Avvocato Stefano Bisognin a Padova

Stefano Bisognin

Avvocato - Diritto Tributario, Lavoro e Civile

Informazioni generali

Offro consulenza e assistenza legale in diritto tributario, diritto del lavoro e diritto civile. In particolare seguo i rapporti con i diversi enti, Agenzia delle Entrate, Inail, Direzioni territoriali del Lavoro nei diversi procedimenti amministrativi e nella successiva fase contenziosa. Mi occupo poi dei rapporti tra datori di lavoro e dipendenti, dei rapporti clienti fornitori, della contrattualistica e di diverse tematiche civili inerenti i privati, quali responsabilità per colpa medica, recupero crediti e diritto di famiglia.

Esperienza


Diritto del lavoro

Offro assistenza legale a imprese e lavoratori nel campo del diritto del lavoro, sia nella consulenza che nelle attività giudiziali. Mi occupo di gestire problematiche legate alle sanzioni dell'Ispettorato Territoriale del Lavoro, fornendo supporto nel contenzioso e nella difesa dei diritti. Affronto casi di mobbing, licenziamenti illegittimi, differenze retributive e altre questioni complesse legate ai rapporti di lavoro. Al fianco di lavoratori e aziende per garantire il rispetto delle normative e prevenire controversie, offrendo consulenze mirate e tempestive.


Mobbing

Assisto i lavoratori nella tutela dei loro diritti, con particolare attenzione ai casi di mobbing e demansionamento. Fornisco consulenza legale approfondita per affrontare comportamenti illegittimi da parte del datore di lavoro o dei colleghi, e accompagno i miei clienti in ogni fase del processo per ottenere il giusto risarcimento dei danni subiti. Il mio intervento comprende sia l'analisi delle situazioni di abuso sia l'assistenza in sede giudiziale, con l'obiettivo di far valere i diritti del lavoratore e ottenere il ristoro delle varie tipologie di danno.


Licenziamento

Offro assistenza legale a dipendenti e aziende nella delicata fase del licenziamento, con l’obiettivo di trovare soluzioni che tutelino entrambe le parti ed evitino futuri contenziosi. Difendo i lavoratori in caso di licenziamento illegittimo o discriminatorio, assicurando la loro rappresentanza in sede giudiziale per ottenere il reintegro o il risarcimento del danno. Al contempo, assisto le aziende che si trovano a gestire rivendicazioni o richieste successive a un accordo, fornendo supporto per minimizzare i rischi legali.


Altre categorie

Diritto tributario, Malasanità e responsabilità medica, Diritto civile, Recupero crediti, Fallimento e proc. concorsuali.



Credenziali

Pubblicazione legale

Le sanzioni per pagamento "in nero" dei lavoratori

Pubblicato su IUSTLAB

L'art. 1, co. 910 della Legge del 27/12/2017 n. 205 prevede che " A far data dal 1° luglio 2018 i datori di lavoro o committenti corrispondono ai lavoratori la retribuzione, nonche' ogni anticipo di essa, attraverso una banca o un ufficio postale con uno dei seguenti mezzi: a) bonifico sul conto identificato dal codice IBAN indicato dal lavoratore; b) strumenti di pagamento elettronico; c) pagamento in contanti presso lo sportello bancario o postale dove il datore di lavoro abbia aperto un conto corrente di tesoreria con mandato di pagamento; d) emissione di un assegno consegnato direttamente al lavoratore o, in caso di suo comprovato impedimento, a un suo delegato. L'impedimento s'intende comprovato quando il delegato a ricevere il pagamento e' il coniuge, il convivente o un familiare, in linea retta o collaterale, del lavoratore, purche' di eta' non inferiore a sedici anni." Il successivo comma 911 prevede che i datori di lavoro o committenti non possono corrispondere la retribuzione per mezzo di denaro contante direttamente al lavoratore, qualunque sia la tipologia del rapporto di lavoro instaurato. Al datore di lavoro o committente che viola l'obbligo di cui al comma 910 si applica la sanzione amministrativa pecuniaria consistente nel pagamento di una somma da 1.000 euro a 5.000 euro. Nella nota n. 9294 del 09.11.2018 l’Ispettorato Nazionale del Lavoro afferma che se viene accertata l’erogazione giornaliera delle retribuzioni in contanti, si possono configurare tanti illeciti per quante giornate di lavoro “in nero” sono state effettuate. Questo significa che la sanzione riguarda ogni singola dazione e non la mensilità. Se, per esempio, il datore di lavoro paga (in nero) al termine di ciascuna settimana nell'arco di un mese, potrebbe essergli comminata una sanzione (nella misura compresa tra 1000 e 5000 Euro) per ciascun pagamento, quindi in ipotesi si avrebbe un cumulo sanzionatorio di 20.000 Euro. Se al contrario corrisponde la paga (pur sempre in nero) a fine mese, in unica soluzione, la sanzione sarebbe una sola, quindi un massimo ipotizzabile di 5000 Euro. La situazione è aggravata dal fatto che per questa tipologia di violazioni non è applicabile l'istituto della continuità, a differenza di quanto avviene per le sanzioni in materia contributiva. Come si vede, il rischio è che le sanzioni comminate possano eccedere la concreta offensività del comportamento illecito ben oltre il principio di ragionevolezza, essendo sganciate da un criterio qualitativo, che semmai si riflette nella mera commisurazione della sanzione tra il minimo e il massimale previsto dalla legge.

Pubblicazione legale

Il mobbing

Pubblicato su IUSTLAB

Il mobbing, fenomeno complesso e sfaccettato, rappresenta una forma di violenza psicologica esercitata in ambito lavorativo, caratterizzata da comportamenti ostili, reiterati e sistematici, volti a emarginare, umiliare o destabilizzare un lavoratore, con gravi ripercussioni sulla sua salute psicofisica e sulla sua dignità professionale. Il termine, mutuato dall’etologia, richiama l’attacco coordinato di un gruppo di animali contro un singolo individuo, ma nel contesto umano si traduce in una serie di azioni deliberate, come critiche ingiustificate, esclusione da attività lavorative, diffusione di pettegolezzi, assegnazione di compiti dequalificanti o sovraccarichi di lavoro, che mirano a isolare la vittima e a comprometterne l’equilibrio emotivo. In Italia, il mobbing non trova una definizione normativa specifica, ma è riconosciuto dalla giurisprudenza e dalla dottrina come una violazione degli obblighi di tutela del lavoratore previsti dall’art. 2087 del Codice Civile, che impone al datore di lavoro di garantire la salute e la sicurezza dei dipendenti, includendo la protezione dall’ambiente psicologico ostile. La Corte di Cassazione, in numerose pronunce, come la sentenza n. 3785/2009, ha chiarito che il mobbing si configura quando le condotte vessatorie sono sistematiche, prolungate nel tempo e finalizzate a danneggiare il lavoratore, distinguendolo da semplici conflittualità interpersonali o da episodi isolati di maleducazione. Il fenomeno può manifestarsi in diverse forme: il mobbing verticale, esercitato da un superiore gerarchico, può includere rimproveri immotivati o demansionamenti; il mobbing orizzontale, invece, coinvolge colleghi che, per invidia o competizione, adottano comportamenti ostracizzanti; infine, il mobbing strategico, meno frequente, è orchestrato dal datore di lavoro per indurre il lavoratore alle dimissioni senza ricorrere al licenziamento. Le conseguenze per la vittima sono devastanti: ansia, depressione, disturbi del sonno, calo dell’autostima e, nei casi più gravi, patologie fisiche legate allo stress cronico, come ipertensione o disturbi gastrointestinali, come riconosciuto dalla medicina del lavoro e da studi psicologici. Sul piano giuridico, il lavoratore che subisce mobbing può richiedere il risarcimento del danno non patrimoniale, sia biologico che morale, purché dimostri la natura sistematica delle condotte, il nesso causale con il danno subito e l’intenzionalità o la colpa del datore di lavoro. La prova del mobbing è spesso complessa, richiedendo documentazione, testimonianze o referti medici, ma la giurisprudenza, come nella sentenza Cass. n. 18927/2015, ha stabilito che anche condotte apparentemente neutre, se reiterate e contestualizzate, possono integrare il mobbing. Un esempio emblematico è quello di un dipendente escluso sistematicamente da riunioni rilevanti o privato di strumenti di lavoro essenziali, situazioni che, se protratte, possono configurare un abuso. Dal 2003, l’INAIL riconosce il mobbing come causa di malattia professionale, consentendo l’accesso a indennizzi per i danni psicofisici, purché si dimostri un nesso con l’attività lavorativa. Tuttavia, la prevenzione rimane la sfida principale: l’art. 28 del Decreto Legislativo 81/2008 impone al datore di lavoro di valutare i rischi psicosociali, includendo lo stress lavoro-correlato, e di adottare misure per contrastarlo, come programmi di formazione o codici di condotta aziendali. Nonostante ciò, la cultura organizzativa di molte imprese italiane fatica ancora a riconoscere il mobbing come un problema strutturale, spesso liquidandolo come conflitto personale. Sul piano sociale, il mobbing riflette dinamiche di potere e competizione esasperata, aggravate in contesti di precarietà lavorativa o crisi economica, dove la paura di perdere il posto di lavoro può spingere le vittime a tollerare abusi. La sensibilizzazione, promossa da campagne istituzionali e associazioni sindacali, è fondamentale per educare lavoratori e datori di lavoro sui diritti e sui doveri in materia, favorendo un ambiente lavorativo rispettoso e inclusivo. In conclusione, il mobbing non è solo una questione individuale, ma un fenomeno che interroga l’organizzazione del lavoro e la responsabilità sociale delle imprese, richiedendo un impegno congiunto di legislatori, giudici e aziende per tutelare la dignità dei lavoratori e promuovere un clima lavorativo sano, capace di coniugare produttività e benessere.

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Lo studio

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