Offro assistenza legale a imprese e lavoratori nel campo del diritto del lavoro, sia nella consulenza che nelle attività giudiziali. Mi occupo di gestire problematiche legate alle sanzioni dell'Ispettorato Territoriale del Lavoro, fornendo supporto nel contenzioso e nella difesa dei diritti. Affronto casi di mobbing, licenziamenti illegittimi, differenze retributive e altre questioni complesse legate ai rapporti di lavoro. Al fianco di lavoratori e aziende per garantire il rispetto delle normative e prevenire controversie, offrendo consulenze mirate e tempestive.
Informazioni generali
Offro consulenza e assistenza legale in diritto tributario, diritto del lavoro e diritto civile. In particolare seguo i rapporti con i diversi enti, Agenzia delle Entrate, Inail, Direzioni territoriali del Lavoro nei diversi procedimenti amministrativi e nella successiva fase contenziosa. Mi occupo poi dei rapporti tra datori di lavoro e dipendenti, dei rapporti clienti fornitori, della contrattualistica e di diverse tematiche civili inerenti i privati, quali responsabilità per colpa medica, recupero crediti e diritto di famiglia.
Esperienza
Assisto i lavoratori nella tutela dei loro diritti, con particolare attenzione ai casi di mobbing e demansionamento. Fornisco consulenza legale approfondita per affrontare comportamenti illegittimi da parte del datore di lavoro o dei colleghi, e accompagno i miei clienti in ogni fase del processo per ottenere il giusto risarcimento dei danni subiti. Il mio intervento comprende sia l'analisi delle situazioni di abuso sia l'assistenza in sede giudiziale, con l'obiettivo di far valere i diritti del lavoratore e ottenere il ristoro delle varie tipologie di danno.
Offro assistenza legale a dipendenti e aziende nella delicata fase del licenziamento, con l’obiettivo di trovare soluzioni che tutelino entrambe le parti ed evitino futuri contenziosi. Difendo i lavoratori in caso di licenziamento illegittimo o discriminatorio, assicurando la loro rappresentanza in sede giudiziale per ottenere il reintegro o il risarcimento del danno. Al contempo, assisto le aziende che si trovano a gestire rivendicazioni o richieste successive a un accordo, fornendo supporto per minimizzare i rischi legali.
Altre categorie
Diritto tributario, Malasanità e responsabilità medica, Diritto civile, Recupero crediti, Fallimento e proc. concorsuali.
Credenziali
Le sanzioni per pagamento "in nero" dei lavoratori
Pubblicato su IUSTLABL'art. 1, co. 910 della Legge del 27/12/2017 n. 205 prevede che " A far data dal 1° luglio 2018 i datori di lavoro o committenti corrispondono ai lavoratori la retribuzione, nonche' ogni anticipo di essa, attraverso una banca o un ufficio postale con uno dei seguenti mezzi: a) bonifico sul conto identificato dal codice IBAN indicato dal lavoratore; b) strumenti di pagamento elettronico; c) pagamento in contanti presso lo sportello bancario o postale dove il datore di lavoro abbia aperto un conto corrente di tesoreria con mandato di pagamento; d) emissione di un assegno consegnato direttamente al lavoratore o, in caso di suo comprovato impedimento, a un suo delegato. L'impedimento s'intende comprovato quando il delegato a ricevere il pagamento e' il coniuge, il convivente o un familiare, in linea retta o collaterale, del lavoratore, purche' di eta' non inferiore a sedici anni." Il successivo comma 911 prevede che i datori di lavoro o committenti non possono corrispondere la retribuzione per mezzo di denaro contante direttamente al lavoratore, qualunque sia la tipologia del rapporto di lavoro instaurato. Al datore di lavoro o committente che viola l'obbligo di cui al comma 910 si applica la sanzione amministrativa pecuniaria consistente nel pagamento di una somma da 1.000 euro a 5.000 euro. Nella nota n. 9294 del 09.11.2018 l’Ispettorato Nazionale del Lavoro afferma che se viene accertata l’erogazione giornaliera delle retribuzioni in contanti, si possono configurare tanti illeciti per quante giornate di lavoro “in nero” sono state effettuate. Questo significa che la sanzione riguarda ogni singola dazione e non la mensilità. Se, per esempio, il datore di lavoro paga (in nero) al termine di ciascuna settimana nell'arco di un mese, potrebbe essergli comminata una sanzione (nella misura compresa tra 1000 e 5000 Euro) per ciascun pagamento, quindi in ipotesi si avrebbe un cumulo sanzionatorio di 20.000 Euro. Se al contrario corrisponde la paga (pur sempre in nero) a fine mese, in unica soluzione, la sanzione sarebbe una sola, quindi un massimo ipotizzabile di 5000 Euro. La situazione è aggravata dal fatto che per questa tipologia di violazioni non è applicabile l'istituto della continuità, a differenza di quanto avviene per le sanzioni in materia contributiva. Come si vede, il rischio è che le sanzioni comminate possano eccedere la concreta offensività del comportamento illecito ben oltre il principio di ragionevolezza, essendo sganciate da un criterio qualitativo, che semmai si riflette nella mera commisurazione della sanzione tra il minimo e il massimale previsto dalla legge.
Il mobbing
Pubblicato su IUSTLABIl mobbing, fenomeno complesso e sfaccettato, rappresenta una forma di violenza psicologica esercitata in ambito lavorativo, caratterizzata da comportamenti ostili, reiterati e sistematici, volti a emarginare, umiliare o destabilizzare un lavoratore, con gravi ripercussioni sulla sua salute psicofisica e sulla sua dignità professionale. Il termine, mutuato dall’etologia, richiama l’attacco coordinato di un gruppo di animali contro un singolo individuo, ma nel contesto umano si traduce in una serie di azioni deliberate, come critiche ingiustificate, esclusione da attività lavorative, diffusione di pettegolezzi, assegnazione di compiti dequalificanti o sovraccarichi di lavoro, che mirano a isolare la vittima e a comprometterne l’equilibrio emotivo. In Italia, il mobbing non trova una definizione normativa specifica, ma è riconosciuto dalla giurisprudenza e dalla dottrina come una violazione degli obblighi di tutela del lavoratore previsti dall’art. 2087 del Codice Civile, che impone al datore di lavoro di garantire la salute e la sicurezza dei dipendenti, includendo la protezione dall’ambiente psicologico ostile. La Corte di Cassazione, in numerose pronunce, come la sentenza n. 3785/2009, ha chiarito che il mobbing si configura quando le condotte vessatorie sono sistematiche, prolungate nel tempo e finalizzate a danneggiare il lavoratore, distinguendolo da semplici conflittualità interpersonali o da episodi isolati di maleducazione. Il fenomeno può manifestarsi in diverse forme: il mobbing verticale, esercitato da un superiore gerarchico, può includere rimproveri immotivati o demansionamenti; il mobbing orizzontale, invece, coinvolge colleghi che, per invidia o competizione, adottano comportamenti ostracizzanti; infine, il mobbing strategico, meno frequente, è orchestrato dal datore di lavoro per indurre il lavoratore alle dimissioni senza ricorrere al licenziamento. Le conseguenze per la vittima sono devastanti: ansia, depressione, disturbi del sonno, calo dell’autostima e, nei casi più gravi, patologie fisiche legate allo stress cronico, come ipertensione o disturbi gastrointestinali, come riconosciuto dalla medicina del lavoro e da studi psicologici. Sul piano giuridico, il lavoratore che subisce mobbing può richiedere il risarcimento del danno non patrimoniale, sia biologico che morale, purché dimostri la natura sistematica delle condotte, il nesso causale con il danno subito e l’intenzionalità o la colpa del datore di lavoro. La prova del mobbing è spesso complessa, richiedendo documentazione, testimonianze o referti medici, ma la giurisprudenza, come nella sentenza Cass. n. 18927/2015, ha stabilito che anche condotte apparentemente neutre, se reiterate e contestualizzate, possono integrare il mobbing. Un esempio emblematico è quello di un dipendente escluso sistematicamente da riunioni rilevanti o privato di strumenti di lavoro essenziali, situazioni che, se protratte, possono configurare un abuso. Dal 2003, l’INAIL riconosce il mobbing come causa di malattia professionale, consentendo l’accesso a indennizzi per i danni psicofisici, purché si dimostri un nesso con l’attività lavorativa. Tuttavia, la prevenzione rimane la sfida principale: l’art. 28 del Decreto Legislativo 81/2008 impone al datore di lavoro di valutare i rischi psicosociali, includendo lo stress lavoro-correlato, e di adottare misure per contrastarlo, come programmi di formazione o codici di condotta aziendali. Nonostante ciò, la cultura organizzativa di molte imprese italiane fatica ancora a riconoscere il mobbing come un problema strutturale, spesso liquidandolo come conflitto personale. Sul piano sociale, il mobbing riflette dinamiche di potere e competizione esasperata, aggravate in contesti di precarietà lavorativa o crisi economica, dove la paura di perdere il posto di lavoro può spingere le vittime a tollerare abusi. La sensibilizzazione, promossa da campagne istituzionali e associazioni sindacali, è fondamentale per educare lavoratori e datori di lavoro sui diritti e sui doveri in materia, favorendo un ambiente lavorativo rispettoso e inclusivo. In conclusione, il mobbing non è solo una questione individuale, ma un fenomeno che interroga l’organizzazione del lavoro e la responsabilità sociale delle imprese, richiedendo un impegno congiunto di legislatori, giudici e aziende per tutelare la dignità dei lavoratori e promuovere un clima lavorativo sano, capace di coniugare produttività e benessere.
Corso "Master Diritto Tributario Bilancio, Imposte dirette, Iva, Accertamento e Contenzioso"
24ORE Business School - 7/2021Nel 2021 per aggiornarmi sulle ultime novità normative ho frequentato il corso tenuto dalla 24ORE Business School in ambito tributario, un'esperienza che si è rivelata molto utile e mi ha consentito un confronto interdisciplinare con colleghi e commercialisti sulle novità del settore.
L'IRAP e i lavoratori autonomi
Pubblicato su IUSTLABL’applicazione dell’Imposta Regionale sulle Attività Produttive (IRAP) ai professionisti e ai lavoratori autonomi ha subito una svolta significativa con le recenti evoluzioni normative e giurisprudenziali, culminate in una chiara definizione del requisito di “autonoma organizzazione” previsto dall’art. 2 del Decreto Legislativo 446/1997, che stabilisce l’IRAP come dovuta per l’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi. Tuttavia, un’importante novità introdotta dalla Legge di Bilancio 2022 (art. 1, comma 8, L. 234/2021) ha stabilito che, a partire dal periodo d’imposta in corso al 1° gennaio 2022, l’IRAP non è più dovuta dalle persone fisiche esercenti attività commerciali o arti e professioni, come indicato nelle lettere b) e c) dell’art. 3, comma 1, del D.Lgs. 446/1997. Questa esenzione si applica a imprese individuali, professionisti e lavoratori autonomi che operano in forma individuale, indipendentemente dalla presenza o meno di un’autonoma organizzazione, ed è motivata dalla volontà del legislatore di ridurre il carico fiscale sulle piccole realtà produttive, semplificando gli adempimenti e favorendo un progressivo superamento dell’imposta. Di conseguenza, a partire dal 2022, tali soggetti non sono più tenuti al versamento dell’IRAP né agli obblighi dichiarativi e contabili connessi, come chiarito dall’Agenzia delle Entrate nella circolare n. 4/E del 18 febbraio 2022. L’esclusione riguarda esclusivamente le persone fisiche, lasciando invariati gli obblighi per società, enti e professionisti che operano in forma associata, come studi associati o società tra professionisti, per i quali l’IRAP continua a essere dovuta in presenza di un’organizzazione autonoma. Per le annualità pregresse al 2022, invece, l’applicabilità dell’IRAP rimane subordinata alla verifica del requisito di autonoma organizzazione, come delineato dalla giurisprudenza. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 156/2001, ha chiarito che, diversamente dall’attività d’impresa, per i professionisti e i lavoratori autonomi l’organizzazione non è un elemento intrinseco, e la sua esistenza deve essere accertata caso per caso. La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza n. 9451/2016, ha ulteriormente precisato che l’autonoma organizzazione sussiste quando il contribuente è responsabile della propria struttura organizzativa, non è inserito in organizzazioni altrui, utilizza beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile per l’attività o si avvale in modo non occasionale di collaboratori che svolgano mansioni non meramente esecutive o di segreteria. Ad esempio, un collaboratore che contribuisca significativamente all’attività produttiva, come un commesso che potenzia le vendite in un negozio, configura un’autonoma organizzazione, mentre un assistente con compiti generici non lo fa. È il caso, ad esempio, di promotori finanziari che operano all’interno di strutture organizzative bancarie, utilizzando spazi e strumenti forniti in comodato d’uso, con vincoli che limitano la loro autonomia organizzativa, come l’accesso regolamentato agli uffici o l’uso di software specifici. In tali situazioni, l’inserimento in un’organizzazione altrui e l’assenza di beni strumentali significativi o di collaboratori con ruoli rilevanti escludono l’assoggettamento all’IRAP. Per le annualità precedenti al 2022, i professionisti e i lavoratori autonomi che ritengono di non aver avuto un’autonoma organizzazione possono presentare istanza di rimborso per l’IRAP versata indebitamente, entro il termine di 48 mesi dalla data del versamento, come previsto dall’art. 38 del DPR 602/1973. La giurisprudenza ha riconosciuto il diritto al rimborso in numerosi casi, come per medici o avvocati che operano con strutture minime e senza collaboratori significativi, purché dimostrino l’assenza del presupposto impositivo. Ad esempio, la Cassazione ha escluso l’IRAP per un medico che utilizzava servizi in outsourcing senza un’organizzazione autonoma. Tuttavia, l’irretroattività della norma del 2022, come ribadito dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (risposta n. 5-07710 del 16 marzo 2022), preclude l’applicazione dell’esonero alle annualità pregresse, rendendo necessaria la valutazione caso per caso sulla base dei criteri giurisprudenziali. In conclusione, l’abolizione dell’IRAP per le persone fisiche a partire dal 2022 rappresenta un passo verso la semplificazione fiscale, mentre per il passato i contribuenti possono ancora difendersi dall’imposta, avvalendosi della giurisprudenza per richiedere rimborsi, purché dimostrino l’insussistenza dell’autonoma organizzazione.
Le novità del processo tributario
Pubblicato su IUSTLABIl processo tributario italiano ha subito una profonda trasformazione negli ultimi anni, culminata con l’entrata in vigore del Decreto Legislativo 30 dicembre 2023, n. 220, attuativo della delega fiscale prevista dalla Legge 9 agosto 2023, n. 111, e con ulteriori innovazioni normative che si consolidano nel 2025. Queste riforme, avviate per modernizzare e rendere più efficiente il sistema della giustizia tributaria, si concentrano su tre pilastri fondamentali: digitalizzazione, semplificazione procedurale e rafforzamento delle garanzie per i contribuenti, con l’obiettivo di ridurre i tempi dei procedimenti e migliorare l’accesso alla giustizia. Una delle novità più rilevanti è la completa digitalizzazione del processo tributario, resa obbligatoria per la notifica e il deposito degli atti processuali a partire dal 2 settembre 2024, come stabilito dall’art. 16-bis del D.Lgs. 546/1992. Le parti, i consulenti e gli organi tecnici devono utilizzare esclusivamente la Posta Elettronica Certificata (PEC) per le comunicazioni e il deposito telematico degli atti, salvo eccezioni per i contribuenti senza assistenza tecnica in controversie di valore inferiore a 3.000 euro, che possono ancora avvalersi della modalità cartacea. La violazione delle norme telematiche non comporta l’invalidità del deposito, purché regolarizzata entro il termine perentorio fissato dal giudice, garantendo così flessibilità senza compromettere i diritti delle parti. Inoltre, le udienze telematiche, già introdotte con la Legge 130/2022, sono state ulteriormente potenziate nel 2025, consentendo alle parti di partecipare a distanza, riducendo costi e tempi di spostamento, come previsto dall’art. 4 del D.Lgs. 220/2023. Un’altra innovazione significativa riguarda l’introduzione del giudice monocratico per le controversie di valore inferiore a 5.000 euro, in vigore dal 1° luglio 2023 e confermato nel 2025, con l’obiettivo di snellire la trattazione delle liti minori e alleggerire il carico delle Corti di giustizia tributaria. A partire dal 2025, tali udienze in composizione monocratica si svolgono esclusivamente a distanza, favorendo rapidità e accessibilità. Sul piano delle garanzie difensive, il D.Lgs. 220/2023 ha rafforzato il contraddittorio endoprocedimentale, rendendolo obbligatorio per tutti gli atti impugnabili dinanzi alle Corti di giustizia tributaria, a pena di annullabilità, come previsto dall’art. 6-bis della Legge 212/2000. Tuttavia, per gli atti emessi prima del 30 aprile 2024, si applica la normativa previgente, escludendo l’obbligo di contraddittorio per i tributi non armonizzati, come chiarito dal D.L. 39/2024. La riforma ha anche ampliato gli atti impugnabili, includendo il rifiuto espresso o tacito di autotutela (art. 19, D.Lgs. 546/1992), offrendo ai contribuenti maggiori strumenti per contestare decisioni amministrative. Un cambiamento rilevante è l’abrogazione dell’istituto del reclamo-mediazione, previsto dall’art. 17-bis del D.Lgs. 546/1992, a partire dal 4 gennaio 2024 per i ricorsi notificati dopo tale data, con effetti pieni per quelli notificati dal 1° settembre 2024. Questo istituto, ritenuto inefficace nel ridurre il contenzioso, è stato sostituito da strumenti deflattivi più efficaci, come la conciliazione giudiziale, che può essere proposta dal giudice anche per controversie fino a 50.000 euro, con una maggiorazione del 50% delle spese di giudizio in caso di rifiuto ingiustificato. Sul piano probatorio, la riforma ha introdotto la possibilità di utilizzare la prova testimoniale scritta, regolata dall’art. 7 del D.Lgs. 546/1992, con moduli standardizzati forniti dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, compilabili e firmabili digitalmente tramite PEC. Questa misura, applicabile ai ricorsi notificati dal 2 settembre 2024, amplia le opzioni probatorie, tradizionalmente limitate alla documentazione scritta, rendendo il processo più flessibile. Inoltre, la trasformazione delle Commissioni tributarie in Corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado, con l’introduzione di magistrati professionali a tempo pieno, reclutati tramite concorso pubblico (il primo svoltosi il 14 febbraio 2025), mira a migliorare la qualità delle decisioni e a ridurre il contenzioso in Cassazione. La formazione continua obbligatoria per i giudici tributari, prevista per il 2025, garantisce un aggiornamento costante sulle novità normative e giurisprudenziali, a beneficio della coerenza delle pronunce. La giurisprudenza recente, come la sentenza della Cassazione n. 8452/2025, ha ulteriormente chiarito l’importanza di un linguaggio giuridico sintetico e preciso negli atti processuali, per migliorare la leggibilità e l’efficienza del processo. Inoltre, la Corte ha confermato che l’onere della prova spetta all’Amministrazione finanziaria per le violazioni contestate, mentre il contribuente deve dimostrare la propria buona fede in casi come le fatture per operazioni inesistenti. Le novità del 2025 includono anche la semplificazione della procura alle liti: se conferita in forma digitale, il difensore non è più obbligato ad autenticarne la sottoscrizione, mentre per i documenti cartacei è richiesta l’autentica con deposito di una copia digitale. Infine, la possibilità di sospendere l’esecutività delle sentenze di secondo grado in pendenza di ricorso in Cassazione (art. 62-bis, D.Lgs. 546/1992) tutela i contribuenti da danni gravi e irreparabili. Queste riforme, nel complesso, rappresentano un passo verso un sistema tributario più equo, digitale e rapido, pur richiedendo agli operatori del settore – avvocati, commercialisti e funzionari – un adeguamento organizzativo e tecnologico per sfruttare appieno le opportunità offerte dalla digitalizzazione e dalle nuove garanzie procedurali
Le diverse tipologie di atti tributari
Pubblicato su IUSTLABUn cittadino o un'azienda può ricevere la notifica di atti dell'amministrazione finanziaria molto diversi tra loro ed è importante comprenderne le differenze per tutelarsi al meglio. I più famosi sono senza dubbio gli avvisi di accertamento e le cartelle di pagamento. I primi, sono atti che contengono una pretesa tributaria dell'Agenzia delle Entrate, pretesa che viene motivata nel merito con un prospetto ricostruttivo dei maggiori imponibili recuperati. Concretamente, significa che l'Agenzia delle Entrate ritiene che il contribuente abbia goduto di un reddito più alto e, siccome è tenuta a motivare tale affermazione, usa vari metodi per dimostralo. C'è il metodo analitico, che va a ricostruire la contabilità analizzando le varie voci. Spesso si tratta di un tipo di contestazione molto tecnica che riguarda la classificazione di un certo elemento come positivo o negativo, oppure il disconoscimento dello stesso. Vi è poi il metodo induttivo. L'Agenzia si vale di una serie di presunzioni legali stabilite per legge per attribuire al contribuente un reddito più alto sulla base di certi parametri. Questo avviene in casi particolari, specie quando l'esame della contabilità abbia evidenziato un forte grado di inattendibilità. A questo punto, per esempio, l'AdE potrebbe utilizzare un singolo dato in suo possesso (una particolare tipologia di costi, come le spese pubblicitarie o le materie prime) per ricostruire in modo astratto il reddito sul quale applicare le imposte. Questo avviene sulla base di indici e studi statistici prodotti dall'Agenzia, che spesso possono discostarsi molto dalla realtà. Vi sono infine degli accertamenti ibridi tra le precedenti due forme, i c.d. "analitici - induttivi" che, pur "salvando" una parte della contabilità, giudicata non del tutto inattendibile", utilizzano diverse presunzioni per fondare la pretesa erariale. L'avviso di accertamento può essere preceduto da un invito a mettersi in contatto con l'AdE per attivare il procedimento di accertamento con adesione. Si tratta di un procedimento che è volto a trovare un accordo tra contribuente e amministrazione finanziaria per evitare il contenzioso. E' sempre bene rispondere e partecipare agli incontri coi funzionari, ma spesso l'adesione non è conveniente perchè c'è poco margine di manovra: per l'Ufficio ormai l'accertamento è concluso e si aspettano che, se il contribuente intende aderire, si "accontenti" di uno sconto sulle sanzioni, senza discutere troppo il merito. Ovviamente dipende dai casi, perchè potrebbero emergere dei grossi errori dell'Agenzia. Se l'avviso definitivo è stato notificato, si può aderire allo stesso beneficiando di una riduzione delle sanzioni ad 1/3, magari chiedendo una rateizzazione. In alternativa, si può proporre ricorso tributario. Se questo non avviene, l'accertamento si consolida e diventa irretrattabile. Dal 2011, poi, gli accertamenti sono esecutivi e l'Agenzia affiderà il proprio credito all'Agenzia delle Entrate - Riscossione, che, dopo un avviso di presa in carico, potrebbe iniziare la riscossione forzata. La cartella di pagamento, poi, è un atto dell'Agenzia delle Entrate - Riscossione che contiene anch'essa una pretesa economica, non necessariamente erariale, perchè potrebbe riguardare anche multe o tributi locali. E' formata sulla base del ruolo, cioè di un elenco di debitori e relativi debiti che viene compilato dall'Agenzia delle Entrate. Ogni contribuente può chiedere all'Agenzia delle Entrate - Riscossione il proprio "estratto di ruolo", cioè la propria situazione debitoria. Si tratta di un semplice prospetto riepilogativo che non è di per sè impugnabile, tendenzialmente. Bisogna infatti aspettare la notifica della cartella, anche se esistono casi particolari. La cartella può essere impugnata per vizi propri in sede tributaria o dinanzi al giudice ordinario con diversi termini a seconda del tipo di credito che contiene. I vizi propri spesso riguardano la decadenza o prescrizione, oppure il pagamento integrale già avvenuto. In altri casi potrebbe essere mancata la regolare notifica degli avvisi di accertamento, pertanto il ricorso ha funzione "recuperatoria" e rimette in discussione in via eccezionale anche il merito della pretesa tributaria. Infine, alcune cartelle di pagamento sono a tutti gli effetti il primo atto tributario impugnabile. E' il caso dei c.d. "accertamenti formali", che sono generati automaticamente dai sistemi informatici dell'Agenzia delle Entrate quando rilevano che le imposte pagate sono inferiori a quelle che risultano dalla dichiarazione o disconoscono qualche costo o qualche credito di imposta in quanto non risulta dalla precedenti dichiarazioni o da altri documenti. In questo caso si riceve dapprima un "avviso bonario" con una sanzione e l'invito a regolarizzare la propria posizione. Tale avviso consente di rateizzare il debito, ma attenzione. Se si decade dalla rateizzazione verrà applicata una sanzione! Altrimenti, come detto, verrà notificata la cartella. In tutti i casi descritti, se non si paga e non si propone ricorso (con richiesta di sospensione, anche solo in sede amministrativa ove vi sia la possibilità), inizierà l'esecuzione forzata. Pertanto il pignoramento presso terzi (spesso ai conti correnti o nei confronti del datore di lavoro), oppure l'iscrizione di ipoteca o fermo amministrativo. Vi sono poi altre tipologie di atti, come l'avviso di liquidazione, che riguarda le imposte ipocatastali, specie nel caso di compravendita di immobile. Siccome queste imposte sono applicate sul valore di vendita, può accadere che l'Agenzia ritenga che questo sia molto inferiore al valore di mercato e intenda quindi recuperarlo. Per questa ragione, notifica un atto che funziona come un avviso di accertamento e contiene la motivazione del maggior valore e quindi delle maggiori imposte richieste. Alcune particolari tipologie di sanzioni sono applicate autonomamente da un atto che accerti una maggiore imposta dovuta, il c.d. atto di contestazione o irrogazione delle sanzioni. Vi sono infine le c.d. intimazioni di pagamento, che seguono la notifica delle cartelle quando l'Agenzia delle Entrate - Riscossione non è riuscita a riscuotere nel corso degli anni ma vuole evitare la prescrizione del credito e avvisa che intende procedere nuovamente con l'esecuzione forzata. E' molto importante attivarsi sin da quando si riceve uno di questi atti, contattando un professionista senza lasciar decorre quelli che potrebbero essere termini non solo per l'impugnazione, ma anche per ottenere una rateazione vantaggiosa, o comunque per comprendere se si tratta di un atto che potrebbe diventare definitivo impedendo di contestarne il merito in un successivo momento. avv. Stefano Bisognin
Definizione delle liti pendenti 2023
Legge di Bilancio 2023Ho avuto modo di seguire diversi casi di adesione alla definizione agevolata delle liti pendenti prevista dalla Legge di Bilancio 2023. Si tratta di una misura che ha consentito ai contribuenti con contenziosi tributari di chiudere la propria posizione ottenendo significativi risparmi tra imposte e sanzioni rispetto a quanto sarebbe avvenuto con l'adesione all'avviso di accertamento. Tali risparmi hanno riguardato principalmente la caducazione di sanzioni ed interessi che insieme costituiscono una spesso una notevole parte del carico. Per le cause in Corte di Giustizia Tributaria di I grado, inoltre, l'adesione ha comportato uno "sconto" del 10% sull'importo capitale (quindi sulle imposte dovute). Altri casi particolari hanno invece riguardato cause inerenti le sole sanzioni con una differenziazione tra l'ipotesi in cui queste fossero da considerarsi "collegate al tributo" oppure "non collegate". Nonostante l'Agenzia delle Entrate non abbia offerto molta collaborazione a noi professionisti, posso affermare che ad oggi i casi che ho seguiti sono stati liquidati correttamente con piani di rateazione triennale e chiusura del contenzioso a spese compensate. Questo significa che i contribuenti hanno ottenuto un vantaggio notevole ed è stata eliminata l'alea del giudizio.
La residenza fiscale per i soggetti AIRE e la delega fiscale
Pubblicato su IUSTLABUn tipico caso che capita di affrontare nella quotidianità di uno studio tributario, è quello dei soggetti che risiedono all'estero ma sono rimasti iscritti nell'anagrafe della popolazione residente in Italia. In questo caso, di norma sono considerati contribuenti italiani e soggetti ad imposizione nel nostra paese, pur riconoscendo tendenzialmente il credito di imposta per quanto pagato all'estero. Il problema, ovviamente, è che le imposte da pagare in Italia potrebbero comunque essere molto elevate. Il sistema, ovviamente, è pensato per contrastare i casi di residenza fiscale fittizia all'estero, tuttavia non sono pochi i casi in cui lavoratori che si sono trasferiti fuori dall'Italia si vedono recapitare avvisi di accertamento, solo perchè non si sono iscritti per tempo all'AIRE o semplicemente la procedura burocratica è andata per le lunghe. Lo stato italiano ha firmato diversi trattati con altri paesi (Convenzioni contro le doppie imposizioni) che tendenzialmente contengono elementi per dirimere la questione dell'assoggettamento ad imposizione del cittadino nell'uno o nell'altro stato. Spiace constatare che l'Agenzia delle Entrate spesso ignora tali trattati, applicando la legislazione nazionale e violando sostanzialmente la costituzione (art. 117 cost), che vorrebbe gli obblighi derivanti dai vincoli internazionali sovraordinati alle leggi interne. Negli anni la Cassazione ha oscillato tra le diverse posizioni, anche se generalmente ha deciso in senso favorevole all'AdE, ignorando la questione dell'incostituzionalità e sostenendo che la vigente disciplina non ammetta prova contraria. La recente delega fiscale introduce finalmente un chiarimento sul fatto che la presunzione di residenza nel nostro paese di quanti risultano iscritti all'anagrafe nazionale avrebbe natura relativa e non assoluta. Questo vuol dire che sarà possibile dimostrare concretamente di aver vissuto in un altro paese, contrastando le pretese erariali.
Novità in tema di ATP per responsabilità medica
Pubblicato su IUSTLABLa possibilità di citare direttamente l’assicurazione nell’ambito dell’Accertamento Tecnico Preventivo (ATP) per responsabilità medica, previsto dall’art. 696-bis del Codice di Procedura Civile e disciplinato dalla Legge Gelli-Bianco (L. 24/2017), rappresenta una delle innovazioni più significative introdotte dalla riforma del 2017 in materia di responsabilità sanitaria. Questa opzione, finalizzata a snellire il contenzioso e favorire la conciliazione, ha generato un vivace dibattito giurisprudenziale e dottrinale, complicato dalla mancata emanazione dei decreti attuativi previsti dall’art. 10, comma 6, della legge fino al 2023. Tuttavia, con l’entrata in vigore del Decreto Ministeriale n. 232/2023, pubblicato il 1° marzo 2024, si è chiarito il quadro normativo, rendendo operativa l’azione diretta e consolidando la partecipazione obbligatoria delle compagnie assicurative all’ATP. L’art. 8, comma 4, della Legge Gelli-Bianco stabilisce che il procedimento di ATP, condizione di procedibilità per le azioni risarcitorie in ambito sanitario, richiede la partecipazione di tutte le parti coinvolte, inclusa l’assicurazione della struttura sanitaria o del medico. La ratio di questa norma è duplice: da un lato, promuovere la conciliazione stragiudiziale per ridurre il contenzioso; dall’altro, garantire che la consulenza tecnica preventiva, svolta da un collegio peritale composto da un medico legale e specialisti nella disciplina interessata, sia opponibile a tutti i soggetti potenzialmente responsabili, evitando la necessità di ripetere l’accertamento in un successivo giudizio di merito. Prima del 2024, la giurisprudenza era divisa. Un orientamento maggioritario, sostenuto da pronunce come quelle del Tribunale di Avellino (2023) e del Tribunale di Benevento (ordinanza 24 ottobre 2018), riteneva che la partecipazione dell’assicurazione all’ATP fosse obbligatoria, anche in assenza dei decreti attuativi, per rispettare la finalità conciliativa dell’istituto e per evitare che l’assicurazione, non partecipando, potesse contestare la consulenza tecnica nel giudizio di merito. Questo approccio, condiviso dal Tribunale di Verona (ordinanza 10 maggio 2018), si basava sull’art. 8, comma 4, che impone alle assicurazioni di formulare un’offerta risarcitoria o di motivarne il rifiuto, con sanzioni in caso di mancata partecipazione. Un orientamento minoritario, espresso ad esempio dal Tribunale di Latina (ordinanza 29 novembre 2022), negava invece la legittimazione passiva dell’assicurazione nell’ATP, subordinandola all’emanazione dei decreti attuativi che definissero i requisiti minimi delle polizze assicurative. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 182/2023, aveva confermato l’inammissibilità dell’azione diretta in assenza di tali decreti, rafforzando temporaneamente questa posizione. L’entrata in vigore del DM 232/2023, a partire dal 16 marzo 2024, ha risolto il contrasto, rendendo pienamente operativa l’azione diretta del danneggiato contro l’assicurazione, come previsto dall’art. 12 della Legge Gelli-Bianco. Il Tribunale di Milano, con l’ordinanza del 26 agosto 2024, ha ribadito l’ammissibilità di tale azione nell’ATP, sottolineando che il coinvolgimento diretto dell’assicurazione rafforza la conciliazione, incentivandola a formulare offerte risarcitorie basate sulla consulenza tecnica. Tuttavia, il Tribunale di Roma (sentenza 15 marzo 2024) ha precisato che, per le azioni proposte prima del 16 marzo 2024, l’azione diretta rimane inammissibile, applicando il principio del tempus regit actum . Nella pratica, citare l’assicurazione nell’ATP presenta vantaggi significativi: consente al danneggiato di coinvolgere direttamente il soggetto economicamente solvibile, accelera la definizione stragiudiziale della controversia e garantisce che la consulenza tecnica sia opponibile all’assicurazione nel giudizio di merito, riducendo i tempi processuali. Tuttavia, permangono alcune criticità: le assicurazioni possono eccepire limitazioni contrattuali, come clausole di polizza non conformi al DM 232/2023, e l’adeguamento delle polizze ai nuovi requisiti è previsto entro 24 mesi dall’entrata in vigore del decreto, creando un periodo transitorio di incertezza. Inoltre, la giurisprudenza, come evidenziato dal Tribunale di Locri (sentenza 18 aprile 2024), consente di applicare l’azione diretta a errori medici commessi prima del 16 marzo 2024, purché l’azione sia proposta successivamente, offrendo così una tutela retroattiva parziale. In conclusione, la possibilità di citare direttamente l’assicurazione nell’ATP, resa pienamente operativa dal DM 232/2023, rappresenta un’evoluzione fondamentale per i danneggiati da responsabilità medica, favorendo l’efficienza processuale e la tutela dei loro diritti. Tuttavia, l’applicazione pratica richiede un’attenta valutazione delle tempistiche processuali e delle condizioni di polizza, con la giurisprudenza che continuerà a giocare un ruolo cruciale nel chiarire eventuali ambiguità residue.
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Lo studio
Stefano Bisognin
Via Scardeone
Padova (PD)