Giovanni Longo è un avvocato, arbitro e mediatore professionista D.M. 28/10. Accoglie i propri assistiti presso il suo Studio di Pisa, dove si avvale della collaborazione multidisciplinare di altri professionisti in diritto per svolgere consulenze ed assistenza legale. Lo Studio Legale dell’avv. Giovanni Longo si distingue per il suo dinamismo, la sua forza e la sua vitalità che permettono di instaurare una relazione con i clienti solida e sempre improntata alla fiducia ed al rispetto reciproco (come da omonimo sito internet studiolegalegiovannilongo).
L'avv. Giovanni Longo ha assunto decine di incarichi come a.d.s. e tutore, ampio conoscitore della materia. Disponibile ad assistere sia il beneficario sia i famigliari nella redazione del ricorso, che eventualmenrte a sostenere l'a.d.s. negli adempimenti successivi.
L'avv. Giovanni Longo, essendo legato al mondo consumeristico si è interessato assiduamente a problematiche legate al diritto bancario e dell'intermedizione finziaria, avendo seguito numerosi filoni e curato decine di cause legate ai crack Parmalati, Cirio Finpart, Argentina Vicenza, MPS, derivati, diamanti, Fondo Obelisco, Polizze Index, Buoni Fruttiferi Postali, eccetera.
L'avv. Giovanni Longo si occupa di contenzioso fiscale e tributario (cartelle, ordinanze, ecc), sia avanti le commissioni tributarie provinciali che regionali. Se del caso, verrà affiancato da commercialisti competenti e preaprati. Assiste i propri clienti nella gestione dei rapporti con l’amministrazione finanziaria, sia relativamente alle imposte dirette che all’IVA, all’imposta di registro ed alle imposte ipocatastali. Attraverso un’assistenza fiscale personalizzata, lo studio legale affianca la propria clientela con particolare attenzione all’aspetto societario e fiscale.
Incidenti stradali, Tutela del consumatore, Diritto del turismo, Tutela degli anziani, Arbitrato, Diritto civile, Diritto di famiglia, Eredità e successioni, Unioni civili, Separazione, Divorzio, Brevetti, Marchi, Usura, Diritto assicurativo, Recupero crediti, Pignoramento, Contratti, Diritto condominiale, Malasanità e responsabilità medica, Diritto dello sport, Mediazione, Diritto bancario e finanziario, Multe e contravvenzioni, Cassazione, Matrimonio, Locazioni, Sfratto, Negoziazione assistita, Gratuito patrocinio, Domiciliazioni, Diritto del lavoro, Mobbing, Sicurezza ed infortuni sul lavoro, Licenziamento, Previdenza, Diritto sindacale, Diritto immobiliare, Diritto ambientale, Risarcimento danni.
Promemoria per l’Amministratore di Sostegno DOVERI Nello svolgimento dei suoi compiti l’amministratore di sostegno deve tener conto dei bisogni, delle aspirazioni e delle volontà espressi dal beneficiario. L’amministratore di sostegno (AdS) deve: ‐ informare (preventivamente) il beneficiario circa gli atti da compiere nonché il G.T. in caso di dissenso con il beneficiario stesso; ‐farsi portavoce dinnanzi al Giudice Tutelare (G.T.) di ogni istanza nell’interesse del beneficiario; ‐ segnalare al G.T. ogni cambiamento nella situazione di vita e di autonomia del beneficiario, anche al fine di rimodularne la protezione; ‐ amministrare diligentemente (la diligenza del buon padre di famiglia) il patrimonio e rendere al G.T. il conto periodico (annuale) della sua gestione. La durata dell’incarico è di norma decennale, non ha scadenza per il coniuge, gli ascendenti e i discendenti. L’incarico di amministraotre di sostegno è gratuito. POTERI L’amministratore di sostegno AdS è chiamato a svolgere i compiti che gli sono attribuiti dal G.T., sulla base delle esigenze di vita della persona interessata. Questi compiti sono elencati in modo dettagliato nel DECRETO DI NOMINA, che stabilisce altresì come debbano essere svolti: I’amministratore di sostegno AdS può compiere gli atti in assistenza al beneficiario (amministrazione cosiddetta assistenziale, art. 405 n. 4 cc), oppure può compiere gli atti in sostituzione del beneficiario (amministrazione cosiddetta rappresentativa, art. 405 n. 3 cc). Gli atti per i quali non è conferito all’amministraotre di sostegno AdS il potere di compierli possono essere compiuti solo dal beneficiario. Lo stesso vale per i cosiddetti atti minimi (gli atti necessari a soddisfare le esigenze della quotidianità) e per i cosiddetti atti personalissimi (es. testamento, donazione, matrimonio). RESPONSABILITA’ Gli atti compiuti dall’AdS in violazione di disposizioni di legge o in eccesso di potere e quelli compiuti dal beneficiario in violazione delle disposizioni contenute nel decreto possono essere annullati (art. 412 cc). In caso di negligenza nel perseguire l’interesse o di soddisfare i bisogni o le richieste del beneficiario, ovvero di atti dannosi per lo stesso, il GT adotta “opportuni provvedimenti” (art.410 cc). E’ vietato all’AdS ereditare dal beneficiario, salvo vincoli di parentela o coniugio/convivenza (comminatoria della nullità). L’AdS può essere chiamato a rispondere dei danni arrecati a terzi per gli atti compiuti e per le obbligazioni assunte in nome e per conto del beneficiario senza le prescritte autorizzazioni del GT. E’ esclusa la responsabilità dell’AdS per atti penalmente rilevanti compiuti dal beneficiario. RAPPORTI CON IL GIUDICE TUTELARE (G.T.) ► RELAZIONE/RENDICONTO Frequenza: stabilita nel decreto di nomina (di solito annuale) Decorrenza: data del giuramento Contenuto: nella prima parte del rendiconto deve riferirsi al G.T. circa l’attività sanitaria / assistenziale svolta per il beneficiario e circa le sue condizioni di salute, di vita personale e sociale (servizi frequentati, tempo libero, eventuali attività lavorative ecc.). Nella seconda parte l’AdS deve presentare la situazione economico‐patrimoniale del beneficiario: patrimonio (immobili, mobili, c/c, libretti postali/bancari, titoli di stato, crediti, danaro contante, ecc.), bilancio dell’anno (entrate / uscite, residuo attivo o passivo). ► ISTANZE PER OTTENERE L’AUTORIZZAZIONE A COMPIERE ALCUNI ATTI DI STRAORDINARIA AMMINISTRAZIONE A titolo esemplificativo, è necessaria l’autorizzazione del G.T. per: ‐ l’utilizzo di una somma che superi il limiti di spesa indicati nel decreto di nomina ‐ l’acquisto /la vendita di beni di una certa entità (soprattutto beni immobili) ‐ la riscossione capitali, il consenso alla cancellazione di ipoteche e allo svincolo di pegni, l’assunzione di obbligazioni (escluso per somme esigue destinate al mantenimento e all’ordinaria amministrazione del patrimonio) ‐ la costituzione di pegni o ipoteche ‐ l’accettazione o la rinuncia di eredità, l’accettazione di donazioni o di legati soggetti a pesi o a condizioni ‐ la divisioni dei beni ‐ la stipula di contratti di locazione d’immobili per una durata di oltre 9 anni ‐ promuovere giudizi ‐ fare compromessi e transazioni o accettare concordati ‐ compiere alcune scelte di rilievo e determinanti per il progetto di vita del beneficiario (es.: inserimento presso una struttura)
Amministrazione di sostegno: gratuito patrocinio. Il patrocinio a spese dello stato è ammesso anche nei procedimenti per la nomina dell’amministratore di sostegno. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 15175/2019, pubblicata il 4 giugno scorso. IL CASO : Nell’ambito di un procedimento avente ad oggetto la nomina di un amministratore di sostegno l’istante, ammesso al patrocinio dello stato, depositava istanza per liquidazione del compenso del proprio difensore. Il Giudice tutelare, poiché il procedimento per la nomina dell’amministratore di sostegno ha natura di volontaria giurisdizione per il quale non è necessaria la difesa tecnica di un avvocato, ha rigettato l’istanza, ritenendo inammissibile per tali procedimenti la liquidazione del patrocinio a spese dello stato. In sede di reclamo promosso dall’istante, il Tribunale confermava la decisione del giudice tutelare, osservando che il provvedimento emesso da quest’ultimo si era risolto nella nomina dell’amministratore di sostengo per il compimento di alcuni atti, senza incidere nell’esercizio dei diritti fondamentali del beneficiario e poiché il procedimento può essere introdotto dalla parte personalmente, non si applica nel suddetto procedimento l’istituto del patrocinino a spese dello stato previsto solo nei casi in cui la legge richiede l’assistenza obbligatoria del legale. LA DECISIONE : La Corte di Cassazione, chiamata a decidere sul ricorso promosso dall’originario istante, con la sentenza in commento, ha ribaltato le decisioni dei giudici di merito accogliendo il ricorso sulla scorta delle seguenti osservazioni: il patrocinio a spese dello Stato è applicabile in ogni procedimento civile, compreso quello di volontaria giurisdizione e anche nel caso in cui l’assistenza tecnica del difensore non è obbligatoria; le disposizioni generali sul gratuito patrocinio (artt. 74 e 75 del DPR n. 115/2002), sono dirette ad assicurare la difesa alle persone non abbienti oltre che nel processo civile anche negli affari di volontaria giurisdizione, sia nel caso in cui la presenza del difensore è obbligatoria sia nel caso in cui essa è facoltativa e quindi è lasciata alla libera scelta dell’interessato; l’applicazione della disciplina del gratuito patrocinio anche nei procedimenti di volontaria giurisdizione oltre a discendere dalla lettera della legge è in perfetta coerenza con lo scopo del suddetto istituto che, in adempimento di quanto previsto dal terzo comma dell’art. 24 della Costituzione, è finalizzato “ad assicurare alle persone non abbienti l’accesso alla tutela offerta dalla giurisdizione in modo pieno e consapevole ed in posizione di parità con quanti dispongo dei mezzi necessari”; nel caso in cui la parte può stare in giudizio personalmente, la suddetta posizione di parità si sostanzia “ anche nell’esercizio della facoltà di avvalersi della consulenza ed assistenza tecnica di un avvocato al fine di tutelare nel modo ritenuto più adeguato i propri interessi e diritti ”. Articolo originale: Amministrazione di sostegno: sì al patrocinio a spese dello https://news.avvocatoandreani.it/articoli/amministrazione-sostegno-patrocinio-spese-dello-stato-105220.html Cassazione-civile-sentenza-15175-2019
Amministratore di sostegno: equo indennizzo o compenso? Amministratore di sostengo deve percepire un equo indennizzo o un compenso e come tale assoggettabile alle fiscalità di legge? Questo è il dilemma che affligge molti professionisti che fra le loro attività svolgono anche quella di amministratore di sostegno. Per tale motivo spero di dare il mio contributo, esaminando un provvedimento che condivido in toto. Il G.T. parte dal corretto assunto che l’Ufficio di amministratore di sostengo deve considerarsi gratuito; purtuttavia il G.T. può prevedere una equa indennità in favore dell’a.d.s. per l’attività svolta, non avente natura retributiva. Infatti se avesse natura retributiva, allora andrebbe parametrato ai criteri di cui al D.M. 55/14, non potendo scendere sotto ai valori medi. Il G.T. “letta l’istanza presentata in data 4.07.2019 dall’Avv. Giovanni Longo, tesa ad ottenere la liquidazione di un’indennità per l’attività svolta quale amministratore di sostegno di XXX, e l’autorizzazione al rimborso delle anticipazioni sostenute; – considerato che, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 411 e 379 c.c., l’ufficio di amministratore di sostegno deve considerarsi gratuito, salva la possibilità per il giudice tutelare di assegnare all’amministratore un’equa indennità commisurata alla “entità del patrimonio” e alle “difficoltà dell’amministrazione”; – rilevato che, come specificato dalla Corte Costituzionale (con ord. 24.11.1988, n. 1073, in materia di gratuità dell’ufficio di tutore), l’equa indennità non ha natura retributiva, ma serve a compensare gli oneri e le spese non facilmente documentabili di cui è gravato il tutore (o l’amministratore di sostegno) per l’attività di amministrazione del patrimonio dell’incapace, alla quale è obbligato per l’ufficio tutelare (o di a.d.s.) personalmente, senza possibilità di nominare sostituti; – rilevato che, pertanto, nella individuazione del quantum da riconoscere all’amministratore di sostegno a titolo di equa indennità – soprattutto nei casi in cui l’incarico venga svolto da professionisti legali, commercialisti, tecnici, etc. – non possa aversi riguardo all’effettivo valore economico delle prestazioni (professionali) effettuate, poiché altrimenti si finirebbe per annettere natura retributiva alla ridetta indennità, così violando le norme che impongono la gratuità dell’ufficio; – considerato, peraltro, che la gratuità dell’attività di amministratore di sostegno non osta al rimborso delle spese effettuate (e anticipate) dall’amministratore nell’interesse del beneficiario, salvo che per le spese evidentemente superflue, inutili o sproporzionate, che restano a carico dell’amministratore perché non necessitate dall’esigenza di una corretta amministrazione; – considerato che, nel caso di specie possa essere riconosciuta all’istante un’equa indennità pari ad € ZZZ, in relazione: all’entità del patrimonio della beneficiaria (€ YYY oltre agli immobili descritti) e alle difficoltà dell’amministrazione – rilevato che debba altresì riconoscersi in favore dell’istante un rimborso spese di € 27,00 (spese da considerarsi congrue, utili e non superflue); P.Q.M. Visti gli artt. 411 e 379 c.c. LIQUIDA in favore dell’Avv. Giovanni Longo, in qualità di amministratore di sostegno di XXX, la somma di € ZZZ, a titolo di equa indennità per l’attività svolta; AUTORIZZA il rimborso delle anticipazioni sostenute, ammontanti a complessivi €27,00 ; AUTORIZZA l’amministratore di sostegno a prelevare le somme come sopra liquidate (€ ZZZ + € 27,00), dal conto corrente/libretto di deposito intestato alla beneficiaria; MANDA alla Cancelleria per quanto di competenza. Pisa, 15 luglio 2019 Il Giudice Onorario in funzione di Giudice Tutelare Quindi, poiché spesso l’incarico di amministratore di sostegno viene affidato a professionisti (specialmente avvocati), si pone sempre il problema del trattamento fiscale dell’indennizzo. La questione riguarda, in particolare, l’assoggettamento o meno ad Iva di tali somme. Secondo l’Agenzia delle Entrate, sulla base di quanto disposto dalla Risoluzione n. 2/E del 9 gennaio 2012 , emessa dalla Direzione Centrale normativa dell’Agenzia delle Entrate, la somma ricevuta a titolo di equa indennità costituirebbe compenso per mansioni proprie di un professionista e, come tale, soggetta alla relativa tassazione (IRPEF, IVA e C.P.A). Diversa, invece, è la posizione della giurisprudenza. Una recente pronuncia della Commissione Tributaria Regionale del Friuli Venezia Giulia, sentenza n. 218 del 4 luglio 2016 , confermando la pronuncia della Commissione Provinciale di Trieste , ha infatti stabilito chiaramente che “ l’indennità liquidata dal giudice tutelare non è inquadrabile in una forma di retribuzione ma in un semplice compenso finalizzato esclusivamente a compensare gli oneri e le spese difficilmente documentabili che sono sostenute dall’amministratore di sostegno. Questo significa che tale somma non deve essere assoggettata ad iva nel caso di cui l’incarico sia svolto da un professionista. Se si accettasse la tesi dell’Agenzia delle Entrate, si porrebbe invece una questione di disparità di trattamento tra «soggetto non titolare di reddito di lavoro autonomo (assegnatario eventuale di “indennità compensativa”, intassabile) e soggetto titolare di reddito di lavoro autonomo (assegnatario di “indennità comunque retributiva”, tassabile agli effetti delle imposte dirette e indirette)».
Recesso: casi un cui è possibile esercitarlo. Potrà essere esercitato soltanto per i CONTRATTI A DISTANZA E/O NEGOZIATI FUORI DAI LOCALI COMMERCIALI (Codice del Consumo Tit. III Capo. I, sez. II) Nel contratto a distanza i due soggetti non sono fisicamente presenti, ma il contratto può avvenire tramite internet, telefono, eccetera. Per tale motivo è prevista una tutela maggiore per il consumatore (diritto di recesso o c.d. “ripensamento”). La norma esclude da tale tipologia alcuni contratti, fra i quali: servizi finanziari, soggetti ad una regolamentazione specifica contratti conclusi tramite distributori automatici (immediata visibilità del bene) contratti con operatori telecomunicazioni, impiegando telefoni pubblici contratti relativi a costruzione o vendita o altri diritti reali beni immobili con esclusione delle locazioni contratti conclusi in occasione di vendite all’asta. Il diritto di recesso è applicabile soltanto per i contratti conclusi a distanza e solo dopo che è stata fornita dal venditore la documentazione, non si applica quindi se il cittadino acquista un bene, per esempio, in un negozio. Se il venditore non esegue la prestazione entro 30 gg dovrà informare il consumatore che potrà o recedere e riavere i soldi indietro o pattuire una diversa fornitura. Le norme sul diritto di recesso non si applicano per: contratti di generi alimentari, bevande contratti relativi ad alloggio, trasporti, ristorazione, tempo libero per un periodo stabilito se il prezzo è soggetto a fluttuazione che il venditore non può controllare quando la fornitura è iniziata col consenso del consumatore beni su misura o personalizzati o che si possono deteriorare fornitura di giornali, periodici, riviste fornitura prodotti audiovisivi software sigillati ed aperti dal consumatore. NON E’ CONSENTITO IL DIRITTO DI RECESSO nei contratti last minute, e autonoleggio Easy Car Limited noleggio auto con servizio di prenotazione via internet. Il diritto di recesso o “ripensamento”, può essere esercitato senza specificare il motivo, e senza pagare nulla, purchè venga fatto per scritto ed esercitato entro 14 gg per i beni: dalla data del ricevimento per servizi: dalla data di conclusione del contratto Se venditore non ha ottemperato ai propri doveri informativi, i 14 gg. decorreranno da tale data. Gli effetti: Se il bene è già stato consegnato, il consumatore DEVE restituire il bene entro 10 gg. con spese a carico del consumatore; il venditore dovrà restituire le somme entro 14 gg. Sono nulle le clausole che limitano la restituzione dei denari in caso di recesso Se l’acquisto è sorretto da un finanziamento, esercitato il recesso decade anche questo (mutuo di scopo, contratto collegato)
Pignoramento presso terzi ex art. 72 bis D.P.R. 602/73. Procedura esecutiva presso terzi da parte dell’Agenzia delle Entrate Riscossione: dubbi sulla legittimità del pignoramento di un credito vantato dal cittadino non già nei confronti di un terzo, bensì nei confronti della stessa creditrice procedente. Il cittadino ha ricevuto un “anomalo” atto di pignoramento dei crediti presso terzi (ex art. 72 bis D.P.R. 602/73) da parte dell’Agenzia delle Entrate Riscossione per un asserito debito da lui contratto e presente in una cartella. Con tale atto l’Agenzia delle Entrate Riscossione ordina al terzo pignorato (che è sé stessa), di pagare le somme di denaro relative a delle spese di giudizio derivanti da una sentenza di cui era creditore proprio l’asserito debitore. Il cittadino ha evidenziato l’identità fra creditore e terzo pignorato: per tale motivo ha invocato la nullità dello strumento giuridico adottato. L’atto di pignoramento qualificato “presso terzi”, non può tecnicamente e giuridicamente qualificarsi quale pignoramento “presso terzi” in quanto l’asserito creditore ed il terzo pignorato sono lo stesso soggetto, titolare di identica partita iva. Quindi manca un soggetto che possa qualificarsi come “terzo”. In pratica l’Agenzia delle Entrate utilizzando “arbitrariamente” lo strumento “casalingo e stragiudiziale” lei riconosciuto dall’art. 72 bis del D.P.R. 602/1973 si è inventata « un assurdo e illogico pignoramento presso sé stessa delle somme », intendendo auto-pignorarsi delle somme e di cui è creditore il cittadino, senza che nessun organo esterno e terzo possa controllare l’operato del creditore e del terzo che nel caso di specie…coincidono. Ciò manifesta un patente conflitto di interessi. Nel caso in cui l’Agenzia delle Entrate avesse voluto “compensare” le poste di debito/credito fra le parti, avrebbe dovuto al limite introdurre un ordinario giudizio di cognizione, al fine di far accertare le poste del dare/avere. La condotta tenuta potrebbe integrare il reato di abuso di potere, violazione di norme imperative. che dispongono la sospensione immediata della riscossione. Inoltre l’atto di pignoramento notificato ai sensi dell’art. 72 bis D.P.R. n. 602/73 avrebbe dovuto, a pena di nullità, contenere l’espressa indicazione che “ contro il presente atto sono ammesse le opposizioni di cui agli artt. 615, 617 e 619 c.p.c., fatte salve le limitazioni e le modalità previste dagli artt. 57 e 58 del D.P.R. 29.9.73, n. 602 e dall’art. 29 del D. Lgs. 26.2.99, n. 46 ”. Ebbene, nel caso di specie, tale fondamentale informazione non è stata riportata. Il cittadino ha allora proposto una opposizione agli atti ed all’esecuzione, ed il Giudice delle Esecuzioni ha sospeso preliminarmente evidenziando come la procura rilasciata al difensore, mancando degli elementi essenziali e stabiliti dalla legge, deve considerarsi invalida, oltre che dubitare fortemente circa la legittimità dell’intrapresa procedura esecutiva presso terzi, in cui è stato pignorato un credito vantato dal cittadino non già nei confronti di un terzo, bensì nei confronti della stessa creditrice procedente. ordinanza
Perdita del possesso del veicolo: la mancata annotazione da parte del concessionario del veicolo ricevuto, comporta responsabilità valutabile in sede civile. E’ quanto accaduto ad un malcapitato automobilista, il quale si è recato presso una concessionaria per acquistare una nuova vettura, restituendo indietro il precedente veicolo. Il cittadino credeva che fosse “tutto a posto”, ed invece a distanza di anni si è visto recapitare richieste di pagamento dei bolli auto della sua precedente autovettura. Ma il cittadino non si è dato per vinto e così si è rivolto al Giudice di Pace, per far accertare e dichiarare che la vettura in realtà non era più in suo possesso oramai da anni, in quanto consegnata alla concessionaria. Il Giudice ha evidenziato la piena responsabilità della concessionaria per non aver provveduto, come era suo preciso obbligo, a rottamare o ad eseguire il passaggio di proprietà della vettura ceduta. Infatti, dalla data in cui l’automobilista ha consegnato la vecchia vettura per acquistare quella nuova, questa non è più tornata in possesso del cittadino, e la concessionaria ha omesso negligentemente di ottemperare ad un preciso obbligo spettante all’acquirente e quindi a chi ha il possesso e la proprietà di un bene mobile registrato, che è quello appunto di intestarlo a proprio nome o rottamarlo, se inservibile. Il risultato per il cittadino è stato quello di vedersi riconsociuto il suo diritto a non essere considerato più proprietario del veicolo a far data della consegna del mezzo al concessionario, con esonero di dover pagare i bolli e le altre imposte, riferite ad un veicolo oramai da tempo più nella sua materiale disponibilità. A causa dell’inerzia e della scarsa professionalità della società convenuta si è reso necessario l’intervento del Giudice, il quale ha quindi infine correttamente ritenuto di addossare le spese legali a carico della concessionaria. sent 596-2019
Fondo Obelisco e Fondo Europa Immobiliare: A.C.F. Arbitrato per le Controversie Finanziarie risarcisce il consumatore. Il consumatore ha interessato l’ACF Arbitrato per le Controversi Finanziarie, rappresentando di essere stato indotto dal proprio Ufficio Postale a sottoscrivere delle quote del Fondo Europa Immobiliare 1, e del Fondo Obelisco. Il consumatore rappresentava di essere inesperto in materia finanziaria, e di essere stato indotto ad investire tutti i suoi risparmi nei fondi suindicati qualificandoli come “sicuri, a breve termine e adatti anche a delle persone anziane”; Secondo il consumatore, l’Intermediario non avrebbe adempiuto ai prescritti obblighi informativi sia nella fase di profilatura che in quella di comunicazione delle informazioni relative agli strumenti finanziari di che trattasi, né avrebbe correttamente valutato l’appropriatezza/adeguatezza delle operazioni concluse che, in violazione dell’art. 29, comma 1, del Regolamento Consob n. 11522/1998, allora vigente, risultavano essere inadeguate al profilo degli investitori, sia per età che per conoscenza ed esperienza; che la “dichiarazione resa dal cliente su un modulo predisposto dalla bancae da lui sottoscritto, in ordine alla propria consapevolezza […] di certo non può costituire dichiarazione confessoria in quanto è rivolta alla formulazione di un giudizio e non all’affermazione di scienza e verità di un fatto obiettivo” con l’effetto che l’Intermediario “ha approfittato della buona fede [dei coniugi, fuorviati] da una prospettiva di guadagno spacciata per sicura, ha investito la totalità del proprio patrimonio in investimenti finanziari in modo del tutto inconsapevole e disinformato”. L’Intermediario ha svolto le proprie difese rilevando: di aver svolto nel caso di specie unicamente il ruolo di collocatore delle quote del fondo, rimanendo, dunque, estraneo all’attività di acquisto e gestione degli immobili di riferimento, oltre che di valorizzazione e liquidazione del patrimonio, di competenza della SGR; che la tipologia d’investimento espone ai rischi di possibili variazioni del valore della quota in relazione all’andamento dei mercati immobiliari e degli altri strumenti che compongono il Fondo, nonché all’evoluzione economico-finanziaria, politica-valutaria dei Paesi nei quali gli investimenti sono effettuati e che il diritto al rimborso delle quote viene riconosciuto ai partecipanti solo a scadenza della durata dei rispettivi Fondi o al momento della loro liquidazione; pertanto, per il Fondo Obelisco non sarebbe possibile ad oggi pronunciare determinazioni al riguardo, trattandosi di prodotto ancora quotato e per il quale, pertanto, sino a che lo stesso non sarà venuto a scadenza, non risulta possibile determinare se l’investitore abbia riportato o meno un danno economicamente valutabile. Secondo L’Arbitrato ACF l’Intermediario non ha dimostrato di aver assolto agli obblighi in punto di valutazione di “adeguatezza delle operazioni”, così come d’altronde emerge dai moduli d’ordine allegati al ricorso. In argomento va rilevato che l’art. 29, comma 3, del Regolamento. Intermediari vigente all’epoca dei fatti prevedeva che “Gli intermediari autorizzati, quando ricevono da un investitore disposizioni relative ad una operazione non adeguata, lo informano di tale circostanza e delle ragioni per cui non è opportuno procedere alla sua esecuzione. Qualora l’investitore intenda comunque dare corso all’operazione, gli intermediari autorizzati possono eseguire l’operazione stessa solo sulla base di un ordine impartito per iscritto ovvero, nel caso di ordini telefonici, registrato su nastro magnetico o su altro supporto equivalente, in cui sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute”. Per l’A.C.F. il Ricorrente ha, pertanto, conclusivamente diritto di essere risarcito dei danni occorsi. Venendo alla relativa quantificazione e conformemente alle modalità di quantificazione del danno seguite dal Collegio in casi analoghi (Decisioni nn. 155 del 20 dicembre 2017, 215 del 24 gennaio 2018 e 654 del 18 luglio 2018), il risarcimento da riconoscere al Ricorrente è pari alla differenza tra la somma investita (euro 70.000) e il valore dell’investimento al tempo in cui egli si è reso conto o avrebbe potuto rendersi conto, con l’ordinaria diligenza, dell’effettiva rischiosità del prodotto finanziario acquisito, da individuarsi nella data in cui egli ha presentato reclamo all’intermediario, ovvero il 16 marzo 2018. A tale data, da una verifica effettuata sul sistema Bloomberg risulta che il valore di ciascuna quota del Fondo Obelisco era pari a 128 euro (per un importo complessivo, riferito alle n. 20 quote sottoscritte, pari a 2.560 euro), a fronte di un valore unitario d’acquisto di euro 2.500 (per un investimento complessivo iniziale di euro 50.000 euro); la differenza, dunque, risulta pari a euro 47.440. Con riferimento al Fondo Immobiliare Europa I, l’ultimo prezzo disponibile risale al 27 dicembre 2017, data in cui il valore di ciascuna quota era pari a euro 431,8 (per un importo complessivo, riferito alle n. 8 quote sottoscritte, pari a euro 3.454,4), a fronte di un valore unitario d’acquisto di euro 2.500 (per un investimento complessivo iniziale di euro 20.000); la differenza, dunque, risulta pari a euro 16.545,6. Ne discende che la somma complessiva perduta dal Ricorrente è pari a euro 63.985,60, oltre ad interessi e rivalutazione. In base al principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e al susseguente divieto di ultra petitum (art. 112 c.p.c.), va tuttavia tenuto conto che il Ricorrente si è limitato a richiedere il risarcimento per una somma quantificata forfetariamente nella misura di euro 50.000, che circoscrive pertanto l’importo suscettibile di essere liquidato a suo favore. Va anche tenuto conto che il Ricorrente non ha assolto all’onere di provare il lucro cessante, cosicché il risarcimento va circoscritto al danno emergente, nei limiti della domanda (art. 112 c.p.c.). Ciò posto, dalla somma complessiva, pari come detto a euro 63.985,60, vanno detratti, in questa sede, i vantaggi conseguiti per il fatto che i due fondi hanno nel corso degli anni distribuito dividendi ed effettuato rimborsi parziali per un totale di 300 euro per quota per il fondo Obelisco e di 1.622,69 euro per il fondo Europa Immobiliare 1, cosicché parte Ricorrente ha presumibilmente percepito 6.000,00 euro per il fondo Obelisco e 12.981,53 per il fondo Europa Immobiliare 1, per un totale di 18.981,53 euro. In conclusione, deve accogliersi la domanda di parte Ricorrente quantificando la somma oggetto di risarcimento in € 45.004,07, da rivalutarsi nei limiti della domanda di € 50.000,00 trattandosi di debito di natura risarcitoria, su cui sono dovuti gli interessi legali dalla data del reclamo sino al soddisfo. PQM Il Collegio, in accoglimento del ricorso, dichiara l’Intermediario tenuto a corrispondere al Ricorrente, a titolo di risarcimento del danno, la somma rivalutata di euro 50.000,00 su cui sono dovuti gli interessi legali dalla data del reclamo sino al soddisfo, e fissa il termine per l’esecuzione in trenta giorni dalla ricezione della decisione. Entro lo stesso termine l’Intermediario comunica all’ACF gli atti realizzati al fine di conformarsi alla decisione, ai sensi dell’art. 16, comma 1, del regolamento adottato dalla Consob con delibera n. 19602 del 4 maggio 2016. ACF FONDO OBELISCO dec. 1844 11.9.19
Insulti razzisti all’arbitro di colore. Gli insulti all’avversario di colore ormai sono diventati una triste abitudine degli stadi italiani, dalla Serie A alla terza categoria. Ma il razzismo purtroppo non conosce confini, nemmeno in ambito dilettantistico: come riporta il referto arbitrale, gli insulti di un isolato spettatore hanno avuto come obiettivo un giovane arbitro di colore, direttore di gara nella categoria “allievi” . A puntare i riflettori sull’episodio è stato il Giudice Sportivo della Delegazione di Pisa avv. Giovanni Longo della Lega Nazionale Dilettanti . “Risulta dal rapporto arbitrale che durante la partita della categoria allievi tra Cascina e Il Romito un tifoso abbia apostrofato il D.G. con una frase dal contenuto razzista”. Offesa peraltro sentita anche da un altro arbitro che avrebbe diretto la partita successiva. Per il principio della responsabilità oggettiva della società cui l’asserito sostenitore che ha proferito l’insulto razzista appartiene, il Giudice Sportivo, applicando i dettami del Codice di Giustizia Sportiva, ha inflitto la sanzione di € 500,00.
Caduta in R.S.A., casa di riposo o casa di cura: risarcimento danni. Caduta in una R.S.A.: non è raro il caso di un anziano ricoverato in una R.S.A. che cade procurandosi magari gravi danni. Una caduta per una persona anziana può provocare lesioni anche molto gravi, come la frattura degli arti, dell’anca, traumi cranici e danni cerebrali che possono causare disabilità permanenti e addirittura il decesso della persona. Spesso i familiari degli anziani chiedono se è possibile che le strutture sanitare, le case di riposo o di cura e le residenze sanitarie assistenziali (R.S.A.) possano essere ritenute responsabili in caso di caduta accidentale del paziente anziano. Risarcimento danni per caduta del paziente anziano e l’onere della prova Le strutture sanitarie ed assistenziali sono responsabili della caduta accidentale del paziente e sono quindi tenute al risarcimento di tutti i danni patiti dal danneggiato e dai suoi familiari. Per liberarsi da tale responsabilità la struttura deve dimostrare di aver adottato tutte le misure necessarie per evitare la caduta del paziente. Nella sentenza n.12033 del 2017, ad esempio, il Tribunale di Roma ha ritenuto responsabile una casa di cura per la caduta dal letto di un paziente che, a causa delle gravi lesioni riportate, decedeva poco dopo nel reparto di terapia intensiva. Le condizioni della persona ricoverata erano precarie, non era autonomo ed il rischio di caduta era prevedibile, considerati i suoi problemi di equilibrio e deambulazione. La casa di riposo è stata quindi ritenuta responsabile perché non aveva adottato tutte le misure necessarie per evitare la caduta del paziente, nonostante gli evidenti fattori di rischio (tanto da essere ritenuta necessaria l’adozione delle spondine per il letto). Il giudice ha quindi disposto un risarcimento del danno in favore dei familiari della vittima e un risarcimento del danno biologico , trasmissibile iure hereditatis agli eredi, per il danno da I.T.T. patito dalla vittima nel periodo compreso tra il fatto illecito ed il decesso. Infine è stato liquidato anche un risarcimento del danno subito dalla moglie e dai figli della vittima, per le spese sostenute e per il mancato futuro apporto economico conseguente il decesso del coniuge. La responsabilità della struttura nei confronti del paziente è di natura contrattuale, di conseguenza, per ottenere un risarcimento spetta al danneggiato l’onere di dimostrare la sussistenza di un rapporto contrattuale e di un inadempimento, della casa di cura, di riposo, RSA od ospedale, idoneo a provocare il danno subito. Mentre la struttura, per liberarsi da tale responsabilità, deve dimostrare che non c’è stato alcun inadempimento da parte sua (art. 1218 Codice civile) o da parte del personale sanitario (art.1228 c.c.) oppure che lo stesso si sia verificato per cause ad essa non imputabili. Il rapporto invece che intercorre tra i parenti del paziente e la struttura sanitaria è di natura extracontrattuale ed in questo caso per ottenere un risarcimento è necessario dimostrare anche il nesso causale tra la condotta del sanitario e il danno sofferto. Per verificare il nesso di causalità tra l’inadempimento della struttura ed il danno patito dal paziente il giudice deve applicare il criterio del “più probabile che non”. Dall’istruttoria era risultato che le sponde del letto, al momento del sinistro, non erano sollevate; quindi, o l’uomo era caduto a causa dell’assenza di tali strumenti di contenzione oppure si trovava fuori dal letto senza la necessaria assistenza, considerato l’evidente e riconosciuto forte rischio di caduta. Ragion per cui il giudice ha confermato la piena responsabilità della struttura e ha disposto il risarcimento per malasanità per tutti i danni provocati dalla caduta. Trib_Roma__sez_XIII__13_giugno_2017__n_12033_
Buoni postali fruttiferi: la vicenda è tormentata fra pronunce della Cassazione, dei Tribunali e dell’Arbitrato Bancario A.B.F. Stando all’ultimo orientamento della Cassazione che smentisce il suo precedente orientamento del 2007, i Buoni postali fruttiferi sottoscritti prima del 2019.09.12-decisione-ABF possono subire una modifica del rendimento previo decreto ministeriale, anche retroattivo. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3963 dell’11 febbraio 2019, ha stabilito quindi che per i buoni postali fruttiferi sottoscritti anteriormente al 1999 varrebbe la modifica dei tassi stabilita dal decreto ministeriale; con tale dizione sembrerebbe quindi smentire quanto precedentemente affermato nel 2007 e chiudere la strada ai possibili ricorsi da parte dei consumatori. Ma le ultime decisioni dell’Arbitro Bancario Finanziario sembrerebbero orientarsi nel senso opposto. L’Arbitro Bancario Finanziario, con la decisione del 10/9/2019 ha infatti accolto il ricorso presentato da un risparmiatore che lamentava la liquidazione di un rendimento diverso da quello indicato sul retro dei buoni postali, affermando quindi il principio della irretroattività della legge. La questione decisa dall’ABF ha riguardato Buoni Postali successivi al 1/7/1986 ed emessi utilizzando i vecchi stampati (con l’aggiunta del timbro – per capirci le serie P e le serie Q) mentre per i possessori di buoni emessi precedentemente la variazione deve ritenersi legittima, in base all’orientamento espresso dalla Cassazione. Da ultimo il Tribunale di Milano, con al sentenza n. 91 del 2020 ha confermato orientamento dell’arbitro, avendo stabilito il diritto per il possessore ad ottenere il maggior rendimento stampato a tergo dei buoni. Anche questa sentenza riguarda i buoni della serie “P”, ma che riportavano a tergo il timbro con la dicitura “serie Q/P”. In pratica il Tribunale di Milano ha riconosciuto il rendimento degli ultimi 10 anni in base ai tassi originari stampati sul titolo. Ripetesi, tale possibilità viene riconosciuta solo per i Buoni Postali emessi dopo il 1 luglio 1986. 2019.09.12-decisione-ABF Trib. Milano sent. 90-2020
Notifica nulla e non inesistente se effettuata da poste private: note alla sentenza n. 299/2020 Cassazione civile Sezioni Unite. Per la Cassazione civile (sentenza n. 299/2020) l’operatore privato senza licenza non può conferire certezza legale alla data di consegna. La notifica è nulla e non inesistente se effettuata a mezzo del servizio postale privato. La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con la sentenza in esame, ha stabilito che in questo caso la notifica è nulla, ed ha espresso i seguenti principi di diritto: “ In tema di notificazione di atti processuali, posto che nel quadro giuridico novellato dalla direttiva n. 2008/6/CE del Parlamento e del Consiglio del 20 febbraio 2008 è prevista la possibilità per tutti gli operatori postali di notificare atti giudiziari, a meno che lo Stato non evidenzi e dimostri la giustificazione oggettiva ostativa, è nulla e non inesistente la notificazione di atto giudiziario eseguita dall’operatore di posta privata senza relativo titolo abilitativo nel periodo intercorrente fra l’entrata in vigore della suddetta direttiva e il regime introdotto dalla legge n. 124 del 2017″. “La sanatoria della nullità della notificazione di atto giudiziario, eseguita dall’operatore di poste private per raggiungimento dello scopo dovuto alla costituzione della controparte, non rileva ai fini della tempestività del ricorso, a fronte della mancanza di certezza legale della data di consegna del ricorso medesimo all’operatore, dovuta all’assenza di poteri certificativi dell’operatore, perché sprovvisto di titolo abilitativo “. “La sanatoria della nullità della notificazione di atto giudiziario, eseguita dall’operatore di poste private per raggiungimento dello scopo dovuto alla costituzione della controparte, non rileva ai fini della tempestività del ricorso, a fronte della mancanza di certezza legale della data di consegna del ricorso medesimo all’operatore, dovuta all’assenza di poteri certificativi dell’operatore, perché sprovvisto di titolo abilitativo.” Questo è quanto ha stabilito la Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, con la sentenza 10 gennaio 2020, n. 299. “ In tema di notificazione di atti processuali, posto che nel quadro giuridico novellato dalla direttiva n. 2008/6/CE del Parlamento e del Consiglio del 20 febbraio 2008 è prevista la possibilità per tutti gli operatori postali di notificare gli atti giudiziari a meno che lo Stato non evidenzi e dimostri la giustificazione oggettiva ostativa, è nulla e non inesistente la notificazione dell’atto giudiziario eseguita dall’operatore di posta privata senza relativo titolo abilitativo del periodo intercorrente fra l’entrata in vigore della suddetta direttiva e il regime introdotto dalla L. 124 del 2007 ”. L’operatore privato che proceda alla notifica dell’atto giudiziario e che non sia munito della dovuta licenza non può di fatto conferire certezza legale alla data di consegna in cui la stessa avviene: “[…] occorre che vi sia una precisa sequenza procedimentale diretta a documentare le attività compiute in relazione all’accettazione del plico da spedire e quindi a identificare la certa provenienza delle attestazioni su giorno e numero della raccomandata (Cass. Sez. Un. 13452 e 13453/2017) ”. cassazione-civile-sentenza-299-2020
Agenzia Entrate Riscossione e avvocati libero foro: ordinanza n. 2298 del 31 gennaio 2020. La Cassazione conferma l’orientamento che ADER non può avvalersi degli avvocati del libero foro. L’Agenzia Delle Entrate Riscossione aveva trionfalmente comunicato la possibilità di avvalersi di avvocati del libero foro alla luce della sentenza delle Sezioni unite della Cassazione n. 30008 del 19 novembre 2019. Ma subito dopo la Cassazione ha emesso l’ordinanza n. 2298 del 31 gennaio 2020, cercando di fare chiarezza. Ad una attenta lettura, la richiamata sentenza ha affermato i seguenti principi: «impregiudicata la generale facoltà di avvalersi anche di propri dipendenti delegati davanti al tribunale ed al giudice di pace, per la rappresentanza e la difesa in giudizio l’Agenzia delle Entrate – Riscossione si avvale: – dell’Avvocatura dello Stato nei casi previsti come ad essa riservati dalla convenzione con questa intervenuta (fatte salve le ipotesi di conflitto e, ai sensi dell’art. 43, comma 4, r.d. 30 ottobre 1933, n. 1933, di apposita motivata delibera da adottare in casi speciali e da sottoporre all’organo di vigilanza), oppure ove vengano in rilievo questioni di massima o aventi notevoli riflessi economici, ovvero, in alternativa e senza bisogno di formalità, né della delibera prevista dal richiamato art. 43, comma 4, r.d. cit., – di avvocati del libero foro – nel rispetto degli articoli 4 e 17 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 e dei criteri di cui agli atti di carattere generale adottati ai sensi del comma 5 del medesimo art. 1 d.l. 193 del 2016 – in tutti gli altri casi ed in quelli in cui, pure riservati convenzionalmente all’Avvocatura erariale, questa non sia disponibile ad assumere il patrocinio»; « quando la scelta tra il patrocinio dell’Avvocatura erariale e quello di un avvocato del libero foro discende dalla riconduzione della fattispecie alle ipotesi previste dalla Convenzione tra l’Agenzia e l’Avvocatura o di indisponibilità di questa ad assumere il patrocinio, la costituzione dell’Agenzia a mezzo dell’una o dell’altro postula necessariamente ed implicitamente la sussistenza del relativo presupposto di legge, senza bisogno di allegazione e di prova al riguardo, nemmeno nel giudizio di legittimità ». Precisato che il Protocollo d’intesa tra Avvocatura dello Stato e Agenzia delle Entrate-Riscossione, n. 36437 del 5 luglio 2017, prevede, in tema di «Contenzioso afferente l’attività di Riscossione», al punto 3.4.1, che l’Avvocatura assume il patrocinio dell’Ente nelle «liti innanzi alla Corte di Cassazione Civile e Tributaria», e che nella specie non vengono in rilievo «questioni di massima o aventi notevoli riflessi economici», né è stato dedotto e provato che l’Avvocatura erariale non sia stata disponibile ad assumere il patrocinio, è imprescindibile la dichiarazione di inammissibilità del ricorso dell’ADER. La Suprema Corte, è tornata sull’argomento con la sentenza n. 2298 del 31 gennaio 2020 , “riaprendoo” la questione relativa alla costituzione del Riscossore con Avvocato del Libero Foro. Alla luce dell’ultima pronuncia, quindi, e dopo la Cassazione Sezioni Unite n. 30008 del 19 novembre 2019, è ancora illegittima la costituzione dell’Ex-Equitalia se la convenzione tra Avvocatura e Agenzia delle Entrate-Riscossione prevede la difesa con l’Avvocatura e non vi sono un chiaro impedimento dell’Avvocatura. In buona sostanza la Cass. n. 2298/2020 ha precisato: “ Orbene, precisato che il Protocollo d’intesa tra Avvocatura dello Stato e Agenzia delle Entrate-Riscossione, n. 36437 del 5 luglio 2017, prevede, in tema di <<Contenzioso afferente l’attività di Riscossione>>, al punto 3.4.1, che l’Avvocatura assume il patrocinio dell’Ente nelle <<liti innanzi alla Corte di Cassazione Civile e Tributaria>>, e che nella specie non vengono in rilievo <<questioni di massima o aventi notevoli riflessi economici>>, né è stato dedotto e provato che l’Avvocatura erariale non sia stata disponibile ad assumere il patrocinio, è imprescindibile la dichiarazione di inammissibilità del ricorso dell’ADER ”. Cass.-n.-2298-del-31-gennaio-2020
Diritti dei consumatore. Il diritto di garanzia legale regola (negli artt. 128 e ss. del Codice del Consumo) le pretese che l’acquirente può vantare nei confronti del venditore in seguito alla consegna di un prodotto difettoso o dalle caratteristiche non conformi a quanto previsto nel contratto. Si tratta di disposizioni di legge – irrinunciabili – che trovano applicazione unicamente ai cosiddetti contratti di consumo , stipulati tra consumatori e operatori professionali e aventi ad oggetto la compravendita di beni di consumo . A questa tipologia vengono equiparati anche i contratti di permuta e di somministrazione, nonché quelli di appalto, di opera e tutti gli altri contratti comunque attinenti alla fornitura di beni di consumo che vengono prodotti (cioè tutte le cose mobili ad eccezione di quelle oggetto di vendita forzata o venduti secondo altre modalità dalle autorità giudiziarie; acqua e gas, se non in contenitori che permettano di conoscerne il volume o la quantità; energia elettrica). Il venditore è quindi tenuto a consegnare all’acquirente solo i prodotti che corrispondono alle caratteristiche previste dal contratto di compravendita. In tal caso si parla di conformità contrattuale . Determinati requisiti dei prodotti sono indice della loro conformità contrattuale: idoneità all’uso normalmente previsto per beni dello stesso tipo; rispondenza del prodotto alle caratteristiche riportate nella descrizione del venditore, o a quelle del prodotto già consegnato in prova o sotto forma di campione al consumatore; effettiva presenza di qualità o prestazioni propri di prodotti dello stesso tipo e che il consumatore si attende verosimilmente sulla scorta della normale esperienza o sulla base delle espressioni riportate nella pubblicità o nell’etichettatura da parte del venditore o del produttore; idoneità ad un particolare uso desiderato dal consumatore e portato a conoscenza del venditore al momento della conclusione del contratto e che il venditore abbia accettato. Il diritto di garanzia non viene riconosciuto nel caso di vizi ben noti al consumatore nel momento dell’acquisto o comunque così evidenti da non poter essere occultati. L’art. 128 Codice del Consumo, prevede: Il presente capo disciplina taluni aspetti dei contratti di vendita e delle garanzie concernenti i beni di consumo. A tali fini ai contratti di vendita sono equiparati i contratti di permuta e di somministrazione nonche’ quelli di appalto, di opera e tutti gli altri contratti comunque finalizzati alla fornitura di beni di consumo da fabbricare o produrre. Ai fini del presente capo si intende per: a) beni di consumo : qualsiasi bene mobile, anche da assemblare, tranne: 1) i beni oggetto di vendita forzata o comunque venduti secondo altre modalita’ dalle autorita’ giudiziarie, anche mediante delega ai notai; 2) l’acqua e il gas, quando non confezionati per la vendita in un volume delimitato o in quantita’ determinata; 3) l’energia elettrica; b) venditore: qualsiasi persona fisica o giuridica pubblica o privata che, nell’esercizio della propria attivita’ imprenditoriale o professionale, utilizza i contratti di cui al comma 1; c) garanzia convenzionale ulteriore : qualsiasi impegno di un venditore o di un produttore, assunto nei confronti del consumatore senza costi supplementari, di rimborsare il prezzo pagato, sostituire, riparare, o intervenire altrimenti sul bene di consumo, qualora esso non corrisponda alle condizioni enunciate nella dichiarazione di garanzia o nella relativa pubblicita’; d) riparazione: nel caso di difetto di conformita’, il ripristino del bene di consumo per renderlo conforme al contratto di vendita. Le disposizioni del presente capo si applicano alla vendita di beni di consumo usati , tenuto conto del tempo del pregresso utilizzo, limitatamente ai difetti non derivanti dall’uso normale della cosa. Molto importante è la conoscenza del successivo art. 130, il quale disciplina i diritti del consumatore: Il venditore e’ responsabile nei confronti del consumatore per qualsiasi difetto di conformita’ esistente al momento della consegna del bene. In caso di difetto di conformita’, il consumatore ha diritto al ripristino, senza spese , della conformita’ del bene mediante riparazione o sostituzione , a norma dei commi 3, 4, 5 e 6, ovvero ad una riduzione adeguata del prezzo o alla risoluzione del contratto, conformemente ai commi 7, 8 e 9. Il consumatore puo’ chiedere, a sua scelta, al venditore di riparare il bene o di sostituirlo , senza spese in entrambi i casi, salvo che il rimedio richiesto sia oggettivamente impossibile o eccessivamente oneroso rispetto all’altro. Ai fini di cui al comma 3 e’ da considerare eccessivamente oneroso uno dei due rimedi se impone al venditore spese irragionevoli in confronto all’altro, tenendo conto: a) del valore che il bene avrebbe se non vi fosse difetto di conformita’; b) dell’entita’ del difetto di conformita’; c) dell’eventualita’ che il rimedio alternativo possa essere esperito senza notevoli inconvenienti per il consumatore. Le riparazioni o le sostituzioni devono essere effettuate entro un congruo ternine dalla richiesta e non devono arrecare notevoli inconvenienti al consumatore , tenendo conto della natura del bene e dello scopo per il quale il consumatore ha acquistato il bene. Le spese di cui ai commi 2 e 3 si riferiscono ai costi indispensabili per rendere conformi i beni, in particolare modo con riferimento alle spese effettuate per la spedizione, per la mano d’opera e per i materiali. Il consumatore puo’ richiedere, a sua scelta, una congrua riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto ove ricorra una delle seguenti situazioni: a) la riparazione e la sostituzione sono impossibili o eccessivamente onerose; b) il venditore non ha provveduto alla riparazione o alla sostituzione del bene entro il termine congruo di cui al comma 5; c) la sostituzione o la riparazione precedentemente effettuata ha arrecato notevoli inconvenienti al consumatore. Nel determinare l’importo della riduzione o la somma da restituire si tiene conto dell’uso del bene. Dopo la denuncia del difetto di conformita’, il venditore puo’ offrire al consumatore qualsiasi altro rimedio disponibile, con i seguenti effetti: a) qualora il consumatore abbia gia’ richiesto uno specifico rimedio, il venditore resta obbligato ad attuarlo, con le necessarie conseguenze in ordine alla decorrenza del termine congruo di cui al comma 5, salvo accettazione da parte del consumatore del rimedio alternativo proposto; b) qualora il consumatore non abbia gia’ richiesto uno specifico rimedio, il consumatore deve accettare la proposta o respingerla scegliendo un altro rimedio ai sensi del presente articolo. Un difetto di conformita’ di lieve entita’ per il quale non e’ stato possibile o e’ eccessivamente oneroso esperire i rimedi della riparazione o della sostituzione, non da’ diritto alla risoluzione del contratto.
Assegno di mantenimento dei figli: ripetibilità delle somme versate in eccesso. IL FATTO: Un padre di due figli separato si è trovato costretto a versare alla ex compagna una considerevole somma di denaro a titolo di assegno di mantenimento in favore dei due figli, con trattenuta diretta alla fonte da parte del suo datore di lavoro. Nelle more uno dei due figli è andato a vivere stabilmente col padre; per tale motivo ha chiesto al Tribunale una revisione dell’assegno. Il Tribunale, dopo una lunga causa, ha stabilito che ogni genitore dovesse provvedere al mantenimento del figlio con lui convivente, nulla però disponendo per il passato. Il padre, si è sentito pregiudicato, in quanto, è vero che il Tribunale gli aveva riconosciuto tale diritto, però fino all’ottenimento della pronuncia di primo grado, si era visto costretto a continuare a versare alla ex moglie (con trattenuta alla fonte da parte del datore di lavoro) la somma originariamente stabilita in favore di entrambi i figli (quando oramai un figlio viveva stabilmente col padre e l’altro con la madre). Per tale motivo ha proposto reclamo, chiedendo la restituzione delle somme medio-tempore versare alla madre. Si è costituita la madre sostenendo la assoluta irripetibilità delle somme corrisposte dall’altro genitore per il mantenimento dei figli successivamente al verificarsi dell’evento che abbia fatto o ridotto l’entità o estinto il presupposto dell’obbligazione stessa. All’uopo ha richiamato Cass. civ. sez. VI, 29 maggio 2014, n. 12085; Cass. civ. sez. VI, 4 luglio 2016, n. 13609. Il reclamante ha rappresentato di essersi trovato costretto a versare forzosamente alla ex compagna, la non trascurabile somma mensile, che il suo datore di lavoro ha trattenuto direttamente alla fonte ed ha provveduto a versare alla ex compagna, per mantenere due figli, di cui uno oramai viveva con lui. Ha richiamato la sentenza (Cassazione civile, sez. I, 23 Maggio 2014, n. 11489. Est. Giancola), con cui il Supremo Collegio ha esaminato un caso speculare, aprendo alla ripetibilità delle somme versate a titolo di mantenimento dei figli, quando i presupposti sono venuti meno. “ Nel caso in cui l’obbligo di mantenimento indiretto della prole posto a carico del genitore venga revocato con provvedimento giudiziale, l’onerato ha diritto a ripetere le somme che abbia versato dal momento in cui il titolo è venuto meno. La ritenzione non può ritenersi giustificata in ragione dei principi in tema di irripetibilità, impignorabilità e non compensabilità delle prestazioni alimentari, posto che tali principi non operano indiscriminatamente ed in virtù di teorica assimilabilità alle prestazioni alimentari dell’assegno di mantenimento per i figli maggiorenni, ma implicano che in concreto gli importi riscossi per questo titolo abbiano assunto o comunque abbiano potuto assumere analoga funzione alimentare ”. Nel caso esaminato, tali esborsi non hanno di certo assunto la funzione “alimentare”, in quanto il soggetto beneficiato (il figlio convivente col padre) non ne ha goduto (vivendo col padre), essendoseli intascati la madre che non ha più provveduto a mantenere il figlio. Al riguardo il Tribunale Savona (sent. 01-03-2018) ha correttamente evidenziato come le somme versate a titolo di mantenimento, sia in favore del coniuge che dei figli minori o maggiorenni ma non autosufficienti, non sono ripetibili, nel caso in cui il provvedimento di assegnazione del contributo sia in seguito revocato o modificato. A tale risultato si è giunti attraverso una sostanziale equiparazione tra prestazione di alimenti e di mantenimento. Tale conclusione è stata giustificata ipotizzando una presunzione di pressoché istantanea utilizzazione degli alimenti, destinati per loro natura ad essere consumati rapidamente, con conseguente assenza in capo al beneficiario del dovere di accantonarne una certa quantità in previsione di un eventuale provvedimento di modifica o di revoca . Tuttavia, ciò vale, esclusivamente, per quelle somme destinate ad una concreta funzione alimentare . Il principio di irripetibilità resta, quindi, limitato a prestazioni dirette ad assicurare unicamente, per la loro misura e le condizioni economiche del percipiente, i mezzi necessari per fare fronte alle esigenze essenziali di vita. Laddove tale funzione alimentare non sussista, il principio della irripetibilità non ha più ragione di esistere . In questo senso, si veda Cass. 11489/14 (relativo ad una domanda di ripetizione proposta nei confronti di figli maggiorenne ed autosufficienti; in questo caso, la S.C. ha escluso che l’assegno avesse funzione alimentare nel caso in cui il contributo risulti destinato a favore di chi abbia già raggiunto una posizione di indipendenza economica e non necessiti più del sostentamento assicurato dal genitore ed ha, quindi, accolto la domanda di restituzione proposta dal genitore obbligato) o Cass. 2182/09 (in cui una parte è stata condannata a restituire le somme percepite, grazie alla sentenza di primo grado, a titolo di assegno divorzile, in misura superiore a quella determinata in sede di appello, considerando la natura non alimentare delle somme suddette alla luce della consistente entità dell’assegno). Il principio in esame è stato ribadito poi in motivazione da Cass. n. 6864/09. La Corte di Appello con riferimento alla domanda di ripetizione del contributo avanzata dal reclamante, ha stabilito che, costituiscono fatti pacifici in atti che il sig. XXX versava € YYY alla ex convivente per il mantenimento di ambedue i figli che con quest’ultima convivevano; che dall’agosto 2018 il figlio ZZZ andava a coabitare con il padre; che la sig.ra , tuttavia continuava a percepire la somma suddetta, per il mantenimento di entrambi, in quanto versata direttamente dal datore di lavoro del sig. XXX; che il Tribunale revocava ogni contributo per ZZZ e fissava in € = il contributo per l’altro figlio, JJJ, che continuava a convivere con la madre. Non è dubbio, come costantemente affermato anche dalla Suprema Corte, che il carattere sostanzialmente alimentare dell’assegno di mantenimento a favore del figlio maggiorenne comporta che la normale retroattività della statuizione giudiziale di riduzione al momento della domanda vada contemperata con i principi di irripetibilità, impignorabilità e non compensabilità di dette prestazioni, sicché la parte che abbia già ricevuto, per ogni singolo periodo, le prestazioni previste dalla sentenza di separazione non può essere costretta a restituirle, né può vedersi opporre in compensazione, per qualsivoglia ragione di credito, quanto ricevuto a tale titolo, mentre ove il soggetto obbligato non abbia ancora corrisposto le somme dovute, per tutti i periodi pregressi, tali prestazioni non sono più dovute in base al provvedimento di modificazione delle condizioni di separazione (cfr., da ultimo, Cassazione civile, Sezione VI-1, Ordinanza 24.10.2017 n. 25166; ib., 04.07.2016 n. 13609). Tale principio è tuttavia da contemperarsi con le ordinarie regole in materia di indebito: se difatti, nel caso di specie il principio della sostanziale irripetibilità deve essere applicato in riferimento alla quota parte di contributo che la sig.ra __ riceveva per JJJ che con lei continuava a convivere, non altrettanto deve dirsi per la quota parte riferibile all’altro figlio in quanto il fatto storico dell’allontanamento dall’abitazione materna faceva venir meno, a monte, ogni diritto della madre ad ottenere il contributo il cui persistente versamento, lungi dal mantenere la natura alimentare, iniziava ad assumere piuttosto i connotati di indebito oggettivo. Pertanto, limitatamente a tale quota, da considerarsi presuntivamente pari alla metà del totale, la domanda di ripetizione a far data dal mese dell’allontanamento del ragazzo (agosto 2018) è da accogliere. Ne consegue che la reclamata deve essere condannata alla restituzione della somma di € __= (€ __:2) per mese a far data dall’agosto 2018 oltre interessi nella misura legale dalla stessa data fino al saldo. PER QUESTI MOTIVI la Corte d’Appello di Firenze così provvede: ACCOGLIE parzialmente il reclamo proposto dal sig. XXX e, per l’effetto, accertato il diritto di quest’ultimo alla ripetizione della metà del contributo già fissato per il mantenimento dei figli, a far data dall’agosto 2018, dispone che la sig.ra__ corrisponda, in favore di controparte, la somma di € __= per mese a far data dall’agosto 2018 fino al saldo oltre interessi nella misura legale dalla stessa data fino al saldo.
Brevetto e royalties: all’inventore spetta il 50% dei proventi. E’ quanto stabilito dal Tribunale di Pisa, con la sentenza n. 93 del 2019 che ha posto fine ad una lunga diatriba sorta fra il C.N.R. ed il suo dipendente/inventore. A seguito di una invenzione oggetto di brevetto, ed alla vendita della licenza ad un terzo, il datore di lavoro ha inteso riconoscere all’inventore la minor somma del 20%, anziché quella del 50% a titolo di equo premio di quanto ricavato dalla vendita del brevetto stesso. Solo successivamente all’invenzione, il C.N.R. in data 30.11.2013 ha pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale – Serie Generale – n. 281 il provvedimento del C.N.R. del 14.11.13, n. 122 “ Regolamento per la generazione, gestione e valorizzazione della Proprietà Intellettuale sui risultati della ricerca del C.N.R. ”, il quale entrando in vigore “ il giorno successivo alla data di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale ” (art. 29, comma 3) ha previsto all’art. 27 un compenso all’inventore pari al 50% del ricavato della vendita del brevetto, ma parimenti non ha inteso corrispondere neppure per gli anni successivi all’entrata in vigore del Regolamento il 50%. L’inventore ha pertanto richiesto la condanna del datore a pagare la differenza fra quanto versato (20%) e quanto a lui spettante (50%). L’inventore ha sostenuto che l’emanazione di tale Regolamento è servito per ridurre il percentile dal 70% previsto dalla norma al 50%; a far data dall’entrata in vigore del C.P.I. (anno 2001) infatti, ai sensi e per gli effetti dell’art. 65 C.P.I., all’inventore spetterebbe un premio pari al 70% (la norma parla di 30% per Università e Pubbliche Amministrazioni in mancanza di adeguamento entro il limite del 50%) a meno che l’Ente non provveda a ridurre detto percentile, entro il limite del 50% con proprio provvedimento ; orbene il provvedimento adottato dal C.N.R. è del 01.12.2013 con la conseguenza che sino a detto momento il percentile previsto per Legge sarebbe stato pari al 70% e dopo tale data pari al 50%. Il Tribunale ha emesso la sentenza n. 93/2019, dando ragione all’inventore, statuendo: “ Nel merito, si osserva che a mente dell’art. 65 del Codice della Proprietà Industriale (D. lgs. 30/2005), “ …quando il rapporto di lavoro intercorre con un’università o con una pubblica amministrazione, avente tra i suoi scopi istituzionali finalità di ricerca, il ricercatore è titolare esclusivo dei diritti derivanti dall’invenzione brevettabile di cui è autore… ” (comma 1) e soprattutto che “ In ogni caso, l’inventore ha diritto a non meno del cinquanta per cento dei proventi o dei canoni di sfruttamento dell’invenzione…” (comma 3). Di ciò è perfettamente consapevole il CNR che infatti con il provvedimento del 14.11.2013, n. 122 si è adeguato al riconoscimento della più favorevole percentuale del 50%, benché la difesa dell’opponente ritenga comunque di poter delimitare nel tempo il riconoscimento della maggiore percentuale del 50%, rispetto a quella del 20% sono ad allora riconosciuta, con l’argomento che “ il regolamento utilizzando la invero non perspicua espressione “procedure in corso” – di cui all’art. 29 delle disposizioni finali di cui al regolamento . non ha certamente inteso assoggettare alla “nuova Regola” il trattamento del premio per periodi di utilizzazione già decorsi, semplicemente ha inteso evitare la altrimenti possibile (e legittima ove non vi fosse stata la previsione dell’art. 29) conclusione che l’aumento del premio al 50% trovasse applicazione solo per le invenzioni successive alla entrata in vigore del Regolamento stesso (a fine 2013) valorizzate e gestite secondo le nuove previsioni, e non anche alle invenzioni precedenti, già valorizzate secondo il regime precedente in corso di sfruttamento ”. Detto argomento non è condivisibile, a fronte della norma di legge (ovviamente sopra-ordinata rispetto al provvedimento del CNR, non autorizzato a derogare, sul punto, alla legge) secondo cui “In ogni caso, l’inventore ha diritto a non meno del cinquanta per cento dei proventi o dei canoni di sfruttamento dell’invenzione…”. Norma che risale ad epoca precedente l’utilizzazione economica del brevetto e dunque applicabile nella fattispecie. Ne deriva che, atteso l’assorbimento delle minori somma che il CNR ritiene non dovute (in ragione della asserita diversa periodicità di maturazione del diritto) in quella di gran lunga maggiori che al ricorrente spetterebbero a mente della citata norma di legge, l’argomento difensivo del CNR è infondato anche sotto tale aspetto ”. Trib. Pisa sent. 93 2019
Diamanti: breve excursus della vicenda. Per quanto riguarda la nota questione delle vendita dei diamanti è chiaro come i clienti hanno riposto fiducia nei dipendenti della banca, i quali hanno prospettato loro tale acquisto come una forma alternativa di investimento, in pietre preziose, non spiegando che si trattava di investimenti in prodotti finanziari illiquidi, strutturati e rischiosi. La pubblicità posta in essere dalla fallita Intermarket Diamond Businnes S.p.a. e il documento di informativa per l’acquisto dei diamanti consegnato recitavano però: “l’investimento in diamanti, per sua natura, non persegue finalita’ speculative nel breve termine, ma conservative nel lungo periodo, tendenti a tutelare il potere di acquisto della somma utilizzata.” …la Intermarket Diamond Businness garantisce al cliente, in ogni momento, l’assistenza per il ricollocamento dei diamanti acquistati… cio’ nella massima trasparenza, facendo riferimento alle quotazioni pubblicate trimestralmente dall’azienda su ‘Il Sole 24 ore’ utilizzate sia per l’acquisto che per la rivendita.” … il ricollocamento ha un costo per commissioni. le percentuali sono inversamente variabili alla durata dell’investimento; tanto piu’ basse quanto piu’ perdura il possesso. una scelta coerente con la natura conservativa dell’investimento e finalizzata a scoraggiare i disinvestimenti nel breve periodo ed evitare la tendenza ad operazioni speculative”. Sempre dal sito di Intermarket Diamond Businness si leggeva: “ Come a tutti noto, il mercato del diamante da investimento venduto pel tramite del canale bancario è stato oggetto di una importante campagna mediatica di discredito, che ha indotto grave turbativa del mercato e che ha spinto gli acquirenti a valutare il proprio acquisto come avvenuto a prezzo incongruo ed effettuato con modalità di scarsa trasparenza e di non adeguata informazione da parte degli operatori interessati. Questa percezione, da parte dell’acquirente, ha determinato un eccesso di offerta che, a fronte di una domanda bloccata dallo screditamento mediati co, ha impedito nell’ultimo anno ogni possibilità di disinvestimento da parte degli acquirenti. Circostanza, questa, che ha aggravato la percezione negativa: si è così creato, nell’opinione pubblica, un clima di allarme.”. Ed ancora: “Ma proprio a seguito di questa campagna, il mercato dei diamanti è stato travolto da un vero e proprio shock e sta vivendo, oggi, la stessa situazione che ha attraversato il mercato immobiliare all’indomani della cosiddetta “bolla immobiliare”: un giorno qualcuno grida che i prezzi degli immobili sono gonfiati, si diffonde il panico, si crea un’ondata di vendite. Nessuno, in una situazione simile, è disposto a comprare: ne conseguono discesa dei prezzi e difficoltà a vendere. Vale sia per gli immobili che per i diamanti. La difficoltà a vendere ha un’immediata conseguenza: chi vuole vendere oggi un diamante trova acquirenti solo tra gli speculatori. Da questa constatazione nasce il consiglio che IDB dà a tutti i possessori di diamanti: se non avete urgenze particolari, è meglio aspettare a vendere, aspettare soprattutto che il mercato abbia riassorbito lo shock subìto e che sia tornato alla normalità. Un altro consiglio: se si vuol capire quale sia il valore del proprio diamante (senza gli importanti servizi offerti da IDB), il prezzo non va chiesto allo speculatore disposto a comprarvelo oggi, nel mezzo della peggior crisi che il diamante abbia attraversato in Italia; è meglio andare da un operatore serio a chiedere a quanto si potrebbe comprare un diamante identico a quello posseduto” . E’ palese la violazione delle norme del TUIF da parte dei soggetti collocatori ed il buon diritto dei consumatori che sono rimasti invischiati in questo spiacevole acquisto a poter tentare di recuperare i denari spesi, anche alla luce delle pronunce dell’Autorità Garante. AGCOM PS10678_scorrsanz._omi AGCOM PS10677_scorrsanz_omi
Notifica inesistente se effettuata da poste private (Nexive o TNT). Notifica effettuata a mezzo di vettore di posta privata (Nexive o TNT). Ciò posto ricorre nel caso in esame una fattispecie di inesistenza del procedimento notificatorio: all’uomo va in primis rilevato che la resistente non ha allegato, ed ancora meno provato, di essersi affidata per la notifica a Poste Italiane, quale incaricato della spedizione , e che questa si è poi avvalsa sotto la sua responsabilità del servizio postale privato, ma piuttosto di aver provveduto alla spedizione in proprio quale incaricato dell’Agente di Riscossione, così come del resto risulta in atti. Intende, dunque, la Commissione dare seguito all’orientamento già espresso in fattispecie analoga (cfr. Comm. Trib. prov.le Pisa sez. 3 8 novembre 2016, n. 478), infatti, se è pur vero che la giurisprudenza di legittimità (per tutte vedasi Cass., sez. Trib. 6.6.2012, n. 9111) ha a più riprese affermato il principio per cui: “ la notificazione a mezzo posta, è validamente eseguita anche se il plico sia consegnato al destinatario da un’agenzia privata di recapito, qualora il notificante si sia rivolto all’ufficio postale, e l’affidamento del plico all’agenzia privata sia avvenuto per autonoma determinazione dell’Ente Poste, al quale il d. lgs. 22 luglio 1999, n. 261, continua a riservare in via esclusiva gli invii raccomandati attinenti alle procedure amministrative e giudiziarie, perché in tal caso l’attività di recapito rimane all’interno del rapporto tra l’ente Poste e l’agenzia di recapito, e permane in capo al primo la piena responsabilità per l’espletamento del sevizio ”, tale eccezione alla regola non ricorre nella fattispecie in esame, ove, come già sottolineato, l’agente della riscossione non ha in alcun modo provato di aver richiesto l’invio della a/r per il cad a Poste Italiane, avendo, per contro, versato in atti un elenco della distinta delle raccomandate ar inviate tramite Nexive, e poi, TNT, e relative cartoline, niente allegando circa il rapporto con il fornitore del servizio universale. Ciò posto, è da ribadire che SS.UU. della Suprema Corte (sent. n. 13453 e 13452/17) hanno rimarcato l’esclusiva in capo a Poste Italiane Spa , quale fornitore del servizio postale universale, dei servizi inerenti le notificazioni a mezzo posta e comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari di cui alla L. n. 890/82 e, pertanto, la esclusiva va riferita ad ogni invio a mezzo posta che è utile a perfezionare il procedimento notificatorio; pur avendo la Corte regolatrice (Cass. sez. IV n. 23887/17) precisato l’abolizione di detta esclusiva a mente dell’art. 1, comma 57 lett. b) della L. n. 124/17 opera solo, ed a certe condizioni, a decorrere dal 10.9.2017; ciò a fronte di procedimenti notificatori il cui ultimo(quello relativo alla intimazione di pagamento) risale al gennaio 2017.n. 890/32 vanno annoverate le notificazioni a mezzo posta degli atti tributari processuali e sostanziali (cfr. Cass. n. 19467/16 e precedenti ivi richiamati). La notifica delle cartelle impugnate e, poi, della intimazione di pagamento va, dunque, dichiarata inesistente (Cass. n. 20306/17, n. 13956/17, n,2262/13). Il Giudice di legittimità ha, quindi, costantemente affermato che tra gli atti ex lege n. 890/92 vanno annoverate le notificazioni a mezzo posta degli atti tributari processuali e sostanziali (cfr. Cass. n. 19467/16 e precedenti richiamati). La notifica delle cartelle impugnate e, poi, della intimazione di pagamento va, dunque, dichiarata inesistente (Cass. n. 20306/17, n. 13956/17, n. 2262/13). sentenza Comm. Trib.Prov.le Pisa. Avv. Giovanni Longo
Notifica ex art. 140 c.p.c. e art. 143 c.p.c. differenze e presupposti. In caso di notifica, la semplice e temporanea assenza non equivale a trasferimento. Il ambito del diritto tributario, presupposto per la notifica ai sensi dell’art. 143 c.p.c. è il fatto di non conoscere la residenza, dimora o domicilio del destinatario e che tale ignoranza sia determinata da una situazione oggettiva tale da non poter essere superata con le indagini suggerite dall’ordinaria diligenza. L’applicabilità dell’art. 143 c.p.c., pacificamente applicabile al diritto tributario, postula l’irreperibilità oggettiva e non temporanea del destinatario che si risolve nella impossibilità di individuare il luogo di residenza, domicilio o dimora del notificando, nonostante l’esperimento delle indagini suggerite dall’ordinaria diligenza (Cass. sent. n. 18595/2014; Cass. sent. 14618/2009). I presupposti che legittimano la notifica ai sensi dell’art. 143 c.p.c. anche in materia di diritto tributario, non sono solo il dato oggettivo dell’ignoranza, da parte del richiedente, dell’ufficiale giudiziario o del messo notificatore circa la residenza, la dimora o il domicilio del destinatario dell’atto, né il mero possesso del certificato anagrafico, essendo anche richiesto che la condizione di ignoranza non sia superabile attraverso le indagini possibili nel caso concreto, da compiersi ad opera del mittente o del soggetto notificatore con l’ordinaria diligenza. Nel caso in cui l’assenza del destinatario dal luogo di residenza sia solo momentanea, la notifica deve essere eseguita ai sensi dell’art. 140 c.p.c. La notifica ai sensi dell’art. 140 c.p.c. fornisce maggiori garanzie di conoscibilità dato che il notificatore deve affiggere il plico chiuso alla porta dell’abitazione e darne notizia mediante spedizione di racc. a/r mentre nella notifica ai sensi dell’art. 143 c.p.c. si procede unicamente con il deposito del plico presso la Casa Comunale. Nello specifico il messo notificatore ha indicato che il destinatario risultava “trasferito” ma non ha specificato nella relata quale tipo di ricerche abbia effettuato e per quale motivo fosse sconosciuto l’eventuale diverso indirizzo di residenza. Tale ultima indicazione risulta fondamentale in quanto se l’indirizzo di nuova residenza fosse stato conoscibile con l’ordinaria diligenza, non si sarebbe potuto procedere con la notifica ai sensi dell’art. 143 c.p.c.. Si può rilevare che la giurisprudenza si è espressa in modo uniforme nel senso che è nulla la notifica eseguita ai sensi dell’art. 143 c.p.c. qualora l’ufficiale giudiziario o il messo notificatore , dopo aver dato atto nella relata di non aver potuto notificare l’atto al destinatario per essere questo sconosciuto nel luogo di residenza anagrafica, non fornisca alcuna indicazione in ordine a ricerche o indagini compiute per accertare la nuova residenza o domicilio del destinatario. Ai fini della validità della notifica, dunque, l’ufficiale giudiziario o il messo notificatore debbono fornire nella relata l’indicazione in ordine alle ricerche ed indagini compiute per accertare la residenza del destinatario (Cass. sent. 24253/16; Cass. sent. 3071/2013; Cass. sent. 20791/2012; Cass. sent. 14618/2009; Cass. sent. 7964/2008; Cass. sent. 5127/2008; Cass. sent. 18385/2003; Cass. sent. 4339/2001; Cass. sent. 1092/1998; Cass. sent. 3799/1997; Cass. sent. 4120/1990). Il Giudice di Pace di Pontedera, tornando sulla questione, con la sentenza n. 379 2019 ha ribadito il consolidato orientamento stabilendo che la notifica di un atto ai sensi dell’art. 140 c.p.c. si perfeziona con il compimento di tutti gli adempimenti stabiliti dalla norma: ne deriva che è nulla la notifica dell’atto impositivo che, rispetto alla raccomandata contenente la notizia del deposito dell’atto presso la casa comunale, reca sull’avviso di ricevimento l’erronea dicitura “sconosciuto”, pur non avendo il destinatario mutato la residenza (sez. V, ordinanza n. 17970 del 4.7.2019). sent. 379 19 gdp pontedera sentenza 293 2018
Buoni fruttiferi postali serie P e serie Q: poste italiane deve pagare quanto riportato sull’effetto. E’ quanto è stato confermato dalla recente sentenza del Tribunale di Milano n. 91/2020 del 09 Gennaio 2020, in linea peraltro con la precedente giurisprudenza. La materia del contendere riguardava le rendite e/o tassi di intersse da applicarsi dal ventunesimo al trentesimo anno della loro emissione. E’ un caso speculare a molti altri, ovvero la circostanza che detti buoni appartenevano alla serie “P”, ma riportavano sul fronte apposto con timbro la dicitura “serie P/Q”. Detto timbro modificava i rendimenti dei buoni solo per i primi 2o anni, mentre per l’ultimo decennio nulla veniva disposto. Secondo il Tribunale occorre dare forza e valore fra le parti a quanto è stato contrattualmente pattuito. In pratica le Poste hanno utilizzato i moduli già pre-stampati della precedente serie P, mettendo un timbro e qualificandoli come “serie Q”, senza però correggere o novare interamente i rendimenti trentennali della tabella (in particol modo per quanto concerne gli ultimi dieci anni dal ventesimo al trentesimo). Per tale motivo Poste italiane è tenuta ad adempiere al contratto con il sottoscrittore così come risulta dal tenore del titolo, in quanto l’art. 4 del DM 13.6.1986 fa riferimento alla (sola) tabella stampata sui buoni fruttiferi postali. sent. trib. milano 91.2020 buoni postali .
Diritto Sportivo: evento Diritti…sugli Sci ! Un weekend sulla neve tra formazione e divertimento in ambito di diritto sportivo, in una tre giorni che assegna 10 crediti formativi forensi per avvocati, ma aperta anche ad eventuali accompagnatori. Da un inquadramento generale a un focus sulle attività invernali tra sport e responsabilità civili e penali, nella sua parte formativa, passando per attività sciistiche, escursioni e intrattenimento. È questo il fulcro dell’evento formativo organizzato dall’Associazione Italiana Avvocati dello Sport (Aias) che si è tenuto all’Abetone (PT) dal 31 gennaio al 2 febbraio 2020, in uno scenario in cui a dominare saranno le piste da sci, l’arte, la cultura e i panorami mozzafiato. All’Abetone inoltre sarà possibile visitare musei e mostre, in particolare quella dedicata a Zeno Colò nel centenario dalla sua nascita. L’evento è stato realizzato con la collaborazione di Aiga (Associazione Italiana Giovani Avvocati) e patrocinato dal Comune di Abetone Cutigliano, dalla Fisi – (Federazione Italiana Sport Invernali), dal Comitato Regionale Appennino Toscano e dal Comitato Regionale Toscana del Coni. Il convegno è stato reso possibile anche e soprattutto grazie all’impegno degli sponsor RDES-Rivista di Economia e Diritto dello Sport, FG dol gel, Mald’avventura e Gabriele Debetto Fotografo.
Giovanni Longo
Lungarno Bruno Buozzi 13
Pisa (PI)
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