Ugo Torsi

Avvocato Cassazionista



Informazioni generali

Offro da anni consulenza in materia civile ed amministrativa, aree in cui sono specializzato per docenze universitarie e per clientela qualificata. In particolare, già cultore di diritto amministrativo presso la I Cattedra Università Federico II di Napoli, attualmente sono cultore di diritto civile presso l Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, presso cui sono anche docente nella Scuola di Specializzazione per le Professioni Forensi. Inoltre, sono docente formatore per l’Esame di Avvocato e per pubblici concorsi.

Esperienza


Diritto civile

Già cultore di diritto amministrativo presso la I Cattedra Università Federico II di Napoli, attualmente sono cultore di diritto civile presso l Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, presso cui sono anche docente nella Scuola di Specializzazione per le Professioni Forensi. Inoltre, sono docente formatore per l’Esame di Avvocato e per pubblici concorsi. Tale specializzazione mi consente si seguire con alta professionalità l’esigente clientela.


Diritto amministrativo

Già cultore di Diritto Amministrativo presso la I Cattedra dell’Università Federico II di Napoli, ad oggi, sono consulente di numerosi enti locali, oltre che di privati.


Altre categorie:

Diritto di famiglia, Separazione, Divorzio, Mediazione, Diritto commerciale e societario, Fallimento e proc. concorsuali, Diritto assicurativo, Recupero crediti, Pignoramento, Contratti, Mobbing, Diritto penale, Violenza, Stalking e molestie, Reati contro il patrimonio, Omicidio, Discriminazione, Sostanze stupefacenti, Appalti pubblici, Ricorso al TAR, Diritto immobiliare, Edilizia ed urbanistica, Diritto condominiale, Locazioni, Sfratto, Incidenti stradali, Tutela del consumatore, Malasanità e responsabilità medica, Diritto dello sport, Arbitrato, Negoziazione assistita, Cassazione, Domiciliazioni.



Referenze

Pubblicazione legale

Il danno non patrimoniale

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L'ultimo pronunciamento della Cassazione, prima facie, sembra muoversi in senso diametralmente opposto rispetto al precedente dictum delle Sezioni Unite (Cass. SS.UU. 26972/2008), ma così non è. Il riconoscimento della natura unitaria del danno non patrimoniale (fino a quel momento ricondotto alla nota tripartizione danno biologico, danno morale, danno esistenziale), invero, non significa " taglio della misura della sua liquidazione ", piuttosto, limite alla duplicazione (e qualche volta, triplicazione) dei risarcimenti. Le Sezioni Unite non privano il danno non patrimoniale del suo rilievo soggettivo ed oggettivo, piuttosto esprimono un monito per il giudice, sui criteri di indagine da applicare al caso concreto, e per le parti, in merito a criteri di allegazione e di prova da comporre in sede processuale. Nessun automatismo risarcitorio, dunque, quanto valutazione della persona nel suo complesso e giusto risarcimento per i danni riportati. In applicazione del medesimo principio di equità sostanziale, la Cassazione, con la sentenza in commento (17/01/2018 n° 901), precisa che la natura cd. "unitaria" del danno non patrimoniale, deve essere intesa, secondo il relativo insegnamento, come unitarietà rispetto alla lesione di qualsiasi interesse costituzionalmente rilevante non suscettibile di valutazione economica. Natura unitaria sta a significare che non v'è alcuna diversità nell'accertamento e nella liquidazione del danno causato dal vulnus di un diritto costituzionalmente protetto diverso da quello alla salute, sia esso rappresentato dalla lesione della reputazione, della libertà religiosa o sessuale, della riservatezza, del rapporto parentale. Così, precisa la Corte, se è vero che " se di danno agli aspetti dinamico-relazionali della vita del soggetto che lamenti una lesione della propria salute (art. 32 Cost.) è lecito discorrere con riferimento al danno cd. biologico (rispetto al quale costituisce, essa si, sicura duplicazione risarcitoria il riconoscimento di un autonomo "danno esistenziale", consistente, di converso, proprio nel vulnus arrecato a tutti gli aspetti dinamico-relazionali della vita della persona conseguenti alla lesione della salute), quello stesso danno "relazionale" è predicabile in tutti i casi di lesione di altri diritti costituzionalmente tutelati. ". Giova rilevare che " la significativa alterazione della vita quotidiana " è solo uno dei due aspetti della sofferenza legata al fatto ingiusto, tale l'ulteriore aspetto legato al " dolore interiore ", danni " diversi e perciò .. entrambi autonomamente risarcibili, ma se, e solo se, provati caso per caso, con tutti i mezzi di prova normativamente previsti (tra cui il notorio, le massime di esperienza, le presunzioni) ". Ora se è vero che il " danno esistenziale ", in ipotesi di danno alla salute, rappresenta un aspetto del cd. danno biologico, non duplicabile ed anzi assorbito in esso ai soli fini risarcitori, la sua piena autonomia, anche risarcitoria, la si coglie con riferimento a tutti gli altri casi di lesione di costituzionalmente tutelati. Autonomia che, invece, è sempre netta per il " danno morale ", seppur conseguenza di lesione del diritto alla salute. " Ogni vulnus arrecato ad un interesse tutelato dalla Carta costituzionale si caratterizza, pertanto, per la sua doppia dimensione del danno relazionale/proiezione esterna dell'essere, e del danno morale/interiorizzazione intimistica della sofferenza. ". Quanto sopra oggi trova conferma nella nuova formulazione dell'art. 138 del Codice delle Assicurazioni (" Danno non patrimoniale per lesioni di non lieve entità "). Si apprende, così, che " agli effetti della tabella, per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente all'integrità psico-fisica della persona, suscettibile di accertamento medico-legale, che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito " (comma 2, lettera a); " Qualora la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali documentati e obiettivamente accertati, l'ammontare del risarcimento del danno, calcolato secondo quanto previsto dalla tabella unica nazionale di cui al comma 2, può essere aumentato dal giudice, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato, fino al 30 per cento. " (comma 3); " al fine di considerare la componente del danno morale da lesione all'integrità fisica, la quota corrispondente al danno biologico stabilita in applicazione dei criteri di cui alle lettere da a) a d) è incrementata in via percentuale e progressiva per punto, individuando la percentuale di aumento di tali valori per la personalizzazione complessiva della liquidazione. ". Concludendo: - danno non patrimoniale è la lesione di ogni bene/interesse dell'individuo non suscettibile di valutazione economica (art. 2059 c.c.); - l'unitarietà del danno non patrimoniale è tale se rapportata a tutti i diritti costituzionalmente tutelati; - " Ogni vulnus arrecato ad un interesse tutelato dalla Carta costituzionale si caratterizza, pertanto, per la sua doppia dimensione del danno relazionale/proiezione esterna dell'essere, e del danno morale/interiorizzazione intimistica della sofferenza. "; - la liquidazione del danno relazionale resta assorbita in quella del danno biologico (tabelle), ferma la cd. " personalizzazione ", soggetta a rigorosi criteri probatori; la liquidazione del danno morale, invece, è avulsa dal danno biologico; - la lesione della reputazione, della libertà religiosa o sessuale, della riservatezza, del rapporto parentale, al pari del diritto della salute, godono di piena ed autonoma tutela risarcitoria. Avv. Ugo Torsi Tutti i diritti riservati

Pubblicazione legale

Il danno da nascita indesiderata

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Il nostro Ordinamento giuridico non contempla il diritto ad abortire, né tanto riconosce la Legge 22 maggio 1978 n. 194 (" Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria di gravidanza ") che, anzi, all'art. 1 " riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio ". L'aborto, oggi, si pone piuttosto come scelta dolorosa ed estrema, quindi possibile alle sole condizioni dettate dalla Legge, nell'interesse della gestante, qualora in pericolo il proprio stato di salute psico - fisico, ovvero la propria vita. E' vero, infatti, che a norma dell'art. 4 " Per l'interruzione volontaria della gravidanza entro i primi novanta giorni, la donna che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito, si rivolge ad un consultorio pubblico istituito ai sensi dell'articolo 2, lettera a), della legge 29 luglio 1975 numero 405, o a una struttura sociosanitaria a ciò abilitata dalla regione, o a un medico di sua fiducia. ". Dunque, una scelta quella della donna legata al "s erio pericolo per la sua salute fisica o psichica ", ovvero " al grave pericolo per la sua vita " (in tal senso, il successivo art. 6, a norma del quale "L'interruzione volontaria della gravidanza, dopo i primi novanta giorni, può essere praticata: a) quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna; b) quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna.". D'altra parte, sebbene la normativa in esame non indichi limiti temporali entro cui tale scelta possa essere compiuta, è certo, almeno per orientamento giurisprudenziale ( ex multis , Cass. Civ., Sezione III, 04 gennaio 2010, n. 13), che l'opzione è preclusa alla donna allorché il feto raggiunge uno sviluppo tale da permettergli di avere una vita autonoma fuori dal grembo materno, salvo il caso di grave pericolo per la vita della gestante, in tal caso, nel bilanciamento dei contrapposti interessi, la tutela della vita della madre prevale su quella del feto. E' di tutta evidenza, quindi, che, per quanto condizionata alla ricorrenza dei presupposti di legge, l'interruzione di gravidanza, pur non costituendo diritto per la gestante, è pur sempre rimessa alla sua libertà di autodeterminarsi (art. 13 Cost.), possibile se ricevuta adeguata informazione dal ginecologo, anche all'esito di corrette indagini diagnostiche. Qualora il ginecologo ometta o non fornisca esatte informazioni in merito alle possibili malformazioni del nascituro, necessarie alla gestante al fine di esprimere, nel rispetto della L. 194/78, la scelta abortiva, scatta la responsabilità del professionista, se la paziente sia stata privata della facoltà. E' bene precisare che la responsabilità del ginecologo, quindi della struttura sanitaria, in tal caso si ricollega non alla malformazione del nascituro, non avendo ad essa contribuito, quanto all'omissione od errore diagnostico che, rendendo distorta la realtà, non ha favorito la scelta consapevole della gestante, costringendola così, nonostante il pregiudizio alla salute, a portare a termine la gravidanza, evidentemente problematica sotto svariati profili. Ciò detto, va chiarito che, ai fini risarcitori, la donna dovrà comunque fornire la prova della sua volontà di non portare a termine la gravidanza, in presenza delle specifiche condizioni facoltizzanti, un onere probatorio particolarmente gravoso, vertendosi su di un'ipotesi e non su di un fatto storico, che potrà essere assolto anche in via presuntiva ex art. 2729 c.c. (ad esempio, " allegando il consulto medico per conoscere le condizioni di salute del nascituro, le precarie condizioni psico-fisiche della gestante, pregresse manifestazioni di pensiero sintomatiche di una propensione all'opzione abortiva, etc. "), ma non esclusivamente con l'allegazione di correlazioni statisticamente ricorrenti, secondo l' id quod plerunque accidit , nemmeno accertabili d'ufficio dal giudice. Pari onere probatorio non graverà sul coniuge (o sui figli conviventi), certamente destinatario degli effetti del contratto tra paziente e professionista e/o struttura sanitaria (cd. contratto con effetti protettivi nei confronti dei terzi), non avendo voce in capitolo in ordine alla scelta abortiva della gestante. Discorso a parte è la tutela del nascituro. A tal proposito, prima d'ogni altro, va chiarito quanto segue. Non osta al riconoscimento del diritto al risarcimento dei danni il non essere il nascituro un soggetto di diritto. Se è vero, infatti, che, ai sensi dell'art. 1 c.c., la capacità giuridica si acquista con la nascita, non è necessario (si vedano a tal proposito: l'art. 1, primo comma, Legge 19 febbraio 2004 n. 40 - Norme in materia di procreazione medicalmente assistita ; l'art. 1 della Legge in commento; l'art. 1 della Legge 29 luglio 1975 n. 405 - Istituzione dei consultori familiari ; l'art. 254 c.c. che prevede il riconoscimento del figlio nato fuori dal matrimonio anche quando questi sia solo concepito, ma non ancora nato) che la tutela sia da riconnettere alla sola soggettività - " che è una tecnica di imputazione di diritti ed obblighi " " potendosi pervenire alla tutela del nascituro, considerandolo oggetto di tutela " (C. Cost. 18 febbraio 1975 n. 27; Cass., Sez. III, maggio 2011 n. 9700; Cass. 9 maggio 2000, n. 5881). Né si può escludere il diritto al risarcimento del minore per i danni subiti durante la gestazione sulla base della dilatazione temporale intercorrente tra causa ed evento lesivo, non ponendo alcun limite in tal senso la teoria della causalità. Tanto precisato, il minore (e per esso i genitori), nell'ipotesi in cui la malformazione sia congenita, cioè non conseguenza dell'omissione od errore del sanitario, non potrà ottenere il risarcimento perché fondato esclusivamente sul preteso diritto a non nascere. Difatti, non esiste nel nostro ordinamento un diritto a non nascere o a nascere solo se sano, di contro essendo fissata in esso la centralità del solo diritto alla vita (non espressamente menzionato nella Costituzione, tuttavia, implicitamente riconosciuto, perché alla base di tutti gli altri diritti espressamente menzionati e tutelati. In tal senso deve leggersi l'art. 27, deponendo lo stesso per l'inammissibilità della pena di morte). A ciò deve doverosamente aggiungersi, e tanto è dirimente per le Sezioni Unite della Cassazione, che nel nostro ordinamento giuridico civile, ai sensi e per gli effetti dell'art. 1223 c.c., è risarcibile il solo danno-conseguenza " riassumibile, con espressione empirica, nell'avere di meno, a seguito dell'illecito ". Sicché tutto può dirsi tranne che il minore con la nascita abbia avuto meno rispetto alla situazione in cui versava da nascituro, avendo egli acquistato il bene prezioso della vita, e " la non vita non può essere un bene della vita " (in tal senso si è espressa da ultimo Cass. 9251/2017). D'altronde, riconoscere il diritto a non nascere, varrebbe ad aprire agli aborti eugenetici, oltre che ad assegnare al risarcimento del danno " un'impropria funzione vicariale, suppletiva di misure di previdenza e assistenza sociale". La " penosità delle difficoltà cui il nato andrà incontro nel corso della sua esistenza, a cagione di patologie in nessun modo imputabili eziologicamente a colpa medica " sarà dunque compensata " mediante interventi di sostegno affidati alla solidarietà generale ". Avv. Ugo Torsi Tutti i diritti riservati

Pubblicazione legale

Omessa diagnosi da morte certa o altamente probabile

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Con ordinanza 24 gennaio - 23 marzo 2018, n. 7260, Presidente Travaglino - Relatore Dell'Utri, la III^ Sezione della Cassazione ha escluso che nell'ipotesi di omessa diagnosi di morte certa o altamente probabile la domanda risarcitoria spiegata dagli eredi del de cuius debba qualificarsi in termini di perdita di chance, cioè farsi consistere nella perdita di specifiche possibilità esistenziali alternative, necessariamente legate alle particolari scelte di vita non potute compiere dal paziente, bensì con la perdita diretta di un bene reale, certo (sul piano sostanziale) ed effettivo, non configurabile alla stregua di un quantum (eventualmente traducibile in termini percentuali) di possibilità di un risultato o di un evento favorevole (secondo la definizione elementare della chance comunemente diffusa nei discorsi sulla responsabilità civile), ma apprezzabile con immediatezza quale correlato del diritto di determinarsi liberamente nella scelta dei propri percorsi esistenziali in una condizione di vita affetta da patologie ad esito certamente infausto; e dunque quale situazione soggettiva suscettibile di darsi ben prima (al di qua) di qualunque (arbitraria) scelta personale che si voglia già compiuta, o di là da compiere; e ancora, al di là di qualunque considerazione soggettiva sul valore, la rilevanza o la dignità, degli eventuali possibili contenuti di tale scelta. Il senso della compromissione della ridetta situazione soggettiva di libertà appare d'immediata comprensione non appena si rifletta sulla circostanza per cui, non solo l'eventuale scelta di procedere (in tempi più celeri possibili) all'attivazione di una strategia terapeutica , o la determinazione per la possibile ricerca di alternative d'indole meramente palliativa , ma anche la stessa decisione di vivere le ultime fasi della propria vita nella cosciente e consapevole accettazione della sofferenza e del dolore fisico (senza ricorrere all'ausilio di alcun intervento medico) in attesa della fine, appartengono, ciascuna con il proprio valore e la propria dignità, al novero delle alternative esistenziali che il velo d'ignoranza illecitamente indotto dalla colpevole condotta dei medici convenuti ha per sempre impedito che si attuassero come espressioni di una scelta personale . Poiché anche la sofferenza e il dolore, là dove coscientemente e consapevolmente non curati o alleviati, acquistano un senso ben differente, sul piano della qualità della vita, se accettati come fatto determinato da una propria personale opzione di valore nella prospettiva di una fine che si annuncia (più o meno) imminente, piuttosto che vissuti, passivamente, come segni misteriosi di un'inspiegabile, insondabile e angosciante, ineluttabilità delle cose. Rilievo che vale a tradursi in una specifica percezione del sé quale soggetto responsabile, e non mero oggetto passivo, della propria esperienza esistenziale; e tanto, proprio nel momento della più intensa (ed emotivamente pregnante) prova della vita, qual è il confronto con la realtà della fine.La tutela (risarcitoria) della situazione soggettiva in esame si risolve, pertanto, nell' immediata protezione giuridica di una specifica forma dell'autodeterminazione individuale (quella che si esplica nella particolare condizione della vita affetta da patologie ad esito certamente infausto) e, dunque, del valore supremo della dignità della persona in questa sua ulteriore dimensione prospettica; una situazione soggettiva che deve ritenersi fatalmente e direttamente violata dal colpevole ritardo diagnostico della patologia ad esito certamente infausto di cui si sia reso autore il sanitario chiamato a risponderne. Sulla base delle considerazioni che precedono, pertanto, deve ritenersi che, una volta attestato il colpevole ritardo diagnostico di una condizione patologica ad esito certamente infausto - nonché il dato (di per sé, peraltro, non indispensabile) della condizione di materiale (rilevante o, comunque, apprezzabile) sofferenza del paziente derivante dalla ridetta patologia, la conseguente violazione del diritto del paziente di determinarsi liberamente nella scelta dei propri percorsi esistenziali in una simile condizione di vita, vale a integrare la lesione di un bene già di per sé autonomamente apprezzabile sul piano sostanziale, tale da non richiedere l'assolvimento di alcun ulteriore onere di allegazione argomentativa o probatoria , potendo giustificare una condanna al risarcimento del danno così inferto sulla base di una liquidazione equitativa. Avv. Ugo Torsi Tutti i diritti riservati

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