Le imprese necessitano di un supporto efficiente e tempestivo nella gestione quotidiana del personale. Con tali caratteristiche metodologiche, l'avv. Parente presta attività di assistenza giudiziale e stragiudiziale, in favore delle imprese, rispetto a qualsivoglia tematica che possa riguardare il dipendente, l'agente o altra tipologia di lavoratore autonomo (ad es. contratti di lavoro, trasferimento del dipendente, mutamento delle mansioni, risoluzione del rapporto di lavoro). Parimenti, l'avv. Parente assiste i lavoratori subordinati e autonomi rispetto a tutte quelle vicende che possono riguardare la vita lavorativa.
Informazioni generali
Il percorso formativo svolto e l'esperienza pluridecennale maturata in materia di diritto del lavoro e diritto sindacale, consentono all'avv. Federica Parente di garantire l'elevata qualità dei servizi legali offerti dallo Studio FPLaw di cui è fondatrice. La competenza, tuttavia, non è l'unico pilastro sul quale l'avv. Parente ha deciso di basare la propria professione. Per l'avv. Parente, infatti, l'etica e la trasparenza sono gli ulteriori elementi imprescindibili per instaurare un reale rapporto di fiducia con la clientela, i cui casi vengono sempre esaminati con la massima attenzione e nell'ottica di un risparmio dei costi.
Esperienza
Il mobbing rappresenta una pratica vessatoria posta ai danni del lavoratore che spesso si accompagna alla fattispecie del demansionamento. Entrambe le fattispecie, opportunamente dimostrate, consentono ai lavoratori di ottenere risarcimenti anche importanti. L'avv. Parente mette a disposizione la sua esperienza professionale al fine di assistere i lavoratori nella tutela dei propri diritti ma anche di prestare al datore di lavoro l'opportuna consulenza per evitare fenomeni che possono determinare gravi conseguenze per l'impresa.
La risoluzione del rapporto di lavoro rappresenta un evento di difficile gestione tanto per le imprese quanto per i lavoratori. Le imprese, al fine di evitare o minimizzare gli impatti economici del recesso, devono formalizzare e motivare il licenziamento secondo quanto previsto non solo dalla normativa vigente ma anche dalla giurisprudenza che è in costante cambiamento. I lavoratori, d'altro canto, si trovano ad affrontare un evento traumatico sia per la propria vita professionale che personale. L'avv. Parente assiste quotidianamente imprese e lavoratori nella gestione di tale delicato momento del rapporto di lavoro.
Altre categorie
Diritto sindacale.
Credenziali
Master di specializzazione in Diritto del lavoro, contenzioso e relazione sindacali
Il Sole 24 Ore - 2/2014Il Master organizzato da Il Sole 24 Ore aveva l'obiettivo di affrontare, tramite un team costituito da varie figure professionali, le tematiche principali che ricorrono nell'ambito della gestione dei rapporti di lavoro di natura subordinata e autonoma.
Patto di non concorrenza nel lavoro subordinato e recesso unilaterale da parte del datore di lavoro
Pubblicato su IUSTLABIl patto di non concorrenza è il contratto con il quale, a fronte di un corrispettivo, “si limita lo svolgimento dell’attività del prestatore di lavoro, per il tempo successivo alla cessazione del contratto” (art. 2125 c.c.). Il patto deve risultare da atto scritto e può essere stipulato contestualmente alla sottoscrizione del contratto di lavoro, in corso di rapporto, in occasione della cessazione del rapporto di lavoro e, finanche, successivamente alla risoluzione del rapporto di lavoro. Gli elementi essenziali che devono risultare del patto di non concorrenza sono: oggetto, territorio, durata e corrispettivo. Negli ultimi anni si è assistito all’introduzione, nei patti di non concorrenza, di clausole che consentono al datore di lavoro di recedere unilateralmente dal patto di non concorrenza in costanza di rapporto di lavoro, oppure, in occasione del licenziamento o anche in epoca successiva alla comunicazione di licenziamento. Ebbene, la clausola che consente il recesso unilaterale , da parte del datore di lavoro, dal patto di non concorrenza sottoscritto con il lavoratore dipendente è nulla perché posta in violazione delle norme imperative previste dal nostro ordinamento. Diversa dalla clausola che consente il recesso unilaterale del datore di lavoro è quella che disciplina il patto di opzione in favore del datore di lavoro. In forza del patto di opzione il lavoratore rimane vincolato al patto di non concorrenza, mentre il datore di lavoro si riserva la facoltà di accettare o meno il contenuto dell'obbligo di non concorrenza assunto dal lavoratore. Il prevalente orientamento giurisprudenziale ritiene legittimo il patto di opzione solo ove sia previsto per il datore di lavoro un termine certo entro il quale poter manifestare la propria adesione al patto di non concorrenza.
Direttiva UE 2023/970 sulla parità retributiva: obblighi, sanzioni e novità per imprese e lavoratori
Pubblicato su IUSTLABFinalità della Direttiva La Direttiva UE 2023/970 del 10 maggio 2023 mira a garantire la parità di trattamento retributivo tra uomini e donne. Ambito di applicazione della Direttiva La Direttiva si applica ai datori di lavoro, pubblici e privati , senza limiti legati al numero di dipendenti. Riguarda sia lavoratori e lavoratrici con contratto di lavoro o rapporto di lavoro, come definiti dal diritto, dai contratti collettivi e/o dalle prassi nazionali, sia i candidati all’assunzione. 3. Strumento di attuazione del principio di parità retributiva La Direttiva ha individuato lo strumento della trasparenza per garantire il principio della parità retributiva : tanto i lavoratori quanto le rappresentanze sindacali, autorità e organismi di monitoraggio dovranno essere messi nelle condizioni di poter verificare che non ricorrano ipotesi di gender pay gap . In particolare, le informazioni fornite dal datore di lavoro dovranno consentire ai lavoratori di raffrontare la propria retribuzione con quella dei lavoratori che svolgono lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore . NB: Secondo la Direttiva il raffronto può essere effettuato anche con il trattamento retributivo del lavoratore che svolge lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore occupato presso altro datore di lavoro se le condizioni retributive sono riconducibili ad un’unica fonte, come avviene quando le condizioni retributive sono stabilite dalla legge, dai contratti collettivi o da una holding. 4. Qualche definizione… Retribuzione : il concetto di retribuzione non si limita allo stipendio fisso, ma comprende anche le componenti complementari o variabili della retribuzione, in denaro o in natura, corrisposte direttamente o indirettamente dal datore di lavoro. Rientrano quindi bonus, indennità per straordinari e altri benefit aziendali (indennità di vitto e alloggio, compensazioni per la partecipazione a corsi di formazione, previdenza integrativa, ecc.). Lavoro di pari valore : La Direttiva non si limita a richiedere parità di retribuzione per lo stesso lavoro, ma estende il principio anche al lavoro di pari valore. Ciò significa che due attività diverse, se richiedono competenze, impegno, responsabilità e condizioni di lavoro comparabili, devono essere trattate allo stesso modo sul piano retributivo. 5. Quali obblighi per i datori di lavoro? Ø Disporre strutture retributive basate su criteri oggettivi e neutri dal punto di vista del genere, ossia su competenze anche trasversali, impegno, responsabilità e condizioni di lavoro, indipendentemente dalle differenze nei ritmi di lavoro. Ø Rendere accessibili ai lavoratori le informazioni sui criteri utilizzati per determinare la retribuzione , i livelli retributivi e la progressione economica dei lavoratori . NB: la Direttiva prevede che gli Stati membri, in fase di recepimento, possano esonerare i datori di lavoro con meno di 50 lavoratori, esclusivamente dall’obbligo relativo alla progressione economica. Ø Trasparenza in fase di selezione : informazioni, già nell’annuncio di lavoro, sulla retribuzione iniziale o sulla relativa fascia da attribuire alla posizione e sulle disposizioni del contratto collettivo applicate in relazione alla posizione. NB: il datore di lavoro non potrà più chiedere al candidato la retribuzione pregressa. Ø Su richiesta dei lavoratori o dei loro rappresentanti, i datori di lavoro dovranno fornire informazioni sul livello retributivo individuale dei lavoratori e sui livelli retributivi medi, ripartiti per sesso. Le informazioni devono essere fornite entro un termine ragionevole e, in ogni caso, entro due mesi dalla data di richiesta. Ø I datori di lavoro dovranno informare annualmente i lavoratori del loro diritto di ricevere le informazioni e delle modalità per esercitare tale diritto. Ø Divieto di clausole contrattuali che impediscono ai lavoratori di rendere nota la propria retribuzione. Ø Report periodici sulle retribuzioni applicate: Aziende con oltre 250 dipendenti → entro il 7 giugno 2027 e successivamente ogni anno Aziende tra i 150 e i 249 dipendenti → entro il 7 giugno 2027 e successivamente ogni tre anni Aziende tra i 100 e i 149 dipendenti → entro il 7 giugno 2031 e successivamente ogni tre anni. Qualora le informazioni sulle retribuzioni rivelino una differenza del livello retributivo medio tra lavoratrici e lavoratori pari ad almeno il 5% e il datore di lavoro non abbia né motivato tale divario sulla base di criteri oggettivi e neutri e né corretto tale divario, i datori di lavoro avranno l’obbligo di valutazione congiunta delle retribuzioni applicate con le organizzazioni sindacali. 6. Parità retributiva: quando sono ammesse differenze? Come sancito dal considerando 17 della Direttiva, il principio della parità di retribuzione non impedisce al datore di lavoro di retribuire in modo diverso i lavoratori (per esempio tramite il riconoscimento di un superminimo ) che svolgono lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore ma, in tal caso, occorre che ciò avvenga sulla base di criteri oggettivi, neutri sotto il profilo del genere e privi di pregiudizio, quali sono, ad esempio, le prestazioni e le competenze. 7. Cosa rischia il datore di lavoro in caso di violazione del principio della parità retributiva? Ø Azioni giudiziarie con inversione dell’onere della prova (spetta al datore di lavoro provare l’insussistenza della discriminazione retributiva) finalizzate all’integrale risarcimento del danno (retribuzioni arretrate, risarcimento da perdita di chance, risarcimento del danno non patrimoniale connesso al disagio dovuto alla sottovalutazione del lavoro svolto); Ø Sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive che possono includere sanzioni pecuniarie e il divieto di partecipazione alle procedure di appalto pubblico. 8. A che punto siamo in Italia? In data 24 febbraio 2024 è stata approvata la Legge Delega 21 febbraio 2024, n. 15 che prevede anche il recepimento della Direttiva sulla parità retributiva. In particolare, l’art. 9 della Legge Delega prevede che il recepimento della Direttiva UE abbia luogo adeguando la normativa nazionale, definendo criteri condivisi per valutare e raffrontare il valore del lavoro e ampliando gli obblighi di trasparenza retributiva, anche tramite la possibilità di ricavare in modo automatico le informazioni richieste da dati amministrativi già esistenti, quali i flussi informativi trasmessi mensilmente dai datori di lavoro agli enti previdenziali. 9. Come possono i datori di lavoro prepararsi per tempo ed evitare contenziosi? Ø Mappare le strutture e politiche retributive interne; Ø Definire strutture retributive basate su criteri oggettivi e neutri dal punto di vista del genere; Ø Introdurre criteri chiari di inquadramento e di progressione di carriera ; Ø Predisporre sistemi di raccolta e gestione dei dati retributivi ; Ø Sensibilizzare HR e management sulla cultura della parità retributiva .
La gestione del rapporto di lavoro del promoter: rischi e opportunità per le imprese
Pubblicato su IUSTLABIl ruolo dei promoter nel settore del marketing operativo I promoter sono quei lavoratori impiegati in attività di promozione di prodotti e servizi, che operano soprattutto presso punti vendita della grande distribuzione, fiere o eventi. La loro attività rientra a pieno titolo nel marketing operativo , in quanto costituisce il momento concreto di contatto tra l’azienda e il consumatore finale. Attraverso i promoter le imprese attuano strategie di comunicazione direttamente “sul campo”, con l’obiettivo non solo di incrementare le vendite, ma anche di rafforzare la brand awareness e a raccogliere feedback immediati dal mercato. Qualificazione del rapporto: subordinato o autonomo? La discontinuità, la brevità e la variabilità che caratterizzano le prestazioni svolte dai promoter, nella prassi, inducono le imprese ad inquadrare questi lavoratori nell’alveo del rapporto di lavoro autonomo occasionale oppure del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa. Tali soluzioni, tuttavia, non sempre risultano coerenti con la realtà operativa poiché l’attività dei promoter è spesso contraddistinta anche dai tratti tipici del lavoro subordinato, quali la soggezione del promoter al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro. Sotto ulteriore profilo, le imprese che operano nel settore del marketing operativo operano comunemente in regime di appalto di servizi e l’art. 29 del D.lgs. n. 276/2003 espressamente prevede che “Il personale impiegato nell'appalto di opere o servizi e nel subappalto spetta un trattamento economico e normativo complessivamente non inferiore a quello previsto dal contratto collettivo nazionale e territoriale stipulato dalle associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, applicato nel settore e per la zona strettamente connessi con l'attività oggetto dell'appalto e del subappalto”. Ne consegue che le imprese dovrebbero prestare particolare attenzione nella scelta della tipologia contrattuale con cui formalizzare il rapporto di lavoro del promoter, poiché un utilizzo improprio del contratto di lavoro autonomo occasionale o del contratto di collaborazione potrebbe esporle al rischio di riqualificazione d’ufficio o in via giudiziale del rapporto di lavoro, con conseguenti ricadute in termini retributivi, contributivi e sanzionatori. La sfida di conciliare l’attività del promoter con i vincoli propri della subordinazione Una possibile soluzione per contemperare le peculiarità dell’attività dei promoter con i vincoli imposti dal rapporto di lavoro subordinato è rappresentata dal contratto di lavoro intermittente o “ a chiamata ”. La normativa vigente (artt. 13 e ss. D.lgs. n. 81/2015) consente il ricorso a tale istituto soltanto in presenza delle esigenze individuate: da i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e da contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro RSA ovvero dalla RSU ; in mancanza, da decreto del Ministero del lavoro, che rinvia ancora oggi alle casistiche elencate nella tabella allegata al Regio Decreto n. 2657/1923 , da considerarsi – come più volte chiarito dal Ministero del Lavoro – tuttora vigente. Proprio qui emerge la criticità: il Regio Decreto del 1923 non annovera i promoter tra le figure per le quali è consentito il ricorso al contratto di lavoro intermittente e le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sono restie ad ampliare, a livello nazionale o territoriale, l’elenco delle figure professionali di cui al decreto in commento. Resta tuttavia utilizzabile lo strumento del contratto aziendale e, in particolare, con la finalità di introdurre regole ad hoc che consentano di coniugare le esigenze di flessibilità delle imprese con i vincoli normativi che disciplinano il contratto di lavoro intermittente, del contratto di prossimità a livello aziendale. I vantaggi del contratto di prossimità Attraverso il contratto di prossimità ex art. 8 del D.L. n. 138/2011, conv. in L. n. 148/2011, le imprese potrebbero non solo inquadrare il rapporto di lavoro dei promoter nel contratto a chiamata, ma anche introdurre deroghe alla disciplina vigente relativa a tale tipologia contrattuale. Così, ad esempio, sarebbe possibile derogare ai limiti di età e al numero massimo di giornate di impiego del promoter/intermittente. #Promoter #MarketingOperativo #LavoroIntermittente #LavoroAChiamata #ContrattoDiProssimità
Il welfare aziendale: un quadro d'insieme
Il welfare aziendale. Dalla teoria alla pratica. ODC MilanoIl contributo prestato ha per oggetto, tra l'altro, l'excursus storico che ha portato lo Stato e delegare alcune delle proprie politiche di welfare alle imprese private.
Somministrazione irregolare e regime decadenziale: applicabilità ai rapporti già cessati
Il GiuslavoristaAi sensi dell'art. 32, co. 4, lett. d), L. n. 183/2010, in caso di somministrazione irregolare, l'accertamento della titolarità di un rapporto di lavoro in capo all'impresa utilizzatrice deve essere fatto valere nel rispetto dei termini di decadenza previsti dall'art. 6, L. n. 604/1966 anche nel caso in cui il contratto risulti già cessato alla data di entrata in vigore dei nuovi termini di decadenza previsti dalla norma, dovendosi comunque escludere che in questo caso possa parlarsi di applicazione retroattiva della stessa, essendo i predetti termini decorrenti, per i contratti già cessati, dalla sua data di entrata in vigore
Salute e sicurezza, informativa sui rischi a carico del datore
Il Sole 24 OreL'articolo tratta degli adempimenti, in materia di salute e sicurezza, che il datore di lavoro deve porre in essere nei confronti dei lavoratori che prestano la propria attività lavorativa in regime di smart working.
Mobbing, straining ed eristress: onere della prova e danni risarcibili
Pubblicato su IUSTLABLa fonte legale Le fattispecie del mobbing , dello straining e dell’ eristress sono riconducibili alla violazione del disposto di cui all'art. 2087 c.c., norma che impone al datore di lavoro l’obbligo di tutelare l’integrità psico-fisica dei propri dipendenti. Mobbing e onere della prova Integra la fattispecie del mobbing la condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico o dei colleghi che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione e l'emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio psico-fisico e del complesso della sua personalità. Ai fini del riconoscimento del risarcimento del danno da mobbing, grava sul dipendente l’ onere di provare : a) una molteplicità di comportamenti illeciti (ad es., molestie sessuali, demansionamento, trasferimento illecito) o anche leciti se considerati singolarmente (ad es. collocazione della postazione di lavoro in luoghi isolati e angusti, privazione dei mezzi necessari per rendere la prestazione lavorativa, ripetute visite mediche di controllo) posti in essere nei suoi confronti; la b) la sistematicità e reiterazione dei detti comportamenti; c) l' intento persecutorio , nel senso che i comportamenti devono rientrare in un disegno persecutorio unificante, preordinato alla prevaricazione; e d) l'evento lesivo della salute (ad es., sindrome ansiosa o depressiva); e) il nesso di causalità tra la condotta mobbizzante e il pregiudizio all'integrità psico-fisica subito. Nel caso di " mobbing orizzontale ", ossia attuato dai colleghi di lavoro, occorre anche che il lavoratore dimostri la consapevolezza da parte del datore di lavoro dell'attività persecutoria subita e che il datore di lavoro sia rimasto inerte nella rimozione del fatto lesivo. Straining e onere della prova Lo straining è una forma attenuata di mobbing in cui difetta l’elemento della continuità delle azioni vessatorie. In particolare, lo straining è configurabile quando ricorrono comportamenti stressogeni scientemente attuati nei confronti di un dipendente , anche se manchi la pluralità delle azioni vessatorie o esse siano limitate nel numero. Ai fini del riconoscimento del risarcimento del danno da straining, grava sul dipendente l’ onere di provare : a) i comportamenti stressogeni ; b) l' intento persecutorio ; c c) l' evento lesivo della salute; d) il nesso di causalità tra i comportamenti stressogeni e il pregiudizio all'integrità psico-fisica. Eristress e onere della prova Recenti pronunce giurisprudenziali hanno affermato il principio per il quale la mancanza di un intento persecutorio – requisito necessario ai fini della configurazione delle fattispecie di mobbing o di straining – non esonera comunque il giudice dal valutare se, alla luce dei fatti dedotti, vi sia stato un inadempimento del datore di lavoro fonte di danno alla salute del dipendente: “ In tema di responsabilità del datore di lavoro per danni alla salute del dipendente, anche ove non sia configurabile una condotta di "mobbing", per l'insussistenza di un intento persecutorio idoneo ad unificare la pluralità continuata di comportamenti pregiudizievoli, è ravvisabile la violazione dell'art. 2087 c.c. nel caso in cui il datore di lavoro consenta, anche colposamente, il mantenersi di un ambiente stressogeno fonte di danno alla salute dei lavoratori ovvero ponga in essere comportamenti, anche in sé non illegittimi, ma tali da poter indurre disagi o stress, che si manifestino isolatamente o invece si connettano ad altri comportamenti inadempienti, contribuendo ad inasprirne gli effetti e la gravità del pregiudizio per la personalità e la salute latamente intesi." (Cass. n. 3692/2023, Cass. n. 10730/2025). Trattasi del c.d. eristress , ossia l’esposizione prolungata a un ambiente lavorativo caratterizzato da tensioni interpersonali e clima ostile in grado di determinare, anche in soggetti solo marginalmente coinvolti, un pregiudizio psico-fisico meritevole di tutela, configurandosi come conseguenza indiretta ma rilevante dell’ambiente lavorativo nocivo. Ai fini del riconoscimento del risarcimento del danno da eristress, grava sul dipendente l’ onere di provare : a) la nocività dell’ambiente di lavoro ; b) l' evento lesivo della salute; c) il nesso di causalità tra l’ambiente di lavoro nocivo e il pregiudizio all'integrità psico-fisica. I danni risarcibili Le fattispecie esaminate possono determinare il diritto del dipendente al risarcimento tanto dei danni patrimoniali quanto dei danni non patrimoniali subiti. Per quanto riguarda i danni patrimoniali possono consistere, ad esempio, nel mancato godimento di elementi retributivi o indennità conseguenti al demansionamento, nelle maggiori spese sostenute a seguito del trasferimento della sede di lavoro o nelle spese mediche affrontate per curare la patologia insorta. In tali ipotesi, il risarcimento deve avere funzione reintegratoria, riportando il lavoratore nella medesima situazione patrimoniale in cui si sarebbe trovato se l’evento lesivo non si fosse verificato. Il danno non patrimoniale risarcibile è il danno biologico che la giurisprudenza più recente definisce come "danno dinamico-relazionale" proprio perché esso comprende sia i risvolti anatomo-funzionali che quelli relazionali del danno alla persona. Il danno biologico viene di prassi calcolato sulla base delle Tabelle di Milano che utilizzano parametri legati all'età della persona e alla percentuale della diminuzione dell'integrità psico-fisica accertata. Il danno biologico può determinare una invalidità tanto permanente quanto temporanea. Ai fini del riconoscimento del danno da invalidità temporanea, si richiede una specifica domanda, supportata dalle relative allegazioni in fatto.
Licenziamenti illegittimi nelle Piccole Imprese: l’indennità sale fino a 18 mensilità
Pubblicato su IUSTLABDefinizione di piccola impresa ai fini della determinazione dell'indennità di licenziamento Ai fini della disciplina sanzionatoria in caso di licenziamento illegittimo, è considerata piccola impresa quella che occupa fino a 15 dipendenti (5 nel settore agricolo) nell’unità produttiva o nel comune e che, ogni caso, in tutto il territorio nazionale, non occupi più di 60 dipendenti. Sono, tra gli altri, esclusi dal computo: gli apprendisti; il coniuge e i parenti del datore di lavoro (persona fisica) entro il 2° grado in linea retta e collaterale; i tirocinanti e gli stagisti; i lavoratori somministrati; i lavoratori autonomi e parasubordinati. I contratti a termine devono essere conteggiati tenuto conto del numero medio mensile di lavoratori a tempo determinato impiegati negli ultimi 2 anni, sulla base dell'effettiva durata dei loro rapporti di lavoro. I dipendenti part-time devono essere computati in proporzione all'orario svolto, rapportato al tempo pieno. I lavoratori intermittenti devono essere computati in proporzione all'orario di lavoro effettivamente svolto nell'arco di ciascun semestre. Il computo dei lavoratori deve avvenire in ragione del parametro di riferimento della c.d. “normale occupazione” nel periodo antecedente (gli ultimi 6 mesi) al licenziamento. L’indennità di licenziamento per i lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015 Per i dipendenti delle piccole imprese assunti prima del 7 marzo 2015 continuano a valere le tutele previste dall’art. 8 della Legge n. 604/1966: in caso di licenziamento illegittimo, il datore può scegliere se riassumere il dipendente entro 3 giorni oppure, in alternativa, corrispondergli un’indennità compresa tra 2,5 e 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. Ai fini della determinazione dell’indennità il giudice deve tener conto di una serie di parametri: le dimensioni dell'impresa, il numero complessivo dei dipendenti, l'anzianità del lavoratore, il comportamento delle parti, nonché le condizioni complessive che hanno caratterizzato il rapporto. L’indennità di licenziamento per i lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015 Per i lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015, l’art. 9 del D.Lgs. n. 23/2015 (attuativo della legge delega n. 183/2014, c.d. Jobs Act) ha introdotto un sistema di tutela esclusivamente indennitaria. In caso di licenziamento illegittimo, al dipendente spetta un’indennità pari a una mensilità dell’ultima retribuzione utile per il TFR per ogni anno di servizio, con un limite massimo di 6 mensilità. Se il licenziamento risulta essere stato intimato in violazione della procedura prevista dall’art. 7 St. Lav., per i licenziamenti di natura disciplinare, l’indennità è ridotta: mezza mensilità per ogni anno di servizio, fermo restando il tetto massimo di 6 mensilità. Sentenza della Corte costituzionale n. 118/2025: cosa cambia per le piccole imprese Con la sentenza n. 118 del 21 luglio 2025, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità parziale dell’art. 9, comma 1, del D.Lgs. n. 23/2015, eliminando il tetto massimo di 6 mensilità previsto per l’indennità di licenziamento a carico delle piccole imprese che non superano la soglia dimensionale dei 15 dipendenti. L’indennità di licenziamento, al di fuori dell’ipotesi prevista per il licenziamento intimato in violazione della procedura prevista dall’art. 7 St. Lav., può ora raggiungere fino a 18 mensilità dell’ultima retribuzione utile per il TFR. Con la sentenza in commento la Consulta ha dunque perseguito l’obiettivo di rafforzare la tutela economica dei dipendenti delle piccole imprese, ma lo ha fatto senza tenere pienamente conto delle specificità di queste ultime, che costituiscono la gran parte del tessuto produttivo italiano e rappresentano un segmento fragile ma strategico dell’economia. Il rischio è quello di un effetto disincentivante sulle assunzioni a tempo indeterminato, con conseguenze potenzialmente opposte a quelle auspicate dal Legislatore in occasione dell’introduzione del contratto a tutele crescenti. Resta poi ferma un’evidente disparità di trattamento tra i dipendenti delle piccole imprese assunti prima e dopo il 7 marzo 2015.
Per gli avvocati l'assicurazione diventa obbligatoria
Il Sole 24 Ore - Quotidiano del LavoroL'articolo tratta del decreto ministeriale che ha reso effettivo, per gli avvocati, l'obbligo di stipulare una polizza assicurativa a copertura della responsabilità civile derivante dall'esercizio della professione.
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