nullit à ai sensi dell’art. 117 c. 8 TUB (“i contratti e i titoli difformi sono nulli”) .” La sanzione di detta inosservanza comporta, che debba trovare “applicazione la previsione dell’art. 117 c. comma 7, il quale prevede che <<in caso di inosservanza del comma 4 ... si applicano: a) il tasso nominale minimo e quello massimo, rispettivamente per le operazioni attive e per quelle passive, dei buoni ordinari del tesoro annuali o di altri titoli similari eventualmente indicati dal Ministro dell'economia e delle finanze, emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto o, se pi ù favorevoli per il cliente, emessi nei dodici mesi precedenti lo svolgimento dell'operazione. b) gli altri prezzi e condizioni pubblicizzati per le corrispondenti categorie di operazioni e servizi al momento della conclusione del contratto o, se pi ù favorevoli per il cliente, al momento in cui l'operazione è effettuata o il servizio viene reso; in mancanza di pubblicit à nulla è dovuto>>. Ad avviso del tribunale, tra le conseguenze previste dalla norma, appare pi ù corretto fare applicazione di quella prevista dalla lett. a), in conformit à alla disciplina dettata dall’art. 125 bis per quanto riguarda il TAEG, e dunque corretto applicare al contratto il tasso nominale minimo dei buoni del tesoro annuali o di altri titoli similari eventualmente indicati dal Ministro dell'economia e delle finanze, emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto.” Sulla stessa linea della Sentenza sopra richiamata, anche la Sntenza n. 801 del 2018, del Tribunale di Pesaro. ***** *** **** Non possiamo, peraltro nascondere che vi è una parte della giurisprudenza che ritiene, diversamente dalle pronunce sopra richiamate, che la mancata o errata indicazione del TAEG non comporti alcuna conseguenza di legge. A puro titolo di esempio riportiamo uno stralcio di motivazione di una Sentenza che esprime il contrario orientamento: “ l'ISC/TAEG non costituisce un tasso di interesse o una specifica condizione economica da applicare al contratto di finanziamento, ma svolge unicamente una funzione informativa finalizzata a mettere il cliente nella posizione di conoscere il costo totale effettivo del finanziamento prima di accedervi; pertanto, l'erronea indicazione dello stesso, non comportando di per sé una maggiore onerosità del finanziamento, quanto piuttosto un'erronea rappresentazione del suo costo complessivo, non determina alcuna nullità contrattuale” (In tal senso cfr., da ultimo, Trib. Monza 23 febbraio 2018 n. 550; Trib. Grosseto 21 giugno 2018); nel medesimo senso anche Tribunale di Roma, 5 marzo 2020, n. 4835. Ad avviso di chi scrive le argomentazioni espresse dalle pronunce sopra citate appaiono deboli e non congruamente motivate. Ed invero l’interpretazione data dalla parte della giurisprudenza sopra richiamata pare svuotare radicalmente di significato il dettato normativo. In altri termini una siffatta interpretazione lascerebbe del tutto prive di tutela condotte scorrette da parte di banche e società finanziarie nei confronti della propria clientela, andando contro non solo al dettato degli articoli del TUB sopra richiamati ma sopratutto allo spirito che informa tutto il Testo Unico Bancario relativamente ai rapporti tra Aziende di Credito ed utenti delle stesse. Viceversa le Sentenze richiamate supra ( Tribunale di Cagliari, sentenza del 26 giugno 2019, n. 1455 per tutte) si collocano nell’alveo della corretta interpretazione della lettera e della ratio del TUB. Articolo già pubblicato su: https://www.studiolegalemdg.com/notizie/lomessa-o-errata-errata-indicazione-del-taeg-isc-del-finanziamento-o-del-mutuo
L’Arbitro Bancario Finanziario - ABF Cos’è l’ABF? Dal sito dell’ABF ricaviamo la seguente definizione “L’Arbitro Bancario Finanziario (ABF) è un sistema di risoluzione alternativa delle controversie (ADR) che possono sorgere tra i clienti e le banche e gli altri intermediari in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari; rappresenta un’opportunitа di tutela più semplice, rapida ed economica rispetto a quella offerta dal giudice ordinario. L'ABF è un organismo indipendente e imparziale nei compiti e nelle decisioni, sostenuto nel suo funzionamento dalla Banca d'Italia. Il ricorso è deciso esclusivamente sulla base della documentazione prodotta dalle parti (ricorrente e intermediario); non è necessaria l'assistenza di un avvocato. Le decisioni dell'ABF non sono vincolanti come quelle del giudice ma, se l'intermediario non le rispetta, la notizia del loro inadempimento è resa pubblica. Dopo una decisione dell'ABF, la parte interessata può comunque ricorrere al giudice ordinario.” Nel dettaglio possiamo dire che un punto di forza dell’Organismo di cui sopra è certamente quello della velocità di risoluzione delle controversie a fronte, però, della non vincolatività delle sue decisioni. La procedura all’ABF è semplice e poco onerosa per il cliente, che deve, infatti versare unicamente la somma di € 20,00 per potere instaurare il procedimento; tra l’altro lo stesso non necessita di difesa tecnica e può pertanto essere instaurato anche senza l’assistenza di un legale; sul punto, peraltro non possiamo fare a meno di sottolineare come la difesa tecnica, in una materia così complessa come il diritto bancario e finanziario, è altamente consigliata. Un’altro elemento che è di sicuro vantaggio per il cliente è quello relativo alla disciplina della soccombenza delle spese: infatti nel caso di rigetto del ricorso il Cliente non viene condannato al rimborso delle spese legali sostenute dall’intermediario, mentre nel caso di accoglimento di norma gli vengono liquidate le spese e gli oneri legali già sostenuti. I tempi, come detto, sono certamente un punto di forza. In un contesto, quale quello italiano in cui le Sentenza non arrivano quasi mai prima di 3-5 anni (a seconda del foro), la durata media dei procedimenti è attualmente di poco superiore ai sei mesi (il Sole 24 ore ha di recente stimato 216 giorni di durata media). Come è composto e dove ha sede l’ABF? Ogni Collegio dell’ABF è composto da 4 membri più il Presidente. Il Presidente e due membri sono individuati e nominati dalla Banca d’Italia, mentre gli altri due membri i sono designati uno dalle associazioni rappresentative dei clienti e l’altro dalle associazioni degli intermediari. A tutti i componenti vengono richiesti requisiti requisiti di professionalità, di onorabilità e imparzialità. Ci sono sei sedi in tutta Italia: Milano, Torino, Bologna, Roma, Napoli, Bari e Palermo. Il collegio di Milano è competente per Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige e Veneto. Il collegio di Torino è competente per Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta. Il collegio di Bologna è competente per Emilia-Romagna e Toscana. Il collegio di Roma è competente per Lazio, Abruzzo, Marche ed Umbria. Il collegio di Napoli è competente per Campania e Molise. Il collegio di Bari è competente per Puglia, Basilicata e Calabria Il collegio di Palermo è competente per Sicilia e Sardegna. Quali soggetti possono adire l’ABF? Il Ricorso può essere presentato unicamente da soggetti titolari di un rapporto contrattuale (anche già estinto) o che comunque siano entrati in relazione con un intermediario per la prestazione di servizi bancari / finanziari o di pagamento. Quali sono i imiti di competenza dell’ABF? L’Arbitro Bancario Finanziario ha una competenza limitata alle controversie relative a operazioni e servizi bancari e finanziari intercorsi tra cliente e intermediario con espressa esclusione delle controversi relativa ai servizi ed attività di investimento. Esiste un limite di valore: quando la richiesta del ricorrente ha ad oggetto la corresponsione di una somma di denaro, a qualunque titolo, la controversia può essere trattata solo se l’importo richiesto non sia superiore ad € 100.000,00. Sono escluse dalla competenza dell’ABF: 1) le controversie relative ad operazioni avvenute prima del 01.01.2009; 2) le questioni relative a beni materiali o a servizi che non siano bancari e finanziari; 3) le questioni concernenti altri contratti che siano nel caso funzionalmente collegati al contratto bancario o finanziario (un esempio per tutti: vizi di un bene concesso in leasing o acquistato con un finanziamento al consumo); 4) le richieste di risarcimento dei danni ulteriori (come il danno morale); 5) le controversie per le quali è già pendente una causa o è stata espletata una procedura di mediazione o arbitrale (salvo che la stessa non sia fallita) oppure nei casi di pendenza di un procedimento di esecuzione forzata o di ingiunzione. A livello di competenza territoriale, inoltre, è rilevante il luogo dove il ricorrente ha eletto il proprio domicilio nel ricorso e a tal proposito (dopo la riforma del dicembre 2016) si distinguono i collegi ABF di Milano, Torino, Bologna, Roma, Napoli, Bari e Palermo. Nel dettaglio: I requisiti di ammissibilità del Reclamo all’ABF. Prima di adire l’ABF è necessario avere sporto reclamo all’intermediario (e che lo stesso non sia stato in tutto o in parte accolto) avente ad oggetto la stessa vicenda oggetto del Ricorso all’ABF. In particolare, si può adire l’ABF dopo il rigetto del reclamo da parte dell’intermediario oppure dopo il decorso di 30 giorni senza riscontro. Il Ricorso all’ABF deve essere inoltrato entro dodici mesi dalla risposta dell’intermediario (o dal trentesimo giorno senza risposta. Come accennato il contenuto del Ricorso all’ABF deve essere lo stesso del Reclamo, a pena di inammissibilità. Alla luce di quanto sopra, sarà importante richiedere, già con il reclamo, il rimborso delle spese di assistenza legale in quanto diversamente - a prescindere dall’esito del ricorso - esse non saranno riconosciute in sede arbitrale perché non preventivamente richieste. Le decisioni dell’ABF sono vincolanti? Questo aspetto rappresenta il limite del ricorso all’ABF. Ed invero, se l’intermediario non esegue spontaneamente la decisione, l’0unica conseguenza immediata e diretta di tale contegno è quella, per così dire, reputazionale: infatti di tale inadempimento viene data notizia sul sito dell’ABF, su due quotidiani nazionali e sulla pagina iniziale del sito dell’intermediario stesso, con le indubbie conseguenze sul lato, appunto della reputazione dell’intermediario inadempiente. Ovviamente, se l’intermediario non esegue la decisione, il Cliente nel rivolgersi all’Autorità giudiziaria e vantare la precedente decisione favorevole dell’ABF. Infine, non essendo la decisione vincolante neppure per il cliente, non è escluso che, nell’ipotesi di rigetto, lo stesso possa ugualmente adire l’Autorità giudiziaria.
Il c.d. Decreto “Cura Italia” ha introdotto alcune modificazioni anche relativamente alla tematica della segnalazione alla Centrale Rischi. Per chiarire di cosa si tratta è bene effettuare un preambolo relativo alla natura ed alla funzione della C.R. Cos’è la CR di Banca d’Italia? La CR è stata istituita in virtù delle seguenti norme: a) Art. 53 c. 1 lettera b e art. 107 c. 2 d. lgs. 385/1993 (Testo Unico Bancario) che recita: ( Vigilanza regolamentare) 1. La Banca d’Italia emana disposizioni di carattere generale aventi a oggetto: a) l’adeguatezza patrimoniale; b) il contenimento del rischio nelle sue diverse configurazioni; c) le partecipazioni detenibili; d) il governo societario, l’organizzazione amministrativa e contabile, nonch é i controlli interni e i sistemi di remunerazione e di incentivazione (2); d-bis) l’informativa da rendere al pubblico sulle materie di cui alle lettere da a) a d) (3) (4). attribuzione alla banca D’Italia del potere di emanare, su conforme deliberazione del CICR, provvedimenti in materia di contenimento del rischio); b) La Delibera CICR (Comitato interministeriale per il credito e il risparmio) del 29 marzo 1994, che ha affidato la gestione della Centrale dei Rischi alla Banca d’Italia, oltre che nelle istruzioni per gli intermediari creditizi di cui alla circolare della Banca d’Italia del 22 giugno 2004. Inoltre dobbiamo citare - la delibera CICR del 29 marzo 1994, pubblicata in Gazzetta Ufficiale del 20 aprile 1994, adottata in base agli artt. 53, comma 1, lett. b) 67, comma 1, lett. b), e 107, comma 2, del d-lgs 1° settembre 1993, 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia; le norme attuative della Banca d’Italia. Esistono oltre alla Centrale dei Rischi presso la Banca d’Italia, altre società private c.d. SIC (Società di Informazioni Creditizie) che raccolgono dati limitatamente ai finanziamenti concessi dagli intermediari aderenti al sistema (anche in caso di saldo regolare delle rate mensili) e che includono altresì lo scaglione compreso tra le poche migliaia di euro e la somma di € 30.000,00. Che natura e che funzioni ha la CR? La Centrale Rischi è un sistema informativo con carattere pubblicistico, che ha per oggetto l'indebitamento della clientela verso le banche e verso le società finanziarie (intermediari); in essa devono confluire le segnalazioni da parte degli intermediari del credito relative all’indebitamento della clientela ai fini dello svolgimento del servizio centralizzato dei rischi in base agli artt. 51, 66, comma 1, e 107, comma 3, del citato Testo unico. Ogni mese gli intermediari devono comunicare alla Banca d'Italia il totale dei crediti verso i propri clienti, limitatamente a quelli pari o superiori ad € 30.000,00, oltre ai crediti in sofferenza di qualunque importo purché riferibili a finanziamenti concessi per somme pari o superiori ai medesimi € 30.000,00. Parimenti la Banca d’Italia, fornisce mensilmente agli intermediari le predette informazioni, comprensive del debito totale verso il sistema creditizio di ciascuno dei clienti segnalati. I dati inseriti in CR sono accessibili agli intermediari, agli organi giudiziari e di polizia giudiziaria (unicamente per ragioni di giustizia) nonché alle istituzioni, alle autorità, alle amministrazioni o agli enti pubblici nei soli casi di legge; ovviamente sono accessibili al soggetto interessato. La Centrale dei Rischi persegue quindi l’interesse pubblico di informare il sistema bancario del fatto che un determinato soggetto risulti inadempiente rispetto a determinati finanziamenti (superiori a € 30.000,00) oppure che sia già gravato da un’esposizione debitoria alquanto rilevante (sempre almeno € 30.000,00) anche se in regolare adempimento. Esistono oltre alla Centrale dei Rischi presso la Banca d’Italia, altre società private c.d. SIC (Società di Informazioni Creditizie) che raccolgono dati limitatamente ai finanziamenti concessi dagli intermediari aderenti al sistema (anche in caso di saldo regolare delle rate mensili) e che includono altresì lo scaglione compreso tra le poche migliaia di euro e la somma di € 30.000,00 e delle quali ci occuperemo in altro contributo. La sua natura è pertanto quella di tutelare l’interesse pubblico a tutela della solvibilità del sistema creditizio. In altri termini lo scopo della CR è quello di migliorare le procedure di valutazione del merito creditizio, rafforzando così la stabilità finanziaria di tutto il sistema creditizio. E’ però basilare che le informazioni vengano fornite in maniera corretta da parte degli intermediari e pertanto l’utente ha un diritto soggettivo a non vedersi pregiudicato per notizie false, incomplete e imprecise. In altri termini è necessario nell’ambito della segnalazioni tenere presente un corretto bilanciamento di due esigenze, da un lato quella di evitare che un soggetto non solvibile acceda al credito e dall’altro evitare che una segnalazione fallace impedisca l’accesso al credito a soggetti meritevoli. In un successivo approfondimento ci occuperemo in maniera dettagliata della questione relativa alla illegittimità della segnalazione in CR. Cosa sono le segnalazioni a sofferenza? Come già accennato, gli intermediari devono segnalare le esposizioni dei propri clienti in sofferenza in riferimento ai finanziamenti concessi per almeno € 30.000,00. Per potere effettuare legittimamente tale segnalazione l’intermediario dovrà appurare che il cliente si trovi in un vero e proprio stato di “insolvenza”, non essendo sufficiente, a tal fine, il mero inadempimento del cliente ad un solo rapporto o il suo tardivo adempimento. In altri termini è necessario che il cliente si trovi in una situazione di instabilità patrimoniale e finanziaria. Pertanto, per potere effettuare la segnalazione di un credito come sofferente, è necessario tenere in considerazione l’intera situazione economico-patrimoniale del debitore, vale a dire il quadro complessivo dei rapporti di dare/avere esistenti tra Azienda di Credito e cliente. Per quanto riguarda la cancellazione della segnalazione in Centrale dei Rischi, infine, va osservato che gli intermediari possono consultare le segnalazioni di ogni soggetto per i 36 mesi precedenti; ne consegue che per fare si che non sia più possibile vedere una segnalazione, occorrerà attendere appunto 3 anni dalla data dell’eventuale pagamento. L’intermediario, infatti, una volta cessata la situazione di sofferenza, cesserà di segnalare il soggetto ma le segnalazioni pregresse saranno ancora visibili agli intermediari per i successivi 36 mesi. Le modifiche nel Decreto Cura Italia. Il c.d. Decreto Cura Italia, in considerazione dello stato di difficoltà finanziaria in cui si trovano numerose imprese, costrette alla chiusura o ad un ridimensionamento delle loro attività in conseguenza delle misure di contenimento adottate per fare fronte all’emergenza COVID-19, ha previsto delle modifiche relative anche alla segnalazione in C.R. L’art 56 ha, in sostanza, previsto una sorta di moratoria per le segnalazioni in CR laddove i presupposti per l’effettuazione della stesse siano sorti in data successiva a quella dell’entrata in vigore delle misure di contenimento che hanno imposto la chiusura di gran parte delle attività produttive. In particolare si prevede che gli intermediari non debbano segnalare: 1) sconfinamenti relativi a finanziamenti accordati a imprese beneficiarie delle misure di cui all’art. 56, co. 2, lett. a) e b) del D.L. Ciò in quanto le misure tali misure prevedono l’irrevocabilità e la proroga della scadenza dei finanziamenti non rateali. 2) le rate scadute - in quanto sospese - nel caso di finanziamenti accordati a imprese beneficiarie della misura di cui all’art. 56, co. 2, lett. c); Questo in quanto la predetta disposizione prevede la sospensione del pagamento delle rate di mutui e di altri finanziamenti a rimborso rateale. Infine, chi ha beneficiato della sospensione del rimborso del finanziamento non potrà essere classificato a sofferenza dal momento in cui il beneficio è stato accordato. Di seguito riportiamo la Comunicazione della Banca d’Italia del 23 marzo 2020 - Decreto Legge “Cura Italia” (D.L. n. 18 del 17 marzo 2020) - Precisazioni in materia di segnalazioni alla Centrale dei rischi - La comunicazione è rinvenibile anche al seguente link: https://www.dirittodelrisparmio.it/wp-content/uploads/2020/04/Decreto-Cura-Italia-Precisazioni-in-merito-alle-segnalazioni-alla-Centrale-dei-rischi.pdf Il Decreto Legge 17 marzo 2020, n. 18 recante “Misure di potenziamento del servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19” all’art. 561 prevede che le imprese, come definite al comma 5 – in relazione alle esposizioni debitorie nei confronti di banche, di intermediari finanziari previsti dall’art. 106 del d.lgs. n. 385 del 1° settembre 1993 (Testo unico bancario) e degli altri soggetti abilitati alla concessione di credito in Italia – possono avvalersi dietro comunicazione di alcune misure di sostegno finanziario. Tra le suddette misure, il comma 2 dell’art. 56 prevede che: • lett. a) “per le aperture di credito a revoca e per i prestiti accordati a fronte di anticipi su crediti esistenti alla data del 29 febbraio 2020 o, se superiori, a quella di pubblicazione del presente decreto, gli importi accordati, sia per la parte utilizzata sia per quella non ancora utilizzata, non possono essere revocati in tutto o in parte fino al 30 settembre 2020”; • lett. b) “per i prestiti non rateali con scadenza contrattuale prima del 30 settembre 2020 i contratti sono prorogati, unitamente ai rispettivi elementi accessori e senza alcuna formalit à , fino al 30 settembre 2020 alle medesime condizioni”; • lett. c) “per i mutui e gli altri finanziamenti a rimborso rateale, anche perfezionati tramite il rilascio di cambiali agrarie, il pagamento delle rate o dei canoni di leasing in scadenza prima del 30 settembre 2020 è sospeso sino al 30 settembre 2020 e il piano di rimborso delle rate o dei canoni oggetto di sospensione è dilazionato, unitamente agli elementi accessori e senza alcuna formalit à , secondo modalit à che assicurino l’assenza di nuovi o maggiori oneri per entrambe le parti; è facolt à delle imprese richiedere di sospendere soltanto i rimborsi in conto capitale”. Gli intermediari dovranno tenere conto di queste previsioni ai fini delle segnalazioni alla Centrale dei rischi. In particolare, si precisa che nel caso di imprese beneficiarie della previsione di cui all’art. 56, co. 2, lett. a) e b) del citato decreto, nella segnalazione della relativa posizione debitoria si dovr à tener conto dell’impossibilit à di revocare in tutto o in parte i finanziamenti in discorso o della proroga del contratto; gli intermediari pertanto non dovranno ridurre l’importo dell’accordato segnalato alla Centrale dei rischi. Nel caso di imprese beneficiarie della sospensione ex art. 56, co. 2, lett. c) del citato decreto, nella segnalazione della relativa posizione debitoria si dovr à tener conto della temporanea inesigibilit à dei crediti in discorso, sia in quota capitale che in sorte interessi (ove prevista). Coerentemente, per l’intero periodo di efficacia della sospensione, dovr à essere interrotto il computo dei giorni di persistenza degli eventuali inadempimenti gi à in essere ai fini della valorizzazione della variabile “stato del rapporto”. Analoghi criteri segnaletici dovranno essere seguiti in relazione ad altre disposizioni del suddetto decreto, ad altre previsioni di legge, ad accordi o protocolli d’intesa che prevedano l’impossibilit à di revocare finanziamenti o il beneficio della sospensione dei pagamenti relativi a finanziamenti oggetto di segnalazione alla Centrale dei rischi. In ogni caso, con riferimento alle disposizioni normative suindicate, il soggetto finanziato non potr à essere classificato a sofferenza dal momento in cui il beneficio è stato accordato. Questo articolo è stato pubblicato in: https://www.studiolegalemdg.com/notizie/la-segnalazione-nella-centrale-rischi-di-banca-ditalia-e-le-modifiche-introdotte-dal-decreto-cura-italia
Oltre alla Centrale Rischi della Banca d’Italia (C.R.) della quale abbiamo parlato in occasione di altro approfondimento ( https://www.studiolegalemdg.com/notizie/la-segnalazione-nella-centrale-rischi-di-banca-ditalia-e-le-modifiche-introdotte-dal-decreto-cura-italia ) vi sono varie altre Banche dati della quali si avvalgono gli intermediari del credito per operare una compiuta valutazione del merito creditizio della clientela. Infatti, quando un cliente chiede alla banca o ad una finanziaria un prestito, viene avviata un’istruttoria per conoscere la sua affidabilità. L’obiettivo dell’istruttoria è quello d’individuare la c.d. referenza creditizia. Cos’è la referenza creditizia? La referenza creditizia è la reputazione che il cliente ha presso banche e intermediari finanziari nell’ambito dei rapporti di finanziamento che intrattiene o ha in passato intrattenuto. Il cliente che, dai controlli effettuati attraverso le varie Banche dati, risulta aver sempre pagato con regolarità le rate di rimborso avrà certamente una referenza creditizia positiva; viceversa, laddove vi siano insolvenze, ritardi o morosità il soggetto verrà considerato “cattivo pagatore”, ossia avrà una referenza negativa. E’ evidente che si tratta di un terreno delicatissimo in quanto dal trattamento delle varie informazioni sui rapporti finanziari dipende l’accesso al credito dei consumatori. Ciò ha indotto il legislatore a prevedere una disciplina specifica della materia attraverso un codice deontologico sottoscritto dalle associazioni rappresentative degli operatori del settore. Il codice deontologico è vincolante sul piano normativo e fissa garanzie per gli interessati; il suo mancato rispetto determina sanzioni ed espone al risarcimento del danno) Cosa sono i Sistemi di Informazioni Creditizie - SIC ? I SIC sono banche dati o archivi (pubblici o privati) che raccolgono informazioni in merito alla richiesta, all’apertura e all’andamento di rapporti di credito. I SIC - un tempo noti come “centrali rischi private” - sono le banche dati private usate da banche e finanziarie per la referenza creditizia. Tali banche dati, a differenza della CR presso la Banca d’Italia, includono anche i finanziamenti inferiori a € 30.000,00 Le informazioni sono gestite in modo centralizzato e sono consultabili solo dai soggetti che vi hanno aderito e che le comunicano; in altri termini gli intermediari non sono obbligati ad effettuare tali segnalazioni e chi aderisce alle SIC (banca o finanziaria) dovrà pagare alla società privata il compenso pattuito per usufruire del servizio di accesso ai dati dei clienti. L’attività dei SIC privati è disciplinata dal “Codice di deontologia” pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 300 del 23 dicembre 2004 ed emanato in attuazione del “Codice sulla privacy” (D. lgs. n.196/2003). Il Codice di deontologia è stato sottoscritto dai gestori dei SIC, dai rappresentanti degli enti finanziari, da alcune associazioni dei consumatori e dal Garante per la protezione dei dati personali. I SIC attivi attualmente in Italia sono Experian, Consorzio Tutela Credito, Crif, e Assilea (fonte: Banca d’Italia). I sistemi informativi contengono sia informazioni creditizie di tipo negativo ( relative a rapporti di credito per i quali si sono verificati inadempimenti o ritardi) ed informazioni creditizie generali (richieste/rapporti di credito anche in bonis). Tutela della referenza creditizia Il cliente ha alcuni strumenti per correggere eventuali segnalazioni errate o per chiedere aggiornamenti, ad esempio quando le irregolarità siano state sanate. In generale, vi è l’obbligo del segreto per le banche e gli intermediari che consultano i sistemi. Gli intermediari bancari e finanziari e i gestori dei SIC hanno l’obbligo di controllare l’esattezza delle informazioni e di aggiornarle tempestivamente. Il cliente ha diritto , di conoscere le informazioni registrate a proprio nome nell’archivio e di richiedere la cancellazione o modifica di dati non corretti. L’eliminazione, l’integrazione e la modifica può essere disposta anche con provvedimento dell'Autorità Garante per la privacy . Il trattamento dei dati può riguardare solo dati personali di tipo obiettivo (ad esempio numero di rate insolute, entità del credito scaduto) individuati dal codice deontologico; non è possibile inserire giudizi (come “cattivo pagatore”). Prima di procedere alla segnalazione l’intermediario deve avvisare l'interessato che potrà evitare la segnalazione ai SIC relativa al primo ritardo nei rimborsi con il versamento della rata scaduta. Un successivo ritardo nei pagamenti nell'ambito del medesimo rapporto di credito, invece, può essere segnalato senza avviso. E’ previsto che le informazioni siano conservate per periodi predefiniti, allo scadere dei quali esse vengono automaticamente cancellate dal sistema. I tempi di conservazione variano in relazione alla tipologia e alla gravità dell'irregolarità. Quando i pagamenti vengono regolarizzati, le informazioni sui ritardi nei pagamenti sono conservate fino a 12 mesi dalla data della regolarizzazione, se il ritardo nei pagamenti non è superiore a due rate ; la conservazione dura invece 24 mesi se si tratta di ritardo superiore a 2 rate (o due mensilità). Le informazioni vengono automaticamente cancellate dal sistema salvo che, nel frattempo, non si siano verificati ulteriori ritardi nel medesimo rapporto contrattuale. In tal caso, il decorso riprende dalla data della nuova regolarizzazione. Le informazioni negative circa i ritardi nei pagamenti non regolarizzati , invece, sono mantenute per la durata di 36 mesi dalla data di cessazione del rapporto contrattuale. Prima della scadenza dei termini sopra indicati, non è possibile ottenere la cancellazione delle segnalazioni attinenti a comportamenti irregolari, sebbene essi siano stati sanati. Il rispetto delle previsioni normative in ordine alla tutela della referenza creditizia compete al Garante per la protezione dei dati personali, che può disporre verifiche periodiche ai SIC. Ogni violazione potrà essere sanzionata in base alla normativa sulla privacy. Altre banche dati: CAI e Registro Informatico dei Protesti. La Centrale d’Allarme Interbancaria (CAI) contiene i dati relativi alle carte di credito e alla loro eventuale revoca, nonché le informazioni sull’eventuale emissione di assegni non coperti , la revoca alla possibilità di emettere assegni ed altre tipologie di dati negativi su questa categoria di titoli finanziari. Può essere consultata solo dagli intermediari e serve per impedire ai soggetti sanzionati a seguito di protesti, o in conseguenza del mancato saldo di acquisti effettuati con carta di credito, di far nuovamente ricorso a tali strumenti di pagamento per i termini stabiliti (di regola sei mesi). Nel caso di protesto di cambiali o assegni la segnalazione definitiva alla CAI può essere evitata con il pagamento tardivo dell’assegno protestato o della cambiale protestata, entro 60 giorni dalla segnalazione medesima, con maggiorazione del 10% a titolo di interessi di mora ed oltre al saldo di ulteriori oneri e spese. Il Registro Informatico dei Protesti (c.d. R.I.P.) è gestito dalla Camera di Commercio ed è liberamente consultabile da chiunque; contiene tutte le informazioni relative ai protesti per mancato pagamento di cambiali (sia vaglia cambiari che tratte) e di assegni bancari ed assegni postali. La tutela contro le segnalazioni illegittime L’argomento è di estrema importanza, ragion per cui ne parleremo in un separato articolo. Articolo Pubblicato in origine sul sito https://www.studiolegalemdg.com/notizie/i-sistemi-di-informazioni-creditizie-sic-e-le-altre-banche-dati-in-materia-creditizia
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