Avvocato Francesco Guido a Cosenza

Francesco Guido

Avv. penalista e civilista esperto in diritto di famiglia, assicurazioni, successioni

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La condizione testamentaria di contrarre matrimonio: lecita o illecita?

Scritto da: Francesco Guido - Pubblicato su IUSTLAB

Pubblicazione legale:

Uno dei limiti imposti dall’ordinamento alla libertà testamentaria è racchiuso nell’art. 634 c.c. che considera non apposte le condizioni impossibili e quelle illecite, cioè contrarie a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume, salvo che abbiano costituito l’unico motivo che abbia determinato il testatore a disporre, nel qual caso la disposizione testamentaria è nulla.

Si può, pertanto, considerare l’art. 634 c.c. alla stregua di un principio generale in tema di successioni, mentre il successivo art. 636 c.c., relativo al divieto disposto dal testatore che l’erede contragga matrimonio, ne è una specificazione e, segnatamente rientra tra le condizioni illecite.

Si, pertanto, posto un limite al favor testamenti cui è generalmente improntato l’ordinamento al fine  di evitare disposizioni testamentarie volte a determinare un’illecita pressione psicologica sul beneficiario, al fine di indurlo a compiere quanto richiestogli dal testatore, se vuole conseguire il beneficio.

In altri termini si è inteso impedire l’istituzione di erede possa risolversi in un’indebita coartazione.  

Particolarmente controverso sotto il profilo giurisprudenziale e fonte di acceso dibattito dottrinario è, invece, il caso di segno opposto, cioè l’ipotesi in cui la condizione apposta ad una disposizione testamentaria subordini l’efficacia della stessa alla circostanza che l’istituito contragga matrimonio.

L’oscillazione interpretativa da parte della dottrina e della giurisprudenza, le cui rispettive e confliggenti posizioni sono infra illustrate, nasce anche in relazione al dato di fatto per cui – a differenza del divieto di contrarre matrimonio -  non è espressamente prevista alcuna disposizione normativa che ponga il divieto di sottoporre l’istituzione di erede alla condizione sospensiva che l’onorato contragga matrimonio.

Il 1° comma dell’art. 636 c.c. definendo: “illecita la condizione che impedisce le prime nozze o le ulteriori” nulla dice, difatti, circa l’ipotesi contraria in cui il de cuius subordini l’efficacia della disposizione testamentaria alla condizione che il beneficiario si sposi.

Il giudice di legittimità ha precisato che l’art. 636, 1° comma c.c., ha la scopo di tutelare la libertà della persona di contrarre matrimonio e non è quindi violata nei casi in cui la condizione non sia dettata al fine di impedire le nozze, ma preveda per l’istituito un trattamento più favorevole in caso di mancato matrimonio e, senza per ciò influire sulle relative decisioni, abbia di mira di provvedere, nel modo più adeguato alle esigenze dell’istituito, connesse ad una scelta di vita che lo privi degli aiuti materiali e morali di cui avrebbe potuto godere con il matrimonio (Cass. Civ. 92/2122).

Nessuno dubita, invece, circa l’illiceità della condizione quando contenga un divieto assoluto di nozze, nel qual caso la condizione si considera non apposta ex art. 634 c.c. (C. Gangi, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, Milano, 1974).

Alcuni autori hanno rilevato che la condizione di cui all’art. 636 c.c. sarebbe valida qualora il divieto sia relativo perché, ad esempio, impedisce il matrimonio con una determinata persona o fino al raggiungimento di una certa età (C. Giannattasio, Delle successioni. Successioni testamentarie, Torino, 1978). 

La tematica dei divieti relativi di nozze è stata, inoltre, oggetto di pronunce giurisprudenziali che, secondo un orientamento conforme alle suddette opinioni dottrinarie, ha ritenuto lecita la condizione con la quale il de cuius abbia, in realtà, inteso semplicemente circoscrivere l’ambito di indeterminatezza delle persone da sposare, senza impedire in assoluto il matrimonio.

In questa ipotesi si tratterebbe, in altri termini, di limitare la scelta, determinando nel beneficiario una coazione psichica ritenuta dalla giurisprudenza “tollerabile in quanto di modeste proporzioni”, come, ad esempio, nel caso della condizione che impedisca all’istituito l’unione con una determinata persona in quanto non ne lederebbe la libera autodeterminazione (Cass. Civ. 19 gennaio 1985, n. 150; Cass. Civ. 11 gennaio 1986, n. 102).

Accanto alla posizione di chi ha ritenuto illecito il divieto assoluto ed, invece, valido il divieto relativo, vi è chi ha fatto notare che l’art. 636 c.c., posto a tutela della libertà matrimoniale dell’erede o del legatario, non indica distinzioni o differenti discipline a seconda che il divieto disposto dal testatore sia assoluto o relativo, ragion per cui detta distinzione sarebbe addirittura “lesiva della dignità umana” (B. Toti, Condizioni testamentarie e libertà personale, Milano, 2004).

Secondo l’Autore l’illiceità delle condizioni dirette a limitare la libertà matrimoniale è da rinvenire nello stesso significato ontologico del matrimonio, quale vicenda personalissima dell’individuo, insuscettibile di essere dedotta in condizione,  a prescindere dai motivi, anche se intrinsecamente leciti o meritevoli, che hanno indotto il de cuius a disporre.

Dunque, secondo tale impostazione, fondata sulla tesi della tutela incondizionata delle libertà individuali garantite dalla Costituzione, anche i divieti relativi sono illeciti e le inerenti condizioni si considerano come non apposte.

Più articolato è, invece, il dibattito relativo all’ipotesi in cui il testatore abbia previsto l’opposta condizione, cioè che l’istituito contragga matrimonio.

La condizione sospensiva, apposta a una disposizione testamentaria, di contrarre matrimonio con persona appartenente alla stessa classe sociale dell’istituito, è stata considerata lecita e, quindi, pienamente valida ed efficace in quanto lascia al beneficiario un ampio margine di scelta e di libera autodeterminazione e non importa alcuna limitazione psichica intollerabile che, come tale, sarebbe contraria all’ordine pubblico.

Né detta condizione contrasta con gli artt. 3 e 29 della Costituzione perché di tali norme, quella dell’art. 29, la quale stabilisce che il matrimonio è fondato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, ha esclusivo riguardo alla posizione dei medesimi nell’ambito della famiglia, mente l’art. 3, il quale sancisce il principio dell’eguaglianza, tende ad una finalità (compenetrazione delle classi sociali) estranea alla questione dei limiti di validità della condizione testamentaria (Cass. Civ. 102/86).

Altra pronuncia della Suprema Corte ha, inoltre, affermato che non incorre nell’illiceità prevista dall’art. 636 c.c., la condizione di contrarre matrimonio apposta dal testatore alle attribuzioni fatte all’erede e neppure la condizione di non contrarre matrimonio con persona determinata (Cass. Civ. 150/85). Segnatamente la Suprema Corte ha argomentato che la condizione di contrarre matrimonio, risolutivamente apposta al legato, è lecita e valida e non cela una sostituzione fedecommissaria (similmente alla clausola “si sine liberis decesserit”) se manchi nel testatore la consapevole certezza che la persona onorata non avrebbe contratto matrimonio.

Inoltre la medesima pronuncia ha ritenuto valida la condizione di contrarre matrimonio, anche perché è stato ritenuto istituto favorito e tutelato dall’ordinamento giuridico.

Da parte di altra giurisprudenza è stata, al contrario, ritenuta illecita in quanto contraria a norme imperative e all’ordine pubblico, ex art. 634 c.c., la condizione apposta ad una disposizione testamentaria che subordini l’efficacia della stessa alla circostanza che l’istituito contragga matrimonio (Cass. Civ., sez. II, n. 8941 del 15.04.2009). Nella specie la Suprema Corte ha precisato che la circostanza è illecita in quanto contraria al principio di libertà matrimoniale tutelato dagli artt. 2 e 29 della Costituzione. Essa, pertanto, si considera non apposta, a meno che non sia stato l’unico motivo determinante della volontà del testatore, nel qual caso rende nulla la disposizione testamentaria.

Parimenti illecita è stata considerata la condizione apposta ad una chiamata all’eredità che preveda per l’istituto l’obbligo di sposare una determinata persona, in quanto coarta in modo assoluto la libertà personale (Cass. Civ. 1633/53).

Conformemente a quanto precede, secondo una parte della dottrina (G. Caramazza, Delle successioni testamentarie, in Commento teorico- pratico al Codice Civile diretto da V. De Martino, Novara, 1982; G. Capozzi, Successioni e donazioni, Milano, 2009) e della giurisprudenza sono illecite tutte le condizioni dirette a coartare la libertà di autodeterminarsi del beneficiario di una disposizione testamentaria in ordine ad una scelta personalissima come quella di unirsi in matrimonio ( nello stesso senso la giurisprudenza di legittimità: Cass. Civ. 30 maggio 1953, n. 1633; Cass. Civ. 24 giugno 1959, n. 1990).

Opinione del medesimo segno è stata espressa da quella parte della dottrina che ha ritenuto illecita qualunque fattispecie in cui la volontà del beneficiario  relativa alla decisione di unirsi in matrimonio sia condizionata dal testatore  a fronte dell’eventualità di acquisire o perdere un lascito testamentario (B. Toti, Condizioni testamentarie e libertà personale, Milano, 2004).

Altro Autore (N. Di Mauro, Illiceità della condizione testamentaria di contrarre matrimonio: la Cassazione apre alla drittwirkung per le successioni mortis causa, in Famiglia, persone, successioni 2009)  ha osservato che la condizione in questione sarebbe illecita non solo per la violazione degli artt. 2 e 29 della Costituzione, bensì anche in virtù di quanto previsto dall’art. 16 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo del 1948 e  dall’art. 12 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, resa esecutiva in Italia con la legge n. 848 del 4 agosto 1955 ed oggi anche dall’art. 9 della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000.

Anche la Corte Costituzionale, in una serie di pronunce relativamente risalenti, ha precisato che il vincolo matrimoniale è, e deve rimanere, frutto della libera autodeterminazione, attenendo ai diritti intrinseci della persona umana e, pertanto, si sottrae ad ogni forma di condizionamento, anche indiretto (Corte Cost. 1/1992; Corte Coast. 450/1991/; Corte Cost. 189/1991).

Autorevole dottrina contraria all’ammissibilità della condizione di contrarre matrimonio l’ha definita: “ripugnante tentativo del testatore di coartare in qualsiasi modo la libertà di autodeterminazione dell’onorato” (L. Bigliazzi-Geri, Successioni testamentarie, Zanichelli, 1997).

In senso conforme, cioè favorevoli a negare risolutamente la liceità della condizione matrimoniale, quale intollerabile coartazione delle volontà dell’istituito, si sono espressi anche Rescigno, Caramazza, Di Mauro, Carusi, Toti e Galgano.

 E’ comunque da riferire che, nonostante le richiamate opinioni della dottrina prevalente e le pronunce giurisprudenziali sin qui illustrate, a modesto parere dello scrivente rimane, comunque, preferibile la tesi della liceità della condizione sospensiva che subordini l’istituzione di erede alle nozze dell’istituito.

Sempre in senso favorevole, in dottrina, si è fatto (ragionevolmente) leva sull’interpretazione “ex adverso” dell’art. 636 c.c., argomentando che, se lo scopo del legislatore era quello di affermare il disvalore della condizione avente ad oggetto il divieto di nozze, “a contrario” deve ritenersi valida ( e forse addirittura giuridicamente meritevole di tutela) la condizione che preveda le preveda (C. Giannattasio, Commentario del Codice Civile. Libro II – Delle successioni, Torino, 1968).

E’ inoltre da ritenere che la menzionata dottrina, per quanto autorevolissima, sia incorsa in una sopravvalutazione dell’istituto del matrimonio, certamente e, forse, inevitabilmente, condizionata da fattori socio-culturali oramai anacronistici in quanto caratterizzanti la prima metà dello scorso secolo ove, senz’altro, l’istituto godeva di una “sacralità” della determinazione che più non si attaglia ala mutata concezione odierna ed è, anzi, da ritenere sicuramente superata.

A parere dello scrivente non si vede, difatti, quale concreto ed effettivo potere coattivo il testatore potrebbe esercitare sull’istituito il quale, resterebbe pur sempre libero di individuare quale sia la persona da sposare ed in quale momento della vita celebrare le nozze, fermo restando che qualora fosse, invece, determinato a non contrarre il matrimonio, ben potrebbe rinunciare al compendio del lascito testamentario.  

Ciò nonostante l’autore R. Triola, Il testamento, in Pratica Giuridica, Giurisprudenza e dottrina diretta da O. Fanelli, Giuffré editore, 2012, ha eccepito che: né varrebbe opporre il rilievo secondo cui la condizione testamentaria non sarebbe idonea a ledere la libertà personale dell’istituito, che rimarrebbe arbitro delle scelte fondamentali della propria vita, cui potrebbe, al più, conseguire la mancata attribuzione patrimoniale”. Ciò in quanto, ha argomentato l’autore, la pur indiretta coartazione della libertà reca, di per sé, “vulnus” alla dignità dell’individuo, nella misura in cui l’alternativa di fronte alla quale lo colloca l’apposizione del testatore della condizione testamentaria, possa indurlo, con la prospettiva di un vantaggio economico, ad una opzione che limita la libera esplicazione della sua personalità.  

In senso contrario si è argomentato (Vairoletti, l’illiceità della condizione ci contrarre matrimonio, in Giur.it 2010) che per quanto sia apprezzabile l’intento di esaltare le libertà fondamentali dell’individuo “appare forzato il volere sempre e comunque dare prevalente peso ai diritti dell’istituito, seppur costituzionalmente riconosciuti, a discapito della volontà del de cuius, soprattutto se si considera il fatto che già il legislatore si è preoccupato di proteggere gli interessi de legittimari riservando loro una quota di beni dell’asse ereditario, anche contro la stessa volontà del testatore, il quale, pertanto, dovrebbe essere per lo meno libero di lasciare le altre sostanze a chi vuole anche manifestando un desiderio che gli era caro in vita, ad esempio il matrimonio dell’istituito”.

Si è, altresì, sostenuto (Achille, condizione testamentaria illegittima, regola sabiniana e limitazione della libertà matrimoniale, in Riv. Dir. Civ., 2010) che la valutazione della illiceità di una condizione mal si adatta a conclusioni generalizzate.

In primo luogo vi è da chiedersi se dietro le scelte del legislatore intorno all’art. 636 c.c. non vi sia una precisa idea tesa a mantenere fuori dal giudizio di illiceità la condizione che il beneficiario sia sposato.

In secondo luogo non sembra preclusa una differenziazione delle attribuzioni patrimoniali contenute in un testamento in funzione di una determinata situazione, nel senso che sembra naturale plasmare le attribuzioni patrimoniali ex testamento, in funzione, ad esempio, degli aggravi economici che possono derivare dall’avere o meno una famiglia.

In tale prospettiva, un criterio oggettivo di valutazione potrebbe essere fornito dal rapporto tra il vantaggio patrimoniale ottenibile con il lascito testamentario ed il sacrificio della libertà personale, in modo che, qualora la perdita in termini di libertà personale non sia proporzionata al vantaggio patrimoniale del lascito, la condizione dovrebbe ritenersi illecita, mentre, al contrario, nel caso in cui il vantaggio sia ragionevolmente proporzionato alla perdita di libertà subita, la condizione dovrà essere ritenuta lecita.

In ultimo, almeno a parere dello scrivente, pur volendo prescindere dalla fondatezza o meno delle ricostruzioni dottrinarie sin qui illustrate, l’argomento realmente insuperabile  che depone a favore della liceità della condizione di contrarre matrimonio, è anche il meno invocato dagli autori: la donazione in riguardo di matrimonio, alias donazione obnuziale, ex art. 785 c.c.

Si tratta di un negozio formale tipico previsto dal legislatore, avente ad oggetto la prospettazione patrimoniale a carattere di liberalità fatta dal donante o dai donanti con il precipuo fine che il donatario (o i donatari, se beneficiari sono entrambi gli sposi) contragga un determinato matrimonio.

E’ quindi una donazione espressamente sottoposta alla condizione sospensiva di contrarre un futuro e ben individuato matrimonio, fermo restando che: “non produce effetto finché non segua il matrimonio” (1° comma) e che “l’annullamento del matrimonio importa la nullità della donazione” (2° comma).

Il primo comma dell’art. 785 c.c. chiarisce che la condizione sospensiva deve considerarsi caducata qualora non si realizzi il matrimonio.

Ne consegue che non si realizza l’effetto traslativo del donatum dal donante al donatario.

Inoltre la nullità sopravvenuta della donazione, per il caso di annullamento del matrimonio, ha carattere retroattivo ed importa la possibilità per il donante di esperire l’azione di restituzione o di rivendicazione o, ancora, l’azione di accertamento della proprietà, finalizzate a riacquisire i beni donati.

A fronte del particolare regime di favore che il legislatore ha riconosciuto alla volontà del donante di trasferire al donatario taluni beni, a condizione che questi contragga matrimonio, non è dato comprendere in virtù di quale ragionamento la stessa condizione dovrebbe ritenersi illecita – ed anzi addirittura “ripugnante” - se prevista dal testatore.  

Né potrebbe farsi valere l’eccezione secondo cui la donazione obnuziale è prospettata, normalmente, allorquando il donatario è già autonomamente determinato a contrarre matrimonio, motivo per cui il fattore condizionante non potrebbe essere costituito dall’evenienza di perdere il vantaggio patrimoniale. 

Difatti qualora il compendio del donatum fosse consistente ed, una volta prospettata la donazione, venissero poi a mancare i presupposti per celebrare le nozze, il donatario sarebbe senz’altro condizionato dall’evenienza di perdere il beneficio.

Per tali ragioni può concludersi che particolarmente convincente appare la ricostruzione di quella dottrina che ha ritenuto un criterio oggettivo di valutazione il rapporto tra il vantaggio patrimoniale ottenibile con il lascito testamentario ed il sacrificio della libertà personale, in modo che, qualora la perdita in termini di libertà personale non sia proporzionata al vantaggio patrimoniale del lascito, la condizione dovrebbe ritenersi illecita, mentre, al contrario, nel caso in cui il vantaggio sia ragionevolmente proporzionato alla perdita di libertà subita, la condizione dovrà essere ritenuta lecita (Achille, condizione testamentaria illegittima, regola sabiniana e limitazione della libertà matrimoniale, in Riv. Dir. Civ., 2010).

 

 Bibliografia:

S. Merz, Manuale pratico e formulario delle successioni, Cedam, 2011

G. Caramazza, Delle successioni testamentarie, in Commento teorico- pratico al Codice Civile diretto da V. De Martino, Novara, 1982

G. Capozzi, Successioni e donazioni, Milano, 2009

C. Gangi, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, Milano, 1974

C. Giannattasio, Delle successioni. Successioni testamentarie, Torino, 1978

L. Mambelli – J. Balottin, Glossario Notarile per Consiglio Notarile di Mantova, Milano, 2013

B. Toti, Condizioni testamentarie e libertà personale, Milano, 2004

N. Di Mauro, Illiceità della condizione testamentaria di contrarre matrimonio: la Cassazione apre alla drittwirkung per le successioni mortis causa, in Famiglia, persone, successioni 2009

R. Triola, Il testamento, in Pratica Giuridica, Giurisprudenza e dottrina diretta da O. Fanelli, Giuffré editore, 2012

C. Giannattasio, Commentario del Codice Civile. Libro II – Delle successioni, Torino, 1968

L. Bigliazzi-Geri, Successioni testamentarie, Zanichelli, 1997

Vairoletti, l’illiceità della condizione ci contrarre matrimonio, 2010)

Achille, condizione testamentaria illegittima, regola sabiniana e limitazione della libertà matrimoniale, in Riv. Dir. Civ., 2010


Avv. Francesco Guido - Avv. penalista e civilista esperto in diritto di famiglia, assicurazioni, successioni

Ho esperienza settoriale in materia di diritto penale per colpa medica e reati contro la persona mentre in diritto civile mi occupo di famiglia e minori, volontaria giurisdizione, assicurazioni, successioni e donazioni. Tratto ampia casistica in tema di modifica accordi di separazione e divorzio, nonché separazione tra coniugi e regime di affidamento dei minori. Sono legale di fiducia di un sindacato autonomo in materia di professioni sanitarie. Dopo la laurea presso l'Università di Roma Tor Vergata, ho conseguito la specializzazione ad indirizzo notarile presso l'Università Magna Graecia di Catanzaro.




Francesco Guido

Esperienza


Diritto del lavoro

Ho avuto modo di occuparmi di numerose vertenze, anche di rilievo pubblico, per lo più a carattere stragiudiziale, riguardanti il diritto del lavoro. Oltre ad essere il legale di fiducia del sindacato autonomo SUL Calabria, in materia di diritto sanitario, rappresento numerosissimi dipendenti dell'Azienda Ospedaliera di Cosenza (medici, oss, infermieri) in numerose vertenze di diritto sanitario e di lavoro contro l'Azienda medesima. Soltanto lo scorso anno, sempre a titolo di esempio concreto, ho rappresentato, nell'ambito di una vertenza stragiudiziale, 30 dipendenti del Pronto Soccorso dell'A.O di Cosenza.


Sicurezza ed infortuni sul lavoro

Mi occupo da oramai 2 anni dello studio approfondito e quotidiano delle vigenti normative in tema di sicurezza sui luoghi di lavoro, con precipua specificità all'ambito sanitario-ospedaliero. Sempre nell'ambito della sicurezza sul lavoro e salubrità dei locali ove si svolge l'attività lavorativa, rappresento la maggior parte degli operatori del Pronto Soccorso HUB dell'Azienda Ospedaliera "Annunziata" di Cosenza (medici, infermieri, oss).


Previdenza

Ho vasta e particolareggiata esperienza nell'assistenza di vertenze contro INPS e di ricorsi innanzi alla Corte dei Conti, sia per quanto concerne le pensioni civili, sia per quelle militari. In particolare con riferimento a queste ultimi ho esperito ricorsi per il ricalcolo pensionistico anche ex art. 54


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Referenze

Titolo professionale

Covid-19: Emergenza e Diritti. Prevenzione e Precauzione.

Ambiente Diritto - Rivista Scientifica Classe A. Accreditato dal Consiglio Nazionale Forense - 10/2020

Il convegno si è svolto nella modalità webinair a causa delle vigenti restrizioni che impediscono la formazione in presenza. Le intensissime sessioni si sono svolto nelle giornate del 17 e 18 ottobre 2020, mediante gli autorevoli interventi di insigni giuristi quali avvocati e docenti universitari. Le relazioni hanno avuto ad oggetto la delicatissima quanto attuale tematica delle prevenzione rispetto a condotte pregiudizievoli per il personale sanitario in considerazione degli effetti letali della pandemia. Le riflessioni svolte hanno avuto l'indubbio merito di offrire fondamentali strumenti interpretativi ai giuristi iscrittisi all'evento, ripercorrendo un'ampia e particolareggiata rassegna dei principali orientamenti dottrinari in materia. Si è, in sintesi, affrontato sia il profilo della responsabilità in ambito sanitario con riferimento al contagio da Covid-19, sia le modalità di prevenzione dal contagio medesimo e gli eventuali diritti relativi al "danno" subito dal contagiato.

Intervista pubblica

Chiesti più medici al Pronto Soccorso

Gazzetta del Sud - 11/2020

In qualità di legale di fiducia del SUL Calabria, Sindacato Unitario dei Lavoratori, a far tempo dall'anno 2019 ho sempre seguito con costanza, determinazione e continuativa consulenza un gruppo di circa 40 lavoratoti della sanità, tra medici, infermieri ed oss, interfacciandomi anche personalmente con ciascuno di loro al fine di ascoltarne le problematiche, redigere diffide all'Azienda Ospedaliera di riferimento ed intervenire anche tramite incontri con le istituzioni al fine di risolvere o attenuare le problematiche che affliggono i lavoratori nella propria qualità di sanitari esposti a rischio ogni giorno. Inoltre tali interventi del sottoscritto legale, erano sempre finalizzati anche al miglioramento dei servizi sanitari e ciò nell'interesse di tutti i cittadini. Detta attività si è sempre svolta nel massimo rispetto delle istituzione e delle diverse Direzioni Generali e Sanitarie susseguitesi nel tempo, posto che la maggior parte delle vertenze è stata risolta mediante incontri diretti dello scrivente legale con le figure apicali dell'Azienda Ospedaliera. Attività che, pur nel rispetto degli interlocutori, non ha mai fatto sconti a nessuno, tenendo ben fisso l'obiettivo di migliorare il servizio per tutti i cittadini, di denunciare le criticità, anche pubblicamente ed a mezzo stampa ed, al contempo, di tutelare la posizione lavorativa e la salubrità del luogo di lavoro dei sanitari oltreché, soprattutto, salvaguardarne la sicurezza ed incolumità personale.

Caso legale seguito

Ricorso ex art. 445 bis c.p.c. avverso INPS per il riconoscimento di invalidità civile totale a seguito di fascite necrotizzante

Anno 2021 - Tribunale civile di Cosenza - Sezione Lavoro

Si tratta di un ricorso per ATP avverso un verbale di accertamento medico legale per il riconoscimento dell’invalidità civile emesso dalla Commissione Medica per l’Accertamento dell’Invalidità civile. La ricorrente contraeva la gravissima patologia denomina "fascite necrotizzante" all'esito della quale subiva una serie di interventi chirurgici e riportava conseguente lesive permanenti sia a livello estetico, sia di tipo funzionale. Fatto sta la Commissione Medica dell'INPS rigettava la richiesta di invalidità al 100% sull'erroneo, pur avendola in passato riconosciuta alla medesima persona e ciò basandosi sull'erroneo presupposto che era medio tempore addirittura migliorato il suo stato di salute. Pertanto, a fronte di tali determinazioni della Commissione Medica, ritenute incongrue dalla ricorrente, veniva affidato al sottoscritto difensore il mandato di richiedere all’INPS una rettifica della valutazione esposta nel verbale in contestazione e ciò sulla scorta di una serie di circostanze di carattere medico-legale opponibili in concreto. Si rendeva pertanto necessario esperire la procedura di accertamento tecnico preventivo che si concludeva con l'omologa da parte del Giudice adito della perizia del CTU incaricato, il quale riconosceva all'assistita il 100% di invalidità. L'esito favorevole del procedimento in esame consentiva pertanto alla cliente, non solo di vedersi nuovamente riconosciuta la corresponsione della pensione di invalidità, ma anche di ottenere tutti gli arretrati medio tempore non versati con rivalutazione.

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