E'
noto che la struttura sanitaria, nell'ipotesi di danno cagionato al paziente,
risponde a titolo contrattuale, tanto nell'ipotesi in cui essa si sia sottratta
alle prestazioni che derivano dal cd. contratto di spedalità, ex art. 1218
c.c., come per l'inadempimento ricollegabile alla prestazione
medico/professionale dei suoi ausiliari, ancorché non legati da rapporto di
lavoro subordinato.
Tale
titolo di responsabilità dell'ente ospedaliero non muta neppure nell'ipotesi in
cui il medico risulti essere anche "di fiducia" dello stesso
paziente, o comunque dal medesimo scelto (Cass. 28610/2015).
Un
orientamento questo che non è mutato a seguito dell'entrata in vigore del c.d.
decreto Balduzzi (DL n. 158 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla
Legge n. 189 del 2012 - Cass. 8940/2014), ed anzi risulta confermato dalla c.d.
legge Gelli (L. n. 24/2017, art. 7 "La struttura sanitaria o
sociosanitaria pubblica o privata che, nell'adempimento della propria
obbligazione, si avvalga dell'opera di esercenti la professione sanitaria,
anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della
struttura stessa, risponde, ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del codice
civile, delle loro condotte dolose o colpose.".
Sicché,
oggi, la responsabilità medica può dirsi definita: la struttura sanitaria
risponderà nei confronti del paziente a titolo contrattuale, laddove "l'esercente
la professione sanitaria (...) risponde del proprio operato ai sensi
dell'articolo 2043 del codice civile, salvo che abbia agito
nell'adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente"
(art. 7, 3° comma, legge Gelli).
Sul
punto la giurisprudenza ha precisato che "si deve escludere l'esistenza
di una responsabilità diretta della casa di cura, dal momento che, nell'ipotesi
in cui il paziente abbia già conferito un incarico al medico di fiducia, il
contratto che, anche per facta concludentia, il paziente successivamente
concluda con la casa di cura (contratto atipico di spedalità) non può che
affiancarsi a quello stipulato con il medico, ed avere un contenuto che resta
circoscritto alle diverse prestazioni accessorie di messa a disposizione della
struttura, delle attrezzature e del personale ausiliario." (Tribunale
di Verona 22/6/2017). Ne deriva che per ravvisarsi la responsabilità della struttura
sanitaria è necessario che il paziente si rivolga direttamente ad essa,
eventualmente indicando il nominativo del sanitario, e che il paziente non
abbia stipulato un autonomo contratto con quest'ultimo.
Ciò
precisato quanto al titolo di responsabilità del sanitario, in ispecie del
medico estetico, molto si discute con riferimento all'oggetto della sua
prestazione, tenuto conto che, spesso, tranne quando ha finalità curative, essa
è diretta al miglioramento delle imperfezioni estetiche della persona. Ne
deriva che la prestazione dello specialista meglio si presta ad essere
inquadrata come obbligazione di risultato, piuttosto che di mezzi, poiché, nel
momento in cui il paziente si sottopone ad un intervento chirurgico, lo fa in
vista dell'ottenimento di un determinato risultato estetico, e non certo per
ottenere dal medico solo la rassicurazione che farà il possibile per
raggiungerlo.
L'orientamento
della giurisprudenza non è univoco.
Sul
punto si segnala la sentenza n. 8243 del 24 luglio 2017 del Tribunale di
Milano, secondo cui: "a prescindere dalla qualificazione
dell'obbligazione in esame come di mezzi o di risultato (cfr. sul punto Cass.
10014/1994 che propende per la qualificazione come obbligazione di risultato e
Cass. 12253/1997 che qualifica l'obbligazione del chirurgo estetico come
obbligazione di mezzi), è indubbio che chi si rivolge ad un chirurgo plastico
lo fa per finalità spesso esclusivamente estetiche e, dunque, per rimuovere un
difetto, e per raggiungere un determinato risultato, e non per curare una
malattia. Ne consegue che il risultato rappresentato dal miglioramento estetico
dell'aspetto del paziente non è solo un motivo, ma entra a far parte del nucleo
causale del contratto, e ne determina la natura".
La
rilevanza giuridica del fine è tanto più evidente in tema di consenso
informato; invero, se il fine non è terapeutico il medico è tenuto ad una
maggiore informazione (con la precisazione che la distinzione tra fine
terapeutico e fine puramente estetico non va fatta in astratto ma solo in
concreto).
In
particolare, afferma Cass., Sez. IV, 21 dic. 12 (29 gen. 13) n. 4541 "Attese
le finalità tipiche della chirurgia estetica, ossia quelle di migliorare
l'aspetto fisico del paziente e d'incrementare la positività della sua vita di
relazione, incombe sul sanitario un dovere particolare d'informazione che va
oltre la semplice enumerazione e prospettazione dei rischi, delle modalità e
delle possibili scelte: la valutazione dei miglioramenti estetici deve
estendersi ad un giudizio globale sulla persona come questa risulterà dopo
l'intervento".
Avv.
Ugo Torsi
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Offro da anni consulenza in materia civile ed amministrativa, aree in cui sono specializzato per docenze universitarie e per clientela qualificata. In particolare, già cultore di diritto amministrativo presso la I Cattedra Università Federico II di Napoli, attualmente sono cultore di diritto civile presso l Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, presso cui sono anche docente nella Scuola di Specializzazione per le Professioni Forensi. Inoltre, sono docente formatore per l’Esame di Avvocato e per pubblici concorsi.
Già cultore di diritto amministrativo presso la I Cattedra Università Federico II di Napoli, attualmente sono cultore di diritto civile presso l Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, presso cui sono anche docente nella Scuola di Specializzazione per le Professioni Forensi. Inoltre, sono docente formatore per l’Esame di Avvocato e per pubblici concorsi. Tale specializzazione mi consente si seguire con alta professionalità l’esigente clientela.
Già cultore di Diritto Amministrativo presso la I Cattedra dell’Università Federico II di Napoli, ad oggi, sono consulente di numerosi enti locali, oltre che di privati.
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