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Avvocato Tiziana Laurettini a Siracusa

Tiziana Laurettini

Avvocato a Siracusa

Informazioni generali

L'Avv. Laurettini, laureatasi presso l'Università degli Studi di Messina nel 2015, ha sin da subito rivolto il proprio interesse verso il diritto di famiglia ed il diritto panale. Nello specifico si è occupata di diverse separazioni riuscendo, per la maggiore, ad indirizzare i coniugi verso una separazione consensuale. Da qualche anno è anche impegnata nella tutela dei consumatori.

Esperienza


Diritto di famiglia

Una maturata esperienza nel diritto di famiglia ha permesso all'Avv. Laurettini di confrontarsi con varie realtà quali crisi familiari relative a coniugi con e senza figli, al mantenimento di figli di coppie non sposate, omessi mantenimenti. La separazione giudiziale rappresenta l'extrema ratio a cui ricorrere soltanto dopo aver tentanto, con tutte le risorse possibili, una separazione quanto più pacifica sia per i coniugi che per i figli.


Unioni civili

L'instaurazione di un rapporto con i clienti tale da garantire agli stessi le necessarie rassicurazioni verso un l'assistenza argomento che risulta ancora parecchio delicato.


Altre categorie

Diritto civile, Eredità e successioni, Separazione, Divorzio, Matrimonio, Affidamento, Adozione, Tutela dei minori, Incapacità giuridica, Recupero crediti, Pignoramento, Diritto penale, Aste giudiziarie, Tutela del consumatore, Diritto del turismo, Mediazione, Negoziazione assistita, Domiciliazioni.



Credenziali

Pubblicazione legale

Negoziazione assistita? Si grazie!!

Pubblicato su IUSTLAB

Chi dice che nel caso in cui i coniugi decidano congiuntamente (o quasi) di separarsi debbano per forza rivolgersi ad un Tribunale? Ebbene fino a qualche anno fa effettivamente questo era l’unico modo per ottenere la convalida (omologa) della separazione in caso di ricorso congiunto. Così si subivano ed “ accettavano ” tutte le formalità che questo procedimento richiede. Ma dal 2014 un’importante NOVITA’ in tema di separazioni e divorzi: Il decreto legge 12 settembre 2014, n. 132 “Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile” convertito con Legge 10 novembre 2014, n. 162″ Questa normativa ha previsto la possibilità di effettuare in modo semplificato separazioni e divorzi davanti all’Avvocato e davanti all’Ufficiale di Stato Civile (artt. 6 e 12). Quali, ad oggi, le alternative? · Presentare un ricorso congiunto al Tribunale e ottenere l’omologa della separazione; · Presentare un ricorso congiunto ed ottenere la sentenza che pronuncia lo scioglimento del matrimonio o la cessazione dei suoi effetti civili; · scegliere la negoziazione assistita da avvocati (art. 6, D.L. 132/2014); · la conclusione di un accordo presso l’ufficio dello Stato Civile, in presenza di determinate condizioni (art. 12). Al termine di questo articolo ti sarà facile comprendere le ragioni di “convenienza” nell’optare per la negoziazione assistita. Credo sia facilmente intuibile quanto una bonaria risoluzione della crisi coniugale o di coppia sia sempre la soluzione ottimale per la gestione del rapporto familiare, soprattutto in presenza di figli. Qual’è, quindi, il fine della negoziazione assistita? STIMOLARE E CONDURRE LE PARTI AL RAGGIUNGIMENTO DI UN ACCORDO SENZA ADIRE IL GIUDICE. Come fare? A chi rivolgersi? 1° FASE L’art. 6 del citato decreto legge prevede la possibilità di rivolgersi all’Avvocato, il quale assume un ruolo di negoziatore, mentre l’art. 12 offre ai coniugi l’alternativa di comparire direttamente e congiuntamente innanzi all’Ufficiale dello Stato Civile del Comune per concludere l’accordo. Quest’ultima modalità semplificata è a disposizione dei coniugi solo quando non vi siano figli minori, portatori di handicap grave o economicamente non autosufficienti, e a condizione che l’accordo non contenga patti di trasferimento patrimoniale. Ma facciamo un passo indietro. In quali casi i coniugi possono optare per la negoziazione assistita?? 1. in caso di separazione personale consensuale; 2. divorzio congiunto, sempre che prima sia avvenuta la separazione consensuale oppure pronunciata la separazione giudiziale con sentenza passata in giudicato. In questo caso un attenzione in più ai tempi. Infatti è necessario che la separazione si sia protratta ininterrottamente per 6 mesi (se la separazione è stata consensuale) o 12 mesi (se la separazione è stata giudiziale); 3. modifica delle condizioni di separazione; 4. modifica delle condizioni di divorzio. La via più semplice è che entrambi i coniugi, concordemente, decidano di intraprendere tale percorso, rivolgendosi ciascuno al proprio avvocato, in modo tale che questi possano dialogare tra loro procedendo alla redazione dell’accordo, in base alle rispettive esigenze dei coniugi. E’ chiaro che l’iniziativa può essere presa da uno soltanto dei due coniugi, il quale, tramite il proprio avvocato, invita l’altro coniuge a stipulare una convenzione di negoziazione assistita, ovvero UN ACCORDO CON CUI LE PARTI SI OBBLIGANO A NEGOZIARE. Nel caso in cui sia, appunto, soltanto un coniuge a voler percorrere la via della negoziazione assistita, l’avvocato invita l’altro coniuge alla stipulazione dell’accordo, specificando l’oggetto della controversia e l’avvertimento che la mancata risposta entro un termine (di trenta giorni) o un RIFIUTO possono essere valutati in sede giudiziale dal giudice per decidere su spese di giustizia, sulla responsabilità aggravata e sulla concessione della provvisoria esecutorietà. Anche l’avvocato deve tentare la conciliazione ? Assolutamente si. 2° FASE Prima dell’apertura della fase di negoziazione l’avvocato deve comunque accertare che non vi sia più possibilità di “ riparare ciò che è stato rotto ”. In caso di esito negativo della conciliazione si procederà quindi con la negoziazione. Quali i doveri delle parti durante la negoziazione? LEALTA’ E BUONA FEDE sono alla base. Nella definizione della convenzione questa infatti è considerata come: “ un accordo mediante il quale le parti convengono di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere una controversia (art. 2), deve essere redatta in forma scritta a pena di nullità e deve contenere la previsione di un termine non inferiore a trenta giorni e non superiore a tre mesi – prorogabile su accordo delle parti di altri trenta giorni – entro il quale concludere o meno l’accordo. Oggetto della convenzione possono essere solo diritti disponibili. ” Dopodiché, durante questa fase, sarà evidente la concreta possibilità di concludere o meno un accordo. Come si procede a questo punto? 3° FASE Dopo la redazione della convenzione, si procede alla stesura dell’accordo il cui contenuto può riassumersi nelle condizioni di separazione e divorzio riguardanti: · l’affidamento o il mantenimento dei figli; · l’assegno di mantenimento per il coniuge; · i trasferimenti di tipo patrimoniale nell’ambito delle soluzioni alla crisi coniugale. La Cassazione, a tal proposito, è concorde nel ritenere alcuni diritti di ordine patrimoniale indisponibili e intoccabili. Infatti, sono ritenuti INVALIDI, ad esempio, gli accordi economici che abbiano a oggetto la rinuncia a un futuro diritto la limitazione della libertà processuale delle parti la rinuncia al futuro assegno di divorzio o alla revisione dell’assegno. Tali accordi infatti, qualora previsti nell’accordo, comporterebbero l’illiceità della causa dell’accordo stesso. E’ importante sottolineare l’applicazione del principio secondo cui mutate le circostanze di fatto e di diritto, il coniuge possa sempre ottenere tutela in sede di modifica delle condizioni di separazione, o in sede di divorzio. Quali i compiti dell’avvocato? Il ruolo dell’avvocato consiste nel TUTELARE I DIRITTI DEI CONIUGI ed ancora più I DIRITTI DEI FIGLI MINORI in modo tale da “condurre” gli stessi a concordare le soluzioni ottimali, nel rispetto della condizioni di legge, per una pacifica prosecuzione della vita da “separati”. 4° FASE Vaglio del PUBBLICO MINISTERO Conclusa la negoziazione e stilato l’accordo questo deve essere inviato al Procuratore della Repubblica presso il tribunale competente. Come cambia il controllo della procura a seconda ci siano o meno figli minori? In caso di ASSENZA DI FIGLI MINORI il controllo della procura si limita a verificare la “regolarità” dell’accordo ed il Tribunale appone sull’accordo il nullaosta del P.M. NEL CASO IN CUI VI SIANO FIGLI MINORI, CON HANDICAP O NON ECONOMICAMENTE AUTOSUFFICIENTI il P.M. lo autorizza se le condizioni sono rispondenti ALL’INTERESSE DEI FIGLI. In caso contrario lo trasmette al Presidente del Tribunale che fisserà, entro i successivi trenta giorni, un’udienza per la comparizione delle parti. ULTIMA FASE Una volta ottenuto il nullaosta o l’autorizzazione, nella fase conclusiva della procedura, l’avvocato deve trasmettere all’Ufficiale dello stato civile, copia autenticata dall’accordo. Pertanto una volta autorizzato, l‘accordo è equiparato ai provvedimenti giudiziali di separazione, divorzio o modifica delle condizioni di separazione e divorzio. A questo punto sono evidenti le ragioni per cui i coniugi dovrebbero ormai essere orientati verso la scelta della procedura appena descritta. Ci sembra doveroso sottolineare “la facilità ” con cui questa procedura consente ai coniugi di compiere scelte consapevoli nella tutela dei propri e reciproci interessi e SOPRATTUTTO, qualora vi siano figli minori, nella tutela degli stessi, i quali rappresentano la priorità assoluta in un contesto di separazione. Questa modalità di separazione infatti consente di mediare le pretese dei coniugi e di arrivare ad un accordo nella maniera “più delicata” possibile senza sopportare il peso che spesse volte determina un procedimento giudiziale seppur consensuale. Tutto ciò non può far altro che confermare l’importanza di riuscire a razionalizzare la fine di un matrimonio eliminando accanimenti e ripicche……i peggiori nemici in una separazione e la fonte primaria di tutte le complicazione che questa potrebbe far sorgere.

Pubblicazione legale

Mantenimento dei figli: obbligo dei nonni se i genitori non godono dei mezzi necessari

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"Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l'obbligo di mantenere, istruire, educare ed assistere moralmente i figli (...)" Mai sentita questa frase? Probabilmente l’hai sentita svariate volte e tutte le volte ti sarà sovvenuta in automatico l’altra domanda: "e se i genitori non sono in grado? Se non godono dei mezzi economici necessari ad adempiere l’obbligo giuridicamente previsto di mantenerli?" A dare risposta al quesito è intervenuto il legislatore che ha messo a frutto l’orientamento consolidato da tempo dai Tribunali. Infatti il decreto legislativo 154/2013 ha modificato le norme del codice civile in materia di doveri verso i figli così come quelle che stabiliscono il cosiddetto “concorso nell’onere di mantenimento”. Ciò significa che è prevista la possibilità che altri familiari vengano chiamati a contribuire al mantenimento dei figli insieme ai genitori. Regola n.1: L’obbligo di mantenere i propri figli, ai sensi dell’art. 147 del codice civile, grava su AMBEDUE i genitori in senso primario ed integrale. Cosa succede, però, qualora uno dei due genitori non VOGLIA o non POSSA adempiere? Regola n.2: L’altro deve farvi fronte con tutte le sue risorse patrimoniali e reddituali e deve sfruttare la sua capacità di lavoro. Ovviamente avrà la possibilità di agire contro l'altro genitore inadempiente per ottenere il suo contributo proporzionale alle sue condizioni economiche. A questo punto ti chiederai quando subentra l'intervento dei nonni. Regola n.3: L’obbligo degli ascendenti di fornire ai genitori i mezzi necessari per adempiere ai loro doveri nei confronti dei figli (nipoti) sorge solo in via sussidiaria, ovvero solo se entrambi i genitori versano in un’impossibilità oggettiva di provvedere ai figli per mancanza delle risorse necessarie. Il supporto economico richiesto ai nonni dovrà tenere conto della loro capacità reddituale. Attenzione! In questo caso contribuiranno sia i nonni paterni che i nonni materni. Quindi non intervengono in supporto solo i genitori della parte inadempiente, ma tutti i nonni in vita, anche quelli del genitore adempiente. In tal senso si è pronunciata la Corte di Cassazione con sentenza 12965/2015. In un caso in cui veniva messo in discussione dalla mamma l’inadempimento del padre i giudici hanno -Accertato l'inadempimento del padre al mantenimento dei figli; -Contestato l'impossibilità della madre di provvedere da sola ai bisogni del figlio ancora minorenne; -Accertato lo stato di bisogno della madre, accogliendo infine la domanda della madre volta ad ottenere dai nonni paterni un contributo per il mantenimento del nipote. Nello specifico l’esempio calza a pennello perché anche i nonni materni concorrevano già alla prestazione alimentare in modo adeguato alla loro capacità reddituale. Concludendo: Quali sono le condizioni necessarie affinchè l'obbligo di mantenimento dei minori ricada in concorso con i nonni? 1) Oggettiva impossibilità dei genitori di provvedere al mantenimento dei figli. L’oggettiva impossibilità si riscontra nella mancanza di risorse economiche e patrimoniali sufficienti a soddisfare i bisogni dei figli. 2) Omissione/rifiuto dei genitori di adempiere all’obbligo di mantenimento in questione. 3) Omissione anche di uno soltanto dei genitori, quando l’altro, da solo, non gode dei mezzi necessari a soddisfare i bisogni dei figli. Sarebbe auspicabile raggiungere un accordo in via bonaria ma non sempre è facile raggiungerlo. Come ci si comporta in questi casi? È possibile ottenere un provvedimento dal Giudice del luogo di residenza del genitore o degli ascendenti inadempienti, in forza dell’art. 148 del codice civile. Questa norma prevede l’obbligo per gli ascendenti di fornire ai genitori i mezzi necessari affinchè gli stessi possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli, qualora non abbiano i mezzi necessari. In questo caso una quota dei redditi del nonno obbligato verrà versata direttamente al genitore o a chi sopporta le spese di mantenimento dei figli. Sono legittimati a chiedere l’intervento del giudice il genitore, il figlio che ha raggiunto la maggiore età, gli istituti di assistenza ed i parenti interessati. È chiaro che, come anticipato, tra i nonni, l’onere di mantenimento dei nipoti può poi essere ripartito in proporzione alle rispettive capacità economico-patrimoniali. Può assolvere valore anche il mantenimento “indiretto” fornito ai nipoti, come ad esempio il fatto di averli accolti in casa a vivere insieme al genitore. Una considerazione di estrema importanza riguarda il caso in cui si determini la configurazione del reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare, ai sensi dell’art. 570 del codice penale, in capo ad un genitore. Il caso: Un padre ometteva di corrispondere ripetutamente l’assegno di mantenimento stabilito in sede di separazione e faceva, pertanto, mancare al figlio i mezzi di sussistenza. In questi casi si riconosce la sussistenza del reato in questione in capo al padre anche quando a provvedere al sostentamento del minore erano altri soggetti, come la madre o i nonni. Infatti il supporto dei nonni non elimina l’obbligo a carico del padre che sta comunque alla base della sopra citata figura criminosa. Quando sono esonerati da tale obbligo i nonni? Il decreto che dispone l’obbligo di mantenimento a carico dei nonni può essere revocato anche se i genitori trovano un lavoro saltuario. L’obbligo di mantenimento per i nonni viene meno nel momento in cui i genitori godono di una cifra sufficiente ad esonerarli, anche se si tratta dei proventi di attività lavorativa saltuaria, ad esempio, uniti all’indennità di disoccupazione. Questa decisione deriva dal dato fondamentale: l’obbligo di mantenimento ricade sui nonni SOLO IN VIA SUSSIDIARIA, LADDOVE NON ARRIVINO I REDDITI DEI GENITORI.

Pubblicazione legale

Separazione con addebito: aspetti, condizioni e conseguenze.

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Quando la coppia arriva ad un punto di non ritorno..arriva la fatidica parola: BASTA! Spesso pronunciata da entrambi, talora in un clima sereno (reale o apparente) e di accordo, a volte voluta soltanto da una parte in un probabile contesto di disaccordi e ostilità. Alternative queste determinanti nella scelta del percorso da seguire tra una separazione giudiziale e consensuale. Quali le differenze? Per ovvie ragioni inutile dire che la scelta più “felice” sarebbe quella di una separazione consensuale. Questa permette ai coniugi di compiere scelte consapevoli sulle condizioni di separazione, perché in fondo, se ci riflettete, chi meglio di loro stessi potrebbe essere in grado di determinare le modalità dell’accordo a vivere due vite separate? In fin dei conti la vita matrimoniale riguarda strettamente la coppia. Chiaro che, dal momento in cui vi sono dei figli la situazione diventa più delicata. E' altrettanto chiaro, però, che la separazione consensuale è quel tipo di separazione che definirei quasi "isola felice" in cui è la coppia a decidere sull'affidamento e sul collocamento dei figli, sull'assegnazione della casa familiare, sul diritto di visita del genitore non collocatario, sul contributo al mantenimento dei figli e, se necessario, anche del coniuge economicamente più debole e su tutti gli aspetti che comunque necessitano di un accordo tra i coniugi a seguito della separazione. SEPARIAMOCI…MA NON SIAMO D’ACCORDO! Quando al contrario i coniugi non sono in grado di mettere fine al proprio matrimonio, decidendo di comune accordo sulle condizioni, o quando, a volersi separare è soltanto una parte, non può che optarsi per la separazione giudiziale. In questo caso è solitamente uno dei coniugi (ricorrente) a depositare in Tribunale il ricorso in forma contenziosa e l’altro coniuge sarà considerato “resistente”. Cosa comporta? Quali le circostanze? Ebbene, il codice civile prevede la possibilità per i coniugi di separarsi anche per CIRCOSTANZE OGGETTIVE IMPREVEDIBILI subentrati a turbare la serenità, l’armonia della coppia e l’unione tra gli stessi. Rientrano in queste circostanze quelle che secondo l'art. 151 c.c. " rendono intollerabile la prosecuzione della convivenza o recano grave pregiudizio della prole". Quando si può parlare di INTOLLERABILITA'? La Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto che, al fine di accertare la suddetta intollerabilità non è necessario che a percepire la crisi matrimoniale siano entrambi i coniugi, risultando sufficiente la “condizione di DISAFFEZIONE e di DISTACCO SPIRITUALE di una sola delle parti ” (Cass. Civ. 7148/1992). Ciò non è sufficiente a richiedere la "separazione con addebito". Ma cosa vuol dire nello specifico? Premesso che l’intollerabilità alla prosecuzione della vita matrimoniale rappresenta la condizione necessaria e sufficiente per la pronuncia di separazione giudiziale, uno dei due coniugi ha la facoltà di chiedere al Giudice di accertare che la CRISI sia stata determinata dal comportamento dell’altro. "Se ci separiamo è colpa tua" Già questa frase esprime appieno il significato e lo scopo della richiesta di separazione con addebito. Nel caso in cui, infatti, l’autorità giudiziaria accerti che la separazione è stata determinata dalla violazione, da una sola delle parti, dei doveri nascenti dal matrimonio , ove sussista specifica RICHIESTA in tal senso, sarà orientato a pronunciare sentenza di separazione con addebito. Facciamo chiarezza sui doveri nascenti dal matrimonio, previsti dall’ art. 143 del codice civile: Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono gli stessi doveri. Quali gli obblighi previsti? RECIPROCA FEDELTA’ ASSISTENZA MORALE E MATERIALE COLLABORAZIONE NELL’INTERESSE DELLA FAMIGLIA COABITAZIONE CONTRIBUZIONE AI BISOGNI DELLA FAMIGLIA, in relazione alle proprie sostanze ed alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo. Si specifica che è necessario che la violazione di uno (o più) dei questi obblighi sia precedente alla proposizione della domanda di separazione; che tale violazione sia causa determinante l'intollerabilità della convivenza. In ogni caso il comportamento di ciascuno dei coniugi deve essere confrontato con quello dell'altro, in modo tale da individuare eventuali situazioni di reazioni, immediate e non eccessive, rispetto alle negligenze dell'altra parte. A tal proposito è bene fare riferimento ad una sentenza della Corte di Cassazione (n. 21596 del 2014) con la quale i giudici hanno stabilito che se la moglie ha tradito per ripicca l’ex marito che l’ha tradita per primo, la separazione va addebitata proprio a lui. Su quali basi la Cassazione si è orientata in tal senso? Vero è che la moglie aveva tradito ma la relazione della donna è stata considerata relativamente giustificata in considerazione della relazione del marito…che nello specifico era anche più duratura e risalente. Altro caso (recente) che merita attenzione: La Cassazione, con ordinanza n. 30746/2017, prevede che la separazione va addebitata ad entrambi i coniugi se a causare una definitiva ed insanabile frattura sono stati comportamenti reciproci. Tale pronuncia a seguito della richiesta di addebito formulata dalla moglie. Tuttavia la richiesta è stata rigettata dal Tribunale che, invece, ha addebitato la separazione ad entrambi i coniugi. In questo caso la Cassazione ha evidenziato che la rottura definitiva dell’unione matrimoniale è stata determinata da comportamenti reciproci dei coniugi; in particolare la donna è stata considerata responsabile per l’assenza di spirito di collaborazione, in quanto manifestava DISTACCO E DISAFFEZIONE con comportamenti aggressivi e fuori limite, come quello di cambiare la serratura della porta di casa. Coniuge "colpevole", quali conseguenze ? . 1° conseguenza: PERDITA DEL DIRITTO AD OTTENERE L’ASSEGNO DI MANTENIMENTO, pur conservando però il diritto agli alimenti sempre che sussista una situazione di reale bisogno. Si “punisce”, perciò, il responsabile della rottura, il quale, proprio perché ha violato i doveri nascenti dal matrimonio, non può appellarsi alla solidarietà dell’altro. 2° conseguenza: PERDITA DEI DIRITTI SUCCESSORI, sia della qualità di erede, sia del diritto alla quota di legittima. Rimane soltanto il diritto a ricevere un assegno vitalizio, qualora, al momento dell’apertura della successione, il coniuge “addebitato” godeva dell’assegno alimentare a carico del coniuge defunto.

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