Avvocato Francesco Dimundo a Bitonto

Francesco Dimundo

Avvocato civilista

Informazioni generali

Rigore morale, autorevolezza e una approfondita conoscenza della materia contraddistingue l'avvocato Francesco Dimundo, il quale fa della sua inesauribile curiosità e competenza il vero motore dei propri successi professionali. Dalla spontaneità dell’approccio scientifico derivano generosità intellettuale e intransigenza nel perseguire i risultati del proprio impegno. Una buona dose di saggia prudenza e di buon senso completano il sua metodo di lavoro. Ogni questione proposta dal cliente viene sempre scandagliata e approfonditamente analizzata prima di avviare un eventuale contenzioso giudiziario

Esperienza


Diritto condominiale

Il continuo studio e l'incessante aggiornamento nella materia condominiale mi permettono di risolvere in maniera vincente qualsiasi problematica che mi viene sottoposta. Impugnazioni delle delibere condominiali o dei regolamenti condominiali, contestazione ripartizioni delle spese condominiali o tabelle millesimali; tutto ciò che riguarda la normativa condominiale è una delle mie specializzazioni.


Sfratto

Molteplici esecuzioni in materia di sfratto mi hanno consentito di maturare una grande esperienza in materia, che mi consente di assistere ed affiancare il cliente in un momento delicato come è quello in questione.


Locazioni

Fornisco assistenza e consulenza contrattuale relativamente a contratti di locazione, sia abitativa sia non abitativa, rendendo edotto il cliente sul corretto uso delle clausole contrattuali e sui possibili rischi in caso di uso improprio del contratto.


Altre categorie

Eredità e successioni, Diritto civile, Recupero crediti, Pignoramento, Contratti, Risarcimento danni, Incidenti stradali, Diritto di famiglia, Separazione, Diritto immobiliare, Diritto agrario, Diritto del turismo, Diritto assicurativo, Divorzio, Diritto del lavoro, Sicurezza ed infortuni sul lavoro, Tutela del consumatore, Malasanità e responsabilità medica.



Credenziali

Pubblicazione legale

Responsabilità del condominio per il fatto del custode

Pubblicato su IUSTLAB

La Corte di Cassazione, Sezione III civile, con sentenza 9 giugno 2016, n. 11816, pres. Vivaldi, rel. De Stefano, ha concluso doversi escludere la responsabilità del Condominio per il fatto doloso del portiere allorquando la relativa condotta sia del tutto avulsa dalle mansioni affidate e l’espletamento di quelle abbia costituito una mera occasione non necessaria per la condotta. Il caso: Tizio, idraulico incaricato del controllo di alcune tubature nell’appartamento di Caio – custode dello stabile condominiale – veniva da questi violentemente percosso e riportava gravi lesioni. A seguito del fatto, Tizio citava in giudizio sia Caio sia il condominio invocandone la responsabilità ai sensi dell'art. 2049 del codice civile che prevede che “i padroni e i committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell’esercizio delle incombenze a cui sono adibiti”. In questo caso il condominio può considerarsi responsabile del fatto illecito posto in essere dal portiere? Come è noto, l’art. 2049 del codice civile dispone che i padroni e i committenti sono responsabili per i danni arrecati dai loro domestici e commessi nell’esercizio delle incombenze a cui sono adibiti. Occupandosi delle gravi lesioni provocate a un condomino dal comportamento violento del portiere dello stabile condominiale e della conseguente applicabilità alla fattispecie dell'art. 2049 c.c., la Corte ha concluso doversi escludere la responsabilità del Condominio per il fatto doloso del portiere – o altro dipendente o assimilato - nel corso dello svolgimento delle relative mansioni "quando la relativa condotta sia del tutto avulsa dalle mansioni affidate e l’espletamento di quelle abbia costituito una mera occasione non necessaria per la condotta". Ha precisato che "il fatto che la responsabilità del preponente possa sussistere anche se il preposto abbia operato oltrepassando i limiti delle proprie mansioni o abbia agito all’insaputa del primo non consente di ritenere operativa la previsione dell’art. 2049 c.c., quando il fatto illecito sia avvenuto senza il benchè minimo collegamento funzionale con l’attività lavorativa (Cass., ord. 30 giugno 2015, n. 13425), ovvero quando la condotta abbia risposto ad esigenze meramente personali dell’agente. Infatti, "al contrario di quanto previsto dagli artt. 2048 e 2051 cod. civ., la responsabilità in esame prescinde del tutto da una culpa in eligendo o in vigilando del datore di lavoro o preponente ed è quindi insensibile all’eventuale dimostrazione dell’assenza di colpa (Cass. 16 marzo 2010, n. 6325; Cass. 29 agosto 1995, n. 9100), ...in estrinsecazione del principio “cuius commoda eius et incommoda”, secondo il quale del danno causato dal dipendente deve rispondere colui che normalmente trae vantaggio dal rapporto con il preposto. Se questa è la giustificazione di una simile responsabilità, è evidente che le condotte del preposto le cui conseguenze possa sopportare il preponente debbono essere in qualche modo collegate alle ragioni, anche economiche, della preposizione e ricondursi al novero delle normali potenzialità di sviluppo di queste, se del caso considerate alla stregua dell’ordinaria responsabilità per colpa collegata alla violazione dell’altrui affidamento. E’, in tal senso, significativo che la più recente giurisprudenza abbia precisato (Cass. 23448/14, cit.) che l’automatismo dell’insorgenza della responsabilità del preponente si attenua a mano a mano che la condotta del preposto si allontana dalle mansioni e dalle incombenze, tanto che l’art. 2049 c.c., può trovare applicazione per l’operatività dell’ulteriore principio dell’apparenza del diritto circa la corrispondenza della condotta alle mansioni ed incombenze.." Corte di Cassazione Sezione III Civile, n. 11816 del 9 giugno 2016 AVVERTENZA PER IL LETTORE: Questo scritto non approfondisce tutti gli aspetti controversi della questione trattata. Quando hai un problema non accontentarti mai della lettura di saggi o articoli sul web anche perché il diritto è in continua evoluzione e il medesimo fatto potrebbe avere una qualificazione giuridica diversa a distanza di anni. Rivolgiti sempre ad un professionista : lui sa come prevenire i rischi ed evitare i numerosi pericoli che si annidano ovunque e conosce la strada migliore per tutelare adeguatamente i tuoi diritti. La Corte di Cassazione, Sezione III civile, con sentenza 9 giugno 2016, n. 11816, pres. Vivaldi, rel. De Stefano, ha concluso doversi escludere la responsabilità del Condominio per il fatto doloso del portiere allorquando la relativa condotta sia del tutto avulsa dalle mansioni affidate e l’espletamento di quelle abbia costituito una mera occasione non necessaria per la condotta. Il caso: Tizio, idraulico incaricato del controllo di alcune tubature nell’appartamento di Caio – custode dello stabile condominiale – veniva da questi violentemente percosso e riportava gravi lesioni. A seguito del fatto, Tizio citava in giudizio sia Caio sia il condominio invocandone la responsabilità ai sensi dell'art. 2049 del codice civile che prevede che “i padroni e i committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell’esercizio delle incombenze a cui sono adibiti”. In questo caso il condominio può considerarsi responsabile del fatto illecito posto in essere dal portiere? Come è noto, l’art. 2049 del codice civile dispone che i padroni e i committenti sono responsabili per i danni arrecati dai loro domestici e commessi nell’esercizio delle incombenze a cui sono adibiti. Occupandosi delle gravi lesioni provocate a un condomino dal comportamento violento del portiere dello stabile condominiale e della conseguente applicabilità alla fattispecie dell'art. 2049 c.c., la Corte ha concluso doversi escludere la responsabilità del Condominio per il fatto doloso del portiere – o altro dipendente o assimilato - nel corso dello svolgimento delle relative mansioni "quando la relativa condotta sia del tutto avulsa dalle mansioni affidate e l’espletamento di quelle abbia costituito una mera occasione non necessaria per la condotta". Ha precisato che "il fatto che la responsabilità del preponente possa sussistere anche se il preposto abbia operato oltrepassando i limiti delle proprie mansioni o abbia agito all’insaputa del primo non consente di ritenere operativa la previsione dell’art. 2049 c.c., quando il fatto illecito sia avvenuto senza il benchè minimo collegamento funzionale con l’attività lavorativa (Cass., ord. 30 giugno 2015, n. 13425), ovvero quando la condotta abbia risposto ad esigenze meramente personali dell’agente. Infatti, "al contrario di quanto previsto dagli artt. 2048 e 2051 cod. civ., la responsabilità in esame prescinde del tutto da una culpa in eligendo o in vigilando del datore di lavoro o preponente ed è quindi insensibile all’eventuale dimostrazione dell’assenza di colpa (Cass. 16 marzo 2010, n. 6325; Cass. 29 agosto 1995, n. 9100), ...in estrinsecazione del principio “cuius commoda eius et incommoda”, secondo il quale del danno causato dal dipendente deve rispondere colui che normalmente trae vantaggio dal rapporto con il preposto. Se questa è la giustificazione di una simile responsabilità, è evidente che le condotte del preposto le cui conseguenze possa sopportare il preponente debbono essere in qualche modo collegate alle ragioni, anche economiche, della preposizione e ricondursi al novero delle normali potenzialità di sviluppo di queste, se del caso considerate alla stregua dell’ordinaria responsabilità per colpa collegata alla violazione dell’altrui affidamento. E’, in tal senso, significativo che la più recente giurisprudenza abbia precisato (Cass. 23448/14, cit.) che l’automatismo dell’insorgenza della responsabilità del preponente si attenua a mano a mano che la condotta del preposto si allontana dalle mansioni e dalle incombenze, tanto che l’art. 2049 c.c., può trovare applicazione per l’operatività dell’ulteriore principio dell’apparenza del diritto circa la corrispondenza della condotta alle mansioni ed incombenze.." Corte di Cassazione Sezione III Civile, n. 11816 del 9 giugno 2016 AVVERTENZA PER IL LETTORE: Questo scritto non approfondisce tutti gli aspetti controversi della questione trattata. Quando hai un problema non accontentarti mai della lettura di saggi o articoli sul web anche perché il diritto è in continua evoluzione e il medesimo fatto potrebbe avere una qualificazione giuridica diversa a distanza di anni. Rivolgiti sempre ad un professionista : lui sa come prevenire i rischi ed evitare i numerosi pericoli che si annidano ovunque e conosce la strada migliore per tutelare adeguatamente i tuoi diritti.

Pubblicazione legale

Tamponamento a catena. Chi paga?

Pubblicato su IUSTLAB

Viviamo in un’epoca in cui nessuno rinuncia all’automobile: solo nel 2018 sono state immatricolate ben 1.970.497 automobili (Fonte:aci ) senza contare i veicoli di trasporto merci e bus; e il trend è in costante crescita. E’ logico aspettarsi che sia altrettanto alto il numero di incidenti stradali. E, infatti, è proprio così. Si pensi che nel 2016 si sono verificati in Italia 175.791 incidenti stradali (Fonte: istat ) Tra i comportamenti errati più frequenti l’ISTAT segnala la guida distratta, il mancato rispetto della precedenza e la velocità troppo elevata (nel complesso il 41,5% dei casi). Le violazioni al Codice della Strada più sanzionate risultano, infatti, l’eccesso di velocità, il mancato utilizzo di dispositivi di sicurezza e l’uso di telefono cellulare alla guida. In siffatto scenario uno degli accadimenti più frequenti – e per fortuna non dei più gravi – nelle nostre realtà urbane, è senza dubbio il cosiddetto “tamponamento a catena”. A tal proposito è lecito chiedersi se la responsabilità del tamponamento a catena sia dell’ultimo veicolo sopraggiunto – per intenderci quello che ha provocato il primo tamponamento – oppure no. Per dare una risposta a tale quesito è necessario stabilire se i veicoli coinvolti nel tamponamento siano fermi o in movimento. In giurisprudenza è consolidato il principio secondo cui, nell'ipotesi di tamponamento a catena tra veicoli in movimento trova applicazione l'art. 2054, comma 2 del codice civile, con conseguente presunzione "iuris tantum" di colpa in eguale misura di entrambi i conducenti di ciascuna coppia di veicoli (tamponante e tamponato), fondata sull' inosservanza della distanza di sicurezza rispetto al veicolo antistante, qualora non sia fornita la prova liberatoria di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno. Quando i veicoli sono in movimento, quindi, ciascun conducente è responsabile dei danni subiti dal veicolo che lo precede ed è pertanto tenuto a sopportare in proprio le spese eventualmente occorse per la riparazione dei danni alla parte anteriore del suo veicolo, mentre ha diritto ad essere risarcito, dal "suo" tamponante, del danno subito alla parte posteriore. Nel caso, invece, di scontri successivi fra veicoli facenti parte di una colonna in sosta , unico responsabile degli effetti delle collisioni è il conducente che le abbia determinate , tamponando da tergo l'ultimo dei veicoli della colonna stessa (Cassazione civile sez. III 19 febbraio 2013 n. 4021). Graverà su quest’ultimo, pertanto, l’obbligo di risarcire i danni subiti da tutti gli automobilisti che lo hanno preceduto. Ad ogni modo è sempre bene considerare il dettato dell’art art. 141 del codice della strada il quale afferma che " è obbligo del conducente regolare la velocità del veicolo in modo che avuto riguardo alle caratteristiche, allo stato ed al carico del veicolo stesso, alle caratteristiche e alle condizioni della strada e del traffico e ad ogni altra circostanza di qualsiasi natura, sia evitato ogni pericolo per la sicurezza delle persone e delle cose ed ogni altra causa di disordine per la circolazione". AVVERTENZA PER IL LETTORE Questo scritto non approfondisce tutti gli aspetti controversi della questione trattata. Quando hai un problema non accontentarti mai della lettura di saggi o articoli sul web anche perché il diritto è in continua evoluzione e il medesimo fatto potrebbe avere una qualificazione giuridica diversa a distanza di anni. Rivolgiti sempre ad un professionista : lui sa come prevenire i rischi ed evitare i numerosi pericoli che si annidano ovunque e conosce la strada migliore per tutelare adeguatamente i tuoi diritti.

Pubblicazione legale

Come comportarsi in caso di sinistro stradale senza urto tra veicoli?

Pubblicato su IUSTLAB

Quante volte alla guida della nostra auto o della nostra moto, ci è capitato di temere che qualcuno aprisse repentinamente e avventatamente la portiera di un veicolo parcheggiato? E magari abbiamo anche ipotizzato di possedere quella prontezza di riflessi necessaria a deviare la marcia per evitare l’impatto. Ma cosa succede se per scansare un ostacolo causiamo un incidente? L’art. 2054 del codice civile prescrive che “nel caso di scontro tra veicoli si presume, fino a prova contraria, che ciascuno dei conducenti abbia concorso ugualmente a produrre il danno subito dai singoli veicoli”. E nel caso in cui non vi sia uno scontro? La Suprema Corte ha più volte chiarito che “ la presunzione di pari corresponsabilità nella causazione di un sinistro stradale, prevista dall'art. 2054 comma 2 c.c., è applicabile, di regola, soltanto quando tra i veicoli coinvolti vi sia stato un urto. Tuttavia, anche quando manchi una collisione diretta tra veicoli è consentito applicare estensivamente la suddetta norma al fine di graduare il concorso di colpa tra i vari corresponsabili, sempre che sia accertato in concreto il nesso di causalità tra la guida del veicolo non coinvolto e lo scontro.” (Cassazione civile sez. III 09 marzo 2012 n. 3704; Cassazione civile sez. III 23 luglio 2002 n. 10751). E’ necessario, pertanto, accertare in via preventiva il nesso di causalità tra il comportamento del conducente del veicolo responsabile della manovra improvvisa e il sinistro. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18337 del 31/07/2013, si è espressa sul caso di un motociclista che, rovinato al suolo per evitare l’impatto con un veicolo che aveva commesso una incauta manovra, aveva chiesto al proprietario dell’auto il risarcimento dei danni subiti. La Corte ha rigettato il ricorso del motociclista poiché questi non aveva dimostrato che la condotta dell’automobilista era stata effettivamente avventata e illegittima ed era stata di per sé idonea a causare la caduta; era anzi emerso che quest’ultima si era verificata per colpa del ricorrente stesso. In altra nota sentenza riguardante un caso del tutto analogo, il Tribunale di Piacenza sottolinea che “ alla stregua dei principi generali codificati dall'art. 2697 c.c., spetta interamente all'attore dar prova di quanto dedotto, e cioè che l'occupazione del bordo stradale oltre il limite asfaltato è stata una manovra di emergenza resa necessaria per evitare lo scontro con lo scuola scuolabus, asseritamente circolante in violazione delle norme di circolazione in quanto in eccesso di velocità e sul lato sinistro della strada” (Tribunale di Piacenza del 27/10/2010). In conclusione, quando si è in presenza di un sinistro in cui non vi è stato alcun impatto tra i veicoli, è d’obbligo chiedersi: è stato davvero il veicolo non entrato in collisione con noi a provocare il sinistro di cui siamo stati vittime? Siamo in grado di dimostrarlo? Oppure avremmo potuto evitare il sinistro con le dovute cautele e precauzioni? AVVERTENZA PER IL LETTORE: Questo scritto non approfondisce tutti gli aspetti controversi della questione trattata. Quando hai un problema non accontentarti mai della lettura di saggi o articoli sul web anche perché il diritto è in continua evoluzione e il medesimo fatto potrebbe avere una qualificazione giuridica diversa a distanza di anni. Rivolgiti sempre ad un professionista : lui sa come prevenire i rischi ed evitare i numerosi pericoli che si annidano ovunque e conosce la strada migliore per tutelare adeguatamente i tuoi diritti.

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